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Nonostante i tentativi di
Louise di ribellarsi, i soldati la afferrarono, e legatele le mani dietro la
schiena presero a trascinarla a forza fuori dalla cella.
«Fate piano.»
li ammonì Maddarf «Ricordate, non dobbiamo essere violenti.»
«Saito!»
continuava a chiamare Louise «Saito!».
Ma
Saito, dall’altra, non poté far altro che ascoltare impotente le urla della sua
amata che provenivano dalla parte opposta del muro, prendendo a pugni la parete
fino a farsi sanguinare la mano.
«Louise!
Lasciatela, bastardi!».
Spazientito
dalle grida della ragazza Maddarf la tirò a sé.
«Stai
calma. Non vogliamo farti niente di male. Ma d’altro canto, se non stai un po’
zitta, mi costringerai a diventare cattivo».
Louise
si sforzò di obbedire, tanto la terrorizzarono gli occhi di ghiaccio ed il tono
minaccioso dell’elfo, e senza fare ulteriori resistenze si lasciò portare via,
con le urla di Saito ad accompagnarla lungo tutto il tragitto lungo il
corridoio; quando passarono davanti alla loro cella Saito tentò di allungare un
braccio attraverso la feritoia della porta, ma una delle guardie replicò
colpendola violentemente con il suo guanto metallico, in modo talmente violento
da rischiare, per fortuna senza riuscirci, di spezzargli le ossa.
«Maledetti!»
gridò il ragazzo serrando i denti per non gridare «Quando esco di qui vi
ammazzo, parola mia!
Lasciate
andare Louise!»
Poco
oltre il portone che sbarrava l’ingresso alla zona delle prigioni vi era un
ampio montacarichi circolare, lo stesso che aveva condotto i ragazzi dallo
studio di Eshamel fino alle loro celle, e servendosene i tre elfi portarono
Louise fin nei sotterranei della struttura in cui erano prigionieri, che altro
non era se non la gigantesca torre che sovrastava la capitale di Neftes.
Qui, in
una grande sala circolare che somigliava ad un sanatorio, l’attendevano Eshamel
ed Eruvere, ma anche Tiffa, rannicchiata in un angolo quasi fosse stata anche
lei una prigioniera.
All’arrivo
di Louise, Tiffa si avvide, nel momento in cui si guardarono, che non c’era
odio o risentimento nei suoi occhi, ma ciò nonostante non riuscì a non
distogliere lo sguardo per la vergogna, tanto la disgustava ciò che aveva
fatto.
Louise
fu fatta distendere su di un tavolo reclinabile al centro della stanza e le fu
strappata la camicetta che indossava, lasciandole addosso solo il reggiseno; le
due guardie quindi la immobilizzarono con delle cinghie, ed infine sollevarono
il tavolo, mettendolo in posizione verticale, quindi, ad un cenno di Eruvere,
se ne andarono.
Per
tutto il tempo Louise non mosse un muscolo, seguitando però a guardare i due
elfi con occhi di sfida; tuttavia, a ben osservarli, la paura al loro interno
era evidente.
«Che
cosa volete da me?» domandò cercando di ostentare sicurezza «Perché ci state
facendo questo?».
Eruvere
le si avvicinò, scrutandola a lungo, e alla fine fu lei la prima a dover
distogliere lo sguardo.
«Tu
forse non te ne rendi conto, giovane Louise, ma in te hai qualcosa di molto
speciale.» le disse «Qualcosa che và ben oltre l’effimero potere della Magia
del Vuoto. Ed è questo qualcosa che noi cerchiamo».
Senza
aggiungere altro, l’elfo fece qualche passo indietro, e fatte emergere le mani
dal suo voluminoso mantello unì gli indici e i pollici a formare una sorta di
cornice, che posizionò di fronte al proprio occhio come una sorta di mirino.
Louise
dapprincipio non capì che cosa quell’individuo così minaccioso ed il suo amico
Eshamel, che se ne restava in disparte con espressione contrita, avessero in
mente, ma dopo qualche istante la ragazza prese a sentire una fastidiosa
sensazione al ventre.
