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Autore: Justanotherpsycho    30/12/2013    2 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LIBRO II - Capitolo 32: Gli Occhi della Morte All’improvviso un frastuono metallico fra il fragore della battaglia, Ares distoglie lo sguardo dal suo gigantesco avversario e così fa questo, Ade, che mai da nulla sembra essere turbato.
Come un fulmine, il rombo serpeggia fra i capannelli di armature dorate e gli alleati di Ares, attirando l’attenzione di tutti e immobilizzando fendenti e zanne, frecce e fiamme, per un istante le lame tacciono.
Silenzio surreale, dopo questo sconosciuto rumore.
A scongelare l’Ade dallo stato in cui si trova improvvisamente a versare, un urlo, il più alto, forte, possente mai ascoltato: Briareo è libero.
Il Centimane si scuote per riprendersi dalla millenaria cattività e si sgranchisce gli innumerevoli arti mentre i vincoli che lo costringevano, simbolo della tirannia di Ade, della sconfitta dei Giganti, spezzandosi, corrono verso l’oceano di lava sotto di loro.
«Fratelli! – prorompe il Centimane, la sua voce riecheggia per l’aule infinite dell’Ade – questo è il momento di sollevarsi! L’oppressione degli Olimpici sta per giungere al termine! Vendichiamo nostra madre e i nostri fratelli caduti anni orsono!»
Altre urla di guerra si alzano da ogni parte, vicine e lontane. Molti Giganti aderiscono alla causa del loro Re e scagliano via le isole che da millenni gravano sulle loro spalle. Molti altri, però, non lo fanno: alcuni rimangono immobili, con gli occhi vuoti, come privi di una volontà loro, completamente trasformati in semplici Pilastri senza onore e dignità; altri ancora scoppiano in lacrime e, gettando via la loro isola solo per correre più veloci, scappano codardamente, accumulandosi intorno all’effige di Caronte, la cui bocca rappresenta l’unica uscita da quell’Inferno, e cercando di entrarci goffamente, sgomitando per essere i primi.
Alcuni dei Giganti ancora fedeli alla loro natura montano in collera alla vista di quell’ignominiosa fuga e cercano di far tornare in sé i loro fratelli, ma alla fine sfogano nella violenza fratricida.
Altri fedeli di Briareo, comunque, indirizzano il loro odio verso le truppe Olimpiche che ora sono costrette a guardarsi le spalle. Gli Echidnidi, che erano in seria difficoltà, ora hanno finalmente tempo per recuperare il fiato.
Il Leone, con un balzo, raggiunge la sorella Sfinge, ancora intrappolata dall’altorilievo di Poseidone e dal suo Tridente, liberandola.
«Dobbiamo raggiungere Chimera con gli altri» si precipita quella.
 
Il Corpo di Ade, silenzioso come al solito, ma stranamente sogghignante si avvicina lentamente a ciò che rimane del suo Trono, scansando le statue mostruose ormai inermi. Chimera, come impietrito anch’esso, stringe ancora fra le zanne il braccio del Dio e continua a far andare freneticamente lo sguardo da quello alla massa ronzante di insetti che avvolge Thanatos e allo scrigno contenente gli Occhi del Demone Ancestrale.
Infine Ade giunge al Trono Oscuro e infila il braccio sinistro, l’unico ancora integro, nella gola di un enorme serpente di pietra che faceva parte dello schienale, e ne estrae… un’enorme pala, la sua arma.
Alla vista di quella Chimera lascia perdere le esitazioni e scatta verso gli Occhi della Morte, gettando al suolo e distruggendo varie statue che gli ostruiscono il passaggio.
Ma con un’inaspettata velocità, data la mole ciclopica del Dio, Ade lo raggiunge e sferra un possente colpo col piatto della pala, un rumore, come il triste rintocco di una campana, scaturisce dallo scontro tra il cranio del mostro e il metallo dell’arma. Poi Chimera viene scaraventato via e frenato da decine di statue che vanno in frantumi al suo passaggio.
 
