Polvere di
Stelle
Il
cielo era di un blu
intenso trapunto di stelle quando Hermione Granger varcò il
cancello del parco
degli Champs Elysées a Parigi.
Era un’occasione più unica
che rara vedere quel cielo lucente e sgombro da nubi in Dicembre
inoltrato, ma
le luminarie natalizie che invadevano la città e il parco in
questione
impedivano ai più di notare lo scintillio dorato di quelle
gemme celesti,
mentre la restante percentuale nemmeno se ne interessava, troppo presa
dalla
frenesia collettiva di ritrovarsi in Place de
Anche lei avrebbe dovuto
festeggiare, al ristorante con i suoi genitori, con i quali aveva
trascorso
quella piccola vacanza lontana da maghi, magia, incantesimi e tutto
quello che
le poteva far ricordare i mesi bui che si era appena lasciata alle
spalle.
Solo poco tempo prima era
riuscita a ritrovare i suoi genitori in Australia e, da quando aveva
sciolto
loro l’incantesimo di memoria, non aveva più
voluto staccarsene, memore di
tutta la sofferenza provata al pensiero di non rivederli mai
più. Quindi era
stato ancora più difficile abbandonarli in albergo e uscire
nell’aria fredda di
Parigi, rispondendo tacitamente ad un invito che ancora non riusciva a
comprendere.
Lo vedeva ancora, poggiato
sul letto come un foglio qualsiasi, notato non appena era uscita dal
bagno gocciolante
e con solo l’asciugamano addosso. Ricordò di aver
pensato che si trattasse di
uno scontrino o di un messaggio dell’hotel lasciato
lì da una cameriera. Ma
quando si era avvicinata e l’aveva preso in mano aveva capito
subito che non
era così.
Non si trattava di semplice
carta, ma di pergamena e anche molto pregiata, con ghirigori dorati
agli angoli
e un profumo che sapeva di nuovo e di costoso.
Aveva aggrottato le
sopracciglia ancor prima di leggere cosa vi era scritto e solo dopo
averne
annusato quell’odore intenso e pungente che le faceva girare
la testa ed
inebriare i sensi.
Poche parole erano scritte in
una calligrafia sottile ed obliqua. Elegante.
“Ho qualcosa
che ti appartiene.”
Poi il luogo e
l’ora
dell’appuntamento, niente di più.
Si era sentita avvolgere da
una strana agitazione. Una cupa inquietudine le aveva stretto il petto
come in una
morsa, quando avrebbe solo dovuto provare perplessità e una
punta di sospetto
per quel messaggio strano ed incomprensibile.
Si era chiesta incessantemente
se avesse perso qualcosa o se (pensò al culmine della
preoccupazione) qualcuno
avesse preso una persona a lei cara per minacciarla in qualche modo.
Non sarebbe stato tanto
strano, pensò. Non dopo la guerra che si era appena conclusa
e non dopo il suo
contributo nel mettere nelle mani della giustizia numerosi Mangiamorte.
Forse qualcuno di loro voleva
fargliela pagare.
Nonostante tutto non aveva
pensato nemmeno per un attimo di ignorare quel messaggio.
Perciò si era
vestita, aveva inventato una scusa per i suoi genitori ed era uscita
nell’aria
fredda di Parigi alle ventitre in punto. E ora si trovava
lì, nell’ingresso di
quel parco immenso, a chiedersi se avesse fatto bene ad essere
così avventata.
Affondò le mani nelle tasche
del cappotto e strinse le dita attorno alla bacchetta, in modo da
essere pronta
nel caso fosse stata aggredita. Poi, con la sciarpa ben stretta attorno
al
collo e mostrando più coraggio di quanto ne avesse in
realtà, si avviò tra le
file di alberi attraverso il quale si arrivava ad un fiumiciattolo
calmo ma
profondo sulla cui riva aveva sempre amato giocare da bambina.
Il parco era illuminato a
giorno da luci dorate e argentate appese sugli alberi e tra i cespugli
bassi,
rendendo bene l’aria di festa che già si respirava
in ogni angolo della città. A
dispetto di quella meraviglia, però, il parco era quasi
completamente deserto:
qualche coppietta cercava intimità sulle panchine
più riparate e ogni tanto si
intravedeva qua e là un venditore ambulante che arrostiva
caldarroste
profumando l’aria già pregna di neve, foglie
secche e oscurità.
