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Autore: simpleGAIMAN    30/12/2013    0 recensioni
Dovahkiin. Non è solo un nome: è un destino. La più grande eredità che Skyrim abbia da offrire, ed insieme il più grande onere.
Chi è Deirdre, se non l'ennesima pedina nelle mani dei Daedra? Ma questo esula dalle possibilità dei Divini: c'è di più, nel cuore della giovane donna Nord, della semplice voglia di libertà.
C'è un'anima di Drago.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raggiunsero Riverwood, come promesso, in un paio d'ore di cammino. Mentre varcavano la soglia del piccolo centro abitato, Deirdre guardò oltre il fiume, in direzione della collina sulla quale sorgevano Whiterun e la fortezza di Dragonsreach. Da lì non riusciva a vederli, così si affrettò alle calcagna di Hadvar.

Il ragazzo salutò un paio di guardie e svoltò a sinistra, in direzione di una casa rettangolare che sorgeva sul fiume; all'esterno, sotto una tettoia in legno, c'erano una forgia ed alcuni strumenti da fabbro: lo zio di Hadvar era evidentemente un fabbro. Si accedeva all'abitazione salendo tre gradini.

Guardandosi intorno, Deirdre notò alcuni uomini dirigersi alla locanda del “Gigante Addormentato”. Un paio di bambini si stavano salutando per tornare a casa, ed il fiume brillava alla luce del tramonto. Presto il cielo si sarebbe colorato delle mille luci che in quella stagione accendevano le notti di Skyrim.

Hadvar bussò più volte alla porta, e dopo pochi secondi un uomo aprì.

Era chiaramente consanguineo di Hadvar: stessa corporatura, stessi caratteri somatici, perfino stesso modo di muoversi. Dopo aver rivolto al ragazzo un largo sorriso, gli diede una calorosa pacca sulla spalla.

«Hadvar!» esultò l'uomo con voce profonda. «Che ci fai qui? Credevo fossi partito per Helgen. E chi porti con te?»

Il giovane fece segno a Deirdre di avvicinarsi, e lei obbedì. «Si chiama Deirdre. È la giovane nipote dello jarl Balgruuf.»

Lo zio di Hadvar le rivolse un sorriso gentile, seguito da un piccolo inchino. «Benvenuta, mia signora» disse pacatamente. «Il mio nome è Alvor, e sono il fabbro di Riverwood. Ti prego di accettare la mia ospitalità per la cena.»

Deirdre gli sorrise a sua volta. «Sarebbe un piacere.»

Alvor si fece da parte per lasciarli passare. Deirdre entrò in un ambiente piuttosto ampio: la casa, costituita da due sole stanze, era calda ed accogliente, un paradiso ai suoi occhi dopo gli ultimi eventi. Sulla sua destra si apriva un arco che conduceva in una camera da letto: da dove si trovava, vide un grande giaciglio ed un altro più piccolo. La stanza principale era animata da un fuoco scoppiettante che riscaldava un tavolo con delle sedie, una credenza stipata di provviste ed alcuni bauli. Nel complesso, nonostante non fosse una casa sfarzosa, era notevole.

Una donna alzò lo sguardo su di loro: stava pettinando i capelli ad una bambina dal viso curioso. Deirdre rivolse ad entrambe un sorriso impacciato, avvertendo che la donna diffidava di lei.

«Loro sono mia moglie Sigrid e Dorthe, nostra figlia» comunicò Alvor. «Sediamoci: nessuno di voi due sembra arrivare da una tranquilla scampagnata nei boschi.»

Hadvar scostò una sedia per Deirdre, invitandola ad accomodarsi. Pur sapendo di dover essere adirata con lui, la giovane non poté non apprezzare quel gesto. Si sedette ed accettò la coppa di vino che Alvor le porgeva.

Anche Hadvar si sedette, e dopo aver addentato un tozzo di pane disse: «Veniamo da Helgen. Questo pomeriggio siamo stati attaccati.»

«I Manto della Tempesta?» si informò Alvor, mentre Sigrid si avvicinava con un vassoio. Ne trasse tre ciotole di terracotta piene di zuppa fumante. Deirdre dovette resistere all'impulso di fiondarsi sul cibo e cercò di concentrarsi su Hadvar.

