0. [ … ]
C’era stato un tempo in cui a Lenalee piaceva sognare ad
occhi aperti.
(Un
tempo in cui lei aveva i capelli ancora lunghi-lunghi, ed era Kanda ad averli
corti-corti, un tempo in cui le avevano restituito il suo Ge Ge e, diciamocelo,
nient’altro importava *veramente* al mondo)
Fantasticava, a quel tempo, su come tutto l’Ordine fosse
stato un brutto sogno e su come un giorno si sarebbe svegliata e sarebbe stata
a casa, nel suo letto di cui non ricordava ormai neppure l’odore. Allora
sorrideva nel sonno e piangeva amaramente ad ogni risveglio.
Poi, anche da sveglia, tornava a sognare: ad occhi aperti
non poteva fingere di essere altrove, lontana da lì, ma riusciva perfettamente
a sperare che un giorno sarebbe arrivato il tanto agognato e sospirato lieto
fine. La tanto agognata libertà. Tutti gli eroi meritano un lieto fine,
pensava. Ecco perché le fiabe hanno tutte un lieto fine.
Durante ogni battaglia, non faceva che ripetersi “questa
guerra finirà”.
Questa
guerra finirà.
Questa
guerra finirà.
Fino al momento in cui non aveva visto con i suoi stessi
occhi Allen Walker, il Distruttore del Tempo sporco di sangue non interamente
suo, sconfiggere il Conte del Millennio.
Allora aveva pensato: è finita.
Era
stato un pensiero alieno, inaspettato. Vedeva riflessa sul viso di Kanda –
sporco di sangue di quella persona e suo, eppure ancora una volta del tutto privo
di ferite – la stessa perplessità.
C’era stato un silenzio tombale in quel momento, ricorda.
Nessuno aveva osato respirare – tranne Miranda che cercava di recuperare ancora
un ritmo più naturale di respiro dopo essere stata quasi soffocata una seconda
volta da Lulubell.
Era un suono un po’ triste e patetico.
Tutto qui? E’ finita.
Gli occhi di Allen, stanchi, la guardavano. Lacrime, in
quegli occhi d’argento.
Il silenzio che aumentava con lo scemare del respiro
affannato di Miranda.
Poi, Lavi era scoppiato a ridere.
Una risata contagiosa che, come sempre, aveva coinvolto anche lei.
E Miranda.
E Allen.
Irreale.
Kanda aveva sbuffato.
Questa guerra è finita. E’ f i n i t a.
Kanda non riusciva a ridere.
No. Lui no.
Non pensava certo ‘la guerra è finita’, lui.
Non pensava certo ‘finalmente, potrò avere la mia
libertà’, lui.
Quale libertà? Con quale tempo?
Tutto
quello che riusciva a pensare era… e ora?
E ora?
…
…
…
(… e ora?)
[E ora ti
accorgi che non c’è più, un domani.]
“Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
(dal
Vangelo secondo Marco - 15, 34)
1. Prima notte.
La luce dello spicchio di luna filtrava flebilmente dalle
finestre sprangate disposte sul perimetro della torre, creando meri archi di
luce soffusa, lasciando il resto del piano in penombra. Frettolosamente, una
chioma rosso fiamma – più corta del solito, decisamente troppo corta – si
spostava da un’ombra all’altra. Furtiva, quasi appartenesse anch’essa ad una
semplice ombra.
“Te ne vai senza dire nulla, allora.”
La voce, grave e dal tono fin troppo caustico, arrivò improvvisa da una delle
zone meno illuminate.
Colto alla sprovvista - e con una stretta al (non)cuore
simile a quella di un bambino appena colto in flagrante con le dita nel
barattolo di marmellata - ‘Lavi’ trasalì. La mente allenata a ricordare ogni
più piccolo particolare gli suggerì subito un nome da collegare a quella voce;
e, con quel nome affiorato sulle labbra con tono condiscendente, si girò.
Kanda era lì, seduto con la schiena contro la porta della
sua stanza, situata a qualche porta di distanza dalla sua. Il viso era
perfettamente in ombra – merito anche della frangia troppo lunga, seppur
leggermente bruciacchiata – ma non fu difficile per ‘Lavi’ immaginare
l’espressione assonnata e l’accenno di occhiaie.
“Era una mezza intenzione, si.” Replicò, infrangendo
ancora una volta il silenzio della notte tranquilla.
“Sei pessimo.”
“Mi aspettavi?”
“Codardo.”
‘Lavi’ accusò tacitamente il colpo.
“Infimo.”
‘Lavi’ attese.
Ed
attese.
Tuttavia, una volta resosi conto che il giapponese non
aveva altro da offrirgli – se non insulti, molti dei quali piuttosto creativi –
smise di aspettare. Con un sospiro, issò sulla spalla la sacca piena di
quaderni e tomi su tomi: la mancanza della spallina rinforzata dell’uniforme da
esorcista, abbandonata sul letto di una stanza ordinata per la prima volta
in anni, gli fece sfuggire un piccolo sbuffo irritato.
Attese ancora un po’, per buon senso – e qualcosa di fin
troppo simile a dubbio per i suoi gusti – stringendo convulsamente il pugno
sulla sacca.
Infine, nel silenzio (di tomba) si diresse verso le scale a chiocciola
sotto lo sguardo gelido di quegli occhi a mandorla.
“Mi
ignori, adesso?”
”Se non hai nulla da dirmi…”
“Sei
un coniglio, Lavi.”
E
‘Lavi’ si fermò, guardandolo da sopra una spalla. Dall’alto verso il basso.
“Eric.” Mormorò, placidamente; e fu il turno di Kanda di
trasalire, a quel tono così distaccato e semplicemente estraneo sulle
labbra del rossino.
“Cosa?”
sbottò allora, crucciando appena la fronte.
“E’ quello il mio nome, adesso. ‘Eric’. Francese. Andiamo
lì, per ora.”
Silenzio. L’espressione di Yuu era molto simile a quella di qualcuno che ha
appena ricevuto un calcio nella stomaco e sta per rimettere – oppure, di
qualcuno che semplicemente ha qualcosa di disgustoso piantato sotto il
naso.
