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Innervision
"Someone
who cares
Your own Personal Jesus
Someone to
hear your prayers
Someone who's there."
[Personal
Jesus – Depeche Mode]
Ancora
quel dannato specchio.
Tony lo vedeva davanti a sé, a pochi passi. Aveva imparato a
odiare ferocemente quella superficie lucida
sulla quale si proiettavano le sue paure o le sue speranze, e avrebbe
voluto infrangerlo in mille pezzi, se solo avesse potuto.
Invece si
avvicinò. Non poteva fare altrimenti: non aveva controllo
sul
proprio corpo quando si trovava in quel limbo terrificante ed oscuro,
frutto della sua mente sconvolta.
Stavolta intrappolata sulla
lastra riflettente c'era l'immagine di lui prima.
Prima dell'incidente, delle protesi e del mondo che gli era
crollato addosso. Si fissò negli occhi, ancora due, con un
residuo di vitalità a farli scintillare. Ma anche quel
riflesso era
pallido e debole, oppresso dalle preoccupazioni che segnavano il suo
volto di rughe premature. Assottigliò lo sguardo, perplesso,
e
riconobbe con un vuoto allo stomaco il reattore infisso nel
petto del suo gemello: era rudimentale, coi cavi scoperti e
proiettava un bagliore tremolante. Notò solo allora i
vestiti
stracciati e i lividi e i graffi che ricoprivano il suo corpo. Stava
guardando se stesso prima, sì, ma non poi così
lontano nel tempo. Eppure, in un certo senso in quel frangente era
più remoto che mai.
Quando era ancora
prigioniero, parzialmente inconsapevole di dover lottare davvero con
tutte le sue forze, ignaro di cosa volesse dire sacrificare qualcosa,
ma ancora strenuamente attaccato alla vita che gli sarebbe stata donata
contro ogni sua aspettativa. Un dono che, alla fine, aveva sprecato. Si
scoprì a
rimpiangere quei momenti, per quanto fossero stati dolorosi e
strazianti, perché nonostante il duro colpo che aveva subito
quando aveva
visto infrangere tutte le sue certezze, ne aveva poi trovate altre
più salde, più giuste. Si vergognò di
se
stesso.
Fu
allora che il suo riflesso poggiò le mani sul vetro.
Vetro.
Non
uno specchio, ma un vetro spesso che li separava nettamente,
invalicabile.
Tony, il nuovo Tony, poggiò anch'egli una mano su
quella superficie lucida, ma la ritrasse subito e la portò
davanti al
volto sbarrando gli occhi. Era di metallo. Ma era la sinistra, non la
destra. Si guardò le gambe, ed entrambe erano protesi,
così come
il busto, il petto, il suo intero corpo era costellato di giunture,
meccanismi e placcature metalliche. Scorse fugacemente il suo
vero riflesso e vide quello che sembrava un androide
terribilmente simile alle armature di Iron Man, col loro stesso
cipiglio minaccioso.
Fece un altro
passo agitato lungo la parete e notò uno strano riflesso ai
margini
del suo campo visivo, come se qualcosa incombesse su di lui.
Guardò
di scatto verso l'alto e, così lontano da essere appena
percepibile,
colse il brillio lontano del sole, oltre un muro d'acqua scura e
pesante e oltre un'altra spessa lastra di vetro. Si rese conto
solo allora di essere rinchiuso in una teca, simile a un
acquario subacqueo poggiato sul fondale marino.
Stralci di ricordi
onirici sfiorarono la sua mente – la spiaggia, il sole,
l'oceano,
Pepper, un'allucinazione idilliaca poi sprofondata in quell'incubo
–
ma erano tanto dolorosi che li ricacciò indietro con
rabbia.
Riabbassò il capo e i suoi occhi misero di nuovo a fuoco
il vecchio se stesso che lo guardava come in attesa, stranamente
calmo, sempre premendo contro il vetro coi palmi aperti. Sembrava
chiedergli qualcosa con lo sguardo – speranzoso? –
ma non
riusciva a capire cosa dovesse fare, a parte prendere atto di essere
probabilmente morto o in coma. Quello era probabilmente il suo
personale purgatorio.
