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Autore: Carlos Olivera    28/12/2013    1 recensioni
Sono passati due anni dalla distruzione del Drago Antico.
Saito e Louise, ora sposati, vivono felicemente nel loro feudo di De Ornielle, facendo continuamente avanti e indietro da Tokyo per stare con i genitori di Saito. Per Saito, inoltre, è in arrivo una notizia inattesa e bellissima. D'improvviso, una serie di inquietanti e terribili imprevisti giungono a distruggere una pace così difficilmente conquistata. Da un momento all'altro, per qualche misterioso motivo, Saito perde nuovamente i suoi poteri di Gandalfr, e Louise la possibilità di evocare i portali dimensionali. Contemporeamente, la morte improvvisa della regina Henrietta genera lotte sanguinose per la successione al trono tra i nobili; da un momento all'altro, Tristein conosce la sua epoca Sengoku, sprofondando nella guerra civile. Mentre Saito e Louise devono scegliere che ruolo avere in questi eventi, la misteriosa comparsa di un giovane senza memoria, ma che per qualche strano motivo sembra aver "rubato" a Saito le rune di Gandalfr, sarà destinata a cambiare per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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38

 

 

Nonostante i tentativi di Louise di ribellarsi, i soldati la afferrarono, e legatele le mani dietro la schiena presero a trascinarla a forza fuori dalla cella.

«Fate piano.» li ammonì Maddarf «Ricordate, non dobbiamo essere violenti.»

«Saito!» continuava a chiamare Louise «Saito!».

Ma Saito, dall’altra, non poté far altro che ascoltare impotente le urla della sua amata che provenivano dalla parte opposta del muro, prendendo a pugni la parete fino a farsi sanguinare la mano.

«Louise! Lasciatela, bastardi!».

Spazientito dalle grida della ragazza Maddarf la tirò a sé.

«Stai calma. Non vogliamo farti niente di male. Ma d’altro canto, se non stai un po’ zitta, mi costringerai a diventare cattivo».

Louise si sforzò di obbedire, tanto la terrorizzarono gli occhi di ghiaccio ed il tono minaccioso dell’elfo, e senza fare ulteriori resistenze si lasciò portare via, con le urla di Saito ad accompagnarla lungo tutto il tragitto lungo il corridoio; quando passarono davanti alla loro cella Saito tentò di allungare un braccio attraverso la feritoia della porta, ma una delle guardie replicò colpendola violentemente con il suo guanto metallico, in modo talmente violento da rischiare, per fortuna senza riuscirci, di spezzargli le ossa.

«Maledetti!» gridò il ragazzo serrando i denti per non gridare «Quando esco di qui vi ammazzo, parola mia!

Lasciate andare Louise!»

Poco oltre il portone che sbarrava l’ingresso alla zona delle prigioni vi era un ampio montacarichi circolare, lo stesso che aveva condotto i ragazzi dallo studio di Eshamel fino alle loro celle, e servendosene i tre elfi portarono Louise fin nei sotterranei della struttura in cui erano prigionieri, che altro non era se non la gigantesca torre che sovrastava la capitale di Neftes.

Qui, in una grande sala circolare che somigliava ad un sanatorio, l’attendevano Eshamel ed Eruvere, ma anche Tiffa, rannicchiata in un angolo quasi fosse stata anche lei una prigioniera.

All’arrivo di Louise, Tiffa si avvide, nel momento in cui si guardarono, che non c’era odio o risentimento nei suoi occhi, ma ciò nonostante non riuscì a non distogliere lo sguardo per la vergogna, tanto la disgustava ciò che aveva fatto.

Louise fu fatta distendere su di un tavolo reclinabile al centro della stanza e le fu strappata la camicetta che indossava, lasciandole addosso solo il reggiseno; le due guardie quindi la immobilizzarono con delle cinghie, ed infine sollevarono il tavolo, mettendolo in posizione verticale, quindi, ad un cenno di Eruvere, se ne andarono.

Per tutto il tempo Louise non mosse un muscolo, seguitando però a guardare i due elfi con occhi di sfida; tuttavia, a ben osservarli, la paura al loro interno era evidente.

«Che cosa volete da me?» domandò cercando di ostentare sicurezza «Perché ci state facendo questo?».