“Bookman mi sta aspettando. Devo andare.” Offrì ‘Eric’
come spiegazione, dopo l’ennesimo silenzio surreale ed ovattato, abbozzando un
sorriso di scusa. Un sorriso quasi sommesso, troppo diverso da quello sfacciato
di ‘Lavi’.
Kanda strinse i pugni e ce la mise davvero tutta a
trattenersi dal prenderlo a pugni in quel preciso luogo e in quel preciso
momento.
Ci riuscì a stento, e quando parlò la sua voce era più roca del solito.
“… ve ne andate come dei ladri, voi. Non avevi il diritto
di rimproverarmi nulla. Sei peggio di me, tu.”
Almeno
sono onesto, io.
Non come te.
Come te che…
‘Eric’ sospirò pazientemente, e non c’era nessuna
sfumatura di divertimento in quell’occhio verde, quasi fosforescente al buio.
“Questa guerra è finita. Come alla fine di ogni altra guerra, Bookman deve
andare avanti. Stiamo perdendo tempo, qui.” Recitò ‘Eric’, con una vena di qualcosa
nella voce – un qualcosa tuttavia di talmente sottile ed insignificante che era
difficile dargli un nome.
“Capisco.”
Non
è vero. Non capisco affatto.
“Lo sapevi che sarebbe finita così. Lo sapevi, che
sarebbe finita, così, Yu.” Quel qualcosa riaffiorò, questa volta più mordace, e
sapeva di rammarico. Eric fece spallucce, labbra contorte in una piccola
smorfia. “L’Ordine è giunto alla sua fine, comunque. Se ne andranno tutti,
ora.”
Le
spalle del giapponese si irrigidirono appena. Ma, nonostante questo, il ragazzo
non disse nulla. Sguardo chino verso il basso, labbra strette in una linea
sottile. I pugni stretti talmente forte da far formare piccoli solchi a forma
di mezzaluna sui palmi sudati per il caldo di fine primavera.
A quel punto, quel qualcosa sembrò per un attimo
richiamare l’ombra di ‘Lavi’ da dietro la maschera di ‘Eric’; un’ombra che si
morse il labbro – così tipicamente ‘Lavi’, quel gesto – e che si
espresse soltanto con un lieve sussurro, vivo. “Tu cosa farai? …Ne, Yu-chan?”
Yu-chan sollevò lo sguardo ostinato su di lui.
Tuttavia, una volta assodato che il ragazzo non avrebbe risposto comunque, il
rammarico fece spazio a qualcosa di più simile a rabbia, e nel silenzio ‘Eric’
tornò lentamente e diligentemente al suo posto. Pugni stretti troppo
vigorosamente sulla stoffa ruvida della sacca e del vestito borghese.
“Va’ via.” Sbottò Kanda, poco più di un ringhio. Un
ringhio che celava malamente quell’amarezza così estranea al suo carattere,
un’amarezza che egli stesso si stupì nel provare. “Va’ via.” Ripetè, ancora una
volta, tagliente.
“… lo stavo facendo comunque.” Mormorò ‘Eric’, con una
nonchalance un po’ troppo forzata, incamminandosi per le scale della torre.
Scomparve lì, dietro l’angolo. Dopo i primi tre scalini dovette adoperare tutta
la sua forza di volontà per non voltarsi indietro e gettarsi addosso al
giapponese – per vedere quelle reazioni assurde e ridicole, dio, quanto
gli sarebbero mancate! – e prenderlo in giro e dirgli, per l’ultima
volta e come si deve, addio.
‘Eric’ aveva una grande forza di volontà, che ‘Lavi’ non
aveva mai avuto.
E Kanda, seduto davanti alla sua porta e senza alcuna
voglia di entrare nella sua stanza – non con il loto che gli ricordava che
le follie dell’Arca e del livello quattro e della battaglia finale gli erano
costate molto più care di quanto si potesse permettere – aveva soltanto
voglia di gridare.
Davvero.
***
(
Lasciandosi l’Ordine alle spalle, ‘Eric’ si ritrovò a domandarsi perché ‘Lavi’,
nei suoi pensieri più intimi, aveva spesso sperato che quella determinata
guerra non finisse mai.
Aveva ricordo, ‘Eric’, di quei pensieri. D’altronde, un allievo di Bookman non
dimentica mai nulla.
Ma ‘Eric’
non era ‘Lavi’ e, in quanto allievo di Bookman dotato di una grande dedizione e
volontà, ed in quanto privo di cuore, non riusciva davvero a capire cosa
passasse per la mente di ‘Lavi’ in quei momenti.
Lo chiese
a Bookman, sottovoce.
“Sappiamo
entrambi che si trattava di un alias difettoso, il quarantanovesimo.”
“Capisco.”
“E’
andato via?”
“Che cosa?”
“Quel
cuore che non ti serve.”
“… Si.
Credo di si.”
“Bene.
Non voltarti indietro, moccioso.”
“Si.”
“Non
voltarti indietro.” )
***
2.
Seconda notte.
“Lenalee, che cosa vuoi fare, ora?”
La mente di Lenalee era talmente piena di idee, che per un
attimo le sembrò vuota. Rimase in silenzio, giocherellando con le coperte di
lino pulito e profumato, nonostante l’odore ristagnante di sangue e ferite non
rimarginate. L’unica altra ospite dell’ala medica era Miranda, che dormiva
tranquilla dandole le spalle.
Accanto a lei, suo fratello la stava guardando con sguardo
interrogativo, in attesa.
Di una risposta, di un qualcosa.
Lenalee provò a pensare.
Ci provò, davvero.
Ma voler fare troppe cose, alla fine, significa non
volerne fare nessuna di particolare; le sue labbra di bocciolo si contrassero
in una piccola smorfia che tirò con se tutto il viso incorniciato da capelli
corvini che, finalmente, avevano cominciato a crescere.
“Ne?”
“… non lo so. Un mucchio di cose…” mormorò lei,
facendo spallucce. Komui battè ciglio, chinando il capo d’un lato.
“… capisco. Pensaci con calma, Lenalee. Ora che puoi
scegliere della tua vita…”
“…
come se tu non ci ficcherai il naso comunque!”
