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Autore: Lauur    31/12/2013    2 recensioni
Una famiglia, il mare, il sole, un'isola.
E tutto ciò che John vuole è trovare una via d'uscita da lì.
Genere: Angst, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson , Mary Morstan, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes , Victor Trevor
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buona Sherlock Eve mio caro fandom.
Dopo una lunga e sfiancante latitanza, eccomi qui.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento…buon anno, e buono Sherlock a tutti voi.
Che Moffat ci assista.
 

 
Quattro.
 
 
 
L'alfabeto al contrario.
La tabellina del nove, quella che aveva sempre odiato.
Tutte le ossa presenti nella mano di un essere umano.
I nomi dei sovrani inglesi dal 1500 ad oggi.

Questo era ciò che aveva attraversato il cervello di John Watson.
Questo era quello a cui i suoi disperati neuroni tentavano di aggrapparsi per cercare di resistere all'immensa tentazione che gli stava alle spalle.

Un bacio, si era detto, solo uno. Per vedere se le sue labbra sono morbide e profumate come lo erano dieci anni fa.
Una mano tra i capelli, poi. Per saggiarne la consistenza morbida e setosa, così inusuale per una massa di capelli ricci.
Una carezza ad un fianco, infine. Puro interesse medico, si era detto. Per controllare se le sue abitudini alimentari fossero migliorate un po' con l'incedere dell'età.

Ad ogni tocco però, l'alfabeto perdeva qualche lettera, le mani delle falangi, i sovrani qualche erede. La tabellina del nove non aveva mai dato dei risultati così sorprendenti.
La strada dallo specchio al letto enorme che si trovava all'interno del bungalow del consulente investigativo fu infinita.
La coscienza abbandonava John e una sorta di trionfante euforia si impadroniva di Sherlock. Ogni cellula dei loro corpi sembrava urlare mio. Mio. Mio.
Si può odiare la persona con cui si sta facendo l'amore? Sempre che quello potesse chiamarsi amore. Era lontano anni luce dai tocchi delicati e rispettosi che aveva concesso a Marie quella mattina.

Era bisogno, disperazione, mancanza. Era odio. John Watson ne era sicuro. Era adrenalina. La stessa che si prova mentre si sta appostati dietro una duna nel deserto afghano durante una missione. La stessa che si prova a fare qualcosa di proibito ed assolutamente delizioso.
Avrebbe voluto fermarsi dire basta, ma gli sembrava un qualcosa di umanamente impossibile. La rabbia li univa ancora più dell'affetto.
Farsi male era una priorità.

- Non lasciare segni. - rantolò John mentre l'altro era intendo a fargli un succhiotto nell'interno coscia.
Quello che ricevette in cambio fu un morso dal quale fuoriuscì qualche goccia di sangue.
Il dolore fu una sorta di macabra e voluta espiazione; John sapeva di fare del male a se stesso e a tutta la sua famiglia, ma come resistere a tutto questo?
Lui non era abbastanza forte per dire di no, non era abbastanza forte per rimanere accanto a Marie e cancellare Sherlock Holmes dal suo cuore. Quel cinico fottuto bastardo aveva ragione. Sai che novità.
Si era dimenticato di quanto vocale sapesse essere Sherlock. Quei mugoli vibranti e profondi non avevano nulla a che vedere con i gemiti controllati di sua moglie. No, quell'uomo era proprio un'altra cosa. Quelle note vellutate lo accarezzavano in parti recondite di se che aveva anche dimenticato di avere.
Lo vedeva, vedeva il trionfo nei suoi occhi appannati dal piacere. E per questo lo odiava. E spingeva più forte. E lo odiava ancora.
Il piacere fu una deliziosa punizione. Arrivato come un'onda che ti travolge e ti priva di tutto ciò che hai, lo privò con la sua risacca dell'appagante senso di onnipotenza e beatitudine che il sesso sa dare. Non poteva pensare. Non poteva restare.
Doveva fuggire il più lo tanto possibile da Sherlock, dal suo odore, dalle lunghe gambe che ancora gli artigliavano i fianchi in una morsa stupenda.

- Sai dov'è la porta. Non credo di doverti accompagnare. - disse il detective con voce profonda.