Hermione però non vi faceva
caso mentre camminava sicura e decisa verso il luogo
dell’appuntamento, con il
cuore che le batteva all’impazzata dentro il petto per la
curiosità e la
tensione.
Quando voltò un angolo
formato da un mucchietto di alberi abbastanza fitto da sembrare un
boschetto,
il luogo dell’appuntamento le si parò davanti in
tutta la sua bellezza.
La grossa quercia in riva al
fiumiciattolo aveva il tronco corto e la chioma estesa, tanto che i
suoi rami
più bassi sfioravano la superficie dell’acqua con
leggera delicatezza,
increspandola appena al loro tocco.
Qualcuno aveva attaccato
delle lucine anche lì e queste si riflettevano, luminose e
tremolanti, come
fiammelle di candele mosse dal vento,
nell’oscurità intensa del fiume, dando la
sensazione che provenissero dall’abisso.
Hermione si avvicinò cautamente.
Lì intorno non c’era nessuno e lei si
sentì improvvisamente sola e vulnerabile.
Non sapeva cosa aspettarsi e
chi aspettarsi. Non sapeva se fosse una trappola o uno scherzo di
cattivo
gusto, ma ormai era lì, non doveva far altro che attendere,
anche se
l’agitazione cominciava a corroderla lentamente.
Si avvicinò ancora di più
all’albero e poggiò la mano sul suo tronco,
sentendone la ruvidità anche sotto
i guanti di lana rossa che portava. Chiuse gli occhi e ad un tratto era
ancora
la bambina che leggeva sotto quella chioma con i piedini immersi nelle
acque
fredde e calme del fiume.
Era stata lì per tante di
quelle estati in quegli anni che era un po’ come se fosse
casa sua, per questo
motivo si chiese se chi le aveva mandato quel messaggio sapesse che
quello era
uno dei suoi posti preferiti in assoluto.
Con gli occhi ancora chiusi
respirò l’odore di legno e di foglie, misto a
quello più freddo e penetrante
del fiume. Era un odore intenso, familiare, che piano piano le sciolse
il nodo
di tensione che si portava dietro da quando era uscita
dall’albergo.
Quando li riaprì trasalì
vistosamente, allontanandosi di parecchi passi e tirando fuori
immediatamente
la bacchetta. Aveva visto un movimento appena percettibile dietro la
chioma
corposa della quercia e ora, lontana dal punto in cui si trovava poco
prima,
vedeva che aveva avuto ragione, mentre gli occhi mettevano a fuoco la
figura di
un uomo che scivolava via dalle ombre in cui si era nascosto.
Come se quelle gli fossero
amiche o avessero stretto con lui un patto di affetto e
fedeltà, Hermione non
riuscì a scrutare il suo volto neanche quando fu ormai a
pochi passi da lei.
Solo dopo qualche istante si accorse che l’uomo indossava in
realtà un mantello
con il cappuccio alzato e calato sul viso.
Cercò di riprendere tutto il
suo sangue freddo e quando parlò la sua voce era ferma,
anche se tremava
impercettibilmente sotto il cappotto.
- Chi sei tu?-
L’uomo (o almeno pensava
fosse un uomo data la statura) non si mosse, né
parlò. Sembrava che la stesse
scrutando attentamente e Hermione poteva sentire il suo sguardo che
indugiava
sui tratti del proprio viso e sul suo corpo come una scia infuocata,
anche se
non lo poteva vedere.
- Mi dispiace averti
spaventata. Abbassa la bacchetta, non ti farò alcun male. -
Trasalì di nuovo, sempre più
sorpresa. Ma non abbassò il braccio.
- Sei stato tu a farmi
recapitare quel messaggio? -
- Sì. –
C’era qualcosa nella sua voce
roca. Qualcosa di indefinibile e familiare, come un ricordo che non
riusciva a
penetrare gli strati della memoria.
- Chi sei? – Gli chiese
ancora.
Ma l’uomo non rispose. Al
contrario, si avvicinò ancora di qualche altro passo,
inchiodandola al suo
posto come sotto l’effetto di un Petrificus.
Uno strano formicolio le
invase tutto il corpo, come se la vicinanza di quello sconosciuto le
accendesse
sensazioni che non sapeva nemmeno di possedere.
Rimase congelata sull’erba
rada del parco, rigida e all’erta, come in attesa che
l’uomo le sferzasse un
colpo a tradimento. Ma, contrariamente a quanto si aspettava, quello
allungò il
braccio di fronte a sé, portando sotto i suoi occhi la
propria mano stretta a
pugno.
