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Autore: Valvonauta_    06/01/2014    1 recensioni
Il Dottor John Watson è a pochi giorni dal suo matrimonio che lo legherà per sempre a Mary Morstan ma Sherlock, con la sua presenza, inconsapevolmente, insinuerà dei dubbi nella mente dell'amico, che, dopo due anni di assenza, inizierà a vederlo in un modo diverso e del tutto inaspettato...
Dal 1° capitolo:
«Watson osservò la figura slanciata e longilinea del suo compagno di avventura. Ancora non riusciva a credere che fosse vivo. A volte osservandolo accanto a sé, mentre lui era distratto e neanche lo considerava, gli pizzicavano stranamente gli occhi, in una maniera del tutto inedita, quasi si commuovesse della sua vicinanza.
Rivederlo di nuovo li, aveva dovuto ammettere, su quella poltroncina consumata dell’appartamento, certe volte gli dava euforia, gli veniva voglia di mettersi ad urlare dalla gioia ed abbracciarlo.
Focalizzò la sua attenzione al viso dell’uomo e notò quanto fosse… bello. Si, era bello.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Una scelta difficile 
Capitolo 2 - Confusion




©hello-supernova.tumblr.com

 
Aveva di fronte a sé tre boccali di birra da mezzo litro completamente prosciugati del loro contenuto e la mente praticamente blackout a causa dell’alcol in circolazione quando vide presentarsi Sherlock al locale.
L'uomo, guardandolo compassionevolmente, gli disse qualcosa, mentre si sedeva davanti a lui, ma non riuscirono ad arrivargli alle orecchie le parole che uscivano da quella bocca dischiusa, con quel taglio così particolare. Di lì in poi non si ricordò più nulla di quella serata.
 
14 giorni prima…
La mattina dopo si svegliò sul divano del 221B, coperto solo da un plaid. In casa non faceva freddo e fuori di certo non era pieno inverno.
Aprì gli occhi riluttante e si ritrovò ad osservare la schiena di Sherlock fasciata in una delle sue classiche camice color prugna.
Un improvviso senso di nausea lo colse, impedendogli di chiamare l’amico, e fece per correre al bagno ma tutto ciò che riuscì a fare era di finire steso per terra.
Sherlock alzò la testa dalle carte e fece per alzarsi a soccorrerlo. Si chinò su di lui con un ginocchio a terra e cercò di tirarlo su senza successo, dato che, in piena fase post-sbronza, l’uomo riverso sul pavimento non dava alcun aiuto.
"John, che ci fai per terra?" chiese scocciato.
Manco a rispondergli vomitò per terra.
Sentì subito lo sbuffo di disapprovazione di Sherlock mentre, riluttante, si alzò da terra, allontanandosi.
"Fai presto" gli intimò e subito dopo urlò “Signora Hudson!"
La donna, dopo un minuto circa, fu già da loro e quando vide John vomitante a terra tirò un urlo.
"Signora Hudson, la prego! Non è mica un cadavere" la invitò Sherlock.
Quando John ebbe finito i conati, Sherlock, aiutato dalla padrona di casa, lo tirò su di peso sul divano, cercando di accomodarlo per quanto fosse possibile.
"Ora pulisca, signor Hudson, su, che c'è uno schifo!" e puntando la mano contro il ‘corpo del delitto’ la roteo in cerchio con aria schifata.
"Quante volte ve l'ho detto? Non sono la vostra donna delle pulizie!" quasi urlò sul finale.
Questo improvviso innalzamento di voce procurò a John una violenta fitta alla testa.
Sherlock, invece, come sempre in risposta a quegli atteggiamenti dell'anziana, si irrigidiva e tirava su la schiena per darsi autorità.
La donna magicamente, ogni volta, lo guardava un po' imbronciata poi si metteva a ridacchiare e facendo segno con la mano quasi a dire 'lasci perdere' andava a fare/prendere quello che Sherlock le aveva chiesto.
Questa fu la volta dello straccio e dell'alcol.
La donna si dileguò giù dalle scale.
John alzò gli occhi intorbiditi verso Sherlock e, libero dal peso allo stomaco, parlò con voce incredibilmente roca: “Hai pezzi di cadaveri nel frigo e ti schifi per un po’ di vomito per terra?” e la Deduzione impersonificato per tutta risposta riserbò quello stesso sguardo autoritario a lui, scuotendo, in aggiunta, la testa.
A grandi falcate, lo vide scomparire in cucina. Ritornò dopo pochi secondi, evitando accuratamente la pozza di vomito, con un bicchiere in mano.
"Che roba è?" chiese l’ex soldato al detective.
"Butta giù, John, niente storie" e dall'alto della sua posizione, con un braccio piegato dietro la schiena, quasi fosse un cameriere, gli mise davanti il bicchiere.
Lui l'accetto ed inevitabilmente loro dita si sfiorarono per un millesimo di secondo. 
Ciò bastò a regalargli strane sensazioni al basso ventre.
Si, sono decisamente ubriaco, pensò tra sé.
Cercò così di ignorare la cosa e sotto gli occhi vigili del Detective buttò giù tutto d'un fiato. Scoprì con stupore che era semplicemente aspirina.
Aveva inizialmente paura fosse qualche sostanza illegale importata dalla Cina o chissà dove… si ricordò di quella volta che gli aveva nascosto nel thé, sciogliendola, della mescalina, con l'intenzione di usarlo come cavia per capire al meglio i riti sciamani dell'America Latina. Non seppe ricordarsi a quale caso associare quel singolare episodio.
Fortunatamente non bevve quel thé: quel giorno non ne aveva voglia. Solo dopo alcune settimane il Detective glielo ammise, nella speranza che la distanza di tempo lo facesse infuriare di meglio. Beh, aveva sbagliato.
Sorride di quell'episodio.
Quando vide il bicchiere vuoto, Sherlock, soddisfatto, si rimise al tavolo, dandogli le spalle.
"Beh, neanche mi chiedi come sto?" domandò.
Continuando a stare in quella posizione, senza neanche girarsi, rispose: "Ti sei ubriacato, cosa ci sarebbe da chiedere?"
"Come sto" insistette John, che non nascondeva la necessità di quella premura dall'amico.
In quel preciso momento arrivò alla soglia del loro appartamento proprio la Signora Hudson, con un po’ di fiatone.
Sherlock, rivolto a lui, si limitò a fare un gesto evasivo della mano continuando a scartabellare in silenzio tra quel macello di foto, documenti ed oggetti vari che non era altro che la sua scrivania.
John posò il bicchiere sul bracciolo del divano e si distese nuovamente, coprendosi.
Guardò per un po' la Signora Hudson che ripuliva tutto e che nel frattempo borbottava, proprio come una caffettiera, continui rimproveri che riguardavano lo sfruttamento della disponibilità della donna. Nessuno dei due rispose a quelle provocazioni e dopo poco ricadde in un sonno abbastanza pacifico.
 