“Che crudele, adorabile Lenalee! Non si dicono queste cose
al tuo fratellone! Io ho l’obbligo di ficcare il naso nelle tue
faccende, lo sai!”
Lenalee ridacchiò, sovrappensiero, sguardo perso nella
trama ricamata sul lenzuolo. Komui si abbandonò in un piccolo eco di quella
risatina, prima di scuotere il capo. “Hai tutta la vita davanti, Lenalee. Non
devi aver fretta.”
“Uhm.” Mormorò lei, annuendo, sorriso stampato sulle
labbra.
Komui
restò con lei per un bel po’, chiacchierando del più e del meno: per tutta
quella durata di tempo, il sorriso non abbandonò le labbra della ragazza.
Soltanto quando lui uscì dalla stanza, lei tornò a pensare.
E la sua mente era talmente piena di idee su cosa voleva
fare, che alla fine non riusciva neppure a distinguere per bene cosa non
volesse fare.
Non voglio tornare a casa, diceva
una parte flebile della sua mente, soffocata da mille altri desideri più o meno
futili.
Voglio
stare con Allen. Non voglio tornare a casa.
Quella
parte di lei, tuttavia, tacque. Perché lei lo sapeva.
Lo sapeva che suo fratello aveva rinunciato a tutto, pur
di seguirla.
E lo sapeva.
Lo sapeva che a suo fratello casa loro mancava davvero, davvero
tanto.
Sapeva che aveva nostalgia della scuola, e di quella ragazza di cui si era
invaghito anni prima e che la lontananza aveva reso soltanto più idealizzata,
ma sempre presente. Nostalgia della carriera promessa da quel professionista
che era rimasto colpito dal suo ingegno e voleva prenderlo come apprendista.
Nostalgia di casa, cosa che Lenalee, ormai, aveva
dimenticato.
Era quella, casa. Il suo mondo.
Home.
Allen.
Strinse i pugni, sotto lo sguardo di una Miranda più
sveglia che tuttavia non ebbe il coraggio di proferire parola.
***
(
“Miranda, sei mai stata innamorata?”
Aveva
chiesto a bruciapelo, la mattina dopo. Miranda, occupata nel consumare la
colazione, era quasi riuscita a sputarla tutta.
“…Come?”
“Innamorata.”
La donna
abbassò gli occhi stanchi, vividamente rossa in volto. Tuttavia, fu un sorriso
impacciato e quasi imbarazzato, quello che adornò il suo viso qualche attimo
dopo.
“C-certo.
Cioè, intendo, quale donna non lo è stata?”
“Non ha
fatto male?”
“Cosa?”
“Lasciarsi
tutto alle spalle.”
Miranda
si ammutolì, masticando pensierosa l’interno della guancia.
“Un
disastro.” Ammise, alla fine, e non sorrideva più. “Un vero e proprio
disastro.” )
***
3.
Terza Notte.
“Dov’è Lavi?” chiese Allen, a bruciapelo, come un fulmine
a ciel sereno: il cucchiaio stretto tra le labbra ondeggiò appena alla domanda.
Lenalee sollevò lo sguardo, battendo ciglio. “Uh?”
“Sono tre giorni che non lo vedo.” Mugugnò il ragazzo,
arricciando il naso e affondando il cucchiaio nel piatto di minestra, con più
lentezza del solito. “Cioè, ero in infermeria e pensavo fosse occupato qui
fuori. O che Bookman lo stesse facendo studiare. Ma non l’ho visto, oggi. Avrà
mangiato prima?”
“Uh.” Mormorò ancora la ragazza, sovrappensiero.
Allen notò tuttavia la sua distrazione, ed inarcò un
sopracciglio. Lenalee si accorse più del peso di quello sguardo che di quello
del silenzio caduto sul refettorio semivuoto: una volta accortasene, si
affrettò a mettere su qualche parola.
“Uh, pensavo, ecco, che neanche Kanda è qui. Ma
probabilmente starà meditando. Mangia sempre presto.”
“Uh.” Replicò questa volta Allen, facendo spallucce. Cercò
di scrollare la preoccupazione di dosso, con un altro boccone troppo grande che
gli fece dolere la mascella inturgidita.
Lenalee si alzò talmente all’improvviso e con talmente
tanto rumore che glielo fece risputare tutto.
Carota per carota, zucchina per zucchina – perché è cibo
sano, quello, o almeno così gli avevano detto le infermiere.
“Kanda! Cosa?” stava gridando la cinese, agitando
frettolosamente una mano. Sembrava stranamente imbarazzata, notò il Distruttore
del Tempo, senza capirne il motivo. Piuttosto che pensarci su – Lenalee
sembrava talmente stanca, in questo periodo – seguì la traiettoria dello
sguardo di lei.
Il suo occhio color argento, quello buono, si posò sulla
figura di Yuu Kanda.
Uno Yuu Kanda dai capelli che gli arrivavano appena a
sfiorare la spalla, raccolti in un codino ridotto ad un’ombra del suo ben più
folto predecessore.
Sputò anche tutto ciò che, superstite, era riuscito prima
ad aggrapparsi sotto la lingua. Per poco non si strozzò.
Il giapponese, dall’ingresso del refettorio, li stava
guardando con aria torva, quasi a sfidarli ad aggiungere qualcosa.
Lenalee aveva le sopracciglia appena aggrottate.
“… hai visto Lavi?” domandò, con un’espressione fin troppo
seria sul viso. Per un attimo Kanda sembrò colto di sorpresa, dato che la
risposta ritardò di qualche secondo. Poco tempo, ma una pausa fin troppo
evidente, con domande come quelle.
“Non oggi.”
“… cosa significa, ‘non oggi’?” intervenne genuinamente
Allen, voltandosi leggermente verso i due, piatto fra le mani.
“Non oggi significa, evidentemente, ‘non oggi’. E’ pensare
che è la tua lingua, e non la mia, questa.” Borbottò l’altro, di rimando, ma
senza la solita veemenza. Più per forza d’abitudine, che per vera e propria
voglia di attaccar briga.
Detto questo, andò da Jerry – che aveva già le valige
pronte da un paio di giorni, ma attendeva piuttosto che anche la scientifica
smettesse di lavorare, per andar via. Ordinò la solita soba e si sedette al
solito tavolo, che non era il loro.
