“Cruciverba
e palle di neve alla Vigilia di Natale”
Pansy siede annoiata in Sala Grande. E’ il 24 Dicembre, e
lei ancora non lo sa che la Vigilia di quell’anno non la dimenticherà mai; che
si sveglierà ogni 24 Dicembre, per tutto il resto della vita, cercando di
ritrovare con l’immaginazione le emozioni di quel giorno.
Ancora non lo sa.
Il tavolo degli Slytherin
è vuoto, eccezion fatta per il posto che occupa lei stessa, a metà del tavolo,
e lei si sente incredibilmente sola, anche se sa che le basterebbe scendere in
Sala Comune per ritrovare le sue amiche, che stan
preparando i bagagli per tornare a casa; anche se, alle sue spalle, il tavolo
dei Gryffindor è popolato da un folto gruppo di
ragazze, le cui stridule risate arrivano fino alle sue orecchie.
Entrando in Sala, poco prima, aveva
lanciato una pungente battuta sulla gonna che indossava Lavinia Boots, non tanto perché la trovasse davvero ridicola, ma perché
ciò che tutti si aspettavano da una giovane Slyterin,
ricca e piena di stile, era proprio che criticasse un simile straccetto,
soprattutto se indossato da una come la Boots. E Pansy aveva capito, sulla sua pelle, che sfuggire a ciò che
gli altri si aspettano da te non solo è doloroso e difficile, ma alla fine ti
rendi conto che è impossibile.
Quando le ragazze Gryffindor
scoppiano a ridere simultaneamente, Pansy si volta
veloce, fulminandole con lo sguardo. Poi, torna al cruciverba che sta facendo,
sul retro di un vecchio numero della Gazzetta del Profeta.
Gliel’ha lasciato Draco,
poco prima, mentre impacchettava il resto delle sue cose, pronto per tornare a
casa sua, facendole una pungente battuta sul fatto che lei fosse l’unica a
rimanersene ad Hogwarts, mettendo l’accento sul fatto
che vi sarebbe rimasta insieme agli straccioni, ai Mezzosangue e ai babbanofili. Pansy si è mostrata
superiore davanti alle sue parole, ma di dentro si era messa ad urlare.
Che colpa ne aveva lei se sua madre non la
voleva a casa - o meglio “tra i piedi”, per usare le sue proprie parole- mentre
organizzava una splendida cerimonia Natalizia con tutti i parenti e gli amici
più in vista. Le aveva detto senza giri di parole –e per quella che non era la
prima volta- che lei l’avrebbe fatta sfigurare, e che nessun abito, nemmeno una
delle fantastiche creazioni di Miss Needlethread,
avrebbe potuto darle quella grazia e quella bellezza che le mancavano per
natura.
Smette di ripensare alla faccia di sua
madre, contratta in una smorfia mentre la guarda, come se non fosse sua figlia
quella che aveva davanti, ma una Mezzosangue qualunque, e riabbassa il suo
sguardo castano sul cruciverba, svolto a metà.
<< “Lo inventò Monnamea
il Pazzo” >> legge la definizione a mezza voce, poi si solletica il mento
con la piuma imbevuta di inchiostro che tiene in mano.
<< Il Monocolo, Parkinson, certo che
non sai proprio niente >> si intromette un’irritante voce, appartenente a
qualcuno che si è appena lasciato cadere sulla panca al suo fianco, con la
schiena e i gomiti poggiati al tavolo e lo sguardo fisso sulle ragazze al
tavolo dei Gryffindor.
Pansy alza sulla figura uno sguardo acido, e le basta
notare i capelli rossi, sparsi davanti al viso, per capire che si tratta di un Weasley. Quale, non lo sa. E non le importa nemmeno.
<< Weasley,
hai sbagliato tavolo >> gli comunica con freddezza.
Lui però non sembra essere per niente
intimorito o scoraggiato dal suo tono, e si limita a scrollare le spalle.
<< Per mia fortuna, Parkinson, ci
vedo ancora abbastanza bene >> le spiega col tono sciolto di chi conversa
amabilmente davanti a una bottiglia di Burrobirra.
<< Anzi, ci vedo abbastanza per vedere che quella seduta là al centro è
Vera Wollstonecraft; e io dovrei essere matto per
andarmi a sedere a fianco di Vera Wollstonecraft.
Soprattutto dopo che le ho rifilato una Merendina Marinara difettosa per
vendicarmi della buca che mi ha dato>> le racconta, con voce divertita. E
sembra non stia parlando a Pansy Pakinson,
odiosa Purosangue Slytherin, ma ad uno qualsiasi dei
suoi amici sanguesporco.
