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Autore: Miss Kon    08/01/2014    2 recensioni
Era stato affidato a lui, era stato messo nelle sue mani.
Completamente, ciecamente e -andava detto- stupidamente.
Schizofrenia ad alto livello, manie di grandezza e distorsione della percezione della propria identità.
Un cocktail davvero splendido, non c'era che dire.
Di quelli con troppo alcool che ti stordisce e rende incerto ogni tuo movimento.
Di quelli amari. Troppo amari.
Di quelli che la mattina dopo -e forse quella dopo ancora- ti danno un gran mal di testa.
E Loki, grazie a quel magnifico cocktail, di mal di testa ne aveva parecchio e da parecchio tempo.
[AU, NO COPPIE]
-Storia ispirata dal contest: “[Multifandom & Originali] Il masochismo è un pacchetto colmo di prompts ”-
Genere: Angst, Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Thor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia ispirata dal contest: “[Multifandom & Originali] Il masochismo è un pacchetto colmo di prompts ”

NESSUNA COPPIA.
Thor e Loki, AU.


PACCHETTO:
Genere:Malinconico.-
Titolo: Le sue mani. (Modificato in "NELLE sue mani")-
Avvertimento: Long-fic./
Citazione: Non voglio essere la tua unica speranza di una vita normale. (Il Cavaliere Oscuro)-
Canzone: Summertime Sadness (Lana del Rey)-
Luogo:Sotterranei.-
Colore: Verde scuro.-
Oggetto:Specchio.(accennato)-
Prompt generico: Nostalgia.-



Nelle sue mani.
“Kiss me hard before you go”



Era stato affidato a lui, era stato messo nelle sue mani.
Completamente, ciecamente e -andava detto- stupidamente.
Schizofrenia ad alto livello, manie di grandezza e distorsione della percezione della propria identità.
Un cocktail davvero splendido, non c'era che dire.
Di quelli con troppo alcool che ti stordisce e rende incerto ogni tuo movimento.
Di quelli amari. Troppo amari.
Di quelli che la mattina dopo -e forse quella dopo ancora- ti danno un gran mal di testa.
E Loki, grazie a quel magnifico cocktail, di mal di testa ne aveva parecchio e da parecchio tempo.
Un mal di testa che gli aveva regalato, a sua volta, un colorito da perenne malaticcio: delle occhiaie scure contornavano quei suoi occhi -dalle iridi verde scuro- donandogli un'ulteriore tonalità cupa, il tutto posto su una pelle chiara risaltata, a propria volta dai lunghi capelli neri.
Una volta, quella combinazione di capelli neri, occhi verdi e pelle chiara, era la base del suo charme e del suo fascino.
Ora sembrava solo lo spettro tisico di sé stesso.
Sbuffò amaramente, con gli occhi chiusi e una mano poggiata sulla fronte a reggergli il capo e ad aiutarlo a resistere all'emicrania che gli martellava le tempie.
Sentiva che la testa non gli avrebbe retto ancora a lungo.
Cosa aveva fatto di male per trovarsi lì? In quel luogo e a quel punto?


Summertime Sadness, era così che si intitolava.
O almeno così gli pareva.
“I just wanted you to know, that baby you're the best”
L'aveva sentita mugugnare ad un'infermiera e subito aveva preso a canticchiarla a sua volta, quasi fosse un pappagallo.
“Got my red dress on tonight, dancing in the dark in the pale moonlight”


Conoscete l'etimologia della parola nostalgia?
Loki, paleontologo e linguista, la conosceva troppo bene.
“Nostos”, dal greco “casa lontana”, più “Algos” che, sempre dal greco, si traduce “dolore”.
“Nostalgia” o anche dolore per la casa e/o gli affetti lontani.
Ma la sua conoscenza della nostalgia andava ben oltre la semplice ricerca etimologica.
Conosceva il significato vero di quella parola perché la provava.
Ne provava tanta e da tanto tempo.