C’erano solo loro tre, nel refettorio.
Lenalee lo guardò infilzare la soba con le bacchette, con
una furia tale da poter essere definita solamente omicida.
Scostò lo sguardo.
“Allen?” mormorò, con un fil di voce, guardando il piatto
vuoto davanti a sé.
Il ragazzo si girò ancora una volta verso di lei, battendo
ciglio. “Mh?”
“… tu cosa farai, ora?”
Chiaramente, anche Allen ci aveva già pensato.
Aveva sorriso, allora, con tutta la sicurezza che aveva sempre mostrato. Più
vera, però. Più genuina.
Un sorriso dolce, che sembrava dedicato solo a lei.
Ed ora, lontano dalla guerra, Lenalee lo guardò. Si
concesse di pensare come la ragazza che era.
Arrossì.
Allen schiuse le labbra, e disse, con la voce più serena e
felice che lei avesse mai sentito da lui in questi anni:
“Vorrei tornare con il circo. Si fermano a Londra, a
Maggio. Potrei sempre raggiungerli.” E allora, era sembrato lievemente
preoccupato. Un’ombra passeggera su quel viso illuminato di luce propria.
“Pensi mi rivorranno?”
Ed il mondo le crollò sulle spalle.
***
(“E’
andato via.”
Le aveva
confessato Kanda, quella stessa sera, nella sua stanza.
Aveva
ottenuto solo silenzio, da lei.
Distrattamente, Kanda si era ritrovato a pensare a quanto sembrasse grande e
spettrale, quell’edificio, senza tre quarti dei suoi usuali abitanti. Una città
fantasma, una città deserta.
Il silenzio era talmente forte, che rimbombava.
Tic, tac, tic, tac.
“Via?”
Sette
secondi netti.
“Via.”
Aveva confermato Kanda, con un gesto di stizza fin troppo amaro, facendo
spallucce.
Poi, aveva sbattuto la porta della sua stanza, lasciandola fuori.
Incredula.)
***
4. Quarta Notte
Le valigie di Lenalee erano pronte già dalla sera prima.
Tuttavia gli anni di burocrazia arretrata avevano
finalmente deciso di far sentire tutto il loro peso sulle spalle del
Supervisore e della Scientifica, in quel momento più freneticamente al lavoro
che mai.
Non sarebbero partiti oggi, loro: lei e Ge Ge.
In quel momento, lei si trovava davanti alle bare che, per
l’ultima volta – finalmente – avrebbero occupato la grande Sala.
Camminava distrattamente, leggendo i nomi sulle targhe, ben incisi con quella
scrittura corsiva ben curata. Che lei sapeva benissimo non appartenere a suo
fratello.
Era molto più probabile che fosse stato Jhonny, a scrivere
quei nomi dei caduti in quell’ultima battaglia.
Chissà come dovevano essersi sentiti.
Chissà come si era dovuta sentire, il Generale Klaud, quando le avevano
strappato il cuore prima che potesse accorgersene davvero?
E Marie?
E il Generale Tiedoll, in prima linea, che da solo era
riuscito a liberarsi di quel Noah che aveva ucciso uno dei suoi amati figli?
E Crowley, come si era sentito?
Le loro tombe erano messe lì, decorate fra quelle più
semplici dei finders – e lei si rammaricò, nel non riuscire a collegare una
faccia alla maggiorparte dei loro nomi.
Non si stupì nel vedere anche Kanda, lì, nonostante quei
capelli troppo corti fossero una vista troppa aliena su quelle spalle e su quel
collo da sempre un po’ troppo lungo. Era davanti alla tomba di Marie, ma non la
stava guardando. Sembrava, piuttosto, guardare quella posta un po’ più in alto:
quella dell’uomo che, per anni, aveva cercato di farsi accettare come un padre
dai suoi discepoli.
“Pensavo fossi nella tua stanza.” Mormorò, a bassa voce,
la cinese.
Kanda sbuffò, non degnandosi di rivolgerle lo sguardo.
“L’unico motivo per cui passavo così tanto tempo nella mia stanza è che c’era
sempre troppa gente assillante da tutte le altri parti.”
Un piccolo sorriso si fece strada sulle labbra di lei. “E’
tutti così strano. Vedere tutto così vuoto. Eppure questa stanza sembra sempre
troppo piena.”
Il giapponese non rispose, tenendo lo sguardo fisso sul
nome di Marie.
“Mi chiedo come si siano sentiti. In infermeria, non
facevo che pensare che sarei stata veramente furiosa, se fossi morta proprio
alla fine. Dopo tutti gli sforzi che avevo fatto per sopravvivere.”
“…”
“Dev’essere stato terribile.”
“…”
“… ma noi siamo qui, no? Noi: io, tu…”
“Figurati se sarei morto per una cosa del genere.”
“… Allen, La…” Lenalee qui si interruppe, mordendosi
nervosamente il labbro. Lo sguardo sembrò per un attimo non avere riposo,
altalenando tra la schiena di lui e le bare e il pavimento ed il soffitto.
“Lavi non è qui.” Rimbeccò acidamente Yu, schioccando la
lingua ed ammettendo ad alta voce ciò che lei aveva avuto solo il coraggio di
pensare.
“… intendevo dire che siamo sopravissuti. Siamo vivi.”
“Lavi non è qui.” Insistette il ragazzo, scotendo
il capo con rabbia malcelata. “Lavi non c’è più. Non esiste più.”
Lei strinse i pugni sull’orlo della maglietta un po’
troppo larga, sollevando lo sguardo. “E’ solo andato via. Lo rivedremo. Un
domani.”
“Per Lavi non c’è più, un domani. Non c’è più, capisci?
Non c’è mai stato.”
“Ma…”
“Me l’ha detto lui.” Sbottò Kanda, con poco più di un fil
di voce che tuttavia riuscì a zittirla. “Me l’ha detto lui. E nemmeno un idiota
come lui scherzerebbe su cose del genere. Credimi.”
Il silenzio tornò ancora una volta fra le casse da morto,
più appropriato e solenne, ma carico di tensione. Lenalee per un po’ rimase
immobile, sguardo fisso di fronte a sé. Poi, sorrise.