Lei rimase a fissarlo,
perplessa, mentre nei successivi secondi, come un fiore che dischiude i
suoi
petali, il pugno si aprì lentamente, mostrando un piccolo
oggetto dorato poggiato
sul palmo della mano guantata di pelle nera.
Hermione trattenne il fiato
sbalordita tanto che la bacchetta le sfuggì di mano,
atterrando, con un tonfo
morbido, sull’erba ai suoi piedi.
Con mani tremanti, raccolse la
catenina che l’uomo misterioso le stava porgendo. La
alzò di fronte ai suoi
occhi e osservò sgomenta la piccola clessidra che vi era
appesa: una Giratempo!
Improvvise e amare lacrime le
rigarono inaspettatamente le guance, mentre tra le labbra, come un
sospiro o un
gemito di dolore, le sfuggì il nome che si era tenuta chiuso
a chiave dentro al
suo cuore per tutti quei mesi.
- Draco… -
Chiuse gli occhi e, come se
avesse girato la clessidra più volte, si ritrovò
catapultata ad Hogwarts,
parecchi mesi prima, quando la battaglia era al suo culmine.
Correva tra una
miriade di calcinacci, scavalcando
corpi ormai privi di vita e pareti che erano crollate sotto
l’effetto degli
incantesimi e dei bombardamenti esterni. Alla sua sinistra una grossa
porzione
di castello era stata distrutta e ora vi entrava un vento forte e
freddo che le
scompigliava i capelli e le faceva entrare la polvere negli occhi.
Scendeva senza nemmeno vederle le scale che portavano
al secondo piano, ma un colpo devastante le fece crollare proprio in
quel
momento.
Cadde, per parecchi metri, sommersa da pietre e
detriti.
Il colpo le mozzò il respiro, facendola annaspare in
cerca di quel po’ d’aria che l’avrebbe
rimessa in sesto.
- Hermione!-
Qualcuno la chiamava, la cercava, ma lei non riusciva
a rispondere. Non riusciva nemmeno a respirare: qualcosa le opprimeva
il petto.
Un rumore di passi e macerie spostate le fece alzare
lo sguardo, mentre i suoi occhi annebbiati di lacrime e dolore
mettevano a
fuoco la figura di un ragazzo agile e magro che tentava in tutti i modi
di
crearsi un varco verso di lei.
- Hermione! -
Solo un sibilo uscì dalla sua bocca, ma fu sufficiente
per far sì che il ragazzo la trovasse.
- Non muoverti! Ti tiro subito fuori. -
La sua voce era piena d’angoscia, ma i suoi movimenti,
al contrario, erano decisi e sicuri e lei piano piano si
sentì libera da
quell’oppressione, mentre il ragazzo la liberava dalla
scalinata che le era
crollata sul petto.
La prese in braccio con cautela e la portò in un
corridoio stretto e deserto.
Non sapeva più dove si trovasse.
Il ragazzo l’adagiò delicatamente sul pavimento e
la
scrutò attento, facendo vagare le sue mani sul viso, sulle
braccia, sul petto,
controllando se ci fosse qualcosa di più serio sotto quegli
ematomi e graffi
superficiali.
Lei, di contro, non si muoveva, fissandolo in quegli
occhi chiari e chiedendosi come fosse possibile che il ghiaccio potesse
sprigionare tanto fuoco.
- Ti prego, rispondimi! Stai bene?-
Lei annuì – L’ho trovata. –
Con uno sforzo quasi sovrumano si portò le mani al
collo e estrasse da sotto i vestiti la catenina con
Draco la guardò con un misto di terrore e sollievo e
fece per prenderla, ma Hermione chiuse le dita attorno ad essa,
portandosela di
nuovo vicino al petto.
- Vado io. – Disse, con una voce talmente flebile da
farla apparire più debole di quanto fosse in
realtà.
- Non essere sciocca, sono io che devo farlo. Solo io
posso fermare tutto questo. –
- Ti ucciderà! –
- No, se non mi faccio scoprire. –
- Ci sarà anche l’altro te. –
- Lo metterò fuori combattimento e prenderò il
suo
posto. –
Scosse la testa, mentre migliaia di piccole fitte le
attraversavano il corpo – E’ troppo pericoloso!