Il suo doppio a quel punto
batté
piano sulla lastra trasparente, causando un lieve tonfo che
riverberò
sott'acqua, e riconobbe sul suo volto l'espressione tronfia e un
po'saccente che soleva fare quando qualcuno stentava a capire
concetti per lui ovvi e basilari. In quel momento si sentì
immensamente stupido.
Fu sicuro di vedere un sospiro che
abbandonava le labbra del suo gemello in una raffica di bollicine,
prima che battesse con molta più veemenza sul vetro,
stavolta con
entrambi i pugni. Una lieve crepa incrinò la superficie, e i
suoi
occhi si accesero di un brillio soddisfatto.
Finalmente capì. E
sferrò a sua volta un pugno al vetro.
Grazie alla sua forza inumana lo scheggiò visibilmente, e un
debole zampillo d'acqua sgorgò
nell'acquario. Un secondo, un terzo, un quarto pugno e la parete
finalmente si infranse, riversandgli addosso una violenta ondata
d'acqua; fu sommerso quasi del tutto e annaspò in cerca
d'aria,
prima di ricordarsi che il suo corpo metallico non ne aveva bisogno.
Riuscì a tenersi saldamente in piedi senza sforzo,
contrastando la pressione.
Solo allora
si accorse che il suo gemello boccheggiava, come se accusasse
improvvisamente il fatto di essere sott'acqua.
Tony, con le membra
d'acciaio insensibili e privo di polmoni che registrassero
la carenza d'aria, sfondò ciò che rimaneva del
vetro e protese un braccio verso se stesso. Gli afferrò
una mano, e all'improvviso non fu più lui. Perse la
percezione
rigida e fredda del suo corpo artificiale, trovandosi catapultato in
quello del vecchio sé, caldo, vivo e fragile.
Sbarrò gli occhi, sconvolto e con la mente che cercava
disperatamente di capire cosa fosse successo.
L'acqua adesso
pesava sul suo petto, ne sentiva l'abbraccio gelido e percepiva la
pressione insostenibile sui timpani che sfociava in un sibilo acuto.
Guardò in
basso e vide quello che fino a pochi istanti prima era stato lui,
ormai un guscio artificiale vuoto ed inerte sprofondato nell'abisso,
con le braccia tese verso l'alto come una statua sommersa.
I suoi
polmoni si dibatterono smaniosi d'ossigeno e ingoiò una
sorsata
d'acqua salata che gli oscurò la vista.
La coscienza perse la presa sul suo corpo, e
quando tentò di rimanere lucido la sua mente
incontrò solo il
nulla.
***
Non
si svegliava. Non si svegliava ancora.
Da quanto lo rianimava?
Troppo poco...o troppo?
Pepper si lasciò sfuggire un
singulto di disperazione, unito alla pressione delle sue mani sul
petto di Tony adesso di nuovo irrorato dalla luce rassicurante del
reattore che ne illuminava freddamente il volto pallido.
Quando se
l'era tolto? Quanto tempo poteva resistere prima di...
Pepper
scosse la testa con forza e continuò a comprimere il suo
torace,
perché non era il momento di fermarsi a pensare.
Non
voleva riflettere su cosa avrebbe voluto dire fermarsi. Sentiva le
sue braccia sottili dolere per lo sforzo, ma non si fermò
nonostante
i muscoli bruciassero e reclamassero una tregua.
Non doveva
fermarsi. Fermarsi voleva dire arrendersi.
Tony si era arreso, ma
finché lei resisteva poteva riportarlo indietro. Era per
quello che
era rimasta fino a quel momento, e anche se i suoi bagagli la
aspettavano al piano di sopra, anche se avrebbe già dovuto
essere
lontana, era ancora lì.
