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Autore: Aqua_    08/01/2014    8 recensioni
Vi siete mai chiesti quale sia il lato positivo dell'essere una fangirl - o un fanboy, anche se sono decisamente di meno. O meglio, vi siete mai chiesti se ce ne sia uno? Perché, ammettiamolo, andare a dormire alle quattro di mattina, dopo una maratona di Sherlock, e alzarsi due ore dopo non è proprio il massimo. Specialmente se quel giorno hai una riunione, anzi, la riunione, quella più importante dell'anno, e l'unica cosa a cui riesci a pensare è... no, scusate, non posso dirlo, magari non avete ancora visto l'episodio, e io non voglio fare spoiler.
Comunque, quello che volevo dire è che la vita di una fangirl non è affatto facile, anzi, tutt'altro. O no?
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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L'ufficio del vecchio capo era bello. Davvero bello, pieno di mobili antichi e quadri che sembravano appena usciti da una mostra sul diciassettesimo secolo.
Non perché il capo li avesse rubati, solo perché erano di quel periodo. No, probabilmente erano copie ben fatte, perché dubito che potesse permettersi gli originali. Il massimo della trasgressione, per lui, era tenere il riscaldamento un po' più alto del solito. Giusto per farvi capire come andassero - e vadano tuttora - le cose qui al lavoro. Male. Molto male.
Comunque, se l'ufficio del capo era bello, quello del nuovo capo è mille volte meglio. È spettacolare, dico davvero, meraviglioso. A parte il fatto che è enorme, almeno il doppio del precedente, ha una finestra che dà direttamente sul Tamigi. Una vista mozzafiato. E, se devo essere sincera, vorrei che me lo mozzasse davvero, il fiato. Non sono psicologicamente preparata per ricevere una sgridata di quelle colossali - cosa che accadrà tra poco, sicuro come... come... di certo, insomma.
«Si sieda, prego.»
Il capo si piazza - sì, ho detto proprio piazza - dietro la scrivania con così tanta nonchalance da farmi venire voglia di prenderlo a schiaffi. Insomma, mi ha beccata a farmi i fatti miei sul posto di lavoro, potrebbe almeno fingere di essere un po' arrabbiato. Stizzito, se non altro. Invece no, è più che tranquillo. Tranquillissimo, come se non fosse successo niente, o come se la cosa non lo turbasse affatto - o peggio, lo divertisse.
Cerco di sedermi con la sua stessa tranquillità, imitando quella bellissima mossa felina che ho visto fare ad Isabel fin troppo spesso, ma riesco solo ad inciampare nei miei piedi, perdere l'equilibrio e finire, no, atterrare, sulla sedia con un tonfo tutt'altro che silenzioso. Il capo reprime un sorriso - o forse è più esatto dire ghigno - e io non posso fare a meno di maledire la mia geniale idea di qualche istante fa.
«Dunque, signorina Mills, vuole gentilmente spiegarmi cosa stava facendo al posto di lavorare?»
Eccola, la domanda che volevo a tutti i costi evitare. E adesso che gli dico? Oh, niente, leggevo fanfiction vietate ai minori su una coppia gay? No, meglio evitare. A parte il fatto che 1) dovrei spiegargli cos'è una fanfiction, e io non sono in grado di spiegare nulla, 2) potrebbe licenziarmi su due piedi per via del "vietate ai minori" e 3) non voglio che si faccia idee sbagliate su di me. Che poi, se mi licenzia, perché dovrebbe importarmi di quello che pensa?
«Io, ehm... stavo lavorando» mento.
Perfetto, Natalie, prendi tempo. E pensa ad una scusa decente, mentre lo fai.
«Stava lavorando? E su cosa, se posso saperlo?»
Oh, ehm...
Inventati qualcosa, e in fretta!
Diritti universali dell'uomo... no, già usato; giovani scrittori emergenti del mondo... no, non ci crederebbe.
Trovato!
«Mi stavo documentando sulla fauna del Kenya per quell'articolo che...»
Complimenti. No, davvero, brava.
Shh, taci, coscienza. È colpa tua se siamo qui.
Il capo sbuffa, ma senza togliersi quel ghigno pervertito... divertito, scusate, dal volto. Sto facendo la figura dell'idiota, d'accordo, ma potrebbe evitare di ridermi in faccia, no? E no, il fatto che io abbia fatto lo stesso mentre lui parlava, questa mattina, non vuole dire nulla.
«Signorina Mills, vuole fare un giro nella mia stanza del dolore?»
Eh?
Oddio, è un pervertito. Lo sapevo io. Un maniaco travestito da dirigente.
«La sua... cosa?»
