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Autore: M4RT1    15/01/2014    4 recensioni
Finnick PoV | Finnick/Annie | 65th and 70th Hunger Games
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Finnick Odair ha giocato tre volte: alla sua Edizione, a quella di Annie, a quella della Memoria.
Questa storia parla delle prime due.
Del quattordicenne che vinse i sessantacinquesimi Hunger Games e del giovane Mentore che salvò Annie.
Di come si conobbero, di come divennero amici. Di come arrivarono a sposarsi.
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Dal capitolo XI:
Aveva sempre sperato – anche creduto, in fondo – che gli Hunger Games in realtà fossero una gran bufala, che i Tributi venissero feriti e, con la scusa di rimuovere i cadaveri, guariti da Capitol City e impiegati come Senzavoce, magari, ma vivi. In quel momento capì che si sbagliava. La ragazza era morta.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finnick Odair ha giocato tre volte

Chapter V - Nobody wants to

 
 
Capitol City, 65th Hunger Games
La sua camera da letto era grande, moderna, attrezzata con una marea di pulsanti che gestivano finestra, doccia e televisore. Finnick Odair vi entrò con un sorriso stampato in faccia, tanto ampio quanto falso, che si afflosciò non appena il ragazzo si trovò da solo. Senza nemmeno guardarsi intorno, il Tributo si liberò del costume e, in mutande, corse in bagno, dove si concesse una delle docce più lunghe della sua vita; perse dieci minuti per capire il corretto utilizzo dei pulsanti, inondandosi di talco e gel alla vaniglia, poi finalmente riuscì a uscire dalla cabina e si avvolse in un accappatoio blu chiaro.

Aveva bisogno di calmarsi, ne aveva bisogno con tutto il suo essere. Sbadigliando, si distese sul letto: era morbido, caldo, coperto con due cuscini vaporosi e un piumone blu notte. Fuori, il cielo ormai era scuro, ma la stanza era illuminata da due grosse lampade che emettevano una forte luce gialla. Il ragazzo guardò l’orologio, soffocando un nuovo sbadiglio: le sei e tre quarti.

Mancava solo mezz’ora alla cena, così si alzò. Trascinandosi davanti al guardaroba, scalzo, si dette un’occhiata allo specchio: nonostante la doccia, appariva stravolto. I capelli arruffati circondavano il suo volto stanco, la pelle pallida, gli occhi arrossati e cerchiati da profonde occhiaie: non aveva dormito la sera precedente, e il viaggio era stato stressante. Tornò sul letto e si lasciò cadere tra le lenzuola, coprendosi con il piumone e scavandosi un nido caldo e comodo.

"Solo dieci minuti, Finn" si disse, prima di addormentarsi.

 
Fu svegliato poco dopo dalla voce squillante di Gea che, con tono allegro, bussò alla sua porta annunciandogli che la cena era già in tavola. Di malavoglia, il ragazzo si alzò e si vestì con i primi abiti che trovò in uno degli armadi: pantaloni blu, maglietta chiara e un paio di scarpe nere. Senza pettinarsi, uscì e si diresse nella sala da pranzo, da cui provenivano già le voci di Mags e Maia, impegnate in una conversazione sui metodi di sopravvivenza.

"E se invece non trovo dell’acqua?" stava domandando la ragazza, interessata. Era seduta compostamente, ma si sporgeva verso la Mentore come pronta a saltarle in braccio. I suoi occhi erano calmi, l'espressione solo curiosa, eppure il battere costante del piede destro sul pavimento tradiva un certo nervosismo.

"La troverai, dev’esserci. Ricorda, vogliono intrattenimento: non faranno finire i Giochi uccidendo tutti per disidratazione" la rassicurò Mags, sbocconcellando un panino. Anche in quell'occasione era tranquilla nel suo maglione bianco. Poi vide Finnick e spalancò gli occhi: "Ci sei anche tu, finalmente! Qui avevamo tutti fame."

Gea prese posto sull’ultima sedia vuota e cominciarono a cenare, interrompendosi solo per rispondere alle domande di Maia. La ragazza sembrava decisa a chiedere tutto quello che c’era da sapere sugli Hunger Games proprio durante il pasto, ma Mags non glielo fece pesare. Rispose a tutto ciò che la ragazza gli chiedeva, interrompendosi solo per bere e masticare carne e patate arrosto.

"Maia, devi stare tranquilla" le disse, alla fine, pulendosi la bocca con un tovagliolo bianco. "Domani comincerete l’allenamento, e avrai modo e tempo di imparare quello che ti serve."

Finnick non mangiò molto e parlò ancor meno, troppo impegnato a cercare di non addormentarsi. Fu solo a fine pasto, quando fu servito il dessert, che sembrò riprendersi.

"Non c’è cioccolata, oggi?" domandò, deluso.

Mags ridacchiò, ma non rispose.

 
***
Capitol City, 70th Hunger Games
 
Finita la cena, mi alzo diretto in camera. Sono consapevole di star mancando un’altra volta ai miei doveri di Mentore, ma non posso farne a meno. Non quando a tavola c’è Michael che è preoccupato dall’allenamento di domani. Dall’allenamento. Sto sgattaiolando fuori quando Mags nota i miei passi felpati e mi ferma, intrappolandomi nello sguardo dei Tributi e nel suono delle sue parole.