–
Un sorriso sghembo gli si allargò sul viso – Se
con
questo vuoi convincermi a mandare te al mio posto devi aver battuto la
testa
davvero forte. –
- Draco… -
- Hermione! – La interruppe lui – Non me ne
starò con
le mani in mano mentre tutto viene distrutto per colpa mia, mentre
persone
muoiono a causa di una mia stupida scelta. –
Era sicuro, dannatamente sicuro. Il suo volto
rifulgeva dello splendore della determinazione. La risolutezza delle
sue idee e
dei suoi gesti si sprigionava dal suo corpo come mille scintille di
fuoco.
Hermione non riuscì a controbattere.
- Sta’ attento. – Disse soltanto - Se ti dovessero
prendere, se ti dovessero uccidere…-
- Non farò più ritorno, lo so. –
Altre lacrime le annebbiarono la vista, sfocando il
suo volto come acqua su un dipinto – Draco… -
Lui le prese il volto fra le mani – Lo faccio
soprattutto per te, non lo capisci? Per noi. Non potrei mai vivere con
questo
peso sulla coscienza, non riuscirei ad andare avanti se sapessi che
c’era
qualcosa che avrei potuto fare e l’avessi ignorata. Come
potresti guardarmi con
rispetto se facessi una cosa del genere? –
Lei scosse convulsamente la testa – Io non ti
guarderei mai… -
- Ora forse no. Ma un giorno, fra un anno o dieci
anni, quando ricorrerà questa data e ti ricorderai di tutte
le morti che ci
sono state in questo giorno, mi guarderai con biasimo e mi chiederai
perché non
ho fatto niente per impedirlo. Io, che potevo davvero fare qualcosa.-
Com’era diverso dal ragazzo che aveva conosciuto
parecchi anni prima, quello che non avrebbe esitato un attimo a
scappare per
salvarsi la pelle, o che avrebbe appoggiato la parte più
forte solo per poter
godere di un maggiore prestigio e di una maggiore
protezione.
Si chiese quando fosse cambiato, quando il ragazzo
vigliacco e presuntuoso avesse lasciato il posto a quel giovane uomo
pieno di
coraggio. Quando fosse comparsa quella scintilla di ardore nei suoi
occhi,
quando era stata sostituita alla freddezza glaciale sotto il quale non
si
percepiva niente, se non un abisso di gelo e di vuoto.
Forse era stato nel momento in cui aveva mentito per
salvare Harry dalle grinfie di sua zia e dei suoi genitori, a Villa
Malfoy. Forse
era stato nel momento in cui aveva assistito alla tortura atroce che
sua zia
Bellatrix aveva inflitto a lei senza nessuna pietà.
Forse era stato in quel momento che il tarlo del
dubbio e della colpa si era insinuato tra le crepe di quella superficie ghiacciata che
era la sua anima.
Forse per questo era fuggito insieme a loro,
aggrappandosi a Dobby prima che li materializzasse sulla spiaggia di
fronte a
Villa Conchiglia, mille miglia lontani da tutto quel dolore. Anche se
il
dolore, aveva imparato presto, ti segue come un’ombra,
indifferente al posto in
cui vai, incurante di quanto tu possa andare lontano.
Lei se lo portava dietro da anni quel dolore e forse,
lo capiva solo adesso, se lo portava dietro anche lui.
- Tornerò indietro nel tempo, al momento in cui ho
fatto entrare i Mangiamorte nel Castello. Distruggerò
l’Armadio Svanitore in
modo che nessun altro possa più usarlo. Impedirò
che avvenga tutto questo. Io
ho dato inizio a tutto, io ho permesso al male di penetrare queste mura
e io vi
porrò rimedio. -
Poi le aveva dato un bacio sulle labbra, dolce ed
intenso, e lei aveva impedito alla sua mente di pensare che fosse un
bacio
d’addio.
Mentre ruotava la clessidra, più e più volte, per
ritornare indietro di un anno, lui la guardava e nell’istante
immediatamente
prima del suo scomparire sibilò tra le labbra due parole,
due semplici parole
che sarebbero state la sua forza e la sua condanna nei mesi a venire.
Stringeva
talmente forte la
piccola clessidra dorata che temeva le si frantumasse tra le dita.
Non era cambiato niente. Non
era più tornato.
Se tutto fosse andato come
previsto non ci sarebbe dovuta essere nessuna incursione nel Castello.