John alzò lo sguardo su di lui. Fissarlo dritto negli occhi gli faceva più male di tutto.

- Come...io...devo. - balbettò.

- Non credo di dover scomodare le mie incredibili doti ed il mio intelletto superiore per dedurre che tu voglia andartene immediatamente da qui. - continuò Sherlock sciogliendo l'intreccio di gambe e lasciandolo libero.

- Perché mi fai questo, Sherlock? - chiese il dottore.

- Faccio cosa, John? - ripose il moro alzando la voce - Mi sembra di non averti costretto a fare nulla. Abbiamo cinquant'anni e credo che entrambi siamo in pieno possesso delle nostre facoltà mentali. Sei tu che fai del male a te stesso. Menti e ti illudi. Sei un codardo, John Watson. E questo non è un problema mio.

Il dottore aprì la bocca per riprendere fiato. Boccheggiava come un pesce catturato in una rete. Probabilmente era quello che era davvero. Come poteva replicare a Sherlock, offenderlo e disprezzarlo quando una parte di se stesso era d'accordo con lui?

- Vado via. Credo sia meglio. Fai finta che tutto questo non sia successo, chiudilo in un angolo del tuo palazzo mentale e getta la chiave. Non credo sia difficile per te, Sherlock. - disse tutto d'un fiato alzandosi dal letto a sguardo basso e raccattando la polo e il costume.

- Oh no. - replicò l'altro - Non è di certo di me che devi preoccuparti, John.

Un brivido percorse la schiena di John mentre apriva la porta.
Aveva ragione. Il suo problema non era Sherlock Holmes.
Il suo problema era unicamente John Watson.


***

 
- Credo che la soluzione migliore sia fare le valigie e andare via. - disse John guardando la moglie con degli occhi imploranti.

- John caro, non ti sembra di esagerare? - gli sussurrò Marie, facendogli una carezza dietro l'orecchio per farlo calmare. - Hai fatto l'antitetanica solo qualche mese fa, e anche se quel chiodo fosse stato pieno di tutti i bacilli del mondo, tu ne saresti immune.

- Ma per precauzione... - sbuffó John esasperato.

- Amore, ma non eri un medico tu? - replicò la moglie con fare divertito. - Perché voi uomini dovete sempre essere così melodrammatici?
John abbassò lo sguardo, arrossendo vistosamente. Non che le parole della moglie lo avessero in qualche modo imbarazzato, ma perché in quel villaggio vacanza c'era solo un "signor melodramma", e non era di certo lui.
 
Ma cosa gli era saltato un mente, Dio Santo?
 
Era uscito dalla camera di Sherlock come una furia, con i pensieri accavallati, devastato nel corpo e nella psiche da quell'uomo che davvero non riusciva a eliminare dalla propria esistenza. Gli si era appiccicato dentro ad un livello così profondo che non bastavano chilometri di vita ad allontanarli.
Avrebbe voluto picchiarlo, bruciare il suo bungalow e buttarsi anch'egli nel rogo, quando lo vide.
Un meraviglioso e svettante chiodo arrugginito che fuoriusciva fiero dall'infisso del bungalow del dirimpettaio di Sherlock. In quel momento gli era sembrata la soluzione migliore. Noncurante di dolore, infezioni e danni a lungo termine schiacciò con un colpo secco il palmo della sua mano destra su quel provvidenziale pezzo di ferro.
Lì per lì non gli fece nemmeno male, troppo preso dall'euforia di aver trovato la via d'uscita da quell'inferno che gli si stava sempre più chiudendo addosso. Si recò in infermeria a farsi medicare, e il suo collega gli disse che la ferita era davvero brutta, e lo riproverò dicendogli che era stato maldestro, e che era ancora sotto l'effetto dell'antitetanica ma che comunque la mano andava tenuta sotto controllo.
Si sentiva un genio. Avevo battuto Sherlock Holmes grazie a un misero pezzo di ferro, niente scienza della deduzione, niente brillanti percorse mentali. Solo ferro e chimica.
Si sentiva felice come un bambino il giorno di Natale.
Ora però, di fronte a sua moglie, il suo piano sia stava rivelando maldestro.
Lei non aveva alcuna voglia di andare via, per i bambini, diceva.
Erano le loro uniche vacanze, risparmiavano per tutto l’anno per quelle due settimane di relax, e non era giusto, diceva.