“Non posso crederti.”
Kanda non rispose.
“Perciò perdonami, se farò finta che tu non abbia mai
detto nulla.”
Nessuna risposta.
Lenalee voltò le spalle alle tombe degli esorcisti e corse
via.
Per una volta parlare con Kanda non l’aveva affatto
tranquillizzata.
Ed era la prima volta, che accadeva una cosa del genere.
* * *
(“Mi
dispiace per stamattina.”
“Tch.”
“E’ solo
che… me l’aspettavo diversa, la vita. Quella vera. Voglio dire… Non mi ero mai
resa conto che era stata la Guerra, e tenerci tutti insieme. L’ho detestata
talmente tanto che…”
La luce
della luna filtrava stancamente dalla finestra scheggiata della stanza di
Kanda, e quella luce flebile illuminava appena l’arredamento spartano
all’interno.
Una
clessidra, una sedia, ed il letto dov’era seduta Lenalee.
Kanda non la stava guardando, accasciato sulla sedia. Sbirciava oltre la finestra,
ma non vedeva nulla.
La
penombra celava lo stato della clessidra, dimenticata in un angolo.
“… Allen
ha detto che andrà via. Non avevo considerato questa possibilità. Ogni volta
che immaginavo il mio futuro, io lo immaginavo con lui. Presente. Una
costante.”
Silenzio.
“Non gli
ho neppure mai detto quanto ci contavo, io, su quella costante.”)
***
5.
Quinta notte.
Il Generale Cross era scomparso dopo la battaglia finale,
durante la notte.
Era diventato un tale maestro, nell’arte della fuga, che
nessuno se n’era accorto davvero: aveva lasciato soltanto un messaggio sulla
scrivania di Komui – era stato trovato quattro giorni dopo – che diceva
che in quel momento aveva tutta intenzione di riprendersi la sua vita e li
pregava, di grazia, di smetterla una volta per tutte di rovinargliela.
Allen
aveva riso, nel leggerla, con un senso di sollievo ben impiantato nel petto una
volta rassicurato che non avrebbe più rivisto quell’uomo. Anche Lenalee aveva
riso, di malavoglia, con lui.
“Quindi, Allen, quando hai intenzione di andare…?” aveva
quindi domandato, in un impeto di autolesionismo (vecchie abitudini),
una volta seduti nel Refettorio.
Lui aveva sollevato lo sguardo, ma Lenalee non lo stava
guardando.
“Io… penso aspetterò un paio di giorni. Arrivano verso la
seconda settimana di Maggio, se non ricordo male. E’ un po’ presto per andarli
a cercare.” Ridacchiò lui, genuinamente, prima di pugnalare la bistecca con un
forchettata ben assestata. “Komui invece sembra troppo preso dal dovere
sistemare il caos accumulato in questi anni, ne?”
Lenalee parve ignorare quell’ultima domanda gettata lì su
due piedi, mordicchiando il labbro. “… ti divertivi, eh, con loro.” Non era una
domanda.
Tuttavia Allen si trovò a rispondere ugualmente. “E’ stata
un po’ una seconda famiglia, per me. Mana…”
“Anche questa era come una famiglia, però.” lo interruppe
lei, con un sorriso un po’ troppo falso sulle labbra.
Il ragazzo lo notò, e s’incupì appena. “Qualcosa non va,
Lenalee?” domandò, genuina preoccupazione nella sua voce.
Amore, nella sua voce.
Era la voce che usava quando lei piangeva, quando lei stava male.
Quando Lavi era in pericolo.
Quando cercava di distogliere Kanda dal fare qualcosa di
stupido.
Quando Miranda si buttava giù per nulla.
Quando Crowley decideva giocare il suo ruolo d’adulto e
proteggere i più giovani.
Quando i Finder venivano feriti.
Quando i Noah sembravano meno Noah e più umani del solito.
Quando, con l’Innocence, trapassava gli Akuma da lato a
lato.
Amore.
Perché Allen provava amore per tutti, indistintamente, e
lei era stata così cieca da non vederlo subito.
Allen amava lei come amava i suoi compagni, come amava i
Finders, come amava il prossimo, come amava gli Akuma.
E lei, sciocca, era riuscita a vedere soltanto quello
sguardo rivolto verso di lei.
Era stata abituata ad essere trattata diversamente da
parte di Kanda perché fragile, diversamente da parte di Komui perché era la sua
preziosa sorellina, diversamente da parte degli altri esorcisti perché una
ragazza buttata nel bel mezzo di una guerra senza fine; era stata abituata ad
essere coccolata dalla scientifica – ha tentato il suicidio, coccolata
dai finder – dio, non sembra nemmeno capace di far del male ad una mosca!
Aveva pensato di meritare un trattamento speciale anche da
Allen. Aveva voluto un trattamento speciale anche da Allen. Lo aveva bramato,
desiderato, dato per scontato.
“Che sciocca.” Mormorò, mentre la rassegnazione si faceva
strada lentamente nelle sue vene.
Allen
battè ciglio. “Lenalee…? Ti prego, se c’è qualcosa che…?”
Ma Allen non aveva trattamenti speciali per nessuno: tutti
per lui erano tanto importanti da rischiare la vita per salvarli. Tutti.
E Lenalee cominciava a capire, perché Kanda lo detestasse
così tanto.
Oh, se l’amava! Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di quella
fonte di positività accanto, perché per quanto ne dicessero coloro che
affermavano di conoscerla, lei di positivo non aveva nulla.
Senza il suo mondo, lei avrebbe finito per
autodistruggersi.
Ma non aveva nessuna importanza. D’altronde, non l’aveva
mai avuta.
Perché per una volta, pensò, avrebbe dovuto smetterla di
pensare solo a sé stessa – sarebbe stata una scusa abbastanza accettabile una
scelta volontaria di allentamento, piuttosto che un abbandono netto.
Suo fratello sentiva la mancanza della loro terra natale:
e sebbene lui non l’avrebbe mai costretta a seguirlo contro la sua volontà,
Lenalee glielo doveva.
Almeno quello, glielo doveva.