Eruvere le si avvicinò, scrutandola a lungo, e alla fine fu lei la prima a dover distogliere lo sguardo.

«Tu forse non te ne rendi conto, giovane Louise, ma in te hai qualcosa di molto speciale.» le disse «Qualcosa che và ben oltre l’effimero potere della Magia del Vuoto. Ed è questo qualcosa che noi cerchiamo».

Senza aggiungere altro, l’elfo fece qualche passo indietro, e fatte emergere le mani dal suo voluminoso mantello unì gli indici e i pollici a formare una sorta di cornice, che posizionò di fronte al proprio occhio come una sorta di mirino.

Louise dapprincipio non capì che cosa quell’individuo così minaccioso ed il suo amico Eshamel, che se ne restava in disparte con espressione contrita, avessero in mente, ma dopo qualche istante la ragazza prese a sentire una fastidiosa sensazione al ventre.

Cercò di ignorarla serrando i denti, ma questa crebbe di intensità, fino a tramutarsi in vero e proprio dolore, e a quel non le fu più possibile trattenere le urla. Era come se qualcuno, o qualcosa, le stesse letteralmente aprendo la pancia, nel tentativo di scorgere ciò che vi era all’interno, e le guardie l’avevano legata così bene che le era impossibile perfino cercare di dimenarsi.

Per nulla deciso a fermarsi Eruvere continuò a fissarla attraverso quella specie di mirino, fino a che, come se tra loro due vi fosse stato uno schermo invisibile, agli occhi dell’elfo non apparve quello che vi era al di sotto della pelle, dei muscoli e degli organi. Dapprincipio non vide niente, a parte ombre sfocate, poi alle sue orecchie, sorde alle grida strazianti di Louise, giunse come un battito, i sussulti di un minuscolo cuore, e subito dopo le immagini presero a diventare più nitide, e più ciò avveniva più aumentava il dolore per Louise.

Tiffa si coprì le orecchie e chiuse gli occhi, e persino Eshamel non riuscì a restare indifferente, assistendo alla scena sempre più stupito, e a tratti persino sconvolto.

Poi, finalmente, le immagini si concentrarono lì dove Eruvere voleva, e dinnanzi al suo occhio comparve, ben rinchiuso all’interno della propria sacca protettiva, un piccolo feto appena distinguibile, ma più che sufficiente a far piegare le labbra dell’elfo in una esclamazione di stupore, seguita subito dopo da un sorriso soddisfatto.

Come allontanò le dita l’una dall’altra il dolore, finalmente, cessò, ma Louise era così provata che perse i sensi prima ancora di accorgersene, lasciando la testa a pendere in avanti contornata dai capelli sudati.

Anche Eruvere sembrava affaticato, ed ansimò per parecchi secondi prima di recuperare l’autocontrollo; quella prova doveva essere stata sfiancante anche per lui.

«Non c’è dubbio.» disse come tre sé «Il Maestro aveva ragione».

Eshamel, riavutosi, richiamò dentro Maddarf e le due guardie, ordinando a queste ultime di slegare Louise.

«Riportatela nella sua cella. E fate la massima attenzione. Non deve accaderle nulla, per nessun motivo».

I due soldati dovettero sorreggere la ragazza per portarla via, visto che il tormento era stato tale da lasciarla priva di sensi.

«E adesso che ne facciamo di tutti gli altri?» chiese Eshamel

«Non sono più di alcuna utilità. Bidashal e gli altri sono capi della resistenza, e il famiglio del vuoto ha ormai esaurito il proprio compito. Ce ne sbarazzeremo».

Nel sentire quelle parole Tiffa, che per tutto il tempo non era stata capace neppure di alzare gli occhi, ebbe un sussulto, e come una furia si avventò su Eruvere, ma nella sua natura mite non riuscì comunque ad aggredirlo, limitandosi a fissarlo con sguardo a metà tra la sorpresa e la supplica.

«Questo non era negli accordi! Avevi promesso che non avreste fatto loro del male!»

«Avevo promesso che non avrei fatto nulla alla maga del vuoto. Tutto qui. Sei tu che hai equivocato.»

«Mi hai mentito!».