Aveva un ritmo semplice, ben cadenzato. Era facile da memorizzare e lui lo aveva fatto.
“Got my hair up real big beauty queen style, highheels off, I'm feeling alive”
Probabilmente neppure ricordava davvero tutte le parole, ma non era importante.
“Oh, my God, I feel it in the air, Telephone wires above are sizzling like a snare”
A lui piaceva cantarla lo stesso, dove c'erano dei vuoti li colmava a piacimento.


Relegato nella grigia atmosfera in una Germania post-nazista -più precisamente nella grigia atmosfera di un paesino a sud di Berlino-, passando la stragrande maggioranza del tempo in un manicomio Loki Laufeyson, a soli 28 anni, viveva subissato dalla malinconia. E non sapete quanto avrebbe voluto dare la colpa di tutto ciò alla situazione in cui si trovava. Ma non ce la faceva.
La colpa non era della situazione ma di chi ce lo aveva portato a quel punto.
Suo fratello Thor.
O Meglio il fratello adottivo all'anagrafe esisteva sotto il nome di Donald Blake¹, da 5 anni ormai però urlava di essere “Thor di Asgard, figlio del potente Odino, padre di tutti gli dei normanni”.
Ma non era quello il punto.
E non lo era neppure quella sequela di disturbi, che 5 anni prima una dottoressa aveva definito con voce limpida e tono candido: “Causa di forte disadattamento della persona tale da limitare le normali attività di vita della persona”.
Quelle erano solo esasperazioni di una situazione già presente.
Loki non provava nostalgia solo da 5 anni a questa parte.
Oh, no, no, no! Magari! Sarebbe stato molto più semplice.


Anche se dove ammetterlo.
“Honey I'm on fire I feel it everywhere, nothing scares me anymore”
Per quanto il ritmo fosse bello sembrava essere una canzone triste. O almeno a lui metteva un po'di malinconia.
“I've got that summertime, summertime sadness”
Eppure la cantava lo stesso.
Chissà perché.


No, Loki provava nostalgia da 28 anni, da tutta la vita.
Non vi era mai stato un solo istante in cui era riuscito ad avere i suoi affetti tutti per sé.
Ovunque andasse, qualunque cosa facesse, qualsiasi scelta prendesse. Era indifferente.
Thor -Donald, dannazione! Era Donald il suo nome- era ovunque.
Nei gesti che faceva o non faceva.
Nelle compagnie buone o brutte che frequentava.
In ogni luogo in cui o da cui fuggisse.
Ovunque.
Sempre.

C'era Thor negli occhi del padre quando quest'ultimo lodava il figlio adottivo, senza davvero prestargli molta attenzione.
C'era Thor negli occhi della madre, quando cercava di consolare Loki dalla disattenzione del padre.
C'era Thor in tutte le sue conoscenze perché “Ah, ma tu sei il fratello di Donald!”.
Era in ogni frammento della sua vita a rubargli ogni cosa potesse e ad adombrarlo in ogni istante.
C'era da aspettarsi che fosse Loki quello destinato alla schizofrenia, non il perfetto Donald.
Eppure era successo.
L'irraggiungibile, l'inscalfibile e l'integerrimo Donald era crollato ed era divenuto un megalomane ex-dottore biondo che urlava ai 4 venti di essere figlio di Odino.

“S-s-summertime, summertime sadness”
Forse, segretamente si sentiva malinconico anche lui.
Non lo sapeva.
“Got that summertime, summertime sadness”
Sapeva solo che gli piaceva cantare quella canzone.
E la cantava.
“Oh, oh”


Loki sorrise amaramente, mentre una fitta lancinante alle tempie continuava a torturarlo.
Che ironia.
Odiava il nome “Donald” ciò nonostante quando il fratello adottivo era uscito di testa aveva trovato ridicolo chiamarlo “Thor”.
E per due anni si era rifiutato di chiamarlo così, mentre il padre e la madre, uno alla volta, erano crollati e avevano ceduto a quella bizzarria. Poi però aveva dovuto cedere, involontariamente, anche lui.
Dopo tre anni chiuso in uno schifoso manicomio a fare da assistenza a quello schizzato del fratellastro Loki aveva preso il vizio di chiamarlo “Thor” anche senza volerlo.
E lo detestava.
Ma non era un problema.
Era solo una delle tante cose per cui avrebbe voluto fargliela pagare.
Eppure, nonostante la lista dei rancori assai lunga, non si era mai vendicato. In fondo, a che pro lo avrebbe fatto?
Donal era morto anni fa, con quel suo maledetto crollo nervoso perenne.
Loki a vendicarsi se la sarebbe presa con un bambino troppo cresciuto che giocava ai super-eroi con un lenzuolo legato al collo a mo' di mantello. Sai che bella soddisfazione?


