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Autore: The_Last_Smile    30/12/2013    2 recensioni
"Non risposi. Troppe emozioni che si sovrapponevano, troppi pensieri, troppe domande che si ammucchiavano nella mia mente e che non mi facevano fare pensieri razionali e logici.
- hai paura del buio forse? – continuò a chiedere lui facendosi sempre più vicino. Adesso i nostri nasi si sfioravano. “avvicinati di più. Ti prego…”. L’unica movimento che riuscii a fare fu quello di prendergli la mano, come per supplicarlo.
Non avevo paura del buio, ma di quello che c’era dentro.
Sorrise e si avventò dolcemente sulle mie labbra."
La storia è tratta da un sogno che ho fatto tempo fa. fatemi sapere se vi piace tramite una recensione C:
Genere: Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’uomo non ha paura del buio, ha paura di ciò che non vede.

 Le luci del mattino stavano calando molto velocemente e in pochi secondi fu buio ovunque. Un buio freddo e spoglio che fece accrescere dentro di me angoscia e ansia. Nelle tenebre della notte, lontano, da un cespuglio, sbucò una sagoma che si muoveva lentamente e che si avvicinava sempre di più a me. Indietreggiai, ma inutilmente perché sbattei contro una gigantesca parete invisibile. L’ombra si faceva sempre più vicina fino a quando non mi fu a pochi centimetri dal viso. Aveva il respiro pesante, e grandi occhi rossi che mi scrutavano il viso. Poi schiuse la bocca e mi mostrò i suoi possenti e affilati canini bianchi, e dopo un secondo mi si avventò sul collo. Gridai per la paura, ma dopo qualche istante cominciai a sentire una strana sensazione di piacere che mi attraversava il corpo.

Poi sentii qualcuno toccarmi la mano e aprii gli occhi. La prima cosa che vidi furono le imponenti spalle e la schiena di Ethan coperte da una canottiera bianca, poi i suoi capelli corvini e per ultimo, il mio braccio che gli cingeva la vita. Mi stava accarezzando la mano così delicatamente da farmi il solletico. Probabilmente sapeva che ero sveglia, ma non volle dire niente, veramente neanche io volevo parlare, volevo soltanto bearmi in silenzio della sua presenza, e sapevo che anche per lui era lo stesso. Ad un tratto fece cadere il mio braccio sul letto e lentamente si voltò, mi accarezzò il viso e  accennò ad un piccolo sorriso mentre lo guardavo.

-Buongiorno- mi disse continuando ad accarezzarmi con tranquillità.

-Buongiorno- ricambiai a bassa voce sorridendogli.

Fece un altro sorriso, questa volta più affascinante accompagnato da una lieve risatina – posso sapere cosa stavi sognando? Ti contorcevi tutta in modo così sensuale… -.

“sensuale? Oddio!” sgranai gli occhi e mi misi seduta – non stavo sognando assolutamente niente!-.

Fece un’altra risatina e mi assecondò.

Non avevo mai visto Ethan con una canottiera, e adesso che lo guardavo meglio mi ero accorta di quanto quell’abbigliamento lo ringiovanisse. Quindi provai a fargli un complimento – così stai meglio… con questa canottiera intendo… - .

- oh… grazie, ma è solo fino a quando non arriveranno i miei vestiti – mi spiegò sorridendo.

Annuii quasi dispiaciuta e cominciai a scrutare la stanza da letto: piccola, con mura in pietra, e calda. Le lenzuola del grande letto: bianche e morbide.

Ethan si schiarì la voce e richiamò la mia attenzione – Nicole, posso forti una domanda? -.

Io mi misi a gattoni sul letto e lo guardai con attenzione – si – dissi sorridendogli.

- cosa sai sulle dodici croci di Salem?- chiese guardandomi negli occhi con tutta la serietà possibile.

- le croci di Salem? Non sono una leggenda? – dissi aggrottando le sopracciglia.

- raccontamela- mi ordinò sedendosi.