A quel punto neppure Tiffa riuscì a trattenere la rabbia, ma come fece istintivamente per caricare uno schiaffo Eshamel, sbucato alle sue spalle, le afferrò il polso, sollevandola prima violentemente da terra e quindi scaraventandola contro il muro.

«Fossi in te mi preoccuperei più della tua incolumità che di quella dei tuoi amici umani.» disse assatanato «È evidente che ormai anche tu ormai sei diventata inutile».

Fece per mettere mano alla spada, mentre Tiffa istintivamente si coprì il volto per proteggersi, ma per l’ennesima volta Eruvere intervenne per fermare il proprio compagno.

«Aspetta. Lei può ancora tornare utile.»

«Ah sì? E per cosa?» disse Eshamel quasi sprezzante

«Potrebbe andare storto qualcosa. Meglio non lasciare nulla al caso. Conviene tenere una maga del vuoto di riserva per eventuali contrattempi.»

«Una maga senza famiglio non ha granché utilità.»

«A questo si può provvedere. Per ora teniamola in vita».

Come al solito Eshamel non mancò di rendere palese la propria disapprovazione, ma non poteva certo disobbedire agli ordini di colui che lo aveva aiutato a riottenere il potere; così, anche se di malavoglia, ordinò a Maddarf di occuparsi di Tiffa, che sollevata di peso venne trascinata via per essere a sua volta chiusa nelle prigioni.

Congedato anche Eshamel, Eruvere si mise in contatto con il suo signore tramite il solito sistema, materializzando un varco nel vuoto.

«Mio signore. Ora è sicuro. La Maga del Vuoto è incinta, e il piccolo è sano».

Il Maestro sospirò, ed Eruvere parve leggere un che di malinconico in quel suo sguardo avvolto dalle tenebre.

«Quanto ho atteso che arrivasse questo momento.»

«Quali sono i vostri ordini mio signore?»

«Di quanti mesi è il piccolo?»

«A occhio e croce direi tre mesi.»

«Troppo pochi. Deve arrivare almeno alla sedicesima settimana. Assicuratevi che non accada nulla alla maga del vuoto prima di quel momento. Deve restare protetta e al sicuro.»

«Sarà fatto, mio signore. Comunque, con il vostro permesso, ho preferito tenere in vita l’elfa che ci ha aiutato per ogni evenienza.»

«Hai fatto bene. Questa cosa è troppo importante per non prendere le dovute precauzioni.»

«E per i suoi compagni come mi devo comportare?»

«Sbarazzatene quanto prima. Ci hanno già creato abbastanza problemi.»

«Come desiderate».

 

Erano pochissimi gli esseri umani che erano stati nella capitale di Neftes, e quanto a Saito non aveva certo avuto occasione di visitarla approfonditamente quell’unica volta che vi era stato.

La fortuna però volle che tra i marinai in servizio sulla Valliere vi fosse un vecchio lupo di mare che aveva lavorato per anni lungo la rotta che collegava le terre degli uomini e quelle degli elfi, un po’ rimbambito ma tutto sommato ancora saldo nella memoria.

Grazie alle sue indicazioni fu possibile realizzare una mappa accurata della città e della baia in cui sorgeva, e sia Kaoru che Quintus spesero tutto il giorno a studiarla in cerca di una soluzione d’attacco ideale, mentre la nave si avvicinava a grandi passi verso la Fossa delle Tempeste.

«Ehi, tu.» disse Kaoru chiamando a sé il vecchio marinaio attorno al tavolo dove era appoggiata la mappa «Parlami ancora di questa città.»

«Il grosso della pianta è costruito come una sorta di isola galleggiante.» spiegò l’anziano «Al centro dell’isola vi è un’altissima torre, dove si trovano la sala del consiglio e gli alloggi del gran cancelliere, ma anche le prigioni cittadine. Scommetto la mia vecchia dentiera scalcinata che se i signori sono davvero prigionieri degli elfi sono tenuti proprio lì.

A prima vista può sembrare indifesa, ma è più corazzata del sedere di un granchio.»

«Difese costiere?» domandò Quintus

«Che si sprecano. Mi è capitato di vedere delle batterie di cannoni situate lungo tutto il perimetro prospiciente il mare aperto qui, qui e qui. Inoltre ci sono due torri d’avvistamento che sorvegliano l’accesso alla baia, una per ogni promontorio.»