Non se n'era ancora andata: aveva preso la sua decisione.
Improvvisamente ricordò il volto e l'espressione di
Tony in quel giorno che sembrava lontano anni luce, quando dopo tre
mesi di dolorosa assenza era sceso sano e salvo da quell'aereo, e
come era apparso immensamente più forte e bello nel momento
in cui aveva respirato la libertà. E
lei era
lì, come sempre, per aiutarlo a rialzarsi. Ma allora lui si
era già
rialzato, anzi, si era spinto ancora oltre, era arrivato a volare
senza il suo aiuto.
Sentì una lacrima solitaria rigarle il volto
al pensiero, sommata a una rabbia cieca nei confronti di quell'uomo che
aveva consapevolmente scelto di lasciarsi scivolare nell'inerzia
rinunciando a contrastarla. Dopo essersi costruito un cuore
artificiale pur di non morire, aver costruito un'armatura pur di
rimediare lui stesso ai propri errori, e aver progettato delle protesi
pur di
non dover chiedere aiuto per camminare, gettava via tutto questo
perché pensava di non potercela fare, di non essere
abbastanza forte, quando lei sapeva che lo era stato sempre, per tutta
una vita.
Semplicemente, si era
arreso. Lui, Iron Man, aveva smesso di lottare.
Non gliel'avrebbe
permesso. Continuò a rianimarlo, instancabile.
Un flebile
sussulto scosse il petto di Tony.
***
Le
onde si infrangevano su di lui. Onde che si infrangevano anche sulla
sua mente e gli impedivano di focalizzare i pensieri. Tutti
scivolavano via insieme alla risacca, nel blu dell'acqua e poi
nell'indaco dell'oblio e infine nel nero dell'abisso spalancato sotto
di lui. Non respirava e i suoi sensi erano annichiliti. Sentiva
solo un rombo ovattato e scorgeva un flebile riflesso sopra di lui.
Acqua.
Era ancora acqua quella in cui fluttuava? I suoi
polmoni si contrassero ricordandogli il suo spasmodico bisogno
d'aria, ma lui non sapeva neanche dove fosse il resto del suo corpo e
rimase inerte.
Il suo cuore batté un debole colpo e un
impercettibile calore si propagò nelle sue membra,
donandogli pochi
attimi di lucidità in cui riuscì a catturare un
unico pensiero,
prima che questo venisse spazzato via.
Riemergere.
Doveva
riemergere.
Come?
O meglio, perché?
Il suo cuore batté
di nuovo, più forte, e l'acqua sussultò attorno a
lui.
Per
qualcuno.
Socchiuse gli occhi, tornati a svolgere il loro dovere,
e colse il lieve brillio del reattore.
Doveva riemergere, perché
qualcuno gli aveva detto di non sprecare la sua vita.
Un'altra
pulsazione e un altro battito.
La luce era più
vicina, adesso. La superficie era frammentata dai raggi del sole e
sembrava a poche bracciate da lui.
Doveva riemergere, perché
tutti contavano ancora su di lui.
Il suo cuore batté ancora, più
deciso, e l'acqua fu scossa dalla vibrazione.
Improvvisamente
voleva riemergere, per sentire di nuovo il sole
sulla sua
pelle, il vento tra i capelli bagnati e l'acqua che lo abbracciava
come una carezza e non come una morsa.
Voleva riemergere, perché
c'era qualcuno là fuori che lo chiamava.
L'abisso si spalancò
sotto di lui con le fauci pronte ad inghiottirlo, ma lui ormai era
fuori, tra le onde, e respirava.
FINE PARTE PRIMA
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Revisione effettuata il 04/03/2018
Note Delle Autrici:
Buongiorno cari lettori!
Prima di iniziare qualsivoglia sproloquio, crediamo sia necessario una piccola -eufemismo- introduzione.