Si risvegliò il pomeriggio con ancora un leggero mal di testa e lo stomaco un po’ sotto sopra.
Si alzò barcollante, andò in bagno a sciacquarsi un po' la faccia e poi si diresse in cucina, sapendo che, suo malgrado, doveva buttar giù qualcosa. Era da mezzogiorno del giorno prima che non toccava cibo e si sentiva decisamente debole.
Sherlock non sembrava essere in casa. Quando fece per andare al frigo, sfregandosi gli occhi, ancora non del tutto sveglio, sentì qualcosa battere contro i suoi piedi. Abbassò lo sguardo e per poco non si sentì svenire.
C’era una specie di carcassa, proprio davanti al frigo, di… non seppe cosa, forse umana?… viscida e in decomposizione distesa su di un telo trasparente, di quelli da autopsia…
“MALEDIZIONE! SHERLOCK!” urlò alzando lo sguardo al soffitto ed allontanandosi di alcuni passi.
 “Hey!” sentì una voce squillante alle sue spalle, allegra. Si girò di scatto, infuriato.
Vide Sherlock in vestaglia con uno spazzolino da denti sporco di sangue in mano. Doveva essere stato in bagno... con uno spazzolino insanguinato. Certo. Una cosa normalissima.
“Mi dici che… che diavolo ci fa una…” si dovette fermare e attaccarsi al tavolo per un improvviso abbassamento di pressione “carcassa davanti AD UN DANNATO FRIGO? Il NOSTRO frigo, Sherlock…”
Lo Psicosociopatico, come lui stesso amava definirsi, lo fissò con il suo solito sguardo innocente e la buttò in ironia, un suo grande classico: “Aveva bisogno di una ripulita. Gli stavo lavando i denti, non vedi? Oh, ma lascia che vi presenti. Mitch, John. John, Mitch.”
Li presentò puntando verso uno e poi l’altro quel maledetto spazzolino.
“Ah! Davvero molto divertente, davvero, Sherlock” e gli puntò un dito contro “Tu, tu… Oh, God!”
“Non capisco perché te la prendi tanto sinceramente” fece notare l’uomo con tono distaccato, mentre esaminava quel ‘referto’ mettendoselo davanti al naso.
Ed aveva ragione. Perché se la stava prendendo a quel modo? In fondo erano anni che Sherlock lasciava cadaveri e pezzi organici di qualunque foggia e natura per casa, c’era da stupirsi? Ma erano anche due anni che non lo vedeva… che non ci fosse più abituato? No, ne dubitava.
Che invece se la stesse prendendo con lui per quello che era successo, per i suoi dubbi? Sherlock lo aveva capito, aveva captato i suoi pensieri?
Si rese conto che erano tante le domande che gli frullavano in testa sia da rivolgere a Sherlock, che a se stesso. Ma aveva dimenticato la più importante.
“Che è successo ieri sera?” chiese.
Sentì che era avvenuto qualcosa di… spiacevole. Era decisamente una brutta sensazione. Eppure non ricordava nulla, per quanto se ne sforzasse e provò la stessa irritazione di quando non riusciva a ricordare i sogni che da un po’ a quella parte lo tormentavano.
Stranamente, sempre che qualcosa potesse definirsi normale in Sherlock, l’uomo non gli rispose, ignorandolo con una smorfia sulla bocca e fece per andare nel salotto.
“Almeno sapresti dirmi dove è il mio cellulare?” chiese cercando di non perdere il controllo.
Di schiena, Sherlock puntò il dito al caminetto.
“Grazie, eh” fece passandogli accanto ma in cambio non ricevette neanche una parola o un gesto.
Si sedette sulla poltrona, quella vicina alla cucina, e guardò lo schermo.
24 chiamate e 6 messaggi. Per un attimo andò in panico.