«Flotte all’ancora?» chiese Kaoru

«Il grosso delle navi da crociera è concentrato principalmente in questo punto, fuori dal centro abitato. L’ultima volta che sono stato nella capitale ho notato che stavano costruendo un bacino di carenaggio per le aeronavi qui, appena dopo il ponte che collega l’isola alla terraferma, ma è probabile che non sia ancora completo.

La maggior parte della flotta si trova nell’entroterra, a circa mezz’ora di cammino dalla città.»

«Che mi dici di questi canali?» chiese ancora Kaoru indicando i vari specchi d’acqua che tagliavano le varie parti della città?»

«Gli elfi li usano per spostarsi velocemente da un luogo all’altro, ma non sono molto profondi. Dubito che questa nave possa passarci agilmente.»

«Temo che non sarà come a Ty Kern e Serk City.» disse cupo Quintus «Gli elfi hanno una tecnologia molto più avanzata di quella umana, e anche se questa nave è di classe superiore alla lunga il loro alto numero ci schiaccerebbe.»

«Questo è il problema minore.» mugugnò Kaoru «La vera difficoltà sarà avvicinarsi abbastanza da poter salvare Saito e gli altri.»

«Se le torri di guardia ci avvistano prima del tempo sarà la fine. Dovremmo poterle perforare agilmente, ma a tutto rischio dei padroni. Appena si accorgeranno di noi potrebbero tentare di spostarli, se non addirittura di ucciderli».

Kaoru ci pensò qualche istante.

«Certo è che non sarà una passeggiata. Possiamo usare la Pietra Specchio per avvicinarci quanto basta per usare i cannoni. Una volta arrivati a distanza di tiro prenderemo a scaricare su di loro tutto quello che abbiamo.

Mentre dalla nave terremo occupate le forze difensive, una piccola squadra d’assalto prenderà terra il più vicino possibile alla torre passando per i canali. Con lo scompiglio creato dall’attacco non dovrebbe essere difficile raggiungere le prigioni senza incontrare troppa resistenza. A quel punto, recuperati Saito, Louise e Siesta, la squadra tornerà a bordo e ce ne andremo come siamo venuti.»

«Il tutto in trenta minuti.» disse Quintus a metà tra il sarcasmo e la rassegnazione «Se il grosso della loro flotta ci raggiunge saremo fatti a pezzi».

Intanto, sulla torre di avvistamento, Kiluka scrutava l’orizzonte, l’aria annoiata e gli occhi stanchi, questo fino a che, dritto di prora, non iniziarono a comparire delle strane e molto inquietanti nuvole nere, cariche di pioggia, e che di quando in quando si accendevano delle luci di fortissimi tuoni, il cui eco, per quanto lontane fossero, arrivava fino alle orecchie della bambina.

«Guardate laggiù!» esclamò.

I marinai che sostavano sul ponte la sentirono, e ben presto gli occhi dell’intero equipaggio furono rivolte a quelle nubi temporalesche verso le quali si stavano avvicinando a gran velocità. Vedendole, furono in molti ad avere paura; per duemila anni nessuno si era mai neppure avvicinato a quel devastante uragano che non conosceva mai fine, e ora invece loro sarebbero dovuti passarci in mezzo, un’impresa epica che, se superata, avrebbe fornito a ciascuno di loro di che narrare ai propri discendenti per dieci generazioni.

Persino Kaoru non riuscì a non impressionarsi di fronte ad un tale spettacolo della natura.

«Caro professore.» disse rivolto a Colbert, sgomento quanto lui «Spero per il nostro bene che Lei non sopravvaluti questa nave».

 

Louise era stata talmente provata dal supplizio infertole che perse i sensi per parecchie ore, ritrovandosi, al risveglio, nuovamente nella sua cella.

Ma non era sola.

Accanto al suo letto, a prendersi cura di lei, vi era la stessa persona che aveva condotto lei e i suoi compagni in tutta quella situazione.

«Tiffa!?».

Per lo stupore balzò a sedere, ma il gesto fu talmente repentino da scatenarle una molto dolorosa fitta al ventre.

«Non agitarti troppo. Gli strascichi dell’incantesimo non sono ancora svaniti del tutto».