Pansy riflette su questo, ma poi si rende conto che è
stanca di dividere il mondo tra Mezzosangue e Purosangue. E poi le è difficile
farlo, seduta accanto a Weasley che le parla con
noncuranza, come parlerebbe a qualsiasi Gryffindor o Hufflepuff si trovasse seduto a fianco. Ma lei è una Slytherin.
E allora? Ma ha senso quello che sta
pensando?
Mentre lui continua a cianciare a
proposito di Vera Wollstonecraft, Pansy
scrive ‘monocolo’ tra le caselline del cruciverba.
<< Weasley,
per piacere, o stai zitto o te ne vai a sederti al tuo tavolo di perdenti
>> gli dice, perché la sua voce allegra, che si alza e si abbassa, le
impedisce di riuscire anche solo a leggere una definizione del suo cruciverba.
<< Concedendo il fatto che io sia
cieco, tu sei sorda, mia cara Parkinson. Mi sembra di averti spiegato molto
approfonditamente i motivi per i quali non posso assolutamente accomodarmi al
mio tavolo, come invece sarebbe mia intenzione fare >> dice, tutto d’un
fiato, e Pansy pensa che gli manchi solo di fare un
inchino per essere inquietantemente simile a quel pomposo Senza-mezza-testa.
<< Taci, dannatissimo Weasley >> gli dice, portandosi le mani alle orecchie
per sottolineare quanto poco sopporti la sua voce.
Gli Slytherin
sono famosi per parlare solo quando è necessario farlo; lei non ha mai sentito Blaise o Theodore o Markus
mettersi a chiacchierare solo per il gusto di farlo, e deve abituarsi a questa
novità.
Anzi, non deve abituarsi affatto; deve
cacciare Weasley via dal tavolo degli Slytherin, tavolo al quale lui non ha il minimo diritto di
sedersi.
Comunque lui sembra averla ascoltata e si
zittisce, mentre il suo sguardo è fisso a seguire ogni movimento delle ragazze Gryffindor.
Pansy si stupisce, perché non credeva che lui fosse in
grado di obbedire a un simile ordine.
<< “La inventò Oliver Lander” >> legge la nuova definizione, tra sé e sé.
<< Parata doppia >> si
intromette nuovamente la voce di George Weasley che
no, non è capace di obbedire a un simile ordine.
<< Mi sembrava di averti detto di
startene buono e zitto, se proprio volevi rimanere qui >> gli dice acida Pansy.
<< Ma tu non sei assolutamente in
grado di finire quel cruciverba senza il mio aiuto >> replica lui, e
–anche se la frase potrebbe essere catalogata tra le offese- il suo tono
scanzonato la fa sembrare solo una divertita annotazione.
<< Lo sono, invece >> replica
subito Pansy, piccata, e riabbassa lo sguardo sul
foglio.
<< Andiamo, Parkinson, guardati
intorno: non c’è nessuno dei tuoi amichetti Slytherin
con la puzza sotto al naso. Nessun Blaise-io-ho-stile-e-tu-no-Zabini,
nessun Draco-figlio-di-papà-Malfoy e nessun Theodore-maledizioni-senza-perdono-Nott >> elenca, e Pansy deve reprimere un sorrisetto. Riesce a farlo
perfettamente, perché sono sedici anni che si allena a farlo.
<< Quindi >> prosegue George
<< Puoi anche accettare l’aiuto di un impavido Gryffindor.
Nessuno lo saprà mai. >> conclude, e a Pansy
ricorda ancora una volta quel gentiluomo vecchio stile di Senza-mezza-testa.
Lei non sa cosa rispondere; non è
decisamente una di quelle persone che hanno sempre la battuta pronta.
<< Hai detto che è ‘ parata doppia’?
>> si limita a chiedergli, dopo aver preso un profondo respiro.
<< Sì. E prima che tu lo chieda sì,
ancora una volta, ne sono sicuro >> replica lui, mentre un bel sorriso
gli si allarga su tutto il viso.
Tiene ancora d’occhio ogni movimento di
Vera Wollstonecraft e Pansy,
da brava Purosangue viziata, sente l’irrazionale gelosia che quegli sguardi non
siano fissi su di *lei*.
<< “Quello di Sir Godrick aveva disegnato un drago” >> legge, dopo
avergli lanciato uno sguardo di sottecchi.
<< Cappello >> dice George,
senza esitare.
<< Mantello >> dice Pansy, nello stesso secondo.
Entrambe voltano il viso di lato a fissare
l’altro, e tra di loro passa uno sguardo di sfida.
