YOUR DEFENCES WERE UP HIGH
“Certo.
No,
no, quello va bene, dai. Basta che aggiungi anche il pezzo che riguarda
le
modalità con cui abbiamo eseguito la fasciatura
perché se ti ricordi…”
Din-don.
Kate sbuffò, seccata,
buttando i fogli e la matita sulla scrivania con rabbia. Chi diavolo
era al campanello,
adesso che stava parlando al telefono con Jake per gli ultimi ritocchi
al loro
articolo per “Nature”, dopo due mesi di lavoro?
Si alzò ed
uscì dallo
studio: “Jake, aspetta che ho un rompi al campanello.
Ascolta, ci vediamo tra
un’ora a casa tua. Così finiamo ‘sta
cosa una volta per tutte, non dovremmo
averne per molto. OK? Ciao.”
Poi andò ad aprire la
porta
e se non la rinchiuse immediatamente di scatto, dando quattro mandate
di chiave
e spostandoci due armadi davanti, fu perché era talmente
sorpresa da essere
rimasta paralizzata, visto che alla porta c’era Jared Leto,
con la sua solita
faccia da presa per il culo, formato espresso.
“Ciao, Kate.”
Disse,
sorridendo.
“Come hai fatto a
trovarmi?”
Kate invece non rideva.
“Ho chiesto al direttore
dell’ospedale.”
Kate si annotò
mentalmente
di prenderlo per il collo non appena l’avesse visto, questo
direttore
pettegolo: “Che cosa vuoi?”
“Vorrei scambiare due
parole
con te. Non mi fai entrare?”
Kate aprì maggiormente
l’uscio e Jared entrò sostenendosi sulle
stampelle: il dottor Harrison lo aveva
dimesso un mese prima e ora Jared doveva essere in riabilitazione, ma
in grado
di muoversi autonomamente, conservando dell’operazione
soltanto una fasciatura
leggera.
Jared fece un
passo per entrare guardandosi intorno: così quella era la
tana del suo odiato
chirurgo. Un’entrata centrale su cui si aprivano alcune
porte. Cucina, studio,
camera da letto… un piccolo e gradevole appartamento da
single, con colori
caldi e luce soffusa. Chissà perché si era
immaginato un super attico, moderno
e luminoso, da donna in carriera. No. A Kate si addicevano cose
più semplici ed
infatti eccola lì, in tuta da ginnastica, molletta sui
capelli e occhiali da
vista, che lo squadrava con occhi torvi come se volesse dargli fuoco
sul pianerottolo.
Jared le fece un
piccolo sorriso ed improvvisamente si rese conto che non
c’era nessun segno di
feste natalizie, dentro quell’appartamento, nonostante il
Natale in arrivo.
“Ehi…
Non hai
fatto l’albero di Natale?” Le chiese.
“No. Le zitelle inacidite
non fanno l’albero. Del Natale se ne fregano.” Kate
gli puntò addosso due occhi
fiammeggianti: la rabbia non le era ancora passata, evidentemente.
Jared sogghignò:
“Sei
arrabbiata ancora con me per quello che ti ho detto ben più
di un mese fa,
vero?”
Kate annuì, convinta:
“Sì.
Direi di sì.”
“Non mi perdoni nemmeno a
Natale?” Jared la fissava con quegli occhi che in quel
momento, pensò Kate,
avevano il colore del mare e l’uomo era più
affascinante che mai. Troppo. Un
campanello d’allarme suonò nel cervello di Kate.
“No.” La donna
si girò per
evitare lo sguardo di Jared e si mise a mettere a posto il vaso di
fiori sul
tavolino vicino all’entrata.
“Nemmeno se ti chiedo
scusa?” Jared le si avvicinò di più.
“No. Direi di
no.” Kate
continuò a spulciare i fiori, guardandolo con la coda
dell’occhio.
“Peccato. Passerai il
Natale
qui in città?”
“Sì, devo
lavorare.” Kate si
girò e si mise a braccia conserte appoggiata al tavolino, a
fissarlo.
“Allora verranno i tuoi
genitori a trovarti…”
“No.
Io…” Kate si fermò, indecisa
se dovesse o meno raccontare a Jared i fatti suoi. Ma sì,
tanto, non faceva
alcuna differenza. “Io sono orfana e non ho fratelli,
né sorelle.”
“Mi dispiace,
io…”
“Tu, che farai,
invece?”
“Vado da mia nonna in
Louisiana, con mio fratello e mia madre, ovviamente. Ma davvero non hai
nessuno
che…”
Kate si staccò dal
tavolino
di scatto, quell’intrusione era durata anche troppo:
“Senti. E’ meglio se te ne
vai. Io devo uscire perché ho un appuntamento tra
un’ora. Mi devo ancora
preparare e perciò non ho tempo di stare qui a parlare con
te.”
Jared alzò una mano per
fermarla: “Ero venuto solo a ringraziarti per essere tornata
quel giorno di
corsa ad operarmi.”
Kate non fece una piega:
“Non c’è da ringraziare di niente.
E’ il mio lavoro.”
“Non eri
tenuta.”
“Mi pare che qualcuno
minacciasse denunce ed avvocati, giornali e TV.”
Jared si mise a ridere:
“Beh, non ci è voluto molto a spaventare il tuo
direttore. La parte del
paziente incazzato è nel mio repertorio.”
Kate non rise per niente ma
si limitò a fissarlo: aveva sempre l’impressione
che Jared recitasse un po’ con
tutti, che quello che vedeva non fosse il vero Jared, ma uno dei suoi
tanti
personaggi. C’era qualcuno che aveva visto il vero Jared? E
poi, ne esisteva
veramente uno di genuino, oppure a furia di recitare, Jared non aveva
più la
sua parte autentica?
L’uomo
continuò: “Grazie,
comunque. Non mi sarei fidato di un altro chirurgo che non fossi
tu.”
Kate
non si scompose: quei complimenti non la
toccavano, mentre aveva voglia che Jared si togliesse dai piedi il
prima
possibile. Non lo voleva a casa sua, anche se faceva la figura della
maleducata
a non offrirgli nemmeno una sedia su cui sedersi. Non le importava.
Avrebbe
voluto dirgli un bel “Vaffanculo” fatto bene e
spedirlo fuori della porta. E
invece rispose con un più educato
“Arrivederci.”
Jared allungò la mano
per
salutarla e Kate ci mise un po’ prima di stringergliela.
“Ok, vado allora.
Arrivederci, Kate e… Buon Natale.”
“Grazie. Fai gli auguri
anche a tuo fratello, ovviamente. Addio.” Per un momento
pensò che Jared avesse
anche voluto baciarla sulla guancia ma lei non fece la prima mossa.
Kate gli lasciò la mano
e
gli aprì la porta. Jared uscì di malavoglia e
cominciò lentamente a scendere le
scale, ma prima che lei chiudesse la porta, si girò a
guardarla per un attimo,
con uno sguardo decisamente enigmatico.