Sentendo la voce della sua amata Saito, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro per la cella come un’anima in pena, sentì il cuore scoppiargli per la gioia.

«Louise! Stai bene?»

«Abbastanza.» replicò lei serrando i denti.

Seppur con qualche fatica, la ragazza riuscì a mettersi seduta, senza per questo avvertire dolore.

«Louise, che cosa ti hanno fatto?» domandò Saito

«Non ne ho idea. Ma di qualsiasi cosa si sia trattato, mi ha fatto molto male».

Poi, Louise vide Tiffa abbassare gli occhi; dapprincipio pensò che fosse solo per il rimorso dovuto all’averli trascinati in quella situazione, ma notando la sua esitazione capì che l’amica doveva sapere qualcosa.

«Perché l’hanno fatto, Tiffa? Che cosa vogliono da noi?».

Lei esitò, mordendosi le labbra per cercare di non piangere, ma alla fine le lacrime scesero comunque, impossibili da trattenere.

«Tiffa…»

«È per il tuo… per il vostro bambino, Louise.» singhiozzò l’elfa con la poca voce che riuscì a trovare.

Louise e Saito restarono impietriti, ed anche Bidashal, Ari e Luctiana ebbero un sussulto.

«Il mio bambino?» balbettò Louise passandosi istintivamente la mano sul ventre «Che vuoi dire?»

«Non so che cosa vogliano o perché, Louise. Ma di qualunque cosa si tratti, è legata al tuo bambino. È molto importante per loro, e vogliono assolutamente che viva.

Per questo ti hanno portata qui. Volevano essere certi che tu fossi incinta, e tenerti al sicuro perché non gli accada nulla».

A quel punto, di nuovo Tiffa distolse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di Louise.

«Mi dispiace. È tutta colpa mia. Non volevo. Ma non mi hanno lasciato scelta. Avrebbero ucciso il professore…»

«E invece hai ottenuto di farci uccidere tutti.» replicò Ari dall’altro capo del muro «Complimenti davvero.»

«Smettila.» lo rimproverò Luctiana «Non sei di nessun aiuto. E poi non è detto che ci uccideranno».

Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento dal corridoio giunse un minaccioso rumore di passi, molti passi, e dopo pochi attimi la porta della cella di Saito si spalancò, e diverse guardie entrarono nella stanza al seguito di Eshamel e Maddarf.

Saito e gli altri sapevano bene di cosa dovesse trattarsi; si capiva dai loro sguardi.

«Finalmente, è giunto il momento che mi tolga questo sasso dalla scarpa.» disse Eshamel felice come una pasqua «Ma visto che non posso uccidere la mezz’elfa, mi consolerò uccidendo voi».

Ari si alzò, come a voler tentare una inutile resistenza, ed istintivamente strinse a sé Luctiana, spaventata ma non meno risoluta; anche Saito strinse Siesta, che sembrava la più terrorizzata di tutti. Bidashal, invece, si alzò da terra, fulminando Eshamel con uno sguardo truce.

«Quanto sei caduto in basso, Eshamel?» lo rimproverò «Sei diventato il servo di Reconquista. Dov’è finito il tuo prezioso onore di elfo?

Quanto ti hanno dato per convincerti a farne stracci?».

Eshamel, offeso, digrignò i denti, e caricato il pugno lo abbatté con tutta la sua forza sul professore, che duramente provato cadde in ginocchio tenendosi lo stomaco.

«Vediamo se ti avanzerà ancora fiato per parlare appeso ad una corda.»

«Sei solo un vigliacco, Eshamel.» ringhiò Luctiana «È facile colpire chi non può difendersi. Non solo, hai venduto la tua patria e il tuo onore a quegli esseri umani che tanto detesti. Ti ricordo che in quanto membro del consiglio hai fatto un giuramento.»

«L’ho vomitato! Mi era diventato indigesto!» quindi fece un cenno alle guardie «Portateli nella piazza delle esecuzioni!»

«No, fermi!» tentò inutilmente di urlare Louise.

I soldati avanzarono, le corde già pronte, ma in quell’istante, dall’esterno, giunse il lontano e dolcissimo rintocco di una campana che paralizzò tutti, a cominciare dagli elfi.