Cercò di
ignorarla serrando i denti, ma questa crebbe di intensità, fino a tramutarsi in
vero e proprio dolore, e a quel non le fu più possibile trattenere le urla. Era
come se qualcuno, o qualcosa, le stesse letteralmente aprendo la pancia, nel
tentativo di scorgere ciò che vi era all’interno, e le guardie l’avevano legata
così bene che le era impossibile perfino cercare di dimenarsi.
Per
nulla deciso a fermarsi Eruvere continuò a fissarla attraverso quella specie di
mirino, fino a che, come se tra loro due vi fosse stato uno schermo invisibile,
agli occhi dell’elfo non apparve quello che vi era al di sotto della pelle, dei
muscoli e degli organi. Dapprincipio non vide niente, a parte ombre sfocate,
poi alle sue orecchie, sorde alle grida strazianti di Louise, giunse come un
battito, i sussulti di un minuscolo cuore, e subito dopo le immagini presero a
diventare più nitide, e più ciò avveniva più aumentava il dolore per Louise.
Tiffa si
coprì le orecchie e chiuse gli occhi, e persino Eshamel non riuscì a restare
indifferente, assistendo alla scena sempre più stupito, e a tratti persino
sconvolto.
Poi,
finalmente, le immagini si concentrarono lì dove Eruvere voleva, e dinnanzi al
suo occhio comparve, ben rinchiuso all’interno della propria sacca protettiva,
un piccolo feto appena distinguibile, ma più che sufficiente a far piegare le
labbra dell’elfo in una esclamazione di stupore, seguita subito dopo da un
sorriso soddisfatto.
Come
allontanò le dita l’una dall’altra il dolore, finalmente, cessò, ma Louise era
così provata che perse i sensi prima ancora di accorgersene, lasciando la testa
a pendere in avanti contornata dai capelli sudati.
Anche
Eruvere sembrava affaticato, ed ansimò per parecchi secondi prima di recuperare
l’autocontrollo; quella prova doveva essere stata sfiancante anche per lui.
«Non c’è
dubbio.» disse come tre sé «Il Maestro aveva ragione».
Eshamel,
riavutosi, richiamò dentro Maddarf e le due guardie, ordinando a queste ultime
di slegare Louise.
«Riportatela
nella sua cella. E fate la massima attenzione. Non deve accaderle nulla, per
nessun motivo».
I due
soldati dovettero sorreggere la ragazza per portarla via, visto che il tormento
era stato tale da lasciarla priva di sensi.
«E
adesso che ne facciamo di tutti gli altri?» chiese Eshamel
«Non
sono più di alcuna utilità. Bidashal e gli altri sono capi della resistenza, e
il famiglio del vuoto ha ormai esaurito il proprio compito. Ce ne sbarazzeremo».
Nel
sentire quelle parole Tiffa, che per tutto il tempo non era stata capace
neppure di alzare gli occhi, ebbe un sussulto, e come una furia si avventò su
Eruvere, ma nella sua natura mite non riuscì comunque ad aggredirlo,
limitandosi a fissarlo con sguardo a metà tra la sorpresa e la supplica.
«Questo
non era negli accordi! Avevi promesso che non avreste fatto loro del male!»
«Avevo
promesso che non avrei fatto nulla alla maga del vuoto. Tutto qui. Sei tu che
hai equivocato.»
«Mi hai
mentito!».
A quel
punto neppure Tiffa riuscì a trattenere la rabbia, ma come fece istintivamente
per caricare uno schiaffo Eshamel, sbucato alle sue spalle, le afferrò il
polso, sollevandola prima violentemente da terra e quindi scaraventandola
contro il muro.
«Fossi
in te mi preoccuperei più della tua incolumità che di quella dei tuoi amici
umani.» disse assatanato «È evidente che ormai anche tu ormai sei diventata
inutile».
Fece per
mettere mano alla spada, mentre Tiffa istintivamente si coprì il volto per
proteggersi, ma per l’ennesima volta Eruvere intervenne per fermare il proprio
compagno.
«Aspetta.
Lei può ancora tornare utile.»
«Ah sì?
E per cosa?» disse Eshamel quasi sprezzante
«Potrebbe
andare storto qualcosa. Meglio non lasciare nulla al caso. Conviene tenere una
maga del vuoto di riserva per eventuali contrattempi.»