«No» disse il giovane. «Peggio.»

«Cosa può esserci di peggio dei Manto della Tempesta?»

Deirdre commentò: «Un drago.»

Alvor le rivolse uno sguardo interrogativo. Sigrid si fermò per un momento, ma tornò subito alle proprie faccende. Dorthe si fece largo fino ad accoccolarsi sulle gambe del padre.

«Un drago?» ripeté Alvor. «Voi vi prendete gioco di me.»

«Nessun gioco, zio» disse Hadvar. «Stavamo per giustiziare alcuni prigionieri quando ha attaccato.»

Deirdre notò che non aveva menzionato il fatto che era lei quella che stava per essere giustiziata, ma preferì non infierire e aggiunse: «Ha raso al suolo Helgen: in molti sono morti, e degli altri non so dire. Non sarei riuscita a fuggire se non fosse stato per Hadvar. Ha reso un grande servizio allo jarl. E non verrà dimenticato.»

Alvor parve immensamente compiaciuto, e strinse con affetto la spalla del nipote. «Bravo ragazzo!» esclamò, tornando poi a farsi serio. «Questa storia del drago non mi piace. Ero convinto che creature come quelle fossero solamente leggenda.»

«Cosa suggerisci di fare, zio?» domandò Hadvar.

Lui rifletté, dando tempo a Deirdre di ingoiare qualche cucchiaio di zuppa. Era calda, ed insieme al pane restituì alla giovane parte delle energie perdute. I sentì osservata e, alzando lo sguardo, notò Hadvar che la fissava. Aggrottò la fronte e gli restituì lo sguardo, e lui tornò a rivolgersi allo zio.

«Penso che dovremmo prima di tutto contattare lo jarl» disse Alvor dopo un momento. «Lui saprà sicuramente cosa fare, ed immagino che Deirdre non veda l'ora di tornare a casa.»

Lei sorrise. «Sarà mia premura dirglielo non appena lo raggiungerò. Helgen è sotto il controllo di Whiterun: non desidero che altri villaggi vengano distrutti senza che qualcuno abbia tentato di fermare il drago.»

Deirdre non voleva dirlo, né era particolarmente entusiasta all'idea, ma suo zio non aveva figli, e lei e sua sorella erano le uniche che, alla morte di lui, avrebbero potuto reclamare il trono. Essendo la maggiore, Deirdre avrebbe dovuto reclamare il titolo di jarl, ma aveva intenzione di lasciare l'onere alla minore, senza dubbio più adatta e più desiderosa di sedersi sul trono di Balgruuf.

Alvor scompigliò i capelli alla figlia, che saltò a terra e tornò dalla madre nell'altra stanza. Poi l'uomo si alzò ed incrociò le braccia.

«Ormai il sole è tramontato, e non è prudente mettersi in marcia ora» asserì. «Potrai passare qui la notte e recuperare le forze, mia signora, e ripartire domani. Hadvar ti accompagnerà.»

Lui stava per confermare, ma Deirdre parlò per prima: «Preferisco andare da sola a Whiterun. La strada non è pericolosa, questa parte del feudo è disseminata di fattorie. Probabilmente Hadvar dovrà avvisare il generale Tullius a Solitude.»

Hadvar esitò, e dopo qualche istante disse: «In effetti, dovrei, ma Whiterun è sulla strada per Solitude, e forse dovrei-»

«Non è necessario, dico davvero.»

Lo disse con un tono che non ammetteva repliche, e Hadvar non disse altro. Alvor la scrutò per un istante, poi voltò il capo in direzione di Sigrid. «Donna, presto, prepara un giaciglio per la nostra illustre ospite. Lasceremo il camino acceso stanotte. Hadvar?»

«Si, zio?»

«Dormirai nel letto di Dorthe, mentre lei starà con me e sua madre.»

Detto ciò, Alvor uscì per andare a fumare nel portico, lasciandoli soli. Nell'altra camera, Sigrid prese il necessario per approntare un letto per Deirdre, per poi raggiungerli e sistemare accanto al camino paglia e coperte. Non disse una parole, né la giovane tentò una conversazione: era chiaro che Sigrid non la gradiva in casa sua, e Deirdre non era interessata a farle cambiare idea. Poi ritornò da Dorthe e la preparò per dormire.

