Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: shadowsymphony    12/01/2014    0 recensioni
Jesse, a 17 anni, è stato vittima di un incidente stradale in cui ha perso la sua ragazza. Il ricordo dell'accaduto non gli dà pace, vuole solo tornare da lei. Da lì inizia la sua scalata verso la distruzione, che culminerà con un overdose non letale. E' intrappolato nei ricordi e nel costante desiderio di morire e ritrovare la sua amata.
8 anni dopo, però, Jesse incontra Mary che, con la sua allegria e positività, illumina la sua vita. Ha ritrovato qualcuno da amare.
Un anno dopo, Mary tradisce Jesse. Quando il ragazzo lo scopre, la devastazione torna nella sua vita. Ha perso di nuovo il suo amore.
I ricordi dell'incidente e del suo primo amore ridiventano un dolore fisico, impossibile da ignorare. e, 6 anni dal secondo tentativo, prova di nuovo a tornare dalla sua ragazza.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quattro giorni prima

Scendendo le scale, Jesse diede uno sguardo al salotto. Alex non c'era; Marc era seduto sul divano, leggeva un libro. Non voleva disturbarlo ancora, ma aveva bisogno di lui. Non poteva rimanere solo con se stesso ancora per un secondo. Si sedette vicino a lui e lo abbracciò, mettendo la testa sulla sua spalla.


“E' tornato” gli aveva detto cinque giorni fa. Due sole parole. Il fratello aveva capito subito.

 

Marc appoggiò il libro sul bracciolo, e iniziò ad accarezzargli la testa. “Devi essere forte. Sei forte. Passerà”. Era la milionesima volta che glielo diceva, non ci credeva più. “No, no”. “Sì” il ragazzo lo strinse ancora più forte. Jesse cercò di calmarsi, ma l'abbraccio del fratello non aveva fatto nessun effetto. “Non so cosa fare”. “Non lasciarti andare. Non pensarci. passerà, te lo prometto”. no, non passerà mai.
Il ragazzo si alzò, e il fischio nella testa ricomparve all'istante. Fece appena in tempo a raggiungere il bagno, e vomitò nel lavandino. Sembrava non finire mai, un fiume disgustoso come i pensieri nella sua mente. Non ne poteva più; aveva anche smesso di mangiare dal giorno prima, ma continuava a rigurgitare. Rialzò la testa e si guardò allo specchio. Tutto era avvolto da lampi e luci intermittenti. Sciacquò la bocca e sputò. Non passerà mai.

 

Dillo.”

Denise.”

Ancora.”

Denise, Denise, Denise.”

Un sospiro. “Potrei rimanere ad ascoltarti per ore”

Ma non ho voglia di ripeterlo per ore, lo sai già. Poi dopo quattro volte mi si ingarbuglia la lingua”
Una risata. “Te la sgarbuglio io. Jesse, Jesse, Jesse”. Un bacio.

 

Passò in cucina. Non c'era nessuno; Alex doveva essere in giardino. prese un cucchiaio dal lavandino e tornò al piano di sopra. Nel salire le scale, mise una mano in tasca. Sentì qualcosa di freddo, liscio, una superficie ricurva, e si tranquillizzò per un attimo.

 

Cos'è? Droga?”

Ketamina. E' fantastica. Indescrivibile. Appena la prendi, tutto scompare, sei in un altro mondo. Il mondo che tu vuoi, quello nella tua testa. E' come morire, ma sei vivo”

E' pericoloso?”

Ma no, basta che non ne prendi troppa. Ma ce ne vuole”

Cosa succede se ne prendo troppa?”

Muori. Per davvero. Ma non preoccuparti, non succede niente. E' la porta per un altro mondo. Non sai in quante canzoni parlo delle cose che ho visto miei trip. Fidati, è bellissimo. E' il paradiso”

 

Rientrò nella sua stanza e chiuse la porta.

 

Alex entrò nella sua stanza per prendere il cellulare che aveva lasciato sul letto. Vide il fratello, seduto alla scrivania, la testa appoggiata sule braccia conserte. Da sotto spuntava il suo libro di fotografia. Era sveglio, e fissava l'anta della porta finestra che si muoveva leggermente. Faceva freddo, ma lui era in maglietta. “Ehi, stai bene?” gli chiese, mettendogli una mano sulla spalla. Lui sussultò e lo guardò per un istante, poi nascose il viso tra le braccia.

 

Non voglio vedere il paradiso”
“Ci sono io con te. Non avere paura”

 

Alex sapeva; era già accaduto una volta, era stato assolutamente orribile. Lo accarezzò delicatamente. “Va tutto bene, Jes. Promettimi che non farai niente” gli disse, cercando di nascondere la preoccupazione nella sua voce. Jesse lo guardò negli occhi con un'espressione vuota, priva di emozione, poi disse “Va bene”. Alex lo fissò, poi uscì dalla stanza, sperando che le sue parole avessero fatto breccia nel cervello annebbiato del fratello. Jesse rimase a fissare la finestra. Le parole di Alex gli erano scivolate addosso, senza nemmeno sfiorarlo. Aveva risposto senza pensare. Non riusciva a pensare. C'era solo dolore nella sua testa.