«Una
maga senza famiglio non ha granché utilità.»
«A
questo si può provvedere. Per ora teniamola in vita».
Come al
solito Eshamel non mancò di rendere palese la propria disapprovazione, ma non
poteva certo disobbedire agli ordini di colui che lo aveva aiutato a riottenere
il potere; così, anche se di malavoglia, ordinò a Maddarf di occuparsi di
Tiffa, che sollevata di peso venne trascinata via per essere a sua volta chiusa
nelle prigioni.
Congedato
anche Eshamel, Eruvere si mise in contatto con il suo signore tramite il solito
sistema, materializzando un varco nel vuoto.
«Mio
signore. Ora è sicuro. La Maga del Vuoto è incinta, e il piccolo è sano».
Il
Maestro sospirò, ed Eruvere parve leggere un che di malinconico in quel suo
sguardo avvolto dalle tenebre.
«Quanto
ho atteso che arrivasse questo momento.»
«Quali
sono i vostri ordini mio signore?»
«Di
quanti mesi è il piccolo?»
«A
occhio e croce direi tre mesi.»
«Troppo
pochi. Deve arrivare almeno alla sedicesima settimana. Assicuratevi che non
accada nulla alla maga del vuoto prima di quel momento. Deve restare protetta e
al sicuro.»
«Sarà
fatto, mio signore. Comunque, con il vostro permesso, ho preferito tenere in
vita l’elfa che ci ha aiutato per ogni evenienza.»
«Hai
fatto bene. Questa cosa è troppo importante per non prendere le dovute
precauzioni.»
«E per i
suoi compagni come mi devo comportare?»
«Sbarazzatene
quanto prima. Ci hanno già creato abbastanza problemi.»
«Come
desiderate».
Erano pochissimi gli esseri
umani che erano stati nella capitale di Neftes, e quanto a Saito non aveva
certo avuto occasione di visitarla approfonditamente quell’unica volta che vi
era stato.
La
fortuna però volle che tra i marinai in servizio sulla Valliere vi fosse un
vecchio lupo di mare che aveva lavorato per anni lungo la rotta che collegava
le terre degli uomini e quelle degli elfi, un po’ rimbambito ma tutto sommato
ancora saldo nella memoria.
Grazie
alle sue indicazioni fu possibile realizzare una mappa accurata della città e
della baia in cui sorgeva, e sia Kaoru che Quintus spesero tutto il giorno a
studiarla in cerca di una soluzione d’attacco ideale, mentre la nave si
avvicinava a grandi passi verso la Fossa delle Tempeste.
«Ehi,
tu.» disse Kaoru chiamando a sé il vecchio marinaio attorno al tavolo dove era
appoggiata la mappa «Parlami ancora di questa città.»
«Il
grosso della pianta è costruito come una sorta di isola galleggiante.» spiegò
l’anziano «Al centro dell’isola vi è un’altissima torre, dove si trovano la
sala del consiglio e gli alloggi del gran cancelliere, ma anche le prigioni
cittadine. Scommetto la mia vecchia dentiera scalcinata che se i signori sono
davvero prigionieri degli elfi sono tenuti proprio lì.
A prima
vista può sembrare indifesa, ma è più corazzata del sedere di un granchio.»
«Difese
costiere?» domandò Quintus
«Che si
sprecano. Mi è capitato di vedere delle batterie di cannoni situate lungo tutto
il perimetro prospiciente il mare aperto qui, qui e qui. Inoltre ci sono due
torri d’avvistamento che sorvegliano l’accesso alla baia, una per ogni
promontorio.»
«Flotte
all’ancora?» chiese Kaoru
«Il
grosso delle navi da crociera è concentrato principalmente in questo punto,
fuori dal centro abitato. L’ultima volta che sono stato nella capitale ho
notato che stavano costruendo un bacino di carenaggio per le aeronavi qui, appena
dopo il ponte che collega l’isola alla terraferma, ma è probabile che non sia
ancora completo.
La
maggior parte della flotta si trova nell’entroterra, a circa mezz’ora di
cammino dalla città.»
«Che mi
dici di questi canali?» chiese ancora Kaoru indicando i vari specchi d’acqua
che tagliavano le varie parti della città?»