Lei e Hadvar restarono qualche minuto in silenzio, poi lui commentò: «Potrei davvero scortarti a Whiterun. Perché non desideri il mio aiuto?»

«Perché non sarebbe necessario» replicò lei con un sorriso. «Hai ripagato il tuo debito portandomi qui, e permettendomi di rimanere tuo zio ha reso me debitrice della vostra famiglia.»

«Sei la nipote dello jarl.»

«Questo non fa di me il capo assoluto di tutto» commentò lei. «Non oso chiederti altro.»

Lui era evidentemente a disagio: dalla sua espressione, Deirdre non capì di cosa si trattasse, se di delusione o piuttosto di rimorso. Forse si sentiva ancora in colpa per averla quasi uccisa. Pur sapendo di non dovere nulla a quel ragazzo, gli sorrise.

«Non temere, Hadvar» mormorò. «Non mi devi nulla. Facciamo così: io partirò alle prime luci. Se anche tu partirai nello stesso momento, faremo il tragitto insieme. Altrimenti andrò da sola.»

Lui si strinse nelle spalle. «Va bene.»

La notte trascorse rapidamente: non appena Hadvar ed Alvor si furono ritirati, Deirdre si tolse il mantello e si sdraiò sul pagliericcio, coprendosi con la pelliccia di orso che Sigrid aveva preparato per lei. Il sonno la vinse in pochi secondi.

Al suo risveglio, la casa era avvolta nel silenzio. Il fuoco nel camino si era spento, ed il timido grigiore dell'alba stava iniziando a penetrare da alcune fessure tra i mattoni del muro. Fuori, nel totale silenzio che avvolgeva il villaggio, lo scrosciare del fiume sembrava assordante come il ruggito del drago.

Deirdre si soffermò a pensare agli eventi del giorno precedente: le sembrava incredibile tutto ciò che era accaduto. Era stata arrestata e quasi giustiziata, il che già di per sé costituiva una bella dose di emozioni; ma il drago... Quello andava al di là di qualsiasi cosa avrebbe mai immaginato di provare. Non solo era un fatto assolutamente fuori dall'ordinario: significava anche che i draghi erano pronti a scagliarsi contro i Nord, o meglio contro tutti i popoli di Tamriel. In molti erano morti, e moltissimi altri sarebbero stati uccisi nel corso del tempo se qualcuno non avesse trovato il modo per fermare l'attacco. Il suo cuore era ancora palpitante al pensiero del drago che la sovrastava, ad Helgen.

Scacciò quel pensiero con rabbia e si sollevò. La casa era fredda, e lei si affrettò a mettersi il mantello. Nell'altra stanza, dopo un momento di concentrazione sentì distintamente quattro persone che respiravano: Hadvar era ancora a letto.

Trovò della carta, e scrisse due biglietti: uno per Alvor e la sua famiglia, in cui ringraziava per l'ospitalità e prometteva di ritornare per rendere loro omaggio una volta avvisato lo jarl; l'altro era per Hadvar. Si scusò con lui per non averlo atteso, e confermò un'altra volta l'estinzione del suo debito. Si disse sua amica, sinceramente e per sempre. Poi prese l'arma ottenuta il giorno precedente, varcò la soglia ed uscì silenziosamente.

Fuori, Riverwood iniziava appena a destarsi: a parte due uomini diretti alla segheria, non c'era nessun altro in giro, anche se un paio di comignoli già fumavano. Stringendosi di più nel mantello, Deirdre attraversò il villaggio fino ad un ponte che portava dall'altra parte del fiume.

Oltre il corso d'acqua, un sentiero scendeva di una ventina di metri zigzagando tra le fattorie: era un paesaggio ben più familiare di quello che l'aveva accompagnata verso Falkreath, e ringraziò tutti i divini, Talos compreso, per quella visione. Nel giro di venti minuti poté scorgere in lontananza la collina sulla quale si ergeva Whiterun. Non si era mai sentita così desiderosa di arrivarci come in quel momento. Istintivamente accelerò il passo.