Come potete ben notare non abbiamo aggiornato per qualcosa come nove mesi; di conseguenza abbiamo buoni motivi per credere che l'80% dei lettori e recensori si sia volatilizzato, abbia rimosso la storia dalle seguite, si sia rassegnato al fatto che la storia rimarrà incompleta e abbia semplicemente fatto vela verso nuovi lidi invece di stare ad aspettare un improbabile aggiornamento. E questo a noi sta più che bene: come dice il saggio, scriviamo prima di tutto per noi stesse; se poi otteniamo anche del seguito, ben venga e ben vengano critiche e commenti.
Adesso, qualche delucidazione sui vari motivi che ci hanno portate a una pausa così lunga.
Prima di tutto, il periodo tra Aprile e Giugno è stato per noi quanto di più vicino ci sia a un inferno e ci ha tolto qualsiasi voglia di scrivere o pubblicare o anche solo prendere in considerazione l'idea di continuare le storie che avevamo e abbiamo in corso.
Aggiunto a ciò, quest'estate è stato un periodo decisamente impegnato per entrambe, vuoi per la scuola -MoonRay ha cambiato indirizzo scolastico e ha avuto decisamente poco tempo per badare allo scrivere-, vuoi per problemi personali, vuoi per mancata ispirazione.
Ma più di tutto, il problema attuale è che noi due siamo da settembre a circa 1200 km di distanza.
Prendo brevemente la parola -Light-: sto partecipando a un programma annuale all'estero e sono attualmente in Germania, frequentando una scuola locale. Come potete ben immaginare non ho un minuto libero, tra scuola, studio della lingua, attività varie e viaggi-studio e nonostante mi sia trovata a scrivere più spesso che in Italia (!) non si tratta mai di cose inerenti a EFP o FanFiction. Ovviamente la lontananza, oltre che essere difficile per noi come amiche, è anche un ostacolo allo scrivere, dovendoci affidare a Whatsapp, Skype e Facebook per sentirci e questi non sono esattamente i mezzi adatti per elaborare qualcosa di scritto. Senza contare il fatto che, sì, lo ammettiamo, la voglia di scrivere ci era un po' passata in generale. Ho avuto svariati problemi da quando sono qua e l'aggiornare le tante FanFiction in sospeso non rientrava esattamente nelle mie priorità.
Chiusa parentesi egocentrica, riprendiamo a parlare al plurale.
Abbiamo deciso di dare una chance allo scrivere e in particolare a Phoenix, soprattutto perché il pensiero delle ore e ore passate a scervellarci su trama, personaggi e dettagli tecnici ci impedisce di abbandonare la storia senza neanche provare a continuarla.
Quindi, cercheremo in qualche modo di aggiornare ancora nel corso del prossimo anno -Light torna a luglio- o quantomento di procedere con la trama e i capitoli per poi pubblicarli in seguito. Non promettiamo nulla, come capirete la situazione è quel che è, e ad aggiungersi ai problemi tecnici c'è il fatto che in quasi un anno sono successe molte cose e altrettante ne accadranno. Diciamo che potrebbe diventare evidente un cambio di stile, considerando il fatto che siamo cambiate entrambe non poco in questo lasso di tempo.
Ma diamo tempo al tempo e vediamo che succede...
Intanto, ringraziamo tutti coloro che continueranno a seguirci e che hanno seguito e recensito Phoenix!
Grazie di cuore!
Moon&Light
P.S. Light: io chiedo venia per qualunque errore dovesse trovarsi nei pezzi scritti da me, ma mi sto bellamente dimenticando l'italiano a forza di parlare unicamente tedesco e inglese. Dopo la mia perla “libro” scritto “L'ibro” posso considerare la mia lingua madre defunta...
Edit 04/03/2018: la fine della prima parte della storia, Flames, è stata spostata qui. Non cambia nulla, in realtà, ma credo avesse più senso, visto che questo capitolo è un punto di rottura sia per Tony che per la storia in sé, visto che dal capitolo successivo comincia la scrittura "in solo". Lo trovavo appropriato, insomma. [-Light-]
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