Aprì la finestra delle chiamate perse e scoprì che tutte erano della sera precedente e che tutte erano di Mary, tranne una sola di Sherlock.
Dei cinque messaggi, quattro erano di ieri sera: due di Mary.
“John, ti prego, dove sei? Ho chiamato Sherlock per sapere come stai ma neanche lui risponde. Ti imploro di chiamarmi al più presto. Mary.”
L’altro recitava invece: “Sherlock ti sta cercando.”
E gli altri di Sherlock.
“WATSON.
RISPONDI.
ORA. ”
“MARY E’ PREOCCUPATA.
DOVE SEI?”
L’unico di oggi era di Mary. Inviatogli nel pomeriggio.
“Tesoro, appena ti riprendi chiamami.
Mary”
Di nuovo il senso di colpa lo attanagliò. Più forte che mai.
Si alzò ed andò nella sua stanza, alla ricerca di un po’ di privacy. Cliccò il tasto della cornetta con il battito del cuore un po' accelerato e la chiamata partì.
Cosa le avrebbe detto? Cosa lei avrebbe detto? Cosa avrebbe dovuto dirle?
Al secondo squillo rispose.
 “John, tesoro!” squittì la voce di lei.
Si aspettava che gli urlasse contro, fuori di sé ed invece eccola lì con voce sollevata che lo chiamava tesoro. Di tutto si attendeva tranne una reazione del genere e questo complicò di certo la fase della risposta.
“Mary, si, guarda…” cercò di iniziare una frase logica, di senso compiuto ma lei lo tolse dall’impiccio.
“Amore, ti senti meglio?” gli chiese con voce sinceramente preoccupata, che non accennava al minimo senso di rabbia.
“Si, io…” si grattò la testa. “Non so quanto Sherlock ti abbia detto ma…”
“Lo so che ti sei ubriacato” lo anticipò la sua fidanzata.
“Okei, allora…” presto un sospiro partirono le scuse a raffica.“Tesoro, mi dispiace. Sono desolato. Non è da me, non sono un ubriacone, figuriamoci. Non bevo quasi mai, lo sai.”
“Basta, John. Basta scuse. Non c’è niente da dire. L’unica cosa che ti chiedo è: c’è qualcosa che non va?”
Quella domanda gli fece inarcare le sopracciglia. Era la più ovvia eppure era quella a cui non aveva pensato e che lo colse talmente impreparato che dovette aspettare ben dieci secondi per risponderle: “No, Mary, tutto ok, niente di cui preoccuparsi, davvero.”
Una bugia. Una sola. Solo per questa volta. Non faceva male a nessuno, no?
“Ok, ti credo” e sentì la voce di lei improvvisamente intristirsi.
“No, Mary, non pensare quello che stai pensando qualunque cosa tu stia pensando.”
La sentì sorridere, se fosse finto o vero quel sorriso non lo avrebbe mai saputo: “Ti amo, John.”
“Ti amo anch’io.”
E il suono del bip bip del telefono risuonò nelle sue orecchie come una accusa svuotandolo di quella poca energia che gli era rimasta.

Salve!
Si, dopo neanche un giorno ho pubblicato il nuovo capitolo. Deve essere una specie di miracolo dato che solitamente sono lentissima ad aggiornare. Meglio così per tutti. Sarà che per una volta ho già praticamente la storia in testa, dall'inizio alla fine; sarà che ho finito due ore fa di vedere la seconda puntata... chissà.
Scrivete una recensione, se avete un po' di tempo da perdere, mi farebbe davvero piacere.
 
Mi scuso se lo avete trovato un capitolo "corto" ma vi lascio con la promessa che aggiornerò al più presto (non sperate nella tempestività che ho mostrato in quest'occasione, comunque ;D). 
Ho visto che è molti hanno messo già tra i seguiti/preferiti la storia solo dopo un capitolo, wow. Ringrazio tutti voi e in particolare Vanth_ per aver recensito.
Un abbraccio e al prossimo capitolo!
FranciscaMalfoy
   
 
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