Ciao ragazzi, sono tornata!^____^
Ah, quanto mi è
mancato pubblicare ff! lo trovo quasi più divertente
di leggere e commentare!^^’’’
Lo so che l’ultima
volta che ci siamo sentiti, ormai diversi mesi fa, avevo promesso di
presentarvi il seguito della mia ff “Heaven Out Of Hell”…non preoccupatevi, non
mi sono dimenticata di quella promessa, e sto tuttora scrivendo quella ff, è
solo che in questo periodo mi sentivo particolarmente ispirata a cominciare una
storia tutta diversa, e così, eccomi qua!^__-
Iniziamo subito col
dire che si tratta di una ff drammatica, dalle sfumature piuttosto tristi, e
forse a qualcuno non farà tanto piacere leggere quello che è nato dalla mia
testolina bacata…tuttavia, confido che prima di giudicare dalle prime righe
diate un’occhiata come si deve e poi mi facciate
sapere il vostro pensiero!^^ Non è escluso che il finale sarà un lieto fine, naturalmente!
La canzone che ha
ispirato questa storia è la stupenda, meravigliosa “She will be loved” dei
Maroon 5, di cui adoro le canzoni, i video e, sì, anche il cantante *_*. E’
stata la loro canzone ad ispirarmi per questa ff di più o meno dieci capitoli, e infatti il titolo lo dimostra XDD
Prma di lasciarvi vi
esorto a leggere e commentare questo primo cap. Si tratta giusto di un assaggino, per ora…spero vi piaccia!^____^
Buona lettura!!!
Ginny85.
DISCLAIMER: I
personaggi presenti in questa ff, tranne Leyson e Miles, non appartengono a me
ma alla grande J. K. Rowling, di cui mi ritengo una seguace
non troppo degna^^. Anche il testo della canzone “She will be loved” che
ho usato non è mio, ma appartiene ai Maroon 5.
She will be loved
Di Ginny85
Look for
the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved.
Cerca la ragazza con il sorriso
rotto
Chiedile se vuole restare un
momento
E
lei sarà amata.
– “She will
be loved” Maroon 5.
Capitolo 1: The dark
shadow of the past
Londra, 27 Ottobre
2007.
La pioggia
precipitava incessante dal cielo scuro, bagnava le strade deserte e i
marciapiedi di pietra, trasformandosi in tanti minuscoli rigagnoli che le
sfioravano i piedi. Acqua piovana scendeva sui suoi occhi e sulle sue mani
macchiate di sangue. Impietosa inzuppava i suoi vestiti, i suoi lunghi capelli
lisci e spettinati, il suo sguardo spaventato. Sembrava voler spazzare via
tutto con la sua insistenza. Ma mai avrebbe potuto
cancellare le lacrime che adesso rigavano il suo volto cereo, le sue labbra
leggermente socchiuse e gli occhi azzurri spalancati in una posa sconvolta, nel
vedere riverso il suo corpo, ormai freddo, proprio là, sotto la pioggia battente.
La ragazza fece
qualche passo incerto, barcollante, verso colui che
solo pochi minuti prima era vivo, sorridente e, anche se poteva sembrare
incredibile, innamorato di lei. Non lo avrebbe mai creduto possibile, invece
era così, e tutto quello che era accaduto in quegli ultimi mesi tra di loro lo dimostrava. Ma adesso era tutto
finito, distrutto come la sua felicità.
Era morto ed era
stata tutta colpa sua. Non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.
La bacchetta magica
le scivolò tra le dita sudate e cadde senza fare alcun rumore a terra. Lei
meledisse mentalmente quel minuscolo quanto micidiale oggetto. Sotto la pioggia
incessante, con la vista annebbiata dalle troppe lacrime versate, si inginocchiò, incurante dell’asfalto freddo che pungeva
dolorosamente le sue gambe. Posò le mani tremanti sul suo petto immobile, piegò
la testa in avanti e si lasciò andare all’ennesimo pianto disperato, certa che
nessuno avrebbe mai potuto consolarla…
****
Quattro anni dopo –
Londra, 15 Marzo 2011.
“Accidenti, sono in
ritardo!” sibilò Ginevra Wesley lanciando uno sguardo al suo orologio da polso
e aumentando notevolmente l’andatura.
Tanto per cambiare
la metropolitana aveva ritardato di alcuni minuti,
abbastanza per causarle un ritardo mostruoso, se si contava anche il traffico
per le strade e la pioggia fine e fastidiosa che scendeva imperterrita dal
giorno prima. E dire che erano già a metà marzo!
Quell’anno la primavera aveva proprio deciso di prendersi una vacanza
prolungata, a quanto sembrava.