 

Ieri dopo il trip ho scritto una canzone. Indovina su cosa?”

Mmh...”

Su di te, bellissimo. C'eri solo tu nella mia mente. Era davvero il paradiso”

Lo sapevo” sorrise
“E c'ero io nel tuo paradiso?”
“Sì, Denise. C'eri solo tu”
“Vedi che è stato bello? Non devi avere paura”

Ma non lasciarmi mai là da solo. Resta sempre insieme a me. Non ce la potrei fare senza di te
“Non ti lascerò mai.”
Un bacio.

 

Si alzò, uscì e si diresse in bagno. Sentiva la TV al piano di sotto. Chiuse la porta. Frugò nell'armadietto sotto il lavandino, e tirò fuori una siringa da una scatola. La appoggiò sul bordo del lavandino e poi fissò il suo riflesso nello specchio. Chi era quella persona? I capelli gli cadevano sul viso, aggrovigliati e unti sulla testa. Non li lavava e non li pettinava da una settimana. Aprì un cassetto e tirò fuori un paio di forbici e una spazzola. Tutto sembrava andare al rallentatore. Li spazzolò, finché tornarono morbidi e lucenti. Guardò i boccoli che gli cadevano sulle spalle e si allungavano fino alla vita. Ci passò le dita, poi sollevò le forbici, afferrò una ciocca e la tagliò. Una dopo l'altra, le ciocche caddero a terra, circondandogli i piedi di riccioli dorati. Alzò la testa e si guardò nello specchio. Ci fu un attimo di lucidità in cui riuscì a vedersi con chiarezza: il viso tirato non più circondato dai ricci morbidi, le occhiaie viola, le labbra quasi bianche, la fronte con tre rughe leggere, e i suoi occhi blu con le pupille minuscole. Li incontrò. Quel fischio nella sua testa si fermò per un attimo. Ma cosa cazzo sto facendo? Il tempo di un respiro, e la nebbia e il dolore ricomparvero. Non vedeva niente, non sentiva niente. Doveva farlo smettere.

 

Denise. Denise. Denise?”. Tutto era coperto da un fischio. Non riusciva a sentire nemmeno la propria voce. “Denise?”. Forse non lo sentiva. “Denise!”.

 

Tirò fuori dalla tasca il cilindro di plastica dalla tasca, l'accendino e il cucchiaio. Il suo corpo si muoveva, la sua mente non se ne accorgeva. Tutto accadde in un secondo. Diluì la polvere con poche gocce d'acqua, la aspirò con la siringa, e si guardò il braccio sinistro. Era ancora pieno di lividi, le vene più grandi erano collassate anni prima. Ne cercò una, una qualsiasi, e la sottile linea blu vicino al polso fu come se si illuminasse nel suo cervello. Non aveva paura. Non sentiva niente, solo il dolore nella sua testa che sarebbe finito col contenuto di quella siringa. Era piena per metà. Guardò l'ago entrare nella linea blu, circondata da una luce accecante, e spinse lo stantuffo finché la siringa fu completamente vuota. Si sentì invadere dal calore, e poi tutto scomparve.

 

Vedeva una luce. Sentiva dei suoni lontani, sembravano voci. Ce l'aveva fatta? Era finalmente tornato da lei, nel suo paradiso? Non la vedeva, non la sentiva. Un suono intermittente e un fischio.

 

Denise?”

 

Il suo respiro, il suo cuore. Perché li sentiva? Dove si trovava? Cosa stava succedendo? “Si è svegliato?”. Era la voce di suo fratello. “Jes”. La luce accecante iniziò a svanire. Capì cosa stava succedendo, e fu come se avesse ricevuto una scossa. No. Il suo cervello fu invaso da centinaia di pensieri simultanei. Era ancora vivo. Non era tornato da lei. Era stato ancora tutto inutile. Buio.

 

 

Era stato tutto inutile. Tre giorni dopo, era ancora in quel letto. Vivo. Il dolore nella testa era scomparso, ma lo sentiva nel resto del corpo. Dopo il secondo tentativo, quello con la meth, aveva almeno perso la memoria; questa volta invece non aveva dimenticato assolutamente niente. Dimenticare o morire. Nessuno dei due. Continuava a sbagliare tutto. Avrebbe dovuto prendere una dose maggiore di ketamina, magari anche solo un milligrammo in più. Appena uscito da lì, ci avrebbe riprovato ancora, ma era troppo stanco. Riprovava per poi fallire sempre. Perché una cosa semplice come morire era così difficile?
Guardò il tubicino della flebo attaccato al braccio e, senza pensarci, provò a rimuovere l'ago. Gli aghi lo terrorizzavano; la terapia di avversione per curare la sua dipendenza da meth, sei anni prima, aveva funzionato fin troppo bene. Ma in quale vena gliel'avevano messo? Ne erano rimaste poche nelle braccia. Sfilò l'ago delicatamente, cercando di non guardare, e poi lo lasciò pendere dalla sacca. Il braccio era completamente intorpidito, provò a muoverlo, e quello iniziò a pungere e bruciare. Quando la pelle tornò sensibile, si girò a pancia sotto e cercò di dormire.