Forse i
Mangiamorte avrebbero trovato un altro modo per entrare o forse
avrebbero spostato
la battaglia finale su un altro campo, ma Hogwarts non sarebbe stata
sotto il
dominio dei Carrow, né sarebbe stata utilizzata per
intimidire gli studenti, né
come campo di battaglia per quella strage sanguinaria.
Se tutto fosse andato come
previsto ci sarebbero stati sicuramente dei cambiamenti. Chi gioca con
il tempo
e muta anche un piccolo particolare insignificante non può
non aspettarsi di
trovare il proprio mondo stravolto una volta tornato.
E invece non era cambiato
niente: la guerra era proseguita, gli studenti e gli Auror avevano
continuato a
morire… e lui non era ritornato.
Se tutto fosse andato come
previsto sarebbe dovuto comparire nell’esatto punto da cui
era partito.
Hermione aveva aspettato
invano, con l’agitazione nel corpo e la speranza nel cuore,
finchè questa non
si frantumò del tutto una volta che Voldemort fu ucciso e
lei aveva perlustrato
personalmente l’intero Castello, senza trovare alcuna traccia
di Draco.
Non era più tornata ad
Hogwarts. In barba alla sua fama di celebre studentessa qual era non
aveva mai
terminato gli studi. Era troppo per lei ritornare lì dove
tutto era cominciato
e finito. Era sicura che avrebbe vissuto quei giorni con i fantasmi dei
suoi
amici e del suo dolore davanti agli occhi.
Perciò aveva accettato di buon
grado l’impiego di Auror al Ministero della Magia assieme a
Ron ed Harry, e
quella che stava trascorrendo in quel momento era la prima parvenza di
vacanza
e normalità che aveva da mesi.
Almeno fino a quel momento.
- Dove l’hai presa? – Chiese
con voce rotta, mentre cercava di scrutare, celati sotto al cappuccio,
i lineamenti
dell’uomo che aveva di fronte.
- Non posso dirtelo. – Disse
dopo una pausa carica di tensione.
- Che significa che non puoi
dirmelo? Sei stato tu a mandarmi quel messaggio, tu a dirmi di venire
qui, tu a
ridarmi
Un ostinato silenzio si
allargò tra loro, denso ed oscuro come le acque del fiume
che scorreva loro
accanto.
Hermione non lo potè più
sopportare – Rispondimi! – Sbottò,
avventandosi su di lui con entrambe le
braccia e scagliando i pugni sul suo petto.
L’uomo, preso alla
sprovvista, non fece in tempo a reagire e barcollò
all’indietro, andando a
sbattere contro il tronco della quercia, mentre il cappuccio gli
scivolava via
dal viso.
Hermione trattenne il fiato per
l’orrore.
Lui le voltò immediatamente
le spalle, ma ormai lei aveva visto. Aveva visto che in
realtà quello non era
affatto un uomo ma un ragazzo, probabilmente della sua età.
Aveva visto che
aveva i capelli chiari e lunghi e che gli nascondevano buona parte del
viso.
Aveva visto che portava una maschera, nera, come tutti i suoi abiti. Ma
aveva
visto anche qualcos’altro.
Un bagliore, il luccichio di
qualcosa nel buio, come gemme di cristallo che rifulgevano di luce
propria.
Si portò la mano alla bocca.
Il ragazzo fece per
andarsene, ma lei fu più veloce e lo trattenne per un
braccio.
- Lasciami andare. -
Quella voce. Quella voce che
prima aveva tentato in tutti i modi di associare a qualcosa di
familiare.
Quella voce ruvida che grattava le note delle parole come una patina
grottesca,
sotto al quale si celava la sua vera identità, il suo vero
timbro.
Non osava sperare così tanto.
Hermione non lo ascoltò. Al
contrario, si pose di fronte a lui e lo girò in modo che le
luminarie del parco
facessero luce sul suo viso.
Il ragazzo teneva la testa
bassa, mentre i ciuffi di quei capelli troppo lunghi gli coprivano il
viso. Alzò
una mano per spostarglieli, ma lui l’afferrò per
un polso, agile e veloce come
si ricordava che fosse.
- Non farlo! – La ammonì lui,
ma non c’era nessuna minaccia nella sua voce. Piuttosto una
preghiera, che non
sarebbe stata ascoltata.