- Be, molto tempo fa dodici persone, tre donne e nove uomini, creduti immortali, vagavano senza una meta tra i territori di Salem uccidendo e rubando. Per lunghi, lunghissimi anni condussero quello stile di vita.  Ma un giorno, i dodici furono ingannati e condotti alla morte. Per evitare che qualcuno potesse ancora morire per mano loro, li marchiarono con una croce sul braccio e senza neanche un processo, furono uccisi e seppelliti in mezzo ai boschi dello stato di Oregon e per evitare che si risvegliassero piantarono un paletto nel cuore ad ognuno di loro – raccontai.

Ethan sorrise, ma solo per poco. Poi scosse la testa e mi corresse – no piccola, non è andata così- .

Io inclinai la testa e lui cominciò – 1860. Diciannovesimo secolo. Da tre anni, Salem aveva ricevuto lo statuto di città.  Io e i miei undici compagni, che da troppo tempo eravamo costretti a subire le razzie dei demoni che ci crearono, decidemmo di ucciderli in modo che l’umanità potesse tornare in uno stato di tranquillità comune. Dopo aver ucciso i demoni che ci avevano creato, cercammo rifugio nello stato dell’Oregon. Per qualche mese ci sentimmo al sicuro e, grazie a un accordo, non uccidemmo nessun umano. Poi con il passare del tempo, lo stato cominciò ad aver paura di noi. Così, ci abbindolò con le sue ricchezze, dando a me una compagna umana, ad alcuni miei compagni quantità immense di denaro, e ad altri cibo e donne a volontà. Fino a quando non fummo traditi, marchiati, impalati e seppelliti nelle foreste dell’Oregon – terminò poi mostrandomi la croce che aveva sull’avambraccio. Era come un tatuaggio. Vi erano raffigurati due paletti di legno poco lavorati sovrapposti in modo da formare una croce.

Io restai in ascolto per tutto quello che aveva da dire, e quando terminò il suo racconto, m’incuriosii sul significato della parola “demoni” – demoni? -.

Lui sospirò e disse – sì, demoni. C’è un’altra leggenda, questa molto più antica, che racconta di un tempo in cui ventiquattro angeli caddero dal cielo e dopo aver messo piede sulla terra, cominciarono a prendere forma di orribili demoni, venuti per sterminare il genere umano. Per molti anni, i demoni cacciarono sulla terra - s’interruppe e aggrotto le sopracciglia.  Scese dal letto e cercando tra i cassetti del comò, che stava a destra del letto, disse – credo di aver un ritratto dei miei padri - .

Padri. Quella parola mi fece tremare dentro.

Poi mi mostro un foglio di pergamena invecchiato con il tempo dove c'era raffigurato un mostro immane. Impossibile per essere descritto. Mi appariva come un’ombra cupa e alta, priva di volto.

- orribile, vero?- chiese Ethan rimettendo il foglio al suo posto. Io annuii consapevole che doveva ancora continuare il suo racconto.

- stavo dicendo… secoli dopo, cominciarono a sentirsi soli, e così per gioco cercarono di creare mostri a loro immagine e somiglianza, ma non ci riuscirono. Eravamo stati creati da demoni, ma nel nostro cuore pulsava per metà sangue umano, quindi era inevitabile che non fossimo come loro. I demoni rimasero demoni e nella loro cecità non videro il cambiamento. Non videro il modo in cui noi dodici cambiavamo, il modo in cui capimmo come camuffarsi tra gli umani, come astenerci dal bere, e soprattutto capimmo che uccidere e bere sangue non erano le vere priorità della vita. Così, mentre i demoni continuavano a crogiolarsi nella vitalità del sangue umano, noi escogitammo un complotto contro coloro che ci avevano creato, e ci riuscimmo. Uccidemmo i demoni, nostri padri, che ci avevano insegnato come odiare, come uccidere brutalmente e come sterminare un’intera armata di uomini- concluse risedendosi sul letto.

Ero confusa. La leggenda che mi veniva raccontata quand’ero piccola per farmi spaventare adesso era diventata una amara verità, ed Ethan ne era parte. Mi sedetti accanto a lui sospirando e chiesi – quindi se le leggende sono vere, dovrebbero essere dodici vampiri che discendono direttamente dai demoni di un tempo? - .

Lui mi guardò in modo serio e calmo e mi spiegò – per te, io e Jhon ne siamo la prova, anche se ormai siamo rimasti solo in sette - .