Ginny sbuffò e
continuò a percorrere velocemente il marciapiedi che
l’avrebbe condotta sul posto di lavoro, evitando abilmente la folla di persone
che si riversava contro di lei arrivando dalla parte opposta della strada. Era una giornata uggiosa, il cielo sgombro di nuvole era
pallido e di un colore grigio spento, così come il suo umore. Ci sono alcune
giornate che iniziano male senza che si possa fare nulla per evitarlo. E per Ginevra Weasley quella giornata era iniziata in
maniera pessima, per non dire tragica.
Per prima cosa
c’era stato il trasloco nel suo nuovo appartamento al centro, cosa che andava
avanti da qualche settimana ormai. Ginny non aveva mai immaginato che le ditte
di trasloco babbane fossero così irresponsabili e anti-professionali. Fatto era
che avevano sbagliato per ben due volte l’indirizzo di casa sua, disperdendo i
suoi mobili nuovi per tutta Londra. Poi c’era stato quel disguido con il
padrone di casa, che aveva cambiato idea all’ultimo momento e voleva il
pagamento anticipato di dodici mesi, anziché di sei.
I nuovi vicini
avevano già cominciato a spiarla con sospetto da dietro le tendine delle finestre
ogni volta che lei attraversava il cortile, rendendola ancora meno disposta a
fare la loro conoscenza. Probabilmente erano incuriositi, attratti in qualche
modo, dal tipo di persona che era Ginevra Wesley: una giovane e graziosa
studentessa di medicina, per nulla benestante, proveniente da un minuscolo
villaggio di periferia e che per la prima volta si ritrovava a vivere da sola
in una grande città, senza l’appoggio morale ed
economico di nessuno dei suoi parenti. Lei era sicura di farcela, anche se
tutti i suoi amici, sua madre e i fratelli maggiori pensavano il contrario.
Tuttavia, per quanto Ginny facesse, gli inconvenienti
non erano mancati neanche così.
E qui si arrivava al secondo motivo del suo
malumore: l’appartamento. Quest’ultimo era in discrete condizioni quando lei
l’aveva visitato la prima volta, ma da quando vi aveva messo piede in maniera
definitiva assomigliava più che altro ad un campo di battaglia. Scatole e
cartoni di varia grandezza, contenenti ogni sorta di oggetti
ed elettrodomestici di fattura babbana, tuttavia indispensabili, erano sparsi
lungo l’angusto ingresso e il luminoso soggiorno, mentre la piccola camera da
letto al piano di sopra era diventata qualcosa di molto simile ad un magazzino.
Ginny aveva
trascorso la maggiorparte di quei pomeriggi a catalogare le sue cose negli
armadi e nelle credenze, nonché a trovare la giusta
assegnazione ai nuovi mobili che aveva acquistato, oltre a quelli che già
possedeva, e che era riuscita miracolosamente a portare via dalla sua cameretta
alla Tana.
Quella mattina
avrebbe dovuto mettersi a pulire bene a fondo tutte le
camere, che giacevano in condizioni a dir poco pessime, ma sfortunatamente era
stata chiamata con urgenza al lavoro, nonostante fosse il suo settimanale
giorno di riposo, e così aveva dovuto rinunciare ai suoi interessi per svolgere
faccende ben più importanti e improrogabili. Così, addio mattinata di pulizie.
Inoltre quella sera
era stata invitata con la forza – visto che lei aveva
detto subito di no, invano – a cena da sua madre alla Tana. Il motivo era
quello che lei si aspettava, naturalmente: persuaderla a tornare a vivere in
casa Weasley, che da pochi anni a quella parte si era svuotata del tutto. Dopo
la morte di Arthur Weasley cinque anni prima, Charlie
era tornato definitivamente in Romania a lavorare con i draghi. Bill aveva
sposato Fleur Delacour e insieme si erano trasferiti a Parigi dai genitori di lei. Fred e George gestivano un negozio di
scherzi a Hogmseade, e possedevano una villetta nei pressi del locale. Ron
condivideva un piccolo appartamento con la sua amica di sempre Hermione, in un
tranquillo quartiere londinese abitato per lo più da maghi, e insieme a lei lavorava come Auror per l’Ordine della Fenice. L’unica
che era rimasta a casa dei genitori era lei, Ginny. Ma alla fine anche per la più piccola della famiglia era
arrivato il momento di rivendicare la propria indipendenza, e così, nonostante
le proteste di Molly, la rossa aveva deciso di prendere tutte le sue cose e nel
giro di pochi giorni trasferirsi altrove.