<< Cappello >> ripete George,
con estrema calma.
<< Non ho mai visto Sir Godrick raffigurato con un cappello con su un
drago!>> replica Pansy piccata.
<< Andiamo, Parkinson, passo metà
delle mie giornate nella torre di Grifondorò. Saprò
bene se il drago è sul cappello o sul mantello! >> argomenta George,
allargando le braccia intorno a sé.
Pansy nota che non torna a fissare lo sguardo su Vera Wollstonecraft. Si da della stupida, dopo aver formulato
questo pensiero.
Senza sapere perché scrive ‘cappello’
nello spazio dedicato alla definizione ‘8 verticale’.
Si rende conto che ora, quasi
inspiegabilmente, si sente un pochino meglio rispetto a quando è corsa lì, con
espressione dura per nascondere le lacrime che le provocavano le affermazioni
di Draco. Si sentiva un pochino meglio, perché George
Weasley la trattava come qualsiasi altra ragazza, non
come un’intoccabile Purosangue Slytherin e
–soprattutto- non come una reietta Purosangue Slytherin;
quella che sua madre non voleva avere a casa.
<< Dieci orizzontale: “Sono in sala
rosa quelli di una famosa canzone di Celestina” >> legge la seguente
definizione, per distrarsi.
Ci pensa un attimo e anche George Weasley sembra riflettere.
<< Barbagianni! >> esclamano
poi, nello stesso momento. Lui ride, lei lo sta per fare ma poi si schiarisce
la voce, rende nuovamente dura l’espressione del suo viso e si accinge a
riempire le caselline.
Ma si blocca a metà.
<< Weasley!
>> esclama, e lui sobbalza sulla panchina. << Il tuo maledetto ‘cappello’
fa venire ‘barbagianpi’! >>
Lui la guarda a lungo, poi ride ancora.
<< Può essere che mi sia sbagliato
>> concede, senza aversene a male, ridendosi addosso per primo. <<
Del resto non è che passo il mio tempo ad osservare il dipinto di Sir Godrick >> aggiunse, muovendo una mano davanti a sé.
<< Voi Slytherin
invece immagino che ogni mattina vi inginocchiate davanti alla statua di Salazar
e lo preghiate di vegliare su di voi >> dice, con una mezza risata, e
socchiude gli occhi come se davanti a è riuscisse a vedere la scena.
<< No che non lo facciamo >>
replica Pansy, piccata, mentre con un incantesimo fa
sparire l’inchiostro dal foglio di giornale. Poi poggia la bacchetta sul tavolo
e riempie le caselline con le lettere giuste.
<< Andiamo, Parkinson, non
prendertela a morte per ogni minima osservazione! Ridici sopra >> dice
lui, poi si blocca e la guarda.
<< Tu sai ridere, vero? >> le
domanda, ed è serio. Così serio che lei resta interdetta a guardarlo, con la
bocca aperta in una piccola ‘o’.
<< Certo che so ridere, Weasley! >> esclama, ancora più piccata, scrivendo al
definizione del 14 verticale, premendo la piuma sul foglio molto più del
dovuto.
Lui nota il foglio di giornale che quasi
si strappa e si pente di quello che ha detto. E pentirsi di quello che ha detto
non è una cosa che a George Weasley capita spesso.
Rimane in silenzio, mentre lei compila con
foga le definizioni una dopo l’altra, con aria arrabbiata e la sua solita
espressione dura dipinta ad arte sul viso.
<< Ti sei offesa, Parkinson?
>> le domanda George dopo un po’.
<< Premettendo che niente di quello
che mi dice un babbanofilo Gryffindor
può offendermi, sì, mi sono offesa >> replica lei, riempiendo una lunga
riga col nome di ‘Serena Hildebrand’.
<< Ah! Ma allora possiedi il senso
dell’ironia!> > esclama George << Non l’avrei mai detto! >>
ridacchia tra sé e sé.
<< E comunque non era mia intenzione
offenderti, Pansy>> aggiunge, facendosi un po’
più serio.
Lei nota che l’ha chiamata per nome e nota
anche che non ha più lo sguardo fisso su Vera Wollstonecraft,
ma non dice niente.
Alza gli occhi dal foglio, perché il cielo
nuvoloso si è fatto improvvisamente più chiaro. Guarda il soffitto e rimane con
la bocca aperta. Sta nevicando.
<< Nevica >> comunica a tutti
e a nessuno, e si sente ancora quella bambina dalle lunghe trecce scure che,
appannando il vetro della finestra col respiro, guardava i fiocchi morbidi che
scendevano dal cielo e sognava di andar fuori a giocare. Sognava di avere un
padre che le insegnasse a fare pupazzi e una madre che l’avrebbe accolta con
una torta di mele appena fosse rientrata in casa, infreddolita e felice.