«Stanza del dolore. Sa cosa succede là dentro?» domanda, indicando una porta alla mia destra.
Si trasforma in Christian Grey. Non ce lo vedo, onestamente, ma magari va a gusti.
Faccio comunque cenno di no con la testa, cercando al contempo di scacciare l'immagine di lui con una tutina di latex. Fosse Evan Peters, allora sì, ma lui... ugh.
«Lì, licenzio i dipendenti. Vuole essere la prima?»
Ripensandoci, la tutina di latex non è poi una cattiva idea.
«Non mi licenzi, la prego» lo supplico, sbattendo le ciglia come solo una donna sa fare.
Ovviamente, io non posso essere una donna, perché sono totalmente incapace di farlo. Spero solo di fargli così tanta pietà da convincerlo a lasciarmi il posto. D'altronde, dove la trova un'altra come me?
«Perché non dovrei? Mi dia una buona ragione. Insomma, a quanto pare lei mi ha preso per un cretino, mi scusi la parola.»
Oh sì, ti scuso, tranquillo.
Che poi, io non l'ho preso per un cretino. Sono quasi sicura che lo sia. Quasi. Forse un po' furbo è.
«Be', io... io...»
«Vede? Nemmeno lei ne trova.»
Okay, è l'ora di passare al piano B.
«La prego, la prego, la prego, la prego... Io ho bisogno di questo posto!»
Lo sto praticamente supplicando, dovrebbe avere davvero un cuore di pietra per non cedere.
«Perché?»
Perché? Mi ha davvero chiesto perché ho bisogno di questo lavoro?
«Ha idea di quanto sia difficile trovare un lavoro, di questi tempi? Se mi licenzia, avrebbe una senzatetto sulla coscienza.»
Okay, forse non è la cosa più adatta da dire, ma tant'è. Magari, facendo leva sulla sua coscienza - sempre ammesso che ne abbia una - riesco a rimanere qui, alla Clarkson Enterprise. Odio questo postaccio, ma è sempre meglio di nulla. E poi, io dovrei, teoricamente, pagare l'affitto del mio appartamento. Teoricamente. In pratica, sono indietro di un paio di mesi. Tutto perché ho speso la bellezza di duecento sterline per comprare il cacciavite sonico. Sì, quello di Doctor Who. Chiamatemi pazza, se volete, ma sappiate che averlo sempre sul comodino accanto al letto mi riempie di gioia, formula pomposa per dire che ci gioco tutto il tempo, neanche fosse vero.
«Mi sta ascoltando?»
Uhm... no. Decisamente no.
«Certo.»
Sono una bugiarda patologica, mi sa. Lui, però, non sembra essersi accorto della mia spudorata - ed evidente - menzogna, perché riprende a parlare come se niente fosse. Odio quando lo fanno. Dai, la mia capacità di mentire è quasi pari a zero, come si fa a non accorgersene?
«Dunque, riassumendo, lei non perderebbe il posto, verrebbe solo, come dire, declassata. Accetta?»
Faccio cenno di sì con la testa, sebbene non sappia affatto cosa stia accettando. Non è che mi importi molto, a dire il vero. Finché non mi licenzia va bene tutto, o quasi.
«Allora incominci a sbrogliare la sua scrivania e, mentre lo fa, mi porti un caffè. Poi, quando ha finito, venga qui. Ci sono un po' di carte da mettere in ordine.»
Adesso, le cose sono due: o sono appena diventata la sua serva, oppure la sua segretaria. Non so come - anche se, probabilmente, lui mi ha spiegato tutta la procedura - ma ormai ho accettato.
Uscendo dall'ufficio, mi lascio scappare uno sbadiglio colossale, uno di quelli che arrivano solo quando sei davvero stanco, e mi ritrovo a maledire la bella idea di stare sveglia per guardare le puntate, ormai viste già una decina di volte, di uno dei miei telefilm preferiti.
«L'ho sentito!» urla il capo, da dentro la stanza, facendomi arrossire per la vergogna - o meglio, facendomi andare a fuoco.
Per mia fortuna, i distributori automatici sono abbastanza lontani da dove sono io, praticamente dalla parte opposta dell'edificio, e la distanza mi concede il tempo di svegliarmi del tutto. Quando mi ci ritrovo davanti, mi viene in mente che lui, il signor Clarkson, non mi ha nemmeno dato i soldi per pagarglielo, il caffè. Se si aspetta che glielo offra io, si sbaglia di grosso. Lo prendo comunque, ma conto di farmi ridare la mia sterlina non appena arrivo nel suo ufficio.
«Lei mi deve una sterlina.» esordisco, appoggiando il caffè sulla sua scrivania.