- Se la tua mano dovesse andare in cancrena, amore, non temere: ti porterei immediatamente a casa. – decretò Marie ridendo sotto i baffi.

Non riusciva proprio a capire il perché il marito stesse facendo tutte quelle scene per un semplice chiodo. Di solito era molto più stoico e meno apocalittico, un vero soldato.
Colpa dell’età, si disse.
Diede un leggero bacio sulla fronte a John, il quale fu scosso da un brivido di disgusto verso se stesso.

- Vado in spiaggia a controllare i piccoli mostri, John. – gli disse la moglie, salutandolo.
 
John rimase davanti alla porta del proprio bungalow, solo e in preda al panico e alla nausea più nera. Una doccia era quello che ci voleva.
Spogliarsi dagli indumenti impregnati di sudore e senso di colpa fu, in un certo senso, l’inizio di un cammino di espiazione che ebbe il suo culmine nell’intimità del box doccia.
Fu lì che il dottore si impose di smettere di pensare a Sherlock-fottuto-Holmes, alle sue brillanti deduzioni e al meraviglioso, rabbioso, adultero sesso che avevano appena fatto, per concentrarsi invece su tutti i modi in cui avrebbe potuto evitarlo o ignorarlo o evitarlo ed ignorarlo allo stesso tempo.
 
In fondo John era un uomo, fragile, e Holmes, beh, lui era l’unico consulting detective al mondo; e, per l’amor del cielo, era ancora bello come lo era quindici anni prima, la prima volta che lo aveva visto.
Errare era umano, ma continuare a pensarci era da stupidi.

 
***

Uscito fuori dalla doccia, il dottor Watson si sentì un uomo nuovo.
Tonificato da ogni gocciolina d’acqua che si era infranta sulla sua pelle, percepiva una nuova energia positiva scorrergli nelle vene.
Voleva che quella vacanza tornasse sui giusti binari, lo doveva ai suoi figli e soprattutto a Marie, la sua Marie.
Le doveva tutto, in realtà, sempre di più.
Appena tornati a casa le avrebbe fatto un regalo.
Magari un bel gioiello, dal valore direttamente proporzionale al suo enorme, maledetto senso di colpa.
Quindi era quello ciò che era diventato: un uomo che comprava un diamante alla propria moglie per assolversi dai peccati commessi.
 
Scosse via dalla sua testa quel pensiero mentre si infilava il costume.
Voleva raggiungere la sua donna in spiaggia e passare la giornata insieme a lei, a leggere e punzecchiarsi, per far sì che quella parvenza di normalità che teneva maldestramente insieme la sua vita tornasse a calare tra di loro.
 
Una volta giunto sulla spiaggia, John si mise a cercare l’ombrellone preso in affitto dalla sua famiglia. Non appena lo ritrovò in mezzo a quel dedalo di tele a strisce rosse e bianche, però, un brivido percorse la sua spina dorsale.
Marie non era da sola: stava ridendo amabilmente in compagnia di Sherlock.
Quel fottuto miserabile bastardo.
Si precipitò verso l’allegro duo, raggiungendoli in preda ad una furia incontrollabile.
 
- John, caro! – esclamò Marie, allarmata appena lo vide arrivare a quel modo.

- Dottor Watson – lo salutò Sherlock con un sorriso sghembo. – Cosa è successo alla sua mano? Non me lo dica. Un incontro ravvicinato con un oggetto appuntito, magari un chiodo sporgente da una persiana. Spero per lei che non fosse arrugginito. O forse lo era, considerando lo stato fatiscente degli infissi di questo villaggio. Ma di certo lei, da bravo e previdente medico avrà fatto modo di non avere mai in un buco nella sua copertura antitetanica; può dunque dormire sonni tranquilli. Inoltre, per quanto posso vedere, non le fa male. Non la mano, almeno.

