Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Afaneia    09/01/2014    2 recensioni
È passato circa un anno dal ritorno di Rosso a Biancavilla e la sua storia con Blu pare finalmente essere stabile: Missingno ha abbandonato la sua mente e lui ha rinunciato alle sue ambizioni per vivere una vita quieta e serena. Persino Giovanni è ormai tornato per restare. Tutto sembra perfetto, finalmente, e Rosso e Blu decidono di fare il passo forse più importante della loro vita: quello di adottare un figlio.
Diventare genitore sarà senz'altro un'esperienza nuova per Rosso, che in vita sua non ha conosciuto mai che la solitudine delle cime innevate, e che non ha avuto molto tempo per essere bambino, quando era il momento; ma ad aiutarlo nel trovare la sua strada verso la paternità sarà forse la persona che meno si aspettava, ma che più di tutte al mondo pare comprenderlo, Giovanni, che ancora deve convivere con lo spettro di Mewtwo...
Il più grande desiderio di questi due uomini così diversi sembra ora quello di trovare la pace negli occhi dei loro figli.
(spin off della Saga della Prescelta Creatura; sconsiglio caldamente di leggerla a chi non avesse letto le precedenti).
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Giovanni, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buon pomeriggio!

Lo so, lo so, come mi ha fatto notare un lettore, è un sacco di tempo che non aggiorno. Il bello è che il capitolo era concluso già da un pezzo. Ma che dire? È difficile convincersi a copiare dal formato cartaceo a quello telematico. Perciò, lo pubblico oggi, con un caro ringraziamento a crystal_93 e a Fiulopis per le recensioni; con l'ultimo capitolo ringrazierò diffusamente chi ha aggiunto la storia a una qualche lista personale.

Che dire? Buona lettura a tutti!

Afaneia

E chi lo sa, se Dio avesse scelto un altro

per servire la sua volontà...

Non avrei cambiato vita.


(Le piaghe, dal film Il Principe d'Egitto, 1998)


Rosso trascorse una settimana senza ricevere alcuna notizia da Luisa. Finalmente, il venerdì successivo, la ragazza gli inviò un messaggio sul Pokégear. C'era scritto: Sarò lì alle nove.

Era per quel giorno, dunque! Rosso sprofondò di nuovo in quel suo inquieto, angosciato mutismo; ma Blu, pensando che semplicemente si fosse svegliato di cattivo umore, non vi fece caso e lo salutò semplicemente, affettuosamente baciandolo sulla bocca, come ogni mattina. Guardandolo uscire per recarsi in Palestra, Rosso provò una fitta acuta di colpevolezza alla bocca dello stomaco all'idea di tenergli nascosto qualcosa; ma dopotutto, pensò, Blu sapeva quanti segreti ed emozioni lui e Giovanni condividessero: l'aveva percepito, con la stessa forza con la quale aveva percepito quasi ogni suo pensiero da quando si conoscevano...

Drake era sveglio e irrequieto, quella mattina: probabilmente gli sarebbero presto spuntati i dentini e cominciava già a tormentarsi. Rosso lo coccolò a lungim riempiendolo di baci e parlandogli con quieta voce rassicurante, e nel frattempo, tra una coccola e l'altra, si vestì rapidamente, scomodamente; e alle nove in punto aprì la porta al primo suono del campanello, senza neppure chiedere chi fosse: Luisa ricambiava sorridendo al suo sguardo severo. "Buongiorno."

"Buongiorno" disse Rosso a disagio. "Benvenuta. Entra pure. Grazie di..."

Non terminò la frase. Nervosamente si accostò in silenzio al box e vi sistemò Drake tra i suoi pupazzetti e i suoi giocattoli. Drake scalciò e mugolò aggrappandosi coi pugni al cappuccio della sua felpa rossa.

"Sei nervoso?" domandò Luisa entrando. Chiuse la porta per non far passare spifferi: era giugno, ma di prima mattina l'aria era ancora fresca.