Stavo per fargli un’altra domanda quando all’improvviso Ethan si voltò verso di me e disse – Nicole, adesso che sono tornato nello stato dell’Oregon, sei vampiri entreranno in questa casa, sta sera, per una specie di rimpatriata, voglio che non ti avvicini troppo a Lorens e neanche a Byron. Sanno essere abbastanza cattivi, e tu vai protetta - poi si alzò e andò verso la porta – vado a prendere un po’ di sangue, e a comprare degli alcolici. Credo che sta sera ci sarà un bel po’ di movimento. Ah, Jhon è in casa- concluse sorridendomi e uscendo dalla porta. Io restai seduta in silenzio. Era passata una settimana da quando Ethan ed io c’eravamo trasferiti qui, nelle foreste dell’Oregon, ed io continuavo a cibarmi del sangue degli animali, dopo di tutto non era così male, avrei anche potuto farci l’abitudine, o forse mi ero già abituata?.

 Mi affacciai dalla finestra che dava sulla stradicciola di casa e vidi Ethan con indosso una felpa grigia, entrare nell’automobile e mettere in moto. Lo guardai andare via mentre percorreva la stradicciola “volevo avere un po’ di tempo in più per stare con te, ma le occasioni non mancheranno”.

Uscita dalla camera, andai in cerca di un orologio, per vedere che ore fossero. Le 17:30.

Quindi gironzolai un po’ per casa, tanto per vedere se tutto era in ordine e mi buttai sul divano oziosamente.

- Nicole - mi sentii chiamare da una voce maschile. Era Jhon, stava in piedi dietro al divano su cui stavo appollaiata.

- oh, ciao Jhon – dissi cambiando posizione e sedendomi.

- non so se Ethan te l’ha detto, ma verranno un po’ di persone sta sera in questa casa… - disse in modo pensieroso mentre io gli facevo cenno di sedersi accanto a me e annuivo.

- solo che vorrei sapere come si chiamano gli ospiti… – chiesi curiosa.

- Be, uno dei sei ospiti sono io, poi Darius, un uomo molto saggio e amichevole. Tiberio, festaiolo ma anche lui simpatico e Margareth, una donna abbastanza aperta alla vita e a tutti i suoi piaceri. Poi ci sono Byron e Lorens, di cui Ethan mi chiesto saggiamente di tenerti alla larga – terminò abbassando gli occhi. Io aggrottai le sopracciglia e chiesi curiosa – perché dovrei evitarli? -. Jhon sospirò e mi spiegò - sono due schifosi sadici, e tu sei debole contro di loro- poi batté le mani e dichiarò – bene! Vado a sistemare le piante, per qualsiasi cosa mi trovi nel giardino -. Annuii e dopo che lui si fu alzato io mi ricoricai.

 

 

 

Quando Ethan tornò, era già molto tardi, e ancora non vi era l’ombra di nessuno all’infuori di lui, me e Jhon. Sbuffai annoiata e mi diressi sola nel salotto per riempirmi un bicchiere di alcol. Mi avvicinai al tavolo dove vi erano posizionate tutte le bevande e misi gli occhi su un alcolico qualunque anche perché la mia esperienza con l’alcol era poco radicata e volevo che restasse così.