- Io… - balbettò John, fulminandolo con lo sguardo, sperando con tutto il cuore che Marie non avesse colto l’ultima frecciatina dell’uomo.
- Mio Dio, Sherlock! – cinguettò Marie con fare estasiato. – Sei davvero formidabile, come hai fatto a capire che si trattava di un chiodo, uno di un infisso poi!
Il sorriso del consulente detective diventò sornione, mentre con un gesto pigro della mano sinistra tentava di minimizzare la portata del complimento della donna.
- Anni e anni di esperienza, mia cara, nulla di più – affermò infine, lanciando uno sguardo a dir poco esplicito verso il dottore.
 
John non riusciva a mantenere lo sguardo fisso su nessuno dei due.
Gli sembrava di essere in un incubo.
Il suo peggior incubo.
 
- Prima che John ci interrompesse - esordì Marie. – Mi stavi raccontando del perche il tuo compagno avesse lasciato l’isola così presto.
John portò il pollice e l’indice all’altezza dell’attaccatura del naso, sconsolato.

- Ah sì - replicò Sherlock, riscuotendosi da altri pensieri. - Direi che abbiamo messo fine alla nostra relazione.

- Oh, mi dispiace molto, sembrava tanto un bravo ragazzo – disse la donna, leggermente in imbarazzo per essersi impicciata troppo.

- Di certo lo è – iniziò il detective. – Sono io a non essere adatto. Per me era solamente un rimpiazzo, non ci tenevo a lui. C’era un uomo, una volta. Avevamo delle cose in comune… la dipendenza da adrenalina, per citarne una. Ma poi l’ho lasciato indietro e lui, invece di colmare la distanza tra noi, ha deciso di adagiarsi. Di spegnersi e diventare qualcun altro. Un uomo di mezza età con una famiglia, un cane e un’utilitaria. Un uomo normale.

Pronunciò l’ultima parola sputandola come un gatto sputa una palla di pelo particolarmente grande.

Lo sguardo di John era vitreo e fisso, mentre dentro di se sentiva una rabbia primordiale montare senza freno. Poi Sherlock si decise a dare il colpo di grazia.

- Una pappamolla con tanto di pancetta da sposato – disse, spostando i suoi occhi da John a Mary e alzando il labbro superiore in un sorriso sghembo. – Sai, Marie? Mi ricorda molto tuo marito.
 
Mentre una risatina stridula usciva sommessa dalla bocca di sua moglie, il dottore strinse i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche, e poi si sentì dire, con una voce che non sembrava nemmeno la sua:
- Io non sono una pappamolla.

Sherlock spostò lo sguardo su di lui con la flemma studiata che lo aveva sempre contraddistinto in queste occasioni.
- Ah, no? – disse con fare sornione.

- No, per niente – rispose John, ostentando una calma del tutto finta. – Anzi, ti sfido.

La risposta che ottenne fu solo un’alzata di sopracciglio sinistro.

- Vedi quell’isoletta al largo? – chiese il dottore indicando un isolotto a largo. – Ti sfido a battermi. Chi ultimo arriva all’isola è la vera pappamolla.
Lo sguardo di Sherlock si assottigliò notevolmente, riducendosi a una fessura.
Il lampo della sfida guizzò nei suoi occhi, mentre si alzava, liberandosi della camicia di lino e facendo sfoggio della sua distesa di pelle candida costellata da qualche livido violaceo che John conosceva fin troppo bene.

- Dopo di te – si limitò a dire.

Marie guardò il marito leggermente sorpresa e anche un po’ preoccupata. Aveva notato sin da subito che John non nutriva una grande simpatia per quell’uomo, anche se non ne aveva capito il motivo. In fondo Sherlock gli aveva salvato la vita; magari aveva dei modi particolari, non era proprio una persona comune, ma tutto quell’astio e quella voglia di mettersi in mostra non erano propri dell’indole del suo compagno. Davvero non capiva.

- John, caro – disse al marito con fare condiscendente. - Non credi che sia il caso di evitare, viste le condizioni della tua mano?

L’uomo si girò mentre stava togliendosi la polo, rivolgendole un sorriso tirato.

- No, Marie, non preoccuparti – le rispose. – Come hai già detto tu, non è nulla di grave.

E mentre pronunciava quelle parole i suoi piedi avevano già toccato il bagnasciuga.

 
  
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