In fondo alla strada che stava percorrendo c'erano alcune fattorie; svoltando a sinistra, c'era la distilleria Honnigbrew. Non lontano da lei, oltre un piccolo ruscello, c'erano le stalle di Whiterun.

Udì un lieve trambusto davanti a lei: c'era un gigante ormai sull'orlo della sconfitta, accerchiato da alcuni guerrieri. Aguzzando la vista, Deirdre notò fra loro Aela la Cacciatrice.

Pensò che in quanto nipote dello jarl doveva intervenire in loro aiuto, anche se avrebbe preferito non farlo. Aela faceva parte dei Compagni, un gruppo di guerrieri che professavano l'onore dei veri Nord e cose simili. Contribuivano alla difesa di Whiterun e del suo feudo, cosa di cui Deirdre era più che lieta, ma tutto il loro blaterare sul cuore puro dei guerrieri l'aveva da tempo stancata. Uccidevano i propri nemici proprio come tutti gli altri, e lei non li riteneva più onorevoli o coraggiosi delle guardie Imperiali o dei Manto della Tempesta. Ciascuno combatteva per una causa: giusta o sbagliata, nessuno poteva giudicarlo.

Tuttavia, erano brave persone, e fedeli sudditi dello jarl Balgruuf. Per Deirdre questo era abbastanza da farglieli apprezzare.

Si affrettò verso di loro proprio mentre il gigante veniva abbattuto.

«Cosa ci faceva un gigante così vicino alla città?» domandò a voce alta per attirare la loro attenzione.

Aela si volse verso di lei, la squadrò per un istante ed infine la riconobbe: a giudicare dal suo sguardo sorpreso, doveva apparire una ben strana viaggiatrice. Aela era solita incontrarla vestita degnamente, e non come una stracciona che puzzava di sudore e di sangue.

«Mia signora» la salutò.

«Aela» fece lei.

«Vi credevamo a Falkreath.»

Deirdre scosse il capo. «No, non ci sono mai arrivata. È una lunga storia. Accompagnami dallo jarl, e potrai sentirla raccontare direttamente dalle mie labbra.»

Aela annuì e congedò con un'occhiata i soldati intorno a lei. Era una donna imponente: molto alta per essere una Nord, la voce mascolina, il volto dipinto parzialmente di blu era sempre in atteggiamento bellicoso, ma anche singolarmente attraente. Sapeva farsi ascoltare, ed aveva spesso dato qualche consiglio a Deirdre quando lei glielo aveva chiesto.

Insieme, le due donne attraversarono il ruscello sfruttando alcune pietre che spuntavano dall'acqua ed iniziarono la salita che portava al portone di accesso alla città. Whiterun, infatti, si arrampicava su per una collina in cima alla quale Dragonsreach, la grande fortezza dello jarl, dominava la vallata. Lungo la via incontrarono gli alloggi delle guardie di Whiterun, che non avevano il permesso di risiedere in città.

Due soldati stavano di ronda davanti all'accesso al centro abitato: non appena le videro, sui loro volti si dipinsero espressioni contrastanti. Sembravano sorpresi di vedere Deirdre, al punto da risultare incerti.

«Brennan» salutò Deirdre. «Mallori. Fateci entrare, per favore.»

«Subito, mia signora!» esclamò uno di loro, cedendo alle due donne il passo. Entrambe oltrepassarono la soglia, spalancata durante il giorno, e si diressero a passo svelto verso la parte alta della città, da cui si aveva accesso tanto a Dragonsreach quando a Jorrvaskr, sede dei Compagni. Tuttavia, Aela imboccò la via per il palazzo dello jarl insieme a Deirdre.

Dopo aver salito alcuni gradini, si ritrovarono su un ponte di pietra che conduceva direttamente alle porte del palazzo. La costruzione, slanciata verso l'alto, si diceva fosse stata costruita dal ben noto ammazzadraghi Olaf Occhio Solo, che vi aveva imprigionato il drago Numinex, suo nemico giurato. In effetti, un vero teschio di drago era appeso alla parete alle spalle del trono dello jarl di Whiterun, e Balgruuf si era sempre dilettato nel raccontare la storia di Olaf Monocolo, ma Deirdre aveva sempre dubitato della veridicità della leggenda. Almeno fino a quel momento.