Presi una bottiglia qualunque e lessi “Brandy” la aprii e versai il contenuto in un bicchiere da liquore. A un tratto, Ethan facendomi sobbalzare mi fu accanto, con un braccio mi cinse la vita e con la mano libera prese la bottiglia e la posò sul tavolo, poi mi strappò il bicchiere dalle mani e mi sussurrò all’orecchio – non bere neanche un goccio di alcol sta sera se non vuoi finire male… - la vicinanza del suo viso era disarmante, l’aria della stanza si caricò in pochi istanti di elettricità ed io ero tentata. Tentata di fare quello che non avevo potuto fare in una settimana. Il suo odore mi mandava in tilt il cervello e ogni mia fibra del corpo lo desiderava ardentemente. Restammo fermi in quella posizione per interminabili secondi, a guardarci negli occhi, a desiderare l’uno nell’altra qualcosa che probabilmente non sarebbe mai accaduta. Due occhi verdi mi guardavano, desiderosi e appassionati, che sembravano fondersi perfettamente con quelli miei. Poi si avvicinò ulteriormente mentre io restavo immobile, mi accarezzò il viso, e proprio quando mi venne spontaneo voltarmi verso di lui, non attese un secondo: mi sentii mancare l’aria, ero sopraffatta da quell’uomo che ormai mi stringeva a se con tutte e due le braccia, sentivo la pressione delle sue labbra sulle mie. Il mio corpo era pieno di elettricità e di brividi che si propagavano ovunque e che si univano ai suoi in un’unica meravigliosa danza. Poi sentimmo degli applausi provenire da dentro la stanza, una donna ci osservava seduta dal divano. Ci voltammo a guardarla. Era una ragazza quasi nuda, dai capelli biondi raccolti e occhi castani, con un vestitino striminzito color lavanda e stivali fino ai ginocchi. Mi sentii quasi a disagio per via del modo in cui ero conciata io: camicia, jeans e converse. Quest’ultima accavallando le gambe, prese a parlare – ma che bella coppia che siete -.

- Margareth, non si usa bussare? – chiese Ethan sciogliendo l’abbraccio.

- fratellone, bussare è umano – poi si alzò e si diresse verso di noi – siamo forse umani noi? – concluse chiedendo mentre mi porgeva la mano.

- una volta lo eravamo però- giustificò Ethan guardandomi.

Io le strinsi la mano e prima che potessi presentarmi, disse – shhh... so esattamente chi sei Nicole – lascio la presa e si avvicinò alle bevande – Ethan non hai badato a spese vedo… bravo… - faceva scorrere gli occhi sulle bottiglie - e vedo che ti sei dato allo sport, te l’ho sempre detto, non c’è sport migliore di quello fatto in compagnia – finì con un sorriso malizioso. Io guardai Ethan preoccupata e lui mi rispose con un’occhiata tranquillizzante.

- oh, è arrivato Tiberio! – disse quella bella donna correndo verso la porta e aprendo.

Dalla porta sbucò un uomo di media statura, in giacca e cravatta, anch’egli biondo e con un sorriso smagliate sulle labbra. Margareth gli saltò letteralmente addosso e lui, Tiberio, la prese in braccio come se non pesasse nulla.

- Tiberio! Mi sei mancato – esclamo Margareth con tutta la felicità possibile.

- anche tu piccola - disse sorridendo e accarezzandogli i capelli.

Quando si ricomposero, Tiberio si avvicinò a noi, salutò Ethan con un abbraccio e a me strinse la mano – è un piacere conoscerti Nicole e benvenuta nella famiglia – mi disse sorridendomi.

- perché tutti sapete il mio nome? – chiesi perplessa. Margareth e Tiberio guardarono Ethan, poi scoppiarono a ridere e dopo qualche secondo Tiberio spiegò – sono dieci anni che Ethan parla di te come se fossi il suo prezioso tesoro -. Non sapevo se essere imbarazzata o divertita, quindi mi limitai a fare un sorriso ad Ethan.

 Quando Jhon entrò nel salotto, trovò una stanza piena di persone perché, dopo una ventina di minuti aprimmo la porta anche a Byron e Lorens che in un primo momento mi sembrarono abbastanza normali.

Anche se Byron aveva gli occhi a mandorla ed era il più anziano di tutti nella stanza, aveva uno strano accento francese che non riuscivo a sopportare. Lorens era ancora più strano, parlava solo se interpellato e con il suo abbigliamento sembrava provenire da un altro mondo: aveva una giacca di cuoio nero che gli cadeva fino ai piedi, e sotto indossava pantaloni neri e una camicia del medesimo colore. Era pelato e portava un pacco di sigarette sempre con sé, ma nonostante ciò non lo sentii neanche una volta tossire.

Darius, non era ancora arrivato e, nel salotto non si parlava altro che di dove fosse andato a finire. C’era chi supponeva che era andato in cerca del libro perduto, chi invece avrebbe giurato che non sarebbe venuto, ma proprio allo scoccare dell’una, Darius busso alla porta e andai ad aprire io. 

  
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