- Ho bisogno di farlo. Ho
bisogno di vedere. – La voce di Hermione era decisa, sebbene
un fremito di
speranza misto a timore la faceva tremare appena.
Il ragazzo sospirò, come un
lupo ormai in gabbia che ha perso tutte le speranze di essere liberato,
e le
liberò il polso, rassegnato ormai all’inevitabile.
Hermione allungò nuovamente
le mani sul suo viso, spostando delicatamente i ciuffi biondi e
posizionandoglieli
dietro le orecchie. Una maschera di pelle nera copriva gran parte del
volto. Lei
la accarezzò delicatamente prima di sciogliere il laccio che
la teneva legata,
facendola scivolare al suolo.
Prima che questa toccasse
l’erba fredda e rada del parco lei aveva già
capito, mentre le sue dita
tastavano esitanti la pelle lucida e martoriata del ragazzo che aveva
creduto
morto per mesi.
- Draco… -
Aveva gli occhi chiusi, ma
lei lo aveva visto, inequivocabile, il bagliore che li
contraddistingueva.
Perciò non poteva sbagliarsi, quello era lui, anche se il
suo volto non era più
lo stesso.
- Draco. – Ripeté ancora. Ma
lui si ritrasse dalle sue mani, come se non potesse sopportare quel
tocco e
quel tono di voce così sollevato, così intenso,
così amorevole.
Riprese la maschera che era
caduta a terra e se la rimise – Non guardarmi. Non voglio che
tu mi veda così.
Io…sono un mostro!-
Le girò nuovamente le spalle,
allontanandosi da lei di qualche passo.
Guardandolo da quella
distanza Hermione si chiese come avesse fatto a non riconoscerlo: la
postura
delle spalle, i movimenti, l’eleganza innata erano gli stessi
che aveva visto
per così tanti anni.
- Che cosa significa? Tu…
come… - Deglutì rumorosamente, lo shock le aveva
fatto perdere del tutto la
voce e le aveva seccato la bocca - Perché non sei
più tornato? -
Non era la prima domanda a
cui aveva pensato. Ce n’erano altre che urlavano e spingevano
sulle pareti del
suo cervello. Come per esempio che cosa ci facesse a Parigi,
perché fosse
conciato in quel modo, perché non voleva che lei lo
riconoscesse, dove fosse
stato tutto questo tempo; ma inspiegabilmente questa era quella che le
pesava
di più sul cuore, quella che l’aveva fatta
soffrire in maniera così
inconsolabile in tutti quei mesi.
Lui emise uno strano suono, a
metà fra uno sbuffo e una risata – Non
è evidente? –
Hermione rimase perplessa –
No, non lo è affatto. –
A quelle parole lui si voltò
di scatto, mentre nei suoi occhi glaciali rifulgeva un ardore e una
disperazione che lei non gli aveva mai visto prima.
- Hermione, guardami, non
sono più io! – Urlò Draco strappandosi
di nuovo la maschera dal volto e
avvicinandosi a lei con una falcata.
Hermione trattenne il
respiro, mentre la luce della luna illuminava un volto completamente
devastato:
la parte destra era interamente ricoperta da piaghe e la pelle era
lucida e
tesa, come se si fosse bruciata. L’occhio destro la scrutava
da sotto una
palpebra priva di ciglia e, ora che guardava bene, anche il
sopracciglio era
scomparso, facendolo apparire nudo e vulnerabile al cospetto di quello
sinistro
che rifulgeva ancora dell’antica bellezza. La bocca era
ancora quella di un
tempo, tranne che per una lunga cicatrice che gli tagliava di netto
l’angolo
destro. Anche i capelli erano più radi da quella parte sulle
tempie, ma si
vedeva che stavano ricrescendo.
Hermione ricacciò indietro il
sapore amaro che aveva in bocca, fissando il suo sguardo in quello del
ragazzo
di fronte a lei.
- Ti sbagli, sei sempre tu. -
- Non è vero! – Sbottò Draco
coprendosi il viso con le mani. – Sono un mostro, un essere
deforme. Come
potevo presentarmi a te in queste condizioni? Odiavo il pensiero di
vedere
l’orrore e il disgusto impresso sul tuo viso. –
- Ma che cosa stai dicendo?
Io non ti avrei mai… -
- Non mentire! Ce l’hai anche
adesso. –
Hermione barcollò
all’indietro, come se Draco le avesse appena tirato uno
schiaffo. Abbassò gli
occhi e fece un respiro profondo, quando li rialzò erano
duri e freddi come
l’acciaio.