"Finnick, cosa fai?" mi chiede, alzando la voce abbastanza da superare oltre le voci dei ragazzi e i rumori del treno.

"Vado a dormire" rispondo, secco. Non mi va di discutere e so che ne uscirei perdente, perché un buon Mentore a quest'ora dovrebbe restare sveglio a parlare di fuoco e rifugi e alleanze fino a tarda notte. Solo che non ci riesco, così semplicemente esco di scena.
Mags non controbatte, ma credo che domani dovrò cominciare a comportarmi in maniera un po’ più dignitosa, se voglio evitare di finire ammazzato come una delle sue vittime durante i Giochi. Non so che Edizione fosse, ma si vocifera che fu la più breve e sanguinolenta.

La stanza è identica a quella di sempre, il letto + lo stesso che ospitò il me quattordicenne cinque anni fa. Ricordo ancora la sensazione di spaesamento e terrore che mi riempì allora, prima dei Giochi. Come quel giorno, dopo una doccia veloce mi getto sul letto e, avvolto nel lenzuolo, le mani sotto al cuscino, provo a dormire ignorando il fatto che Annie si trovi a pochi passi da me. Non che la cosa in sé sia di particolare importanza: Annie ha vissuto accanto a casa mia per anni e anche adesso che abito al Villaggio dei Vincitori spesso si ferma da me per cena. Il punto è che tra quattro giorni sarà nell’Arena e non posso permettermi di perdere tempo lontano da lei. Non spero neppure che lei ce la faccia – che sopravviva. Non lo spero, perché so che è impossibile, che c’è gente molto più forte, robusta, preparata. Ma una piccola parte di me non riesce a eliminare del tutto il pensiero che tornerà indietro.

 
È mezzanotte quando mi alzo, ancora perfettamente sveglio. I rumori di là si sono acquietati da un pezzo, eppure un singhiozzare di sottofondo mi impedisce di rilassarmi: non sarebbe la prima volta che un Tributo piange, ovviamente, non nego di averlo fatto anche io. Ma di lì c'è Annie e il pensiero che sia lei a piangere mi tiene sveglio così, scalzo, muovo piccoli passi sulla moquette e mi avvicino all'uscita.

Apro la porta in tempo per trovarmi davanti entrambi i Tributi, in pigiama, che parlottano tra loro: Michael ha il volto rigato di lacrime e Annie gli tiene una mano sulla spalla. Mi arruffo i capelli, incerto sul da farsi: è Mags quella che si occupa di queste cose, non io. Io non sono bravo a prendermi cura delle persone. Eppure, Annie non sembra curarsi di ciò, perché non appena mi nota si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.

"Finnick!" esclama, voltandosi verso di me. Sembra preoccupata, forse più agitata di quanto si sia mostrata dal momento della Mietitura.

"Che c’è?" domando, suonando molto più brusco di quanto vorrei. In piedi sulla soglia della mia stanza, di fronte alla mia migliore amica e al suo nemico in lacrime (nemico che dovrei proteggere) non riesco ad essere gentile, né calmo, né forte.

"Lui voleva" prova a spiegare Annie, interrompendosi per lanciare al ragazzo occhiate di sbieco. "Lui ha provato a suicidarsi."

Il mio cuore accelera, ma sono abbastanza preparato a situazioni simili: già quattro anni fa Sandy Miller, la dodicenne del mio Distretto, tentò di darsi la morte tagliandosi le vene, ma invano. Crollò molto prima che la lama tagliasse la sua pelle – e poi morì al bagno di sangue, quando una spada le recise la carotide. Non ho mai capito il senso di tutto questo.

"Io non voglio" sta balbettando Michael, confuso. "Non voglio andare nell’Arena."

"Nessuno lo vuole, Michael" cerco di rassicurarlo. "Nemmeno io, né Annie" continuo, avvicnandomi a lui. Quando sono a pochi centimetri di distanza mi fermo, incerto, e allungo una mano per sfiorargli la spalla. Ma il ragazzo si ritrae e scuote il capo, stizzito.

"Non è la stessa cosa" mi contraddice. "Lei cercherai di salvarla. Sono io quello che deve morire."

Ondate di consapevolezza e sensi di colpa mi invadono pian piano, facendomi rizzare i peli delle braccia e i capelli sulla nuca. Perché, in effetti, il mio piano non prendeva in considerazione l’altro Tributo. Perché non credo che prostituirmi salverà anche lui.

"Non… non dire così" cerco di rimediare, balbettando. "Sai bene che cercherò di salvare entrambi" aggiungo, palesemente poco sicuro. Lui mi lancia un'ultima occhiata, poi corre via.

Annie mi guarda solo per un secondo, la bocca semiaperta. Mi chiede:

"E’ vero quello che ha detto?"

E quando io non le rispondo, corre seguendo Michael.



N.d.A.: Dunque, cari seguitori della storia (????)
Prima di tutto, ringrazio chi ha recensito e tutti quelli che hanno inserito la mia storia tra le Seguite, le Ricordate e le Preferite *^*
Poi, mi scuso per la brevità del capitolo e per quanto fa schifo, ma è di passaggio e spero che continuerete a leggere la mia storia xD
Per il resto, ci vediamo al prossimo capitolo :3

 
  
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