”Almeno,” esordì, dopo qualche attimo di preoccupato silenzio, sollevando lo
sguardo sugli occhi d’argento di lui “almeno tu, Allen, ricordati di salutarmi,
quando andrai via. Ti prego. Non fare come Lavi.”
Silenzio.
”Ti prego.” Un sussurro che sapeva di supplica, bagnata di sorriso.
E lui, con il cuore ingenuo di un bambino e l’accorgimento
di un fratello, sorrise ed annuì.
* * *
(“L-lenalee?”
“Si?”
Miranda
si affacciò sulla porta della sua stanza, sorriso caldo e materno stampato
sulle labbra. I capelli, ben curati, erano raccolti in una crocchia alla base
della nuca.
Era
vestita come una signora perbene, Miranda, quel pomeriggio.
“Devo
prendere il treno per Berlino. Ho trovato un nuovo lavoro, e non posso
permettermi di arrivare tardi. Sai, non voglio… non voglio più… mandare tutto
all’aria. Il treno… il treno parte fra tre ore.”
“Stai
andando via?”
La donna
strinse appena le labbra, prima di annuire con un mezzo sorriso. “Volevo
salutarti. E ringraziarti di tutto. Io…”
Lenalee
non le fece terminare la frase, stringendola in un forte abbraccio.
Ancora un
po’ arrugginita alle più comuni dimostrazioni d’affetto – mai abituata, prima
d’allora – Miranda ci mise un po’ a decidersi a ricambiarlo.
“Grazie a
te, Miranda.”
La donna rimase un po’ in silenzio, quasi riflettendo alle parole più adeguate
da dire. Tuttavia, essere risultarono inaspettate alla cinese. “… I-innamorati
di nuovo, eh, Lenalee? Saresti una mamma dolcissima.”
La
ragazza battè ciglio, prima di scuotere il capo.
“Se mio
fratello non fa prima fuori chiunque possa mai chiedermi in sposa.” Commentò,
con un sospiro.
Miranda
ridacchiò, nascondendo l’atto con il dorso della mano.
“Allora…
buona fortuna.”
“Anche a
te.”
Miranda
non aggiunse altro, dando un ultimo veloce abbraccio e varcando la soglia come
una donna più confidente di quanto lo fosse mai stata in tutta la sua vita.
Sull’uscio,
Lenalee la seguì con lo sguardo.
“Miranda?”
“Uh?”
“Grazie.”
“… Di
niente.”
***
6.
Sesta Notte.
“Non
ci vedremo mai più, Lenalee.” Sbottò Kanda, scotendo il capo con un gesto di
stizza. “Lo sai.”
“Perché?
Spiegami solamente il motivo. Non capisco. Non capisco perché non puoi…”
“Perché
no.” Tagliò seccamente lui, battendo il pugno sulla scrivania di Reever –
riconoscibile dalle numerose macchie di cerchi di caffè presenti sul legno
scuro. Lenalee aveva voglia di sbuffare, e colpirlo con qualcosa, tuttavia i
fogli che teneva fra le braccia non erano abbastanza atti a quell’uso.
Pertanto,
si limitò ad appoggiarli (sbatterli) sulla stessa scrivania.
“Allora
dillo, che sai già cosa fare una volta fuori di qui. Perché se lo sai, buon per
te. Io non lo so, cosa voglio fare fuori di qui. Io so cosa devo fare. E
non voglio lasciarmi tutto alle spalle. Non voglio lasciare questo mio mondo
alle spalle. Non sai quanto tempo ho vissuto, per questo mondo?”
Lui
soffocò un suono irrisorio, che rimase bloccato al centro della gola. “Mea
culpa, tendo sempre a ricordarmi meglio tutto il tempo che hai passato a
cercare di morire, per questo mondo.”
Lei
morse il labbro, prima di schioccare la lingua. “Non voglio discutere con te,
Kanda.”
“Lo
stai facendo.” Ragionò lui.
“Sei
chiaramente di cattivo umore.”
Botta.
“Temevo
non l’avessi notato.”
Risposta.
“Lo
sei da quasi una settimana, ormai.”
Botta.
“Direi
più da un po’ di anni.”
Risposta.
“No,
no. Questo è peggio degli ultimi anni, te lo assicuro.”
Appena
arrossata in viso, Lenalee sollevò il mento in cenno di sfida.
Dal
canto suo, Yu si limitò a squadrarla dall’alto, con espressione neutra.
Allen,
dall’altro lato della stanza, pensò di star assistendo ad uno di quegli
spettacoli che capitano una volta sola nella vita. Perché mai, mai, aveva visto
Kanda arrabbiarsi con Lenalee.
Lo
aveva visto minacciare di morte Lavi fino alla nausea. Minacciare di tosargli i
capelli fino alla nausea. Minacciare di morte Komui, Reever, metà della
scientifica e l’intero corpo dei Finder fino alla nausea.
Ma
mai Lenalee. Lenalee era quella che riusciva a colpirlo in testa con una
cartellina per gli appunti ed uscirne del tutto indenne. Lenalee era quella a
cui era permesso urlargli contro. A cui era permesso disturbarlo durante la
meditazione.
A
cui era permesso entrare in camera sua ogniqualvolta si sentisse giù.
Evidentemente,
non oggi.
“Lenalee,
piantala con questo discorso e lasciami in pace.” Sbuffò alla fine Kanda,
tornando a raccogliere quei fogli che la cinese aveva abbandonato sulla
scrivania. Evidentemente, il caldo della discussione era già passato, lasciando
spazio ad una stanchezza che Allen non aveva mai sentito nella voce del
giapponese.
Ma
Lenalee non sembrò stupita da quel tono. Affatto.
“Dimmi
solo che sai cosa fare della tua vita fuori di qui. Allora, ti lascerò in
pace.” Contrattò lei, stringendo appena le labbra in una linea. “Io… non penso
tu lo sappia. Sono solo preoccupata.”
“Appena
lo saprò, sarai la prima a saperlo.” Sbottò il ragazzo, una nota esasperata
nella voce. Una nota che diceva, soltanto: ‘lasciami in pace’.
“Prometto.” Soggiunse, forzatamente, quasi fosse una parola magica.