- L’orrore che mi vedi negli
occhi è dato soltanto dal tuo comportamento. Tu mi hai fatto
credere per tutto
questo tempo che fossi morto. MORTO, non lo capisci? Come puoi pensare
che per
me fosse peggio vederti in questo stato? Come puoi pensare che il
dolore che ho
provato nel saperti perso per sempre fosse meglio di vederti vivo, solo
con
qualche graffio in faccia? -
- Qualche graffio? QUALCHE
GRAFFIO?! Io sono stato bruciato con l’Ardemonio, Hermione!
Sono stato scoperto
e sono stato punito. Sarei morto se non fossi riuscito a scappare e
ritornare
al nostro tempo. Non ho risolto la situazione, non ho evitato che i
Mangiamorte
penetrassero nel Castello, non ho impedito a tutte quelle persone
innocenti di
morire. Non sono riuscito in niente! –
- Bè, benvenuto nel mondo
degli eroi. Non sempre si riesce in quello che si fa. Non sempre le tue
gesta e
i tuoi sforzi portano a qualcosa di buono. Al contrario, certe volte
lasciano
cicatrici ben peggiori di quelle che hai sul viso. –
Hermione fece un respiro
profondo, cercando di calmarsi. Poi si avvicinò a lui di
qualche passo.
- Draco, guardami! – Quando
lui non lo fece, lei gli mise due dita sotto il mento, costringendolo a
voltare
la testa verso di sé. – Come hai potuto pensare
anche solo per un momento che
io ti avrei rifiutato solo perché non sei riuscito nel tuo
intento? O solo
per…questo? – Disse, accarezzandogli delicatamente
con le punta delle dita la
parte di viso bruciata dall’Ardemonio.
Lui chiuse gli occhi a quel
tocco, ma lei non seppe dire se fosse per il dolore, il piacere o la
frustrazione.
- Queste cicatrici, che tu
ostini a nascondere con tanta insistenza, sono il simbolo del tuo
coraggio. Un
promemoria che rimarrà per sempre, certo, ma di cui non
dovresti mai
vergognarti. Anzi, dovresti esporle con orgoglio. -
Draco alzò la mano,
poggiandola su quella di Hermione e facendola scivolare davanti la
bocca,
inspirandone profondamente il profumo di vaniglia che emanava
– Mi sei mancata
così tanto! –
- E allora perché non sei
venuto subito da me? – Ripeté lei con le lacrime
agli occhi.
- Temevo che mi avresti
guardato con disprezzo. Temevo il tuo giudizio. Io non sono alla tua
altezza,
Hermione, non lo sono mai stato. Ora meno che mai. – I suoi
occhi chiari erano
cupi di angoscia – Tu meriti di meglio e di certo il meglio
non sono io. –
Concluse abbassando lo sguardo.
- La smetti di essere così
maledettamente egoista? – Sbottò lei infiammandosi
di colpo.
Draco fu esterrefatto – Egoista?!
Hermione, io sto solo… -
- Lo so cosa stai facendo. Ti
stai crogiolando nell’autocommiserazione, stai annegando nel
tuo stesso
orgoglio ferito. Perché è di questo che si
tratta, Draco, non di altruismo nei
miei confronti. Tu non sai affatto cosa voglio io, non puoi dirmi cosa
è meglio
per me e non venirmi a dire che sei rimasto nascosto per tutti questi
mesi
perché ritenevi che non fossi alla mia altezza,
perché non è vero. Tu l’hai
fatto perché ti sentivi distrutto, ferito, fallito e questo
riguarda te, non
me. Altrimenti perché saresti venuto qui mascherato come un
ladro con il chiaro
intento di non farti riconoscere da me? Che cosa avresti fatto se io mi
fossi
presa
Hermione lo fissò con le
guance arrossate dal freddo e gli occhi accesi dalla furia. Lui, al
contrario,
sembrava sbigottito, del tutto impreparato a quella scenata.
- Pensavo che saresti stata
meglio senza di me. –
- E da cosa hai dedotto
questa stupidaggine? Ripeto, tu non sai niente di quello che voglio io.