"Un po'" borbottò Rosso. Non gli piaceva sentirsi debole. Con voce più alta e decisa, proseguì: "Oggi è un po' uggioso... se vedi che comincia a piangere, dagli uno di quei giocattoli refrigeranti che trovi in frigo... verso mezzogiorno, la minestrina col formaggio. Noi non lo facciamo mai, ma visto che non è abituato a te, se non vuole mangiare puoi provare a distrarlo con i cartoni animati. Suppongo di essere di ritorno poco dopo l'ora di pranzo, quindi laverò io i piatti..."

"Rosso" disse Luisa sorridendo "Non preoccuparti. Non sono una mamma, ma ho fatto la baby sitter qualche volta; e sono sicura che io e lui faremo presto amicizia" soggiunse sorridendo, e con la mano accarezzò dolcemente, timidamente, il capo biondo e ricciuto di Drake. Al tocco della sua bianca mano ruvida e callosa, Drake parve immediatamente più quieto; finalmente, Rosso sorrise.

"Giochi sporco" disse a bassa voce. Ma Luisa scosse il capo: non era una sua scelta l'aura divina che trascendeva da lei.

"Va bene" disse finalmente Rosso con forza: gli pareva d'essere più calmo lui stesso. "Adesso vado. Dove...?"

"Presso le Spumarine" mormorò Luisa. Rosso la guardò con sgomento. "Sì. C'è una piccola grotta, molto, molto prima del luogo dove riposa Articuno. Non credo che ci saranno problemi per..."

"Va bene" disse Rosso con decisione. "Ce lo porterò io. Non c'è problema."

Sollevò Drake per un momento e lo baciò con affetto, cercando di fargli capire che sarebbe tornato presto. Poi, dopo averlo di nuovo sistemato nel box, si accostò in silenzio alla porta. Subito Drake si aggrappò alle sbarre del box e cominciò a piagnucolare e a gettare gridolini per richiamarlo.

"Non preoccuparti" mormorò Rosso. "Fa sempre così. Ma bisogna che impari a star tranquillo. Tornerò dopo pranzo, Drake" soggiunse rivolto al bambino "Te lo prometto."

Malvolentieri, si diresse alla porta e si convinse a uscire, ignorando le grida e i gemiti di Drake. "Lo distrarrò io" gli disse Luisa in tono di confidenza, prima che Rosso, richiudendo la porta, si avviasse in silenzio, cupamente, a passi svelti verso la casa che Giovanni aveva preso in affitto. Era solo una piccola casa a due piani nella periferia di Biancavilla, a forse dieci minuti a piedi dalla loro casa. Il giardino era spoglio e vuoto: Rosso bussò.

"Chi è?"

"Buongiorno, Giovanni. Sono... sono Rosso."

Seguì un attimo di silenzio. Poi: "Aspetta... ti apro subito."

Giovanni era in vestaglia. Questa fu una cosa che colpì Rosso molto profondamente. Era perfettamente lavato e sbarbato, ma era in vestaglia: sulle prime, Rosso non riuscì a parlare.

"Buongiorno, Rosso... non ti aspettavo."

Finalmente Rosso, come riscuotendosi dal suo stupore, balbettò: "Non volevo disturbarti, ma... ma ho bisogno che tu venga con me."

Ora anche Giovanni era stupito. Lo guardò fissamente. "Con te? Dove?"

"Con me... in un posto. Non posso spiegarti. Fidati di me."

Giovanni notò probabilmente il turbamento negli occhi di Rosso, il suo nervosismo, il tremore che agitava le sue mani. Sospirò profondamente. "Va bene... certo. Andiamo. Dammi solo qualche minuto per... tu, intanto, accomodati."

"Va bene" borbottò Rosso. Entrò in casa e richiuse la porta, ma rimase sull'ingresso: era un appartamento modesto e un poco buio, pulito, freddo. Giovanni si avviò in silenzio verso le scale: Rosso fece in tempo a esclamare: "Mettiti degli abiti comodi... vecchi."

Gli abiti comodi e vecchi di Giovanni erano una giacca e una maglia nera, pantaloni neri e mocassini neri. Rosso non disse niente.

Si diressero verso la spiaggia. Rosso percepiva il disagio di Giovanni, il suo stupore, la sua perplessità; e lo sentì ancora maggiore quando, sulla spiaggia, chiamò il suo Blastoise.