“…
l’ultima promessa che mi hai fatto non l’hai mantenuta. Se non fosse stato per
Allen, sull’arca…”
Con
i fogli – accartocciati per la presa ben poco gentile – stretti al petto,
Kanda la lasciò lì a parlare da sola, smorfia di stizza sulle labbra. Lenalee
si ammutolì, ed i suoi occhi incrociarono lo sguardo di Allen.
Li
scostò immediatamente, quasi non riuscisse a sopportare la sua vista.
(Allen
pensò distrattamente che era dal giorno prima, che faceva così.)
Lei
raccolse gli ultimi fogli sparsi sulla scrivania di Reever e si affrettò ad
abbandonare la stanza.
Allen
rimase solo, una pila di dossier in equilibrio fra le braccia.
* * *
(“Cosa farai, ora?”
“Ti avevo detto di lasciar
perdere, con questa storia.”
“Mi dispiace per stamattina.”
“Lo sento dire spesso,
ultimamente.”
Lenalee chiuse la porta alle
spalle, cercando di adattare la vista al buio della stanza. Non riusciva a
capire come mai Kanda amasse così tanto il buio, quando si trovava da solo.
“Una lampada non ti farebbe
male, in questa stanza. E’ lugubre.”
“Tanto questa stanza mi serve
solo per dormire.” Fece spallucce lui, andando a legare i capelli ormai corti
dietro la nuca, stringendo con vigore il nodo del laccio. “E per farti da
balia.”
“Questa non era carina.”
Mormorò stancamente lei, poggiandosi contro la superficie lignea della porta,
mano ancora stretta sulla maniglia. “A volte mi sembra di essere io, la balia.”
Una risata da parte sua,
aggressiva e priva di allegria.
“Questa era bella.”
Sbottò lui, irrisorio. Lei, ancora una volta, sospirò.
“Non hai intenzione di
rispondermi, Kanda?”
L’intrinseca assenza di
risposta fu, per lei, una risposta sufficiente.
“Domani mattina Allen andrà
via. Mi prometti che verrai a salutarlo?” Il suo sorriso era impossibile da
scorgere nella penombra, tuttavia era facile da captare nell’inflessione della
voce.
Lui lo captò chiaramente.
“Pensavo le mie promesse non
valessero nulla.”
Rimasero in silenzio, per un
po’. Poi, colta da una pesantezza dell’atmosfera troppo grande da sopportare,
Lenalee sgusciò via dalla porta senza aggiungere nulla.
Soltanto, nel cuore, la
sensazione di aver cominciato a perdere del tutto quel mondo per il quale aveva
lottato con tutta sé stessa, cercando con tutte le sue forse di mantenerlo
integro.
Si stava infrangendo.
Inesorabile.
E, ancora una volta, avrebbe
dovuto trovare casa altrove.)
***
7.
Settima Notte.
“Fate
solo tournèe europee?” stava domandando Lenalee, con una genuina curiosità che,
ancora una volta, sapeva di autolesionismo. Allen sollevò lo sguardo verso di
lei – tentando di evadere dall’abbraccio di Jhonny che gli si era ancorato al
collo quasi ne andasse della sua vita – e sorrise.
“Beh,
di solito sì. Le tournèe fuori dall’Europa verrebbero a costare un po’ troppo,
anche se devo dire di non essere più abituato a dover pagare per i viaggi,
quindi non so quali siano i costi, adesso. Tuttavia, se si ha abbastanza
successo…”
“Se
mai…” esordì lei, mordicchiando il labbro e cercando di cacciar via le lacrime.
“Se mai farete tournèe… fuori dall’Europa, promettimi che verrete a trovarmi in
Cina, ne?” Un filo di voce, poiché temeva che, nell’alzarla, sarebbe stato
sicuramente rotta dal pianto.
Anche
Allen aveva gli occhi lucidi di pianto. La abbracciò – e lei soffrì un po’ di
più – prima di annuire energicamente. “C-certo, Lenalee. Non me ne
dimenticherò.”
“P-prometti?”
“Prometto.”
Asserì lui, con uno di quei suoi sorrisi che illuminavano il mondo.
Lenalee
scoppiò in singhiozzi frammentati. Nel tentare di consolarla, Allen non fece
che peggiorare la situazione.
Da
un angolo Kanda, poggiato al muro, si limitava a guardare la scena. Come se non
lo toccasse.
Come
se non lo riguardasse affatto.
Soltanto
un cenno del capo, quando Allen incrociò il suo sguardo.
Cenno
del capo che fu ricambiato con un sorriso – niente rancore, diceva. Niente
rancore ma lo sapevi già, no?
Kanda
fece spallucce, e scostò lo sguardo.
“Vai.”
Stava dicendo Lenalee, con voce frammentata dal pianto. “Vai, ne? Ma ti giuro… ti giuro che… se non verrai a
trovarmi almeno una volta e se… se non mi manderai neanche una lettera ogni
tanto, io giuro che…”
“Lo
so.” Stava rispondendo Allen, con voce frammentata dal riso. “Lo so, Lenalee.
Mi mancherai.” Soggiunse, abbracciandola.
Il
cuore di Lenalee saltò un battito, mentre ricambiava l’abbraccio.
“Mi
mancherete tutti.”
Ed
il cuore di Lenalee si fermò del tutto, per un motivo totalmente diverso.
Ingenua.
Ingenua.
Distrattamente,
lo sentì svincolarsi dall’abbraccio.
Distrattamente
lo vide allontanarsi da loro.
Distrattamente
lo vide fare un cenno con la mano.
Distrattamente,
lo sentì dire addio.
Kanda,
dal suo angolo la sua fissando. Come se il suo dolore non lo toccasse affatto.
Ma,
in fondo, Lenalee sapeva che non era così. Non era mai stato così, dopotutto.
Non
aspettò la sera, quel giorno, per intrufolarsi nella camera di Kanda. Al
tramonto era già lì davanti alla porta, nel corridoio deserto. La luce del sole
filtrava dalle piccole feritoie, tuttavia questo rendeva l’atmosfera
incredibilmente peggiore. Di notte era stato normale, vedere l’Ordine deserto.