Poteva quindi ben
comprendere il motivo dell’invito da parte di sua madre. E
sicuramente quella sera ci sarebbero stati anche Ron e Hermione all’appello.
Tanto per cambiare, pensò un po’ disturbata Ginny. Loro non
mancavano mai in occasioni del genere.
“Buon pomeriggio a
tutti” salutò la ragazza oltrepassando una porta con sopra una targa che
recitava Dottor Johnatan Miles ed entrando
a perdifiato nella piccola stanza adibita a sala d’attesa e costantemente
profumata di disinfettante.
“Scusate il
ritardo. Oggi c’è un traffico terribile, e questa
maledetta pioggia non aiuta di certo” spiegò togliendosi il soprabito e
appendendolo dietro la porta.
Con gesti rapidi e
ormai abituari, Ginny indossò il suo camice da infermiera apprendista e
raccolse i corti capelli rossicci in una piccola coda che le sfiorava
appena la nuca. Martha Leyson, sua collega di lavoro e compagna al corso di medicina
si fece avanti sorridendo maliziosamente.
“Buongiorno
Ginevra…hai trascorso una bella serata?”
La rossa storse
leggermente disturbata la bocca.
“Non direi.
L’appartamento ha i muri di burro e i vicini hanno ascoltato musica hard rock
fino alle tre di notte…”
“Non parlavo di questo, lo sai benissimo. Non devi raccontarmi
qualcosa?”
Ginny guardò
perplessa l’amica. I grandi occhi chiari di Martha brillavano d’impazienza
malcelata. La rossa si sentì avvampare per l’imbarazzo comprendendo a cosa si
riferiva, e dovette abbassare lo sguardo.
“Beh, ecco…”
“Oh, andiamo, non
dirmi che hai disdetto anche questo appuntamento
all’ultimo minuto?!”
“Veramente, non ho
potuto liberarmi in tempo…”
“Ma
non è possibile che ogni volta succeda la stessa cosa! E dire
che ho penato tanto per trovarti un ragazzo adatto a te. Che cos’aveva questo che non andava stavolta, sentiamo?”
“N-Niente, davvero”
rispose nervosamente Ginny cominciando a riordinare distrattamente alcune
scatole di medicinali nell’armadietto a muro “Era simpatico e anche…anche
piuttosto carino. E’ che semplicemente non ho potuto
recarmi all’appuntamento, tutto qui”
La giovane
infermiera fece un rumoroso sospiro rassegnato, appoggiandosi con la schiena al
tavolino e incrociando le braccia davanti al camice.
“Sei sempre la
solita! Saranno due anni che non esci con un ragazzo, e da come ti comporti
ogni volta che ne incontriamo uno non mi sembra che tu
abbia intenzione di rimediare”
“Veramente…”
mormorò Ginny sorridendo leggermente, più a se stessa che all’amica “Sono quattro anni ad ottobre…”
Martha spalancò i
grandi occhi verdi.
“Io ci rinuncio. Sei davvero un caso disperato!” esclamò alzando teatralmente
gli occhi e le braccia al soffitto.
Ginny ignorò volontariamente
quell’ultimo commento e mentre l’amica tornava al suo lavoro le lanciò uno
sguardo rapido: Martha Leyson era davvero molto attraente; aveva ventiquattro
anni, lunghi capelli biondi e mossi che le sfioravano la schiena, grandi occhi
di un luminoso verde acqua, un viso sempre
perfettamente truccato e un corpo snello e formoso. Indossava un camice da infermiera bianco molto simile al suo, eccezion fatta per
i due o tre bottoni che lasciava sempre ‘distrattamente’ slacciati sul davanti
e per la lunghezza, in quanto mentre il camice di Ginny le arrivava sulle
ginocchia, quello di Martha le sfiorava impunemente le coscie, lasciando
intravedere più di quanto si dovesse. E questo la
rendeva ancora più famosa tra i giovani dottori e gli studenti che
frequentavano il corso di medicina all’università.
Non certo come
Ginevra Weasley, che oltre ad essere meno formosa e snella dell’amica, era
anche la meno corteggiata di tutta la classe. Non che questo
a Ginny dispiacesse, naturalmente. Lei stava benissimo così. Non aveva
bisogno di trastullarsi con un ragazzo diverso al
mese, come facevano quasi tutte le ragazze della sua età. Forse in passato,
quando era ancora una spensierata studentessa di Hogwarts di diciassette anni,
le sarebbe piaciuto ricevere un po’ di attenzione da
parte dei ragazzi più carini della sua Casa, o ancora meglio, da parte dell’unico ragazzo per il quale aveva perso
la testa sin dal primo anno…cosa che puntualmente non accadeva, naturalmente. Ma questo aveva luogo cinque anni prima; una vita intera
prima. Già dall’anno dopo le cose erano cambiate tra di
loro. E adesso la situazione era ancora più diversa.