-
- Dimmelo, allora. Dimmi
quello che vuoi. –
- Voglio te! – Le loro voci
si erano alzate fino all’inverosimile. Se non fosse stato
l’ultimo dell’anno e
se non fossero state quasi coperte dal frastuono gioviale della gente
che
aspettava festosa la mezzanotte, sarebbero stati certamente sentiti
anche fuori
dai cancelli del parco. – E’ così
difficile da capire? Perché prima hai accettato
così facilmente quello che provavo per te e ora invece no?
–
- Perché prima ero diverso. –
- Diverso in cosa, Draco? IN
COSA? Io ti amo, non lo capisci? Ti ho amato anche quando eri solo uno
stronzo
purosangue, ti ho amato quando ti sei ricreduto, ti ho amato quando sei
scappato insieme a noi e ti ho amato quando hai deciso di fare qualcosa
per
risolvere la situazione. Non ho mai detto che avrei smesso di amarti se
non
fossi riuscito nel tuo intento o se fossi ritornato diverso da prima.
– Lo
guardò intensamente, cercando di fargli capire, attraverso
gli occhi, la verità
di quanto gli stava dicendo – Questo non mi fa cambiare idea
– Disse,
accarezzandogli nuovamente la pelle bruciata del viso – Non
avrei cambiato idea
nemmeno se fossi ritornato senza un braccio, completamente pelato o
paralizzato. Tu, qui – Gli poggiò la mano sul
cuore – Sei sempre lo stesso.-
Draco la guardava esterrefatto.
Come era possibile che lei lo volesse ancora? Aveva passato tutti quei
mesi
credendo fermamente che sarebbe scappata inorridita al solo vederlo e
invece…
Forse doveva ancora conoscerla
a fondo, forse non aveva ancora carpito l’essenza nobile e
magnifica che si
celava dentro di lei, anche se la si poteva percepire dalla
luminosità pura
dello sguardo e dalla splendida fierezza del viso. Ma ancora doveva
conoscerla
e non avrebbe chiesto niente di meglio dalla vita se non impararla a
memoria in
ogni suo pregio, in ogni suo difetto, sapere ogni cosa che le avrebbe
fatto
rischiarare il volto in un sorriso o indurire i lineamenti in un
cipiglio
arrabbiato. Voleva carpire il segreto di ogni sua ruga e di ogni sua
espressione, voleva leggerla come i libri che lei tanto amava.
- Avevo solo paura di un tuo
rifiuto. Ma adesso ho capito che ero io a rifiutare me stesso. So bene
di non
essere il cuor di leone a cui tu sei abituata e non sono certo di
riuscire a
diventarlo mai; ma se mi accetti così come sono, Hermione,
posso prometterti di
non farti mancare mai il mio amore, sperando di rimediare a tutte le
cavolate
che ho fatto nella mia vita. -
Hermione lo abbracciò di
slancio, stringendosi a lui così forte da sembrare che
volesse fondersi con il
suo corpo – Io ti ho già perdonato, Draco. Ma non
sono così forte come sembro.
Ho bisogno che tu mi stia vicino. Ho bisogno di te! Ti prego, non
lasciarmi mai
più da sola. – La sua voce sapeva di sospiri e di
lacrime.
Draco la strinse più forte.
- Non lo farò. Te lo
prometto! -
Quando i loro occhi si
incrociarono di nuovo avevano lo strano bagliore delle stelle che
rifulgevano
nel cielo e che ammiccavano silenziosamente al loro cospetto: quella
luminosità
interna e inspiegabile che sprigionano solo le persone innamorate.
Da lontano si sentiva il
conto alla rovescia di migliaia di persone unite in una sola voce.
Quando le
loro labbra si toccarono un boato di gioia e urla si propagò
nell’aria come una
bomba e i due ragazzi poterono intimamente immaginare che quelle
persone stessero
festeggiando anche per loro, mentre i fuochi d’artificio
coloravano il cielo e
scendevano sulla città incantata come polvere di stelle.
Avrei voluto pubblicarla il
giorno di Capodanno, ma la stesura ha richiesto più tempo
del previsto, quindi
eccola qua, un po’ in ritardo ma presente (chi mi conosce sa
già che cado
spesso in questo difetto).
Piccolo appunto: io non sono
mai stata a Parigi, quindi le descrizioni che ho fatto sono di mia
totale invenzione;
non prendetevela se ho detto assurdità.
Spero di leggere qualche
commentino da parte vostra e vi invito, se volete, a cliccare Mi Piace
anche
alla mia pagina facebook Sundayrose
Efp.
Un bacio a tutti.
Sundayrose