Ma non la cantava solo perché gli piaceva.
“I'm feelin' electric tonight,cruising down the coast goin' by 99”
In realtà sperava non piacesse solo a lui.


Il moro fece una smorfia.
Presto o tardi quel mal di testa avrebbe pur dovuto smettere. O almeno ucciderlo definitivamente. Era una cosa invivibile.
Non che poi ci fosse molto da vivere, chiuso per 16 ore al giorno nel sotterraneo di una manicomio.
Almeno prima Thor -Donald- aveva una stanza decente, con una grande finestra che dava sul giardino.
Poi, rubando un martello a uno degli inservienti che si stava occupando di riparare la gamba del letto, aveva cercato di volare fuori dalla finestra, usando il potere di Mijolnir.
Così avevano prima messo le sbarre alla finestra, poi lo avevano trasferito al piano terra.
Ma non pago di ciò, a due anni dal ricovero, Thor aveva preso il vizio di cominciare ad urlare frasi sconnesse, proferite con tono e linguaggio vagamente arcaici, e a cantare.
Così era stato spostato in isolamento, nei sotterranei.
Una vera gioia, quel miglioramento di situazione.


La cantava anche per Loki, io suo amato fratello.
Perché lo vedeva che sedeva affianco a lui ogni giorno.
“Got my bad baby by my heavenly side, I know if I go, I'll die happy tonight.”
E lo vedeva sedere affianco a lui con sguardo stanco, forse spossato dal ruolo di suo braccio destro.
Forse logorato dalle responsabilità di essere colui che sedeva affianco al suo trono, colui di cui si fidava ciecamente.


Come segno di apprezzamento il corpo e la povera testa del minore dei figli di Odino avevano iniziato a dolergli quasi a tempo pieno.
E quello sguardo smeraldino era passato dall'essere brillante all'essere semplicemente cupo e stanco. Tanto quanto Donald, anche Loki era difficilmente riconoscibile.
Quando si svegliava, la mattina, e si guardava allo specchio ciò che vedeva non gli piaceva. Aveva smesso di piacergli anni fa.
Ecco perché aveva lasciato che la polvere si depositasse ad opacizzarne la superficie.


Per questa cantava.
Voleva che fosse felice.
“Kiss me hard before you go”
Voleva che si riposasse dalle sue fatiche.
Voleva che fosse non solo fiero ma anche felice di essere il fratello del potente Thor.
“Summertime sadness”
voleva vederlo tornare a sorridere, voleva che quei suoi occhi verdi così brillanti un tempo e ora così stanchi e velati, tornassero vivaci come un tempo.
“I just wanted you to know, that baby you're the best”
Come quando erano piccolo e Loki gli faceva i dispetti, non aspettando altro che scoprisse l'ennesima sua marachella per poi scappargli ridendo.


Una fitta più forte lo corse e digrignando i denti chiuse gli occhi, nascondendo il verde delle sue iridi.
“Basta” sussurrò tra i denti.
“Basta. Basta. Basta” mormorò ancora, in un tono crescente.


Loki sapeva che lo avrebbe acciuffato.
Era lui, Thor, il più atletico dei due, ma non rinunciava mai a cercare di farlo dannare.
“I think I'll miss you forever”
A volte il padre, Odino, non sembrava capire e neppure la madre, la tanto dolce Gaea, sembrava capacitarsi di quel comportamento.
Ma Thor sapeva che il fratello lo faceva per attirare le sue attenzioni, perché si sentiva trascurato.