Molto diversa per lei.
“Dai Ginny, non
prendertela troppo…” replicò d’un tratto una voce
maschile e squillante alle sue spalle.
Ancora assorta nei
suoi ricordi, la rossa si voltò e vide il giovane uomo che era comparso davanti
alla porta del suo studio insieme a un’allucinante
quantità di ricette mediche in mano.
“Ciao John…” lo
salutò imbarazzata.
“Ti consiglio di
non prestare attenzione ai vaneggiamenti di questa tipa qui” osservò il ragazzo
facendosi avanti e dando una piccola pacca amichevole sulla spalla di Martha,
la quale per tutta risposta sorrise trasognata “Non sa
quello che dice, ma soprattutto, quando è il momento di starsene zitta”
“Ma
sentitelo!” mormorò stizzita la bionda, accigliandosi con fare oltraggiato.
“Oh, non c’è
problema” rispose Ginny divertita “Stavamo solo
chiacchierando, non mi sono certo offesa…”
Il ragazzo ricambiò
il suo luminoso sorriso, appuntandosi mentalmente quanto le piaceva quella
timida ragazza dai modi calmi e pacati quando
sorrideva. Il dottor Johnatan Miles aveva solo ventotto anni e si era appena
laureato come medico chirurgo specializzato in pediatria. Era alto, magro,
aveva corti capelli castani e profondi occhi blu oltremare, nascosti
normalmente da un paio di occhiali con la montatura
argentata. Ginny l’aveva conosciuto al corso di medicina, quando era ancora uno
studente in procinto di laurearsi, ed avevano fatto amicizia. Adesso ne era diventata la seconda assistente infermiera nella sua
clinica privata in città. Si trattava in realtà di una sorta di tirocinio,
anziché di un vero e proprio lavoro, tuttavia a Ginny piaceva, perchè le
permetteva di stare a contatto con la clientela,
sopratuttto bambini piccoli, e l’aiutava ad abituarsi al suo futuro lavoro di
medico. E poi, cosa non meno importante, le permetteva
di mantenere il suo piccolo e modesto appartamento.
Ginny distolse
rapidamente lo sguardo dal giovane dottore, le gote vagamente arrossate, per
tornare al suo lavoro di messa in ordine.
“Oggi non c’è molto
movimento, ragazze” commentò Miles con un sorriso, sfregandosi soddisfatto le
mani sottili “Perciò, già che ci siete, perché non mi
catalogate in ordine alfabetico tutte queste ricette, mentre io vado a
prendermi un caffè al bar all’angolo?”
“Lascia sempre a
noi i lavori più noiosi e ingrati, non è giusto!” si lamentò Martha quando il
loro principale fu uscito e la rossa aveva preso senza batter ciglio a
raggruppare tutti i fogli sulla scrivania.
Poi le sue labbra
si piegarono in un sorriso malizioso, e la bionda si avvicinò con il viso a
quello di Ginny, sussurrando con fare complice:
“Ehi! Certo che però è carino, eh?”
“Chi?”
“Il dottor Miles, e
chi sennò?!”
“Non l’avevo notato…”
“Beh, dovresti! Hai
visto come ti guarda? Si vede lontano un miglio che gli piaci!
Fossi io fortunata come te!”
Ginny si fece di colpo seria, distogliendo lo sguardo.
“Forse…” mormorò
assorta.
“Io invece ne sono
sicura!” concluse Martha con decisione, annuendo
compiaciuta della sua scoperta.
Ginny si domandò
con un velo d’ansia se la sua amica non stesse già nella sua testolina vivace
meditando su un modo per farli mettere insieme. Al solo pensiero la rossa
rabbrividì interiormente.
La sera le due ragazze
si ritrovarono, dopo che il dottore se ne fu andato, a chiudere la clinica.
Dopo presero a passeggiare lungo il marciapiede bagnato dalla pioggia di quel
pomeriggio, mentre il traffico serale fluiva serenamente attorno a loro.
“Senti, ti va di
andare a bere qualcosa in un pub?” propose la bionda dopo un po’, prima di
arrivare al bivio in cui si sarebbero separate per andare ognuna a casa sua
“Magari faremo qualche, ehm, incontro interessante…”
Ginny sorrise
leggermente, scuotendo il capo rossiccio.
“Non posso. Sono
invitata a cena da mia madre”
Martha sospirò,
aricciando le labbra carnose.