Invece era sempre rimasta in camera sua a
guardare la neve scendere, e non c’erano mai stati pupazzi e torte per lei.
George alza a sua volta lo sguardo sul
soffitto coperto da fiocchi di neve, ma non sembra capire come mai gli occhi
della ragazza brillino tanto mentre lo guarda.
<< Mi piace la neve >> gli
spiega lei, anche se lui non le ha chiesto di farlo
<< Mentre scende ci parla e sembra
che il tempo si fermi. Tutti sono tappati in casa e bevono cioccolate bollenti
>> narra con voce trasognata.
Non ha mai parlato a nessuno dei suoi
inverni passati a guardare la neve oltre i vetri, senza poter uscire a corrervi
in mezzo, e che quando chiedeva “Perché, mamma?” lei le rispondeva solamente
“Non si addice alle signorine”, come se lei non fosse solo una bambina che
voleva imparare a fare i pupazzi di neve.
Non ha mai parlato a nessuno delle
emozioni che le agita in petto la neve che cade, perché non ha mai visto
nessuno dei suoi amici fermarsi a guardarla mentre scende ed è sempre stata
sicura che non avrebbero capito; avrebbero riso.
Ma George Weasley
ha ancora il viso alzato a fissare il soffitto cangiante, e sorride.
<< Quando ero bambino papà ci portava
sulla vecchia collina, e tutti insieme costruivamo decine di pupazzi, orientati
verso la casa dei Lovegood come un plotone di
soldati. Tornavamo a vederli due giorni dopo, e quello che meglio aveva
mantenuto le sue fattezze originali vinceva un premio. Poi tornavamo a casa
tirandoci palle di neve per tutto il tragitto, e mamma aveva preparato una
torta al cioccolato per il vincitore e per tutto gli altri >> le
racconta, lo sguardo puntato in aria e perso tra i ricordi, e anche i suoi
occhi ora si illuminano un po’.
Sta bene a parlare con Pansy
Parkinson, sta bene ad insegnarle a lasciar cadere la maschera ed essere solo
se stessa.
<< Vinceva sempre Percy>> aggiunge con una smorfia carica di rancore
represso.
Pansy lo sta guardando e si rende conto che non ha mai
parlato a nessuno dei suoi inverni passati a desiderare di correre sotto la
neve.
<< Mia madre non mi ha mai lasciata
uscire a giocare>> gli dice << Perché non si addiceva a una
signorina. Io restavo in camera mia e guardavo la neve che scendeva e
desideravo tanto poter uscire a costruire pupazzi, e rientrare trovandomi una
fetta di torta di mele ad aspettarmi e una madre che, abbracciandomi, mi
dicesse che ero bellissima, anche se tutte e due sapevamo che non era vero, un
padre che venisse fuori a duellare con me e poi mi rubasse la torta dal piatto,
ridendo>> gli dice, e se ne pente nel momento stesso che lui abbassa gli
occhi dal soffitto e glieli punta addosso.
Ma poi lui sorride a annuisce piano, e
sembra che la capisca.
<< Non invidio la tua infanzia, Parkinson>>
le dice << Anche se tu eri piena di giocattoli e io e Fred giocavamo con
i vecchi burattini di Billy >> aggiunse, scostandosi dal viso una ciocca
di capelli rossi.
Pansy sa che dovrebbe sdegnarsi davanti a racconti di gente
così pezzente da non avere giocattoli e così indegnamente semplice da andare
sulla collina a costruire pupazzi di neve; sa che dovrebbe, ma non ci riesce,
perché nei racconti di George c’è odore di famiglia, di affetto, e di
cioccolate calde bevute mentre fuori dai vetri scende la neve.
Si immagina lei stessa che entra in casa
di George, a braccetto con lui, e sua madre –la grassa e povera Molly Weasley- che le va incontro con una fetta di torta di mele
su un piattino e un sorriso sul viso. Si crogiola un attimo in questa immagine,
poi si rende conto che non c’è al mondo un solo motivo per il quale lei
dovrebbe recarsi a casa dei Weasley, a braccetto con
George e accettare la torta e i sorrisi della grassa e povera Molly.
<< Ventuno orizzontale: “Quelli di
giardino non sanno parlare”>> legge ad alta voce una definizione, così
all’improvviso che George sussulta di nuovo.
Capisce che lei vuole cambiare argomento.