"Rosso! Ma dove vuoi andare?"

"Tu seguimi e basta" disse Rosso con convinzione.

"No! Non ti seguo finché..."

Ma senza ascoltarlo Rosso prese posto vicino al collo di Blastoise e dalla sua schiena si voltò a guardarlo coi neri occhi fiammeggianti. Allora, come convinto da qualcosa che vi aveva scorto, Giovanni obbedì.

"Attento... attento."

"Certo che è molto scomodo... non lo ricordavo."

"Ma no... è l'abitudine. Andremo piano."

Non parlarono più. Giunsero in vista delle Spumarine, finalmente ne raggiunsero le coste. Finalmente, una volta a terra, Giovanni parlò di nuovo.

"Ebbene? Ora mi spiegherai perché..."

Rosso lo guardò silente con sguardo cupo e pensieroso.

"Ho mantenuto la mia promessa" disse a bassa voce.

D'un tratto Giovanni ebbe tutto chiaro, dunque: vi era un'unica spiegazione alla tormentata agitazione di Rosso, a quel viaggio fino alle Spumarine... Rimase in silenzio per qualche momento. Poi: "Rosso, sei ben sicuro di..."

"Giovanni" disse Rosso "Entra là dentro."

"Rosso..." sospirò Giovanni. Ma quegli scosse il capo.

"No, Giovanni... è la verità. Fidati di me."

Giovanni, che aveva aperto la bocca per replicare, tacque bruscamente. Esitò. Rosso annuì col capo. "Fidati di me, Giovanni. Io ti aspetterò qui."

Colpito da un profondo tremore, come guidato da una forza irresistibile, Giovanni entrò.


Giovanni mosse il primo passo nella grotta lentamente, gravemente, quasi a fatica. Lo avvolgeva un'oscurità inquietante, angosciante, ma Giovanni non aveva avuto paura del buio mai, né nelle notti insonni né nei rifugi oscuri durante i lunghi, scomodi trasferimenti del suo esilio solitario.

Avanzò ansiosamente nel buio. Dov'era? Non vedeva nulla, non sentiva nulla, se non il rumore angosciante del proprio respiro. Da esso si accorse che ansimava.

Rosso doveva essersi ingannato, disse tra sé. Ben presto sarebbe uscito da quel luogo oscuro, sarebbe tornato da Rosso; lo avrebbe ringraziato, con tutto l'affetto del mondo, di aver tentato di aiutarlo, di placare il suo dolore; gli avrebbe poggiato familiarmente la mano sulla spalla e l'avrebbe ricondotto a Biancavilla, in tempo per pranzo.

No, pensò per l'ultima volta Giovanni, volgendosi con un groppo in gola- non c'era nessuno lì, proprio come aveva sempre saputo e come, forse, aveva in fondo al cuore sperato...

Ma l'entrata, da cui proveniva per lui una scarsa, fioca luce, scomparve improvvisamente. Giovanni lottò per non cacciare un grido: l'oscurità l'avvolse maggiormente, come neppure si era aspettato...

Un attimo dopo ardeva una luce dai riflessi azzurrini che rischiarava le punte aguzze delle stalattiti; Giovanni rimase immobile, quasi senza respiro, senza il coraggio di voltarsi a guardare...

Ma poi: "Eccomi." Quella voce! Era quella la sua, la sua voce! Era... oh, ma come voltarsi, come? E rischiare magari di vedere coi propri occhi che si era sbagliato, che non era Mewtwo; di accorgersi di non aver fatto che immaginare quella voce, senza averla realmente udita, per il solo desiderio grande che aveva della presenza di Mewtwo...

"Voltati." Era la sua voce inconfondibile, irresistibile; quasi senza volerlo, Giovanni si voltò. Sì: era il suo corpo possente, guizzante, muscolare; era il suo corpo bianco e violaceo, ingombrante, inquietante; e sul suo corpo ardevano due occhi chiari illuminati d'azzurro...