«Gli
elfi li usano per spostarsi velocemente da un luogo all’altro, ma non sono
molto profondi. Dubito che questa nave possa passarci agilmente.»
«Temo
che non sarà come a Ty Kern
e Serk City.» disse cupo Quintus «Gli elfi hanno una
tecnologia molto più avanzata di quella umana, e anche se questa nave è di
classe superiore alla lunga il loro alto numero ci schiaccerebbe.»
«Questo
è il problema minore.» mugugnò Kaoru «La vera difficoltà sarà avvicinarsi
abbastanza da poter salvare Saito e gli altri.»
«Se le
torri di guardia ci avvistano prima del tempo sarà la fine. Dovremmo poterle
perforare agilmente, ma a tutto rischio dei padroni. Appena si accorgeranno di
noi potrebbero tentare di spostarli, se non addirittura di ucciderli».
Kaoru ci
pensò qualche istante.
«Certo è
che non sarà una passeggiata. Possiamo usare la Pietra Specchio per avvicinarci
quanto basta per usare i cannoni. Una volta arrivati a distanza di tiro
prenderemo a scaricare su di loro tutto quello che abbiamo.
Mentre
dalla nave terremo occupate le forze difensive, una piccola squadra d’assalto
prenderà terra il più vicino possibile alla torre passando per i canali. Con lo
scompiglio creato dall’attacco non dovrebbe essere difficile raggiungere le
prigioni senza incontrare troppa resistenza. A quel punto, recuperati Saito,
Louise e Siesta, la squadra tornerà a bordo e ce ne andremo come siamo venuti.»
«Il
tutto in trenta minuti.» disse Quintus a metà tra il sarcasmo e la
rassegnazione «Se il grosso della loro flotta ci raggiunge saremo fatti a pezzi».
Intanto,
sulla torre di avvistamento, Kiluka scrutava l’orizzonte, l’aria annoiata e gli
occhi stanchi, questo fino a che, dritto di prora, non iniziarono a comparire
delle strane e molto inquietanti nuvole nere, cariche di pioggia, e che di
quando in quando si accendevano delle luci di fortissimi tuoni, il cui eco, per
quanto lontane fossero, arrivava fino alle orecchie della bambina.
«Guardate
laggiù!» esclamò.
I
marinai che sostavano sul ponte la sentirono, e ben presto gli occhi
dell’intero equipaggio furono rivolte a quelle nubi temporalesche verso le
quali si stavano avvicinando a gran velocità. Vedendole, furono in molti ad
avere paura; per duemila anni nessuno si era mai neppure avvicinato a quel
devastante uragano che non conosceva mai fine, e ora invece loro sarebbero
dovuti passarci in mezzo, un’impresa epica che, se superata, avrebbe fornito a
ciascuno di loro di che narrare ai propri discendenti per dieci generazioni.
Persino
Kaoru non riuscì a non impressionarsi di fronte ad un tale spettacolo della
natura.
«Caro
professore.» disse rivolto a Colbert, sgomento quanto lui «Spero per il nostro
bene che Lei non sopravvaluti questa nave».
Louise era stata talmente
provata dal supplizio infertole che perse i sensi per parecchie ore,
ritrovandosi, al risveglio, nuovamente nella sua cella.
Ma non
era sola.
Accanto
al suo letto, a prendersi cura di lei, vi era la stessa persona che aveva
condotto lei e i suoi compagni in tutta quella situazione.
«Tiffa!?».
Per lo
stupore balzò a sedere, ma il gesto fu talmente repentino da scatenarle una
molto dolorosa fitta al ventre.
«Non
agitarti troppo. Gli strascichi dell’incantesimo non sono ancora svaniti del
tutto».
Sentendo
la voce della sua amata Saito, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che
camminare avanti e indietro per la cella come un’anima in pena, sentì il cuore
scoppiargli per la gioia.
«Louise!
Stai bene?»
«Abbastanza.»
replicò lei serrando i denti.
Seppur
con qualche fatica, la ragazza riuscì a mettersi seduta, senza per questo
avvertire dolore.