“BASTA” tuonò in fine alzandosi di scatto e con tanto impeto da rovesciare la sedia “Smettila, smettila, SMETTILA!” ringhiò ancora esplodendo inferocito.
L'altro -Thor, Donald, il suo fratellastro, suo fratello o almeno quanto ne restava- lo guardò sgranando un poco gli occhi, quasi non capisse il motivo della sua rabbia. E probabilmente era davvero così.


E a Thor andava bene, era tutto esercizio, correre in lungo e in largo tutto il bosco che cresceva affianco al castello più bello di Asgard, la loro dimora.
E poi quando lo acciuffava fingere di azzuffarsi.
“Like the stars miss the sun in the morning skies”
Per poi ridere assieme, mentre Loki metteva il broncio perché ancora una volta non era riuscito a farla franca.
“Later's better than never”


“Smettila di cantare, smettila!” esalò in un unico urlo esausto il moro.
Per un attimo il silenzio calò e quel sotterraneo triste e impersonale parve più freddo del solito.
“Smettila” sospirò ancora, in un lamento debole, Loki.
Il fiato ancora corto per l'urlo rabbioso appena emesso, gli occhi -di quel verde così intenso che a Donald piacevano tanto- esausti e il corpo ancora teso.
Come diavolo era finito lì?
Come diavolo ci erano finiti entrambi, lì?
Come diavolo aveva fatto ad arrivare a quel punto, Thor, e a trascinarlo con sé?
Il moro scosse il capo emettendo un altro lamento dalle labbra sottili, poi raccolse la sedia e l'avvicinò al letto del fratello, come non faceva ormai da anni.
Si sedette in silenzio. Gli enormi occhi del fratello ancora puntati addosso a seguirne i movimenti. Poggiò le mani sul letto, con i palmi rivolti verso l'alto.
“Thor, Donald, dammi le mani” gli chiese.
In mente ancora rimbombavano le parole di una delle ultime strofe della canzone del fratello “I think I'll miss you forever”.
Il biondo parve perplesso, anzi più spaventato che perplesso, ma dopo un attimo di incertezza, sotto lo sguardo attento -e quasi disperato- del fratello ubbidì e poggiò le proprie mani su quelle di lui, stringendogliele.
“Guardami” mormorò ancora il moro, ricambiando la stretta e prendendo tra le sue mani magre quelle grandi del biondo.
Thor alzò lo sguardo dalle mani e puntò la sua attenzione su quelle iridi verdi che gli erano sempre piaciute.
Ma questa volta il verde scuro degli occhi si vedeva male perché gli occhi -arrossati- erano coperti da un velo di lacrime e le iridi sembravano così quasi più chiare del solito; Thor avrebbe quasi scommesso che sembravano azzurre².
“Ascoltami” esalò, al voce che tradiva tutta la stanchezza e il dolore accumulati negli anni. L'interlocutore, nel suo infantilismo schizofrenico, annuì.
Loki prese un respiro e lo guardò.
Aveva sempre voluto abbandonarlo. Anzi a onor del vero avrebbe sempre voluto che fosse Thor ad abbandonarlo, avrebbe avuto un motivo in più per odiarlo.
Ma non era questo il punto.
Era che ora il moro era arrivato a un punto di non ritorno.
Non poteva più fingere.
“Thor, ascolta” sussurrò ancora, un nodo doloroso lo prese alla gola.
Mai e poi mai Loki avrebbe immaginato che avrebbe fatto così male, ma non poteva tornare indietro, non più.
“Io ora mi alzerò e me ne andrò, come tutti i giorni. Ma domani non tornerò. E non tornerò neppure il giorno dopo. Ne quello dopo ancora. Non tornerò più” spiegò, con la voce che vacillava, incerta, “Non voglio essere la tua unica speranza di una vita normale.” concluse, mentre la voce, per un solo breve istante, si spezzò.
Glielo aveva detto sua madre, ancora prima di partire per quella che era la più rinomata clinica europea “Loki, figlio mio tu sei la sua sola ancora di salvezza. La tua presenza è la sua sola speranza di una vita vagamente simile a quella normale, restagli accanto, ti prego”.
Ma ora non poteva più andare avanti quella recita.
Aveva nostalgia della sua vecchia vita e persino del vecchio Donald. E ne aveva troppa.
Ormai quel dolore era insopportabile.
L'uomo che una volta era stato Donald lo guardò con quegli immensi occhi azzurri come non capisse.
“Perchè?” domandò in fine, con quel tono di voce tanto altisonante, velato da una nota di incertezza.
Loki lo guardò, oltre alle lacrime anche un sottile velo di disperazione gli copriva gli occhi. “Thor, tu sei un dio normanno” gli spiegò cercando di parlare in termini che potesse capire “Io un gigante del ghiaccio. Non posso stare qui, lo capisci?”
Il biondo guardò nel vuoto, quasi non l'avesse sentito e con la testa non fosse più in quella realtà. Con amarezza Loki si chiese se con la mente non fosse in quella, da lui, tanto amata Asgard.
Poi, dopo alcuni interminabili attimi di stasi, Thor si decise a parlare.
“Loki, fratello mio, ti voglio bene! Non abbandonarmi”
“Non posso restare, non è qui il mio posto. Mi dispiace.” mormorò “Addio” esalò, guardandolo un'ultima volta, sempre deciso a non piangere, sempre con più dolore del previsto nel cuore.
Thor provò a fermarlo ma Loki fu irremovibile, con gesti lenti ma inesorabili si alzò e lasciò la sua presa, nonostante il biondo cercasse di trattenerlo, per poi voltarsi e dirigersi verso la porta, dietro la quale sparì pochi attimi dopo, per non tornare mai più.