Di
giorno no. Di giorno c’era gente che scherzava, chiacchierava, correva per le
scale.
C’era
la vita che le ricordava che, in fondo, erano persone normali anche loro.
Bussò
distrattamente alla porta, ed attese la risposta.
Immancabilmente,
Kanda aprì entro sette secondi. Come sempre.
Il
tempo di alzarsi dal letto ed arrivare alla maniglia.
Tuttavia,
questa volta non la fece entrare.
Lei
non chiese di farlo.
“Partiremo
domani. Io e Ge Ge.” Mormorò, scostando lo sguardo.
“Buon
per te.” Sbottò lui, schioccando la lingua e facendo per chiudere la porta.
“Vieni
con noi.” chiese flebilmente lei, prima che potesse farlo. Questa proposta
effettivamente lo fece fermare a metà strada: chinò il capo d’un lato, aria
scettica, quasi soppesando se lei stesse dicendo il vero o meno.
“…
come, prego?”
“Puoi
venire con noi. Con me e Ge Ge. Edo è tutta distrutta, lo so, e non avrebbe
senso tornarci… e poi, non penso tu voglia, non c’è più niente e… puoi stare
con noi. Ge Ge ti considera piuttosto innocuo nei miei confronti, a basso
rischio ecco, quindi non ci saranno problemi. E poi, io… lo sai che per me sei
un po’ come un fratello maggiore anche tu.”
Ancora,
lui non la faceva entrare. Rimase sulla soglia, battendo ciglio.
“Puoi
farti una nuova vita. Anche io devo iniziare tutto da zero. Potremmo trovarci
un lavoro e…”
Silenzio.
Entrambi
lo sapevano, che Yu Kanda non aveva mai imparato a fare nulla, né aveva una
propensione per l’imparare nuove cose. Yu Kanda era una perfetta macchina per
uccidere Akuma, e nient’altro. Non aveva avuto bisogno di imparare nient’altro,
nella vita.
Non
sapeva stare a contatto civile con il prossimo, non sapeva avere pazienza nei
lavori manuali, trovava frustrante qualsivoglia tipo di lavoro intellettuale.
Scoppiò
a ridere, una risata svuotata di allegria.
Lei
strinse le labbra. “… anche io non so da dove iniziare, Kanda, ma… Se proprio…
fallo per me? Io ho bisogno di un pezzo di questo mondo con me, Kanda. Non voglio
perdervi tutti. Siete stati le uniche persone importanti della mia vita. Le
uniche persone che ho conosciuto, nella mia vita. Ho perso Crowley, ho
perso Marie, ho perso Lavi, ho perso Miranda, ho perso Allen… ma tu sei sempre
stato un punto fisso su cui potevo contare e, quindi… non dirmi che devo
perdere anche…”
Sapeva
di star piangendo. E sapeva che piangere era, con Yu Kanda, l’equivalente di
giocare sporco.
Perché lui non aveva mai imparato come reagire, alle lacrime altrui.
Infatti
lui se ne stava lì, e la guardava con rassegnazione mentre il mondo le crollava
addosso.
“…
per favore, Kanda…”
“No.”
Replicò lui, senza guardarla.
(senza
avere il coraggio di farlo)
E
chiuse la porta.
***
(L’eco dei singhiozzi di
Lenalee non aveva fatto miracoli per la sua stanchezza.
La sentiva piangere ancora, sebbene sapesse che lei non era più lì fuori da un
bel po’, ormai.
Non poteva dire di sentirsi
in colpa.
No.
Yu Kanda aveva una netta
concezione del Giusto e del Sbagliato.
Non voleva stare con lei. Non voleva stare con Komui.
Non sarebbe stato giusto nei
loro confronti.
E non ne sarebbe valsa
comunque la pena.
Il suo sguardo si posò
istintivamente sul loto illuminato dalla luce della luna malsana filtrata dai
vetri sporchi.
Su quell’unico petalo che,
striminzito, ancora tentava di tenersi ancorato al suo posto.
Quell’unico petalo, superstite di troppe battaglie e troppe ferite, sembrava
tremare, indeciso, tenuto su dalla pura e strenua inerzia dell’abitudine al
vivere.
Si distese sul letto e chiuse
gli occhi, sperando – come ogni sera da una settimana a questa parte – di non
essere più costretto ad aprirli la mattina dopo.
)
***
Shangai - penserà Lenalee quattro
giorni dopo, guardando suo fratello sorridere - non sa affatto di casa.
A/N:
Questa era
la cosa in cantiere. XD Okay, si, poteva essere meglio. So come molti detestino
il personaggio di Lenalee. Tuttavia, per fics come questa, è uno dei punti di
vista migliori. L’altro sarebbe stato Allen, ma non ho ancora dimestichezza
nello scriverlo.
Quindi,
vi beccate un doppio PoV Kanda e Lenalee.
La
loro relazione qui non è romantica. Tuttavia, ho notato che nel manga sono
molto vicini. Cioè, Lenalee sembra essere una delle poche persone che non dà
sui nervi a Kanda. Saranno i poteri Marysueschi della Lady? °_°
Comunque,
il loro rapporto fratello burbero/sorellina nel manga è adorabile. Spero di non
essere andata troppo OOC.
Anche
perché, è la mia interpretazione dei personaggi e dei rapporti fra di essi.
Soprattutto,
questa è la mia concezione di Allen. Che ama tutti. Penso che per lui sarebbe
difficile concentrare tutto quell’amore su una persona sola. MA ovviamente è
una mia modesta opinione.
Anche
questa è la mia concezione di Kanda: a cui, burberamente, importa, ma che
preferisce tenersi i suoi problemi per sé – magari sperando che anche gli altri
facciano lo stesso. E’ probabile che lui e Lenalee si conoscano da piccoli –
qui mi riferisco al dialogo dopo l0incontro di Lena con Leverrier.
Insomma,
è la fic di d.Gray che mi piace meno. Però, pace.
‘Eric’
in nome di “Kodomo no Omocha” Rossana. Dai pensaci un po’ tu.
P.S.
Ringrazio chi ha commentato le drabble-challenge ç_ç E’ probabile che ogni
tanto aggiornerò quella, ogni volta che avrò blocco dello scrittore °_°”