L'enorme salone centrale in cui si ritrovarono una volta entrate era occupato, al centro, da un tavolo rotondo ingombro di carte: suo zio si trovava in quel momento in una pessima situazione, in quanto non aveva ancora deciso con chi schierarsi nella guerra civile; tuttavia, non prendere posizione significava parteggiare per gli Imperiali, in quanto Whiterun era ancora sotto il dominio dell'Imperatore. Balgruuf studiava le carte di Skyrim da mesi, nel tentativo di capire cosa convenisse di più per la sua gente.

In fondo, il trono dello jarl si trovava in una posizione sopraelevata. Balgruuf era mollemente seduto sul seggio di legno, la cui durezza era mitigata solamente da un cuscino di pelliccia: Deirdre era sorpresa che fosse in piedi a quell'ora. Anche da lontano, sembrava stanco.

«Zio!»

La sua voce rimbombò nella grande sala, e quando lo jarl alzò lo sguardo su di lei, Deirdre fu sicura che fosse sul punto di svenire.

«Deirdre!» esclamò l'uomo, balzando in piedi e correndo da lei. I lunghi capelli rossicci erano trattenuti da una grossa treccia, mentre il volto scavato dalle preoccupazioni sembrava improvvisamente mutato in una maschera di gioia.

La giovane allargò le braccia per permettergli di stringerla a sé. Le mani ruvide dell'uomo le scompigliarono i capelli, mentre l'odore dell'unguento che usava per la barba la colpì piacevolmente.

«Bambina mia» mormorò lo zio staccandosi da lei e prendendole le mani nelle sue. «Cos'è accaduto? Ho ricevuto un messaggero da Falkreath che diceva che non eri ancora giunta a destinazione. Ero terribilmente preoccupato. Guarda in che condizioni sei!»

Lei abbassò lo sguardo. «Mi dispiace averti fatto preoccupare. Permettimi di raccontarti.»

Parlò a lungo e dettagliatamente tanto della sua cattura quanto dell'attacco del drago ad Helgen. Suo zio sedette nuovamente sul trono, e fece cenno a due persone di unirsi a loro: Lydia, una delle guardie di Whiterun, e Farengar, il mago di corte. Non appena fu nominato il drago, Farengar le si fece più vicino.

«Drago?» esclamò. «Com'era?»

Deirdre aggrottò la fronte. «Beh, grosso. E sputava fuoco.»

Farengar fece un gesti spazientito con la mano. «Questo posso ben immaginarlo» disse sbuffando. «Parlamene nei dettagli.»

«Era completamente nero» replicò lei. «Le scaglie delle ali erano acuminate, come pezzi di vetro, e gli occhi erano quasi indistinguibili da tutto il resto tanto erano scuri.»

Farengar annuì, pensieroso; tuttavia, se aveva sospetti riguardo l'identità del drago, non li espresse. Tornò invece accanto al suo jarl e si chiuse nel silenzio.

Balgruuf, al termine del racconto, sospirò e disse: «Farò arrivare un ringraziamento alla famiglia che ti ha ospitato. Tuttavia, non mi piace l'atteggiamento degli Imperiali. Ma non è il problema più grosso, ovviamente.»

Si rivolse a Lydia: «Manda alcuni uomini nelle campagne e nei centri abitati. Voglio che ogni villaggio del feudo sia allertato, devono tutti prepararsi a fronteggiare un eventuale attacco.»

«Subito, mio jarl.»

Lydia si dileguò immediatamente, e Deirdre rimase in attesa.

Suo zio si rivolse a Farengar: «Tu puoi fare qualcosa per fronteggiare questa minaccia?»

Il mago annuì. «Qualcosa, mio jarl. Anche se occorre tempo.»

Anche Farengar se ne andò, e Balgruuf sorrise a sua nipote. Deirdre amava moltissimo suo zio: dopo la morte di suo padre, sua sorella e lei erano state cresciute dalla loro madre, e Balgruuf aveva contribuito economicamente e moralmente al mantenimento della famiglia. Per lei era come un padre.

«Dovresti andare a riposare» le suggerì.