Vederlo fu un dolore, una rivelazione. Per Giovanni fu come un colpo in pieno petto e rimase infatti immobile, ansimante, quasi incredulo di fronte alla materialità, all'innegabilità della sua presenza. Mewtwo era di fronte a lui, era vicinissimo a lui, come a malapena era stato nei pochi mesi che aveva trascorso con lui.

Mewtwo non parlava. Dopo i primi lunghi secondi di silenzio ed immobilità, Giovanni mosse un passo avanti, tremando, esitando; ma bruscamente, quand'era in procinto di compiere il secondo, si trattenne. Lo aveva appena attraversato il tragico ricordo del giorno della fuga di Mewtwo, la sua rabbia, la sua disperazione, il suo dolore. Era poi certo che Mewtwo lo avesse perdonato?

Tuttavia, d'improvviso, sotto l'altero sguardo azzurro di Mewtwo, egli percepì come un'illuminazione inaspettata ciò che da lui Mewtwo si attendeva; ciò che da sempre, forse inconsciamente, Mewtwo aveva sperato, inquietamente, di ricevere da lui, per porterlo perdonare e, finalmente, trovare pace. Sì! Giovanni d'improvviso comprese cosa doveva fare perché entrambi potessero trovare pace, e mentre Mewtwo lo scrutava con sguardo fermo, egli mosse un deciso passo in avanti: erano a pochi centimetri di distanza, vicini come non erano stati mai. Giovanni si sentì davanti a lui nudo, spogliato, impotente, umile, ma soprattutto colpevole; tuttavia, cercò profondamente dentro di sé quel coraggio che gli occorreva e disse: "Perdonami. Se ho sbagliato, è stato per averti amato troppo, e non aver mai avuto il coraggio di mostrartelo."

Ecco, la semplicità di quelle parole, di quella frase. Per quanti anni Giovanni aveva pensato a cosa mai avrebbe potuto dire a Mewtwo: aveva sognato infiniti, melodrammatici discorsi, aveva sognato grida, scontri forse; e ora finalmente aveva capito cos'era che bisognava dire.

E allo stesso modo, finalmente, fu Mewtwo a parlare. Disse: "Non hai amato che Mew, e la tua ossessione per lui. Non hai amato altro, né hai amato me, ma di me ti sei servito. Altro non sono stato, io che l'insormontabile ostacolo sulla tua strada verso gli occhi azzurri di Mew, l'errore irreparabile, forte quanto il destino; ma non volevi me..."

Sì: Mewtwo non era stato ciò che lui voleva, ciò che lui bramava; e Giovanni lo ribadì con voce forte e decisa, consapevole d'essere inerme di fronte alla potenza di Mewtwo...

"Per aver tanti anni vagheggiato Mew, per averlo inseguito e bramato nei miei sogni, tu sei stato tutto ciò che ho ottenuto; e non ho saputo comprenderti, non ho saputo..." Non aveva saputo tante cose; reprimendo la sensazione che questo pensiero gli dava, Giovanni proseguì dolorosamente.

"Non ti ho amato fin dall'inizio, ma ti ho amato fin dopo la fine, e di più non ho potuto. Non volevo te, ma è te che ho trovato, è a te che ho dedicato lunghi e lunghi anni della mia vita, senza saperlo e probabilmente senza volerlo."

"Giovanni" disse infine Mewtwo. La sua voce vibrava come di una grande emozione; pareva irritato, addolorato. "Mi hanno detto che da molti anni desideri rivedermi. Per quale motivo?"

Giovanni provò d'improvviso un profondo dolore, ma soprattutto si sentì avvampare di vergogna, di umiliazione. Credette per un momento di non poter rispondere. Ma poi, come parlando da un profondo abisso del quale non riusciva a vedere la cima, cominciò:

"Quando mi hai lasciato, quando sono rimasto solo, senza mio figlio, senza di te, ho provato un dolore immenso. A tutto avevo rinunciato per generare te: a mia moglie, a mio figlio, al mio impero... tutto, tutto avevo abbandonato per te! Te, la cui malvagità era stata la punizione della mia; te, che eri molto più simile a me di quanto mai sarebbe stato Mew; te che proprio per questo, mio malgrado e nonostante la mia delusione, ho amato più di quanto mai avrei amato Mew. E di tutti coloro che avevo amato e desiderato in vita mia, proprio tu, cui avevo disperatamente dedicato la mia vita, proprio tu mi hai abbandonato..."