“I think I'll miss you forever”
E piangeva, Thor.
Il possente figlio primogenito del padre di tutti gli dei.
“Like the stars miss the sun in the morning skies”
Piangeva come il Sole che ha perso le sue amata sorelle, le stelle del cielo buio.
Eppure il sole sapeva che non poteva vederle.
Ma piangeva lo stesso, perché faceva male lo stesso.
“Later's better than never
Even if you're gone I'm gonna drive, drive”



Per anni, nella clinica di Magdeburg³ uno degli internati, che si trovava nelle stanze di isolamento dei sotterranei, raccontò a tutte le infermiere che trovava -affascinando quelle che ancora
possedevano un briciolo di animo romantico- di come aveva perso nella via dell'arcobaleno l'amato fratello Loki e di come ogni giorno sperasse sempre che fosse vivo e in procinto di tornare.




NOTE:
¹→Nel film quando Thor entra alla base di ricerca costruita attorno a Mjolnir lo scienziato che lo recupera -e lo giustifica- lo chiama proprio così “Donald Blake” cosa, che a sua volta, è una citazione dal fumetto originale. Oltre a questa citazione -doppia poiché dal film e dal fumetto- ne ho sparse anche un altro paio da fumetto, come ad esempio il “Possente Thor” (nome della testata originale di Thor, la prima che arrivò in Italia) o anche Geae, il nome della madre è il nome che essa ha nel fumetto e non nel film, poiché io con il fumetto di Thor ci sono cresciuta non potevo evitare di farlo.
Spero che se tra i lettori c'è qualche cultore della testa fumettistica (tanto vecchia quanto quella nuova) abbiano apprezzato ♥

²→Sempre nel film si può notare che quando Loki è “malvagio” o comunque sta ingannando gli occhi gli diventano verdi, mentre quando è sincero e gli tornano i ricordi dell'affetto per il fratello -e tale sentimento incrina la sua voglia di vendetta- tornano azzurri come nel primo film, prima che iniziasse a detestare Asgard e la famiglia.
Tutto cioè è voluto ed è stato ammesso dai registi, mi pareva carino riproporlo qui anche perché la scena di addio riprende il momento finale del primo film quando Loki cade dal ponte d'arcobaleno e appunto lascia la mano e la presa di Thor.

³→Città realmente esistente, collocata a sud-ovest di Berlino.



NOTE AUTRICE: OmmiodioH! Che lavoraccio ç^ç
Spero che vi piaccia, vi ho sudato sopra 7 camicie e ci ho pure un po' pianto >3> Spero sia valsa la pena ♥
  
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