Era un uomo bellissimo, melodioso, e nel sentirlo l’intera città alzò gli occhi in direzione del promontorio che sorgeva appena fuori del centro abitato, in cima al quale vi era arroccata una costruzione non molto grande, come una specie di tempio, con al centro una piccola torre campanaria.

Qualcuno chiuse gli occhi, e molti elfi, a cominciare dai più devoti, si inginocchiarono lì dove si trovavano, persino in strada, e di colpo a Neftes calò il silenzio.

Da parte sua, Eshamel rimase di sasso, per poi digrignare per l’ennesima volta i denti per la rabbia.

Era il colpo.

Di quasi quattrocento giorni all’anno che aveva a disposizione, proprio in quello la campana che annunciava l’inizio del periodo più sacro per il popolo elfico aveva deciso di mettersi a suonare.

D’altronde, non che potesse farci qualcosa.

La Campana della Vita suonava per conto proprio, mossa da una magia che trascendeva le decisioni degli esseri viventi. Al suo rintoccare, iniziava per gli elfi un periodo di preghiera e meditazione volto a celebrare il Vento Divino, lo stesso che si diceva la facesse suonare, e che secondo le credenze del popolo del deserto aveva permesso la nascita della vita nel mondo.

Fino a quando avesse suonato significava che il vento, nel suo incedere senza fine, era tornato a fare visita a quelle terre, e pertanto qualsivoglia atto di malvagità e di aggressione al prossimo, incluse le esecuzioni, era tassativamente proibito, pena la pubblica gogna e l’esilio.

«Lo senti, Eshamel?» borbottò Bidashal trovando a fatica il fiato per parlare «Riconosci questo suono?

Questa è la Campana della Vita. E lo sai cosa significa».

Apparentemente sordo a queste parole Eshamel mise mano alla spada, ma un attimo prima che potesse sguainarla si accorse che le sue stesse guardie, fino anche lo stesso Maddarf, lo stavano fissando con occhi meravigliati, ma anche velatamene minacciosi.

«Fallo pure.» lo provocò Ari «Uccidici. Di sicuro il popolo e il tuo esercito ti perdoneranno di aver violato una delle più sacre festività degli elfi spargendo sangue sul Vento Divino».

Era proprio destino che gli dèi volessero negargli il piacere della vendetta il più a lungo possibile.

D’altra parte, però, quei due maledetti avevano ragione.

Poteva controllare il Paese con la paura, ma di fronte ad un atto blasfemo di tale gravità il popolo si sarebbe sicuramente rivoltato, per non parlare del fatto che persino il suo stesso esercito non sarebbe rimasto indifferente ad un sacrilegio compiuto nei confronti della festa più sacra per un soldato.

«E và bene.» ringhiò cercando di calmarsi «La vita vi si è allungata di qualche giorno. Ma quella campana non suonerà per sempre.

Un secondo dopo il suo ultimo rintocco penzolerete tutti da una forca, vi ci dovessi appendere io stesso».

Così, alla fine, i soldati si ritirarono, e quasi tutti non vollero crederci al pensiero che in qualche modo erano riusciti, ancora una volta, a salvarsi.

«Questo è un miracolo.» sospirò Luctiana

«Sì.» disse cupo Bidashal «Ma solo finché quella campana continuerà a suonare».

Saito e Siesta, preoccupati, guardarono fuori dalla finestrella sbarrata. Ora era davvero tutto nelle mani di Kaoru e degl’altri.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Spero che abbiate passato tutti un buon natale, e che le vostre vacanze stiano procedendo nel migliore dei modi.

Io per par mio mi sto rilassando tra le montagne del Liechtenstein, ma complici le bufere di questi giorni molte delle ore che nelle mie fantasie avrei dovuto spendere sulle piste le ho trascorse invece al computer, e così sono riuscito a sfornare questo aggiornamento.

Ora però, comunque vada, dovrete essere un po’ pazienti. Tralasciando la questione tesi, ho lasciato anche troppo da parte la storia a cui sto lavorando, ed è il caso che mi decida a riprenderla in mano.

Comunque state tranquilli, perché le vicende relativa a questa ennesima avventura di Saito e Louise saranno comunque portate avanti quanto prima.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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