«Louise,
che cosa ti hanno fatto?» domandò Saito
«Non ne
ho idea. Ma di qualsiasi cosa si sia trattato, mi ha fatto molto male».
Poi,
Louise vide Tiffa abbassare gli occhi; dapprincipio pensò che fosse solo per il
rimorso dovuto all’averli trascinati in quella situazione, ma notando la sua
esitazione capì che l’amica doveva sapere qualcosa.
«Perché
l’hanno fatto, Tiffa? Che cosa vogliono da noi?».
Lei
esitò, mordendosi le labbra per cercare di non piangere, ma alla fine le
lacrime scesero comunque, impossibili da trattenere.
«Tiffa…»
«È per
il tuo… per il vostro bambino, Louise.» singhiozzò l’elfa con la poca voce che riuscì a trovare.
Louise e
Saito restarono impietriti, ed anche Bidashal, Ari e Luctiana ebbero un
sussulto.
«Il mio
bambino?» balbettò Louise passandosi istintivamente la mano sul ventre «Che
vuoi dire?»
«Non so
che cosa vogliano o perché, Louise. Ma di qualunque cosa si tratti, è legata al
tuo bambino. È molto importante per loro, e vogliono assolutamente che viva.
Per
questo ti hanno portata qui. Volevano essere certi che tu fossi incinta, e
tenerti al sicuro perché non gli accada nulla».
A quel
punto, di nuovo Tiffa distolse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di
Louise.
«Mi
dispiace. È tutta colpa mia. Non volevo. Ma non mi hanno lasciato scelta.
Avrebbero ucciso il professore…»
«E
invece hai ottenuto di farci uccidere tutti.» replicò Ari dall’altro capo del
muro «Complimenti davvero.»
«Smettila.»
lo rimproverò Luctiana «Non sei di nessun aiuto. E poi non è detto che ci
uccideranno».
Neanche a
farlo apposta, proprio in quel momento dal corridoio giunse un minaccioso
rumore di passi, molti passi, e dopo pochi attimi la porta della cella di Saito
si spalancò, e diverse guardie entrarono nella stanza al seguito di Eshamel e
Maddarf.
Saito e
gli altri sapevano bene di cosa dovesse trattarsi; si capiva dai loro sguardi.
«Finalmente,
è giunto il momento che mi tolga questo sasso dalla scarpa.» disse Eshamel
felice come una pasqua «Ma visto che non posso uccidere la mezz’elfa, mi consolerò uccidendo voi».
Ari si
alzò, come a voler tentare una inutile resistenza, ed istintivamente strinse a sé
Luctiana, spaventata ma non meno risoluta; anche Saito strinse Siesta, che
sembrava la più terrorizzata di tutti. Bidashal, invece, si alzò da terra,
fulminando Eshamel con uno sguardo truce.
«Quanto
sei caduto in basso, Eshamel?» lo rimproverò «Sei diventato il servo di
Reconquista. Dov’è finito il tuo prezioso onore di elfo?
Quanto ti
hanno dato per convincerti a farne stracci?».
Eshamel,
offeso, digrignò i denti, e caricato il pugno lo abbatté con tutta la sua forza
sul professore, che duramente provato cadde in ginocchio tenendosi lo stomaco.
«Vediamo
se ti avanzerà ancora fiato per parlare appeso ad una corda.»
«Sei
solo un vigliacco, Eshamel.» ringhiò Luctiana «È facile colpire chi non può
difendersi. Non solo, hai venduto la tua patria e il tuo onore a quegli esseri
umani che tanto detesti. Ti ricordo che in quanto membro del consiglio hai
fatto un giuramento.»
«L’ho
vomitato! Mi era diventato indigesto!» quindi fece un cenno alle guardie
«Portateli nella piazza delle esecuzioni!»
«No,
fermi!» tentò inutilmente di urlare Louise.
I soldati
avanzarono, le corde già pronte, ma in quell’istante, dall’esterno, giunse il
lontano e dolcissimo rintocco di una campana che paralizzò tutti, a cominciare
dagli elfi.
Era un
uomo bellissimo, melodioso, e nel sentirlo l’intera città alzò gli occhi in direzione
del promontorio che sorgeva appena fuori del centro abitato, in cima al quale
vi era arroccata una costruzione non molto grande, come una specie di tempio,
con al centro una piccola torre campanaria.