«Scusi?»
«Una sterlina. O forse si aspettava che glielo offrissi? Non mi fraintenda, lo farei, ma...»
«Tenga.»
Mi interrompe ancora prima che finisca la frase, mettendo le monete sulla scrivania.
«La prossima volta, però, vada nella sala comune, al piano di sotto. Lì è gratis.»
Ah. Ecco, terza figuraccia. Mi sembrava che due fossero poche. E poi, lui come fa a saperlo? Io lavoro qui da quasi due anni e nemmeno sapevo che esistesse una sala comune - che fa molto Harry Potter, tra l'altro - mentre lui, che è arrivato da nemmeno un paio d'ore, sa già tutto. Glielo avrà detto suo padre, suppongo, oppure ha una mappa di tutto l'edificio e, al posto di aver segnato i passaggi segreti per arrivare da una parte all'altra, si è segnato i punti in cui danno caffè gratis. Che è probabile, mi sa.
«Finalmente, iniziavo a credere di dover scrivere io il tuo articolo!»
Oh, ciao, Natalie. Mi stavo chiedendo dove fossi. Com'è andata con il capo? Non ti ha licenziata, vero? Non può farlo.
«Mi sa di sì, Leah» sbuffo, iniziando a raccogliere i vari fogli che ho lasciato sulla mia scrivania.
Sono più che altro fogli che un insegnante definirebbe volanti, ma non ho alcuna intenzione di buttarli. Ci sono scritte un bel po' di stupidaggini, sopra, ma a me piace conservarli. Non si sa mai, magari tra una decina d'anni mi verrà voglia di rivedere cosa facevo quando ero una giovane donna in carriera. Oddio, in carriera mica tanto, dopo la mia ultima furbata.
«Si può sapere perché stai mettendo via tutto?» domanda Mike, l'ultimo arrivato.
«Il capo è in vena di cambiamenti» mi limito a dire, con un'alzata di spalle.
Lui impallidisce - no, sbianca - come se avessi detto una cosa chissà quanto spaventosa. Probabilmente ha paura di essere licenziato, e posso capirlo.
«Ti ha licenziata? Ti prego, Nat, dimmi di no.»
«No, Isabel, tranquilla. Mi ha solo declassata» spiego, facendo il verso a Mister Parolone.
«Declassata?»
Annuisco.
«In pratica, vuol dire che sono diventata la sua segretaria» biascico, sentendo addirittura le orecchie iniziare a scaldarsi per la vergogna.
Se ce una cosa che proprio non potrei sopportare è vedere quello sguardo di compassione negli occhi dei miei colleghi. Come quello che c'è negli occhi di Leah in questo preciso istante, motivo per cui distolgo lo sguardo da lei e abbasso la testa, in modo che i capelli mi coprano il viso. Rosso con rosso, perfetto. Non si nota nemmeno la differenza, ma, onestamente, non so se sia un bene o un male.
Mi ci vogliono tre viaggi per portare tutte le mie cose davanti all'ufficio del capo, tre viaggi lunghi e faticosi, nonostante le due stanze distino tra loro solo una decina di metri. Ma lasciate che vi dica una cosa, io non sono poi così sportiva, quindi anche solo uscire da casa e andare a prendere la metro - le cui scale sono appena davanti al portone del palazzo in cui vivo - mi costa una fatica immane. Potrei essere un po' pigra, lo ammetto.
«Venga.»
A quanto pare, i riflessi del capo sono estremamente pronti. Non mi ha nemmeno dato il tempo di bussare che già mi ha detto di entrare. O forse c'è una telecamera nascosta appena fuori dal suo ufficio, e lui da dentro riesce a vedere tutto ciò che accade.
«Ho liberato la scrivania.» mi limito a dire, mentre nella mia testa si insinua il dubbio su dove deciderà di mettermi a lavorare. Spero non nello sgabuzzino delle scope, anche se, probabilmente, è l'unica stanza libera. Se non si tiene conto delle scope, certo.
«Bene. Vieni un attimo qui, Natalie. Posso darti del tu, vero?»
«Certo.»
Da quando sono entrata, non ha alzato lo sguardo dallo schermo del computer. Cose di lavoro, probabilmente. Non che io ne sappia qualcosa, chiaro.
«Dimmi un po', che relazione c'è, esattamente, tra Harry Potter e Draco Malfoy?»
O. Mio. Dio.
Ecco perché non alzava lo sguardo dal desktop. Davanti ai miei occhi - e anche ai suoi, ovviamente - c'è la fanfiction che stavo leggendo prima che lui mi scoprisse e, dal suo sguardo, ho come l'impressione che gli piaccia.
   
 
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