 

“Signor Grachyov”. Si svegliò. Vicino a lui c'era l'infermiera. “Perché ha tolto la flebo?”. “Non la voglio” disse con un sospiro. “Le serve”. “Non la voglio” ripeté “Sto bene”. “No, non sta bene”. “Mi fa venire da vomitare” disse lui, girandosi a pancia su. “Non vomiterà niente. Vuole che le porti la cena? Sono le sei”. Sbuffò “Va bene”. L'infermiera reinserì l'ago nel braccio di Jesse. Non aveva intenzione di mangiare. La donna uscì e, sulla porta socchiusa, vide un viso familiare. “Jes” sentì “Posso entrare?”. Lui sorrise leggermente. La ragazza sorrise a sua volta ed entrò. “Ehi!”. “Ciao tettona”. “Oh, piantala” ridacchiò lei, andando a baciarlo sulla guancia. “Come va? Finalmente ti sei deciso a parlare. E che ti hanno anche messo lo smalto”. “Sto bene” disse lui, e il sorriso scomparve in un istante. “Tua madre è preoccupata”. “Sto bene, Michelle.” ripeté “Proverò anche a mangiare”. “Bravo” sorrise Michelle “I ragazzi mi hanno chiesto se possono entrare, dopo”. “Va bene”. Aveva ancora paura a confrontarsi con i fratelli. Gli aveva promesso e ripromesso che sarebbe stato forte, e che non avrebbe fatto niente, e invece aveva mentito. Non era nemmeno vero che non gliene fregava delle persone che gli volevano bene, e di loro. Sapeva che non potevano davvero vivere senza di lui, come lui non poteva senza di loro. La sua morte li avrebbe uccisi lentamente. Non voleva che accadesse. Gli aveva già delusi troppe volte.

 

Con la cena, entrarono anche i due ragazzi. Non riusciva a guardarli negli occhi, aveva paura. Alex appoggiò il vassoio sulle sue ginocchia. “Come va?”. Jesse non rispose. Michelle intervenne “Ha detto che sta bene e che ha dormito un po'”. Alex sorrise e sperò che il fratello facesse lo stesso, ma era di nuovo chiuso nel silenzio. Fissava la zuppa di pomodoro fumante. “E' una schifezza, non lo mangerei neanche se fosse l'ultimo cibo rimasto sulla terra” commentò Marc, cercando di strappargli una risata. Niente. “Vuoi che ti aiuto?”. Scosse la testa. Sapeva usare benissimo anche la mano sinistra. La vista del cibo gli aveva fatto tornare un po' di appetito, dopo quattro giorni, e prese il cucchiaio. Sembrava pesantissimo. Gli tornò alla mente lo stesso cucchiaio che aveva usato per scaldare la droga, e con esso il dolore, e lo appoggiò. Niente zuppa, avrebbe provato il pane. Quello era più leggero, ma la mano gli tremava. Sapeva che tutti nella stanza lo stavano guardando, in silenzio. Non voleva nessuno, ma non voleva nemmeno parlare, così lo addentò e basta. Non era molto morbido, sicuramente gli avevano dato qualche fetta avanzata dal pranzo, ma non ci fece troppo caso. Dai, cazzo, parlate. Teneva lo sguardo fisso sul vassoio, ma vide con la coda dell'occhio Michelle avvicinarsi ad Alex e sussurrargli qualcosa. “Mary è ancora di fuori?”. Appena sentì il suo nome, quasi sobbalzò. Per fortuna nessuno lo notò. “Sì.”. Altri sussurri. Sentiva il calore risalirgli dai piedi alla testa, sembrava volesse uscire dal corpo. “Parlate a voce alta, tanto vi sento lo stesso, non cercate di tenermi nascosto qualcosa un'altra volta” disse, senza pensarci, continuando a dare piccoli morsi alla fetta di pane. Sguardo fisso sulla zuppa. Respiro pesante. I tre si girarono verso di lui. Li sentì bisbigliare ancora. “Diglielo tu”. “Io? Ma perché io?”. “Vado io, dai”. Marc si sedette vicino al letto e sospirò. Non sapeva come dirglielo. Non sapeva come avrebbe potuto prenderla. Forse era una bella notizia per lui, forse no. “Ehm... no... non so se è vero, non gliel'ho chiesto, ma... dicono che abbia lasciato anche Nathan”. Sentì il calore risalì di nuovo, ma quella volta non era solo una sensazione. Riuscì a voltare la testa prima di vomitare quel poco che aveva mangiato sul pavimento.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: shadowsymphony