«Com’è possibile che qualcuno sia riuscito a spezzare le mie catene?» tuona Ade, quello vero, al di sopra del Palazzo Oscuro.
Sulla faccia affaticata e provata di Ares si disegna un sorriso perfido, forse c’è ancora speranza. Ma non è il momento per riposare, bisogna incalzare: Ares spicca un balzo e, come fluttuando nell’aria, arriva a colpire la gigantesca accozzaglia di anime che fanno da corpo ad Ade, distratto ora dalla furia della battaglia poco distante.
Il pugno del Dio Empio non trapassa la guancia dello Zeus Ctonio come avrebbe fatto con la materia, ma comunque non sembra sortire alcun effetto. Ade, ridendo di gusto, si volta verso di lui e commenta:
«Non puoi scalfirmi! Tutte le anime dell’Ade mi fanno da scudo, stai facendo soffrire loro al posto mio!» poi con una mano cerca di colpirlo, ma Ares è più veloce e lo scansa.
Da solo non riuscirà mai a sconfiggerlo, non nelle condizioni attuali.
Non sa chi è stato a liberare i Giganti, ma sa che deve contare su qualcun’altro per farla franca, altro incredibile smacco per il suo orgoglio. L’unica cosa da fare ora è prendere tempo e sperare.
Così inizia una tattica di mordi e fuggi: attacchi veloci che se anche sono portati con tutta la forza possibile non scalfiscono il nemico, e schivate rocambolesche.
 
Tutt’intorno al Palazzo lo sciame dorato ora è importunato dai Giganti che abbattono grandi quantità di Guardie con le sole mani. Anche l’Ecatonchiro ora rincara la dose: getta contro i Grifoni le grandi isole che è stato costretto a sorreggere per millenni come fossero sassolini.
Anche le truppe olimpiche, comunque, si fanno valere: un paio di Giganti soccombe alle loro lance e alle loro frecce e si perde per sempre nell’oceano di lava.
 