«Ho dormito tutta la notte» replicò lei. «Sono sazia e pronta a dare una mano.»

Balgruuf scosse il capo con fare paterno. «Non ti preoccupare, mia cara: non ti curare di queste cose, sei ancora giovane.»

Dopo aver lanciato uno sguardo ad Aela, Deirdre incrociò le braccia. «Ho ventitré anni. Sono l'unica fra tutti i presenti che può dire di essere sopravvissuta all'attacco di un drago. Per di più, questa è anche casa mia.»

Sua sorella Marina era così smaniosa di ottenere il potere, che a volte Deirdre la sospettava pronta ad uccidere per avere il titolo di jarl di Whiterun. Lei, dal canto suo, sebbene fosse la maggiore e la legittima erede del feudo, aveva intenzione di rifiutare la carica: vedeva suo zio ogni giorno, fiaccato dai doveri verso il suo popolo e verso l'Impero, assediato da continue richieste e tassato più di altri. Non invidiava per nulla quella vita, perché i benefici erano di gran lunga superati dalle difficoltà. Tuttavia, non aveva ancora reso pubblica questa decisione, per tutelare se stessa e per proteggere Balgruuf dalle continue insistenze di Marina.

Ma non mentiva, quando chiamava Whiterun “la sua casa”: era cresciuta lì, tra le mura di Dragonsreach, ed aveva imparato ad amare quella città ed i suoi abitanti. Con Balgruuf aveva viaggiato per tutto il feudo, e non desiderava vederlo distrutto da un drago.

Balgruuf sospirò. «Immagino che dirti di starne fuori sarebbe come chiedere ad Aela di abbandonare i Compagni.»

Con la coda dell'occhio, Deirdre vide la donna sorridere e chinare leggermente il capo in segno di rispetto. Sorrise a sua volta e si rilassò. «Cosa posso fare per rendermi utile?»

«Raggiungi Farengar nei suoi alloggi. Chiedigli di cosa ha bisogno, agevola più che puoi il suo lavoro: ho bisogno che si sbrighi a trovare una soluzione, quel drago potrebbe tornare da un momento all'altro.»

Deirdre annuì e fece cenno ad Aela di seguirla. Gli alloggi di Farengar comunicavano direttamente con la sala del trono, e mentre vi si dirigevano la giovane intravide suo zio passarsi le mani sulla fronte, preoccupato.

Trovarono il mago al lavoro: chino su un tavolo da lavoro, era circondato da tomi e pergamene. Molte candele erano accese per rischiarare l'ambiente privo di finestre, e lui era così concentrato che quasi non le sentì arrivare.

«Farengar» disse Deirdre, richiamando la sua attenzione.

Lui sollevò lo sguardo su di lei e la sua espressione divenne annoiata. «Ah, sei tu.»

«Voglio aiutarti.»

«In questo caso, togliti dai peidi.»

Deirdre sbuffò. «Per favore!» esclamò. «Prima mi hai fatto domande sul drago. Come mai? Lo conosci? Sai come possiamo cacciarlo via? Io penso che potrei esserti di aiuto. Ti prego, fammi partecipare!»

Farengar la osservò per un lungo momento, poi scosse il capo, ma la sua bocca si aprì in un mezzo sorriso: era più che altro un ghigno, ma nessuno lo aveva mai visto dimostrare più allegria di così. Incrociò le braccia al petto, pur perdendo il suo atteggiamento ostile.

«Vedi, è per questo che preferisco tua sorella a te: lei non viene mai qui a scocciarmi.»

Deirdre piegò le labbra in una smorfia, fingendosi risentita, poi sorrise. Non pensava di piacere a Farengar: nessuno gli piaceva, nemmeno lo jarl. Però aveva il suo rispetto, ed era il massimo che avrebbe potuto pretendere da lui.

«Va bene» disse lui infine. «Ecco quello che puoi fare per me. Ho bisogno che tu vada al Tumulo delle Cascate tristi, non lontano da qui, e che recuperi la Pietra del Drago.»

«Pietra del Drago?» ripeté lei. «Cos'è?»

«Questo non ti interessa» sbottò lui, tornando improvvisamente serio. «Torna da me non appena avrai finito. Non dovresti impiegarci molto.»

   
 
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