“Ecco che ci
risiamo…”
“Scusami” mormorò
la rossa abbassando mortificata la testa.
La bionda sospirò
di nuovo, stavolta più dolcemente. L’ombra di un sorriso le attraversò il bel
viso truccato.
“Non serve
scusarti, amica mia. Tanto ormai lo so che tipo sei,
non mi stupisco più di tanto. Allora ci vediamo al corso, ok?”
“Ok…buonanotte”
“’Notte”
Ginny attese
pazientemente che la ragazza scomparisse dalla sua
visuale, quindi si diresse verso un vicolo scuro e isolato alla sua destra e da
dentro la borsetta estrasse con circospezione la sua bacchetta magica. Mentre si accingeva a smaterializzarsi per arrivare prima a
casa sua, le mani le tremarono leggermente, rischiando di far cadere la
bacchetta a terra. Tuttavia Ginny fece finta di niente, e facendosi forza
l’agitò davanti a sé e scomparve con un sordo plop.
****
Il vento a
quell’ora tarda della sera era freddo e pungente, schiaffeggiava il suo viso e
il suo corpo dolorante con la stessa violenza di una lama appuntita. Mentre si
trascinava con difficoltà attraverso un vicolo nero e umido, il giovane mago sentiva il suo stesso sangue fluire via dalle ferite gravi
che si era procurato combattendo e inzuppargli i vestiti sgualciti e in alcuni
punti strappati. Provava una fitta acuta e lancinante all’addome e un dolore
meno forte su una spalla, dove era stato colpito prima che riuscisse a mettersi
in salvo dai suoi aguzzini.
La sua figura
avvolta in un mantello nero e sgualcito compì qualche altro passo barcollante,
infine, troppo stanco e malridotto per andare ancora avanti, si accasciò in
ginocchio sul terreno fangoso, a pochi metri dal punto in cui il vicolo
terminava lasciando il posto alla trafficata strada principale.
Sentiva la vista
annebbiarsi sempre di più, i muscoli assopirsi e il cuore battere forte sotto
il suo petto affannato. Le palpebre si erano fatte improvvisamente troppo
pesanti, e tutto quello che il suo corpo malandato chiedeva era di chiudere gli
occhi e lasciarsi andare al sonno più profondo della sua vita, l’ultimo. Per un
attimo quel pensiero offuscato gli parve addirittura invitante. Morire…cessare
di esistere…sicuramente sarebbe stato molto meglio che continuare a fuggire per
il resto della sua vita da chi lo voleva vedere morto.
Un piccolo sorriso,
simile ad un ghigno ironico, attraversò il viso pallido del mago. Sì, forse la
morte avrebbe significato davvero la fine di tutti i suoi problemi e di tutti i
suoi rimorsi…
Improvvisamente, un
rumore di passi dietro di lui lo rimise in allarme. Il mago si costrinse a
tirarsi su con la schiena, essendo troppo debole per alzarsi
in piedi. Respirando profondamente, con le mani tremanti raggiunse la tasca del
suo mantello ed estrasse la sua fedele bacchetta magica.
Se davvero volevano
prenderlo avrebbero dovuto lottare per averlo, si disse provando una nuova
ondata di audacia. Non si sarebbe mai arreso a quegli
assassini senza prima aver combattuto, mai e poi mai.
Il rumore
lentamente si smorzò, lasciando posto al vuoto assoluto. Leggermente sollevato,
il mago si lasciò cadere del tutto a terra, troppo provato per
resistere oltre in quella posizione scomoda. La bacchetta giaceva inerme
al suo fianco, ma questo non gli importava più ormai.
Il suo respiro
irregolare si era fatto stranamente lontano, confuso. I battiti del suo cuore
apparivano remoti, deboli. Un piacevole torpore si stava facendo largo nel suo
corpo. Il giovane mago chiuse gli occhi, e l’oscurità lo avvolse dolcemente
come una calda coperta.
Continua…
ndA: allora, che ne dite?^^ Non
fate quelle faccie schifate, andiamo!!=____= Ok, forse come inizio fa un po’ schifo,
lo ammetto, ma vi assicuro che cercherò di migliorare nei prossimi
aggiornamenti! Voi però datemi un piccolo incoraggiamento e COMMENTATE,
please!!
A questo punto credo che nascano spontanee due domande: Cos’è successo a Ginny? E chi è il giovane mago in fin di vita??
Domande che troveranno risposta nei prossimi capitoli, perciò ricordatevi: più commenti farete, più presto aggiornerò il secondo cap!!^__-
Un bacione e alla prossima!
Ginny85.