Chimera si rialza intontito, in bocca il braccio mozzato del Dio e nella zampa la spada ancora ricoperta di fiamme. Potrebbe essere comico: si ritrova con due bracci destri e nessun sinistro, adesso.
Ma il Corpo di Ade è ancora lì e parte per una nuova carica, sempre a scapito delle statue che si trovano sulla sua traiettoria. Stavolta l’Echidnide è pronto a controbattere: para la pesante pala non senza difficoltà, ma i due rimangono così in stallo. Ci pensano le due piccole teste d’Idra che ha per coda a sbloccare la situazione, conficcando le zanne velenosissime nelle enormi gambe divine.
Questo basta a far abbassare la guardia al Re degl’Inferi e Chimera ne approfitta per scostare l’arma nemica e, lasciato per un istante l’arto divino, sputare una palla di fuoco proprio in faccia al Dio che si allontana barcollando.
«Il veleno è inutile – commenta Persefone, il suo lato umano – è solo corpo, non avverte dolore, è come una marionetta, e inoltre non lo può uccidere perché è immortale, così come non lo ucciderà il fuoco»
«E allora come faccio a sconfiggerlo!?» urla disperato Chimera.
«Non puoi!» sghignazza Persefone, il suo lato cadaverico.
Per tutta la parte inferiore del corpo di Ade il veleno dell’Idra si espande attraverso le sue vene, facendole gonfiare e colorandole di nero, così che ora si stagliano sulla sua pelle biancastra. Nel frattempo la parte superiore, compresa la testa, è in fiamme, lasciando scoperta la carne sotto la pelle e rendendo quel ghigno ancora più terrificante. Mentre il figlio di Echidna osserva la scena, il braccio che aveva lasciato cadere si trascina verso il suo proprietario, come un verme che striscia sul ventre, finché il mostro non lo recupera infilzandolo con la spada e stringendolo poi fra i denti.
Come se niente fosse, comunque, quell’innaturale marionetta di carne ricomincia ad attaccare e Chimera, indietreggiando velocemente, evita i colpi, cosa che non possono fare le malcapitate statue, ma presto queste sembrano vendicarsi quando l’Echidnide finisce sua sponte in un affondo di una statua alle sue spalle e una lama di pietra gli spunta dall’addome: è la spada di un Gerione, gigante qui notevolmente ridimensionato, ma ancora con la peculiarità di possedere tre teste e tre busti con conseguenti sei braccia, ognuna armata di spada, e proprio su l’unica di queste protesa in avanti Chimera era andato a conficcarsi.
Ade si ferma solo per ghignare ancora un po’ della sfortuna del suo avversario, prima di alzare la pala al cielo e prepararsi per il colpo di grazia.
Ma Chimera risponde a tono:
«Questo buco ce l’avevo già» così con un fendente infuocato taglia l’ultimo braccio del Dio all’altezza del gomito che casca al suolo con tutta la pala ruggendo di un fragore metallico che riempie l’aria del Palazzo, poi pianta gli zoccoli al suolo e, con enorme sforzo e dolore, solleva la statua e la fa ruotare, colpendo il ventre del Dio con tante sciabolate quante sono le lame impugnate dalla statua; poi, tornato faccia a faccia col nemico, posa la roccia e stavolta è lui a sollevare gli zoccoli, sferrando un potente doppio calcio contro il nemico che lo scaraventa via fino di nuovo ai piedi del Trono.
Urlando dal dolore si sfila lentamente la lama dal corpo, poi nota la mano del Dio che si trascina con le dita verso il resto del corpo e la inchioda subito al suolo con la spada, facendole prendere fuoco.
Dall’altra parte il Corpo di Ade si rimette in piedi, niente sembra potergli cancellare quel ghigno senza labbra, divorate dalle fiamme ancora vive, e ormai circondato dall’osso scoperto del cranio.
Davanti a lui vi è la statua di uno strano uomo-lucertola che, dandogli le spalle, solleva sopra la testa, come a voler partire per la carica, un bastone terminante con due lame ricurve, una per estremità.
Senza pensarci due volte infilza il moncherino dell’avambraccio appena reciso in una di queste lame e, distruggendo con una ginocchiata il resto della statua per staccarla, solleva la sua nuova arma, con ancora le rettiliane mani ancorate all’impugnatura.
L’Echidnide, stringendo i denti per il dolore lancinante all’addome, solleva con molta fatica la sproporzionata pala di Ade e se la carica in spalla, poi incrocia lo sguardo con quello privo di palpebre del nemico: entrambi partono alla carica, ma poi Chimera, sbattendo le grandi ali, si solleva dal suolo e porta con se la nube di terra e frammenti scaturita dalla distruzione delle sculture.
La nube corre espandendosi come una lingua e nascondendo Chimera cosicché, arrivato ad Ade, questo non riesce a schivare la possente palata che gli raggiunge la faccia spuntando dalla polvere.
Il collo, già molto logorato dalle fiamme, cede completamente e la testa si stacca dal corpo venendo scagliata fuori dal cerchio illuminato dalle fiamme blu, diventando una macabra torcia a debellare l’oscurità al di fuori di questo.
Nonostante tutto il Corpo ancora si muove e sferra una sciabolata col suo nuovo braccio di pietra nel nugolo di detriti e pulviscolo impenetrabile alla vista.
Con un battito d’ali Chimera disperde la nube rivelando che l’attacco ha tranciato le teste dell’Idra che già stanno rinascendo in quattro. Ma il Corpo di Ade non ha ancora finito: con una gamba sposta una statua di un massiccio cinghiale, sollevandola e scagliandola contro l’Echidnide con un calcio.
Nuovamente questo vola lontano dagli Occhi di Thanatos a cui si era avvicinato.
Atterrato molti piedi più in là, fuori dal cerchio di statue, Chimera si lascia sfuggire l’arma del Dio, ma ancora trattiene il suo enorme braccio fra le fauci.
Rimasto a terra per riprendere fiato, nota che il Corpo di Ade, mezzo bruciato, mezzo avvelenato, senza testa né braccia, si sta dirigendo dove giace la mano sinistra, ancora agonizzante come un ragno tra le fiamme e ancorata al suolo dalla spada di Chimera.
E’ il momento opportuno: scatta in piedi e poi si fionda verso gli Occhi. Ma la testa di Ade, fino ad ora sempre silente, lancia un urlo per avvisare il resto del suo corpo.
Non si sa bene come, dato che le orecchie sono sempre sulla testa, il resto del corpo se ne avvede e inizia a correre verso Chimera
Ormai è tardi però e Chimera, impugnando il braccio di Ade, lo costringe a scrivere il suo stesso nome su un piccolo fogliettino di carta, poi, liberatosi del braccio, infila la condanna a morte nell’Occhio di cristallo e, arraffato anche quello di alabastro si volta per raggiungere Thanatos.
«Basta avvicinarti a lui con gli Occhi e rimetterli al loro posto, quello di cristallo a destra e quello d’alabastro a sinistra!» urla Persefone, subito zittita dall’altra sé.
Ma il Corpo di Ade ormai gli è alle calcagna e, con il ritrovato braccio destro che, lasciato andare da Chimera, da sé gli si era gettato incontro, lancia ogni statua ancora in piedi gli capiti a tiro contro l’avversario.
L’Echidnide, schivando i pesanti proiettili di pietra, raggiunge lo sciame nero che, sentendo la presenza degli Occhi, gli rivela solo la faccia del Demone, facendola spuntare fra gli insetti, come addormentata.
In fretta e furia Chimera inserisce un Occhio, ma prima che possa ripetere l’operazione Ade gli è addosso e sferra un fendente col la lama ancora infilzata nel moncherino sinistro.
Chimera lo schiva abbassandosi all’ultimo momento e la lama fende in due lo sciame, che però si ricongiunge poco dopo senza aver subito alcun danno; ma non può evitare il calcio seguente che lo scaglia lontano per l’ennesima volta.
Con la vista ormai annebbiata per la gran quantità di sangue perso dacché la statua dello scorpione l'aveva trafitto, troppo persino per un mostro della sua levatura, Chimera dà un ultimo sguardo al Corpo di Ade che sempre lo punta, tutto sbiadito e ondeggiante nella sua mente, mentre il suo corpo si inzuppa del suo stesso sangue, ora che ormai non riesce più a contenere l’emorragia. Richiama a se tutte le forze e le incanala in quel braccio, l’unico rimastogli, sollevandolo debolmente e tremando, poi un gesto veloce, secco: lancia l’ultimo Occhio contro il suo proprietario.
La sfera di alabastro passa tra le fiamme dove una volta c’era la testa di Ade; questo si volta seguendone il moto coll’arma di pietra, pronto a deviarne la traiettoria; sembra che stia andando nella giusta direzione… ma una mano, putrescente, la blocca, e nello stesso istante la lama trafigge Persefone all’addome.
Lo sguardo sgranato di Persefone, incredula del gesto compiuto, volente o nolente, dal marito si riflette in quello di Chimera, che crede quella lo abbia intercettato per ostacolarlo, ma poi quello della Regina si tramuta in un’occhiata sprezzante e tronfia quando, presa la sfera con la mano bellissima e delicata, anche se resa tremante dall’ombra della morte, la inserisce nella cavità libera sulla faccia del Demone.