Qualcuno
chiuse gli occhi, e molti elfi, a cominciare dai più devoti, si inginocchiarono
lì dove si trovavano, persino in strada, e di colpo a Neftes calò il silenzio.
Da parte
sua, Eshamel rimase di sasso, per poi digrignare per l’ennesima volta i denti
per la rabbia.
Era il
colpo.
Di quasi
quattrocento giorni all’anno che aveva a disposizione, proprio in quello la
campana che annunciava l’inizio del periodo più sacro per il popolo elfico aveva
deciso di mettersi a suonare.
D’altronde,
non che potesse farci qualcosa.
La Campana
della Vita suonava per conto proprio, mossa da una magia che trascendeva le
decisioni degli esseri viventi. Al suo rintoccare, iniziava per gli elfi un
periodo di preghiera e meditazione volto a celebrare il Vento Divino, lo stesso
che si diceva la facesse suonare, e che secondo le credenze del popolo del deserto
aveva permesso la nascita della vita nel mondo.
Fino a
quando avesse suonato significava che il vento, nel suo incedere senza fine,
era tornato a fare visita a quelle terre, e pertanto qualsivoglia atto di
malvagità e di aggressione al prossimo, incluse le esecuzioni, era
tassativamente proibito, pena la pubblica gogna e l’esilio.
«Lo
senti, Eshamel?» borbottò Bidashal trovando a fatica il fiato per parlare
«Riconosci questo suono?
Questa è
la Campana della Vita. E lo sai cosa significa».
Apparentemente
sordo a queste parole Eshamel mise mano alla spada, ma un attimo prima che
potesse sguainarla si accorse che le sue stesse guardie, fino anche lo stesso
Maddarf, lo stavano fissando con occhi meravigliati, ma anche velatamene
minacciosi.
«Fallo
pure.» lo provocò Ari «Uccidici. Di sicuro il popolo e il tuo esercito ti
perdoneranno di aver violato una delle più sacre festività degli elfi spargendo
sangue sul Vento Divino».
Era proprio
destino che gli dèi volessero negargli il piacere della vendetta il più a lungo
possibile.
D’altra
parte, però, quei due maledetti avevano ragione.
Poteva controllare
il Paese con la paura, ma di fronte ad un atto blasfemo di tale gravità il
popolo si sarebbe sicuramente rivoltato, per non parlare del fatto che persino
il suo stesso esercito non sarebbe rimasto indifferente ad un sacrilegio
compiuto nei confronti della festa più sacra per un soldato.
«E và
bene.» ringhiò cercando di calmarsi «La vita vi si è allungata di qualche
giorno. Ma quella campana non suonerà per sempre.
Un secondo
dopo il suo ultimo rintocco penzolerete tutti da una forca, vi ci dovessi
appendere io stesso».
Così,
alla fine, i soldati si ritirarono, e quasi tutti non vollero crederci al
pensiero che in qualche modo erano riusciti, ancora una volta, a salvarsi.
«Questo
è un miracolo.» sospirò Luctiana
«Sì.»
disse cupo Bidashal «Ma solo finché quella campana continuerà a suonare».
Saito e
Siesta, preoccupati, guardarono fuori dalla finestrella sbarrata. Ora era
davvero tutto nelle mani di Kaoru e degl’altri.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Spero che abbiate passato tutti un buon
natale, e che le vostre vacanze stiano procedendo nel migliore dei modi.
Io per par mio mi sto rilassando tra le
montagne del Liechtenstein, ma complici le bufere di questi giorni molte delle
ore che nelle mie fantasie avrei dovuto spendere sulle piste le ho trascorse
invece al computer, e così sono riuscito a sfornare questo aggiornamento.
Ora però, comunque vada, dovrete essere un
po’ pazienti. Tralasciando la questione tesi, ho lasciato anche troppo da parte
la storia a cui sto lavorando, ed è il caso che mi decida a riprenderla in
mano.
Comunque state tranquilli, perché le
vicende relativa a questa ennesima avventura di Saito e Louise saranno comunque
portate avanti quanto prima.
A presto!^_^
Carlos Olivera