Mewtwo aveva ascoltato in silenzio il fiume delle sue parole. I suoi limpidi occhi chiari erano infissi sul suo volto spigoloso, angolato, quasi anziano, eppure parevano non vederlo; parevano guardare aldilà dei suoi stessi occhi, delle sue parole.

"Se ti ho abbandonato" disse finalmente con voce profonda e vibrante "è stato per non aver ricevuto mai da te alcuna traccia di amore o di amicizia che fosse per me direttamente; è stato per il tuo affannoso cercare gli occhi di Mew nell'azzurro che ardeva nei miei durante le lotte... è stata l'incredulità, lo sgomento, il dolore che ho visto nel tuo sguardo la prima volta che ti sono stato mostrato in quella villa dell'Isola Cannella; è stato il tuo volerti servire di me per combattere solamente, senza volermi amare che per la mia forza e la mia invincibilità, e null'altro; finalmente, insomma, per non aver mai accettato di aver avuto me anziché Mew, e avermene fatta scontare la colpa, quando mai io avevo chiesto di venire al mondo...."

Fargliene scontare la colpa? Oh, no, no! Mai Giovanni aveva provato, neppure nei recessi della sua mente, l'orrido desiderio di vendicarsi su Mewtwo per non aver avuto Mew. Giovanni arretrò istintivamente, confusamente; forse, Mewtwo lesse in questo suo gesto il rivelarsi di sentimenti colpevoli. Tuttavia Giovanni si riprese e tentò di ribattere, di replicare: "No! Non hai capito, non hai mai capito. Ti ho odiato all'inizio, è vero, poiché dopo anni di lavoro, anni di impegno per rivedere Mew, è stata una delusione per me vedere te..." Subito colse un fremito lungo il corpo di Mewtwo, un guizzo nervoso della sua lunga coda percosse il suolo; e prima che potesse proseguire, parlare ancora, difendersi, la voce tonante di Mewtwo risuonò nella grotta come un terremoto ed egli gridò: "Ma non ti ho chiesto io di generarmi!"

"E non ho chiesto io, non ho chiesto io di essere destinato a farlo!"

La voce di Giovanni echeggiò nella grotta con l'intensità di quella di Mew. A quelle parole, Mewtwo ammutolì di colpo; e Giovanni proseguì furente, infervorato: "Non ho scelto io di vedere Mew, di restarne affascinato, incatenato, e di esserne ossessionato! Non ho scelto io di nascere già destinato a creare te, di votare alla tua creazione ogni giorno della mia vita. Pensa che io sono stato condannato ad amare Mew e a non poterlo avere mai! Non è stata poi tutta colpa mia, non esser stato capace di amarti... non ho deciso io, liberamente, di crearti, ma altri con l'inganno mi hanno convinto a farlo! Non è stato forse per volere di sire Celebi che, alla fine, ho fatto quel che ho fatto...? Per creare il più terreno, materiale dei suoi leggendari, ch'egli potesse generosamente accogliere tra le sue fila..."

Si fermò ansimante, esausto, a osservare Mewtwo. Quegli non rispondeva. Guardava lontano qualcosa che nessun'altro al mondo avrebbe potuto vedere, neppure Celebi, neppure Missingno. Pensava a quanto complesso, intricato fosse il destino nel quale Celebi aveva involontariamente avviluppato le vite di ciascuno col compimento del peccato originale...

"Ora puoi capire per quale motivo non sono stato in grado di amarti fin dall'inizio" disse Giovanni finalmente. "Non ti ho potuto amare perché non eri tu che avevo desiderato; ciò non toglie che abbia saputo amarti dopo, forse senza accorgermene, e forse molto di più quando non ti ho avuto più. Mi era forse possibile non amarti, simile a me quanti tu eri, disperato e infelice, desideroso di qualcosa che non c'era? Qualcosa che, mentre per me cessava lentamente di essere Mew, per te diventava rapidamente, ansiosamente la tua libertà, la tua dignità..."