Un istante di silenzio, mentre una pupilla nera compare, come disegnata, sull’Occhio di alabastro, per poi scomparire dietro la testa, e mentre il caldo sangue della Regina degl’inferi, metà ancora ghignante e metà con aria abbattuta, come tradita, scivola lento sulla pietra che l’ha trafitta.
Poi l’Occhio di cristallo si smuove, mentre il foglietto al suo interno danza fuori controllo, e infine un urlo, che sono come centomila.
Lo sciame nero sfreccia via dalla scena portandosi con sé l’urlo e lasciando un grave silenzio, riempito solo dallo scoppiettio delle fiamme che ancora macinano la carne divina di Ade e il gocciolio del sangue, quello di Persefone e quello di Chimera.
Quest’ultimo confessa finalmente a se stesso: “Ovvio, Thanatos punta all’Anima di Ade, non al suo Corpo… ma ciò significa che per me è la fine”
Abbandonatosi a questo pensiero, Chimera smette di lottare contro le sue palpebre e crolla disteso per lungo nello stesso istante in cui Persefone cade al suolo.












Cantuccio: l'arma di Ade è un pala perché questa è l'"arma" dei becchini, quella che scava le fosse per i defunti, e quale migliore arma per il re di questi defunti? Inoltre non esiste un'arma assegnata dalla tradizione classica ad Ade, quindi la mia licenza non offende nessun antico greco.

  
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