"E perché me l'hai tolta?" esclamò Mewtwo. Sì, egli era il meno etereo di tutti i leggendari: anche ora percuoteva nervosamente il suolo con la lunga coda.

"Perché non sapevo che altro fare!"

L'eco delle sue parole si ripeté più volte nell'aria della grotta; Mewtwo era rimasto immobile, silente. Giovanni si sentì impressionato dal silenzio che seguì alle sue parole.

"Non sapevo che fare, cosa fare di te. Dopo aver gettato via la mia vita, non avevo ottenuto nulla di ciò che mi aspettavo; e ho agito nel modo che in quel momento non mi sembrava il migliore, ma mi sembrava l'unico... e non importa quanto fosse sbagliato e assurdo, alla mia mente esso sembrava l'unico possibile, l'unico plausibile, l'unico accettabile: fare di te la mia arma segreta, il mio strumento perfetto e infallibile, così da trarre egualmente qualcosa da tutte le mie azioni... Capisci, capisci ora che se ho tanto sbagliato nei tuoi contronti, è stato per non aver saputo che fare? Per non aver saputo superare la mia delusione; e per ultimo, per non aver saputo, anche, abbandonare, superare il ricordo di Mew, passare oltre, accettare di non averlo avuto e concentrarmi su ciò che c'era..."

Calò il silenzio di nuovo, finalmente. Il respiro di Mewtwo era lento, profondo, ritmico, possente.

"Perché dunque hai voluto vedermi per l'ultima volta?"

"Per chiederti scusa" disse Giovanni semplicemente. "E non perché io mi aspetti di essere perdonato, o perché fossi tanto presuntuoso da aspettarmi che tu comprendessi le mie ragioni; ma perché semplicemente tu potessi sapere in quale misura io fossi pentito, sapere la verità su di me; perché tu potessi rinfacciarmi la tua rabbia e il tuo dolore, e persino perché tu potessi vendicarti, se ne avessi avuto il bisogno. Per tutti questi motivi, certamente, ma non solo: volevo anche, se non altro, rivederti per un momento; rivedere l'oggetto di tutti i miei dolori, di tutte le mie fatiche; volevo poterti avvicinare per un momento, per poi tornare alla mia vita che trascorre come se tu non fossi mai esistito..."

"Molto bene" disse Mewtwo finalmente. "Se è questo tutto ciò che volevi, l'hai ottenuto. Puoi andare, ora."

Era finita. Giovanni capì che non avrebbe veduto mai più Mewtwo, che quella era davvero definitivamente l'ultima volta che lo vedeva, che gli parlava; che averlo veduto non aveva fatto che acuire il suo dolore. Istintivamente aprì la bocca, fece per parlare, per chiedere, per trovare una qualsiasi scusa per soffermarsi ancora un minuto; ma non gliene venne nessuna che non fosse patetica e umiliante, e tacque.

"Molto bene" ripeté con voce spezzata. "Molto bene. Hai ragione. Ti ringrazio molto. Io..."

Si rese conto di star dicendo cose sciocche. Era meglio tacere: il greve sguardo di Mewtwo incombeva su di lui, forte quanto il destino, come aveva detto lui stesso.

Non c'era più nulla da dire. Si voltò e lentamente, come se fosse molto più vecchio di com'era entrato, si avviò verso il punto in cui ricordava essere l'entrata della grotta, ora vagamente più luminosa e distinguibile. Si soffermò un momento prima di uscire, con gli occhi socchiusi, e si sentì in petto un respiro doloroso e lento, faticoso. Ma poi, quando, con un doloroso strappo, si decise ad avanzare ancora, giunse la voce di Mewtwo.

"Non so perdonarti, ma so comprenderti. Non è stata poi tutta colpa tua. Il destino di generare un leggendario era forse troppo grande per un essere umano. Non hai avuto la possibilità di scegliere. Non è stata davvero tutta colpa tua. Addio, Giovanni: sappi che nessuno più soffrirà come te."


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Afaneia