<< Gnomi, ma la definizione è
sostanzialmente errata. Ai nostri abbiamo insegnato tante di quelle parolacce
che alcune non le so nemmeno io>> e guarda di sottecchi Pansy, aspettandosi una battuta denigrante sui giardini
infestati di gnomi, una battuta che però non arriva.
Lei scorre con lo sguardo le definizioni,
cercandone una appropriata, ma sembra star pensando a tutt’altro; e sembra
triste.
<< Andiamo! >> le dice
alzandosi di scatto e guardandola aspettando che si alzi a sua volta.
<< Dove?>> domanda lei
perplessa, alzando su di lui il suo sguardo scuro.
<< Perché voi Slytherin
dovete sempre avere tutto sotto controllo?>> borbotta lui e la afferra
per un braccio, poi la trascina correndo per tutta la Sala Grande, senza
curarsi delle sue lamentele, delle sue esitazioni.
La trascina oltre tutto il Salone
d’Ingresso, travolgendo alcune nanette Hufflepuff che aspettavano sotto le scale coi loro bauli e
la spinge fuori dal portone principale.
Lei si blocca, rendendosi conto che lui le
ha finalmente lasciato il braccio, e si guarda intorno.
<< Weasley
che cosa diav…?>>
Una palla di neve la colpisce in piena
nuca. Si volta, furiosa, e vede George Weasley che la
fissa con espressione colpevole e le mani sporche di neve.
Deve essere intrinseco della natura dei Gryffindor voler salvare la gente.
Lei aveva bisogno di essere salvata?
Pansy resta un attimo interdetta, poi si china e raccoglie
della neve, che gli lancia addosso. Lui la evita senza fatica e corre dietro
alcuni cespugli.
Lei vi si avvicina con una nuova palla in
mano, ma lui le appare alle spalle e la riempie di neve.
Sua madre le aveva sempre detto che non si
addiceva alle signorine. Sua madre non la voleva a casa, quel Natale e tutti
gli altri, perché lei era troppo brutta e insignificante per i Parkinson.
Non riesce a provare rabbia mentre pensa a
tutto questo, perché lo fa mentre insegue George Weasley
per i giardini che pian piano si riempiono di neve, con i fiocchi ghiacciati
che le bagnano i capelli e le risate di lui che riempiono l’aria.
Si sente bene; si sente davvero bene.
<< Avanti, puoi fare di
meglio!>> la beffeggia lui quando lei sbaglia ancora mira. Si ferma
qualche metro avanti, con le braccia poggiate ai fianchi, come a sfidarla a
colpirlo anche mentre se ne sta perfettamente immobile.
Non la sta considerando una stronza
Purosangue Slytherin, così insignificante che sua
madre non la vuole a casa per Natale, ma la considera una ragazza. E lei non è
abituata a questo.
Colpisce George, raccoglie altra neve e lo
rincorre.
Si rende conto che lui aveva ragione,
quando sosteneva che lei non sapeva ridere. Sta imparando a farlo adesso,
mentre lui si nasconde dietro gli alberi e i cespugli come se non avesse mai
fatto null’altro per tutta la vita che non giocare a palle di neve nei giardini
di Hogwarts.
Quando scompare di nuovo, lei si ferma,
entrambe le mani piene di neve, guardandosi intorno pronta a cogliere ogni
minimo rumore e a precederlo. Ma lui non spunta fuori da nessuno dei cespugli,
per lunghi minuti.
Pansy lascia cadere la neve e sbatte le mani congelate.
<< Weasley?>>
domanda. Sente un rumore verso la capanna di Hagrid e
si avventura dietro alcuni cespugli, chiamando ancora il nome del ragazzo.
<< Weasley
mi stai facendo morire d’infarto. Spero per te che come minimo ti abbiamo
divorato gli Schiopodi Sparacoda
di quel Mezzogigante>> gli dice, mentre passa a
fatica tra alcuni rovi, seguendo il rumore che sente. La sua gonna si incastra
e lei si gira per strattonarla, ma ci mette troppa forza e quando quella si
rompe, lei scivola all’indietro.
Ma George è magicamente apparso alle sue
spalle e la sorregge.
<< Dillo, che è sempre stato
ingiusto che fosse Percy a vincere!>> le
ordina, mentre lei si rimette in piedi. Pansy capisce
a cosa si riferisce solo quando vede un pupazzo nella radura lì dietro, rotondo
e sorridente, con delle pigne al posto degli occhi e una corona di rovi in
testa.
<< Sì, carino >> concede lei
con ostentata aria di superiorità, senza allontanarlo mentre ancora la
sorregge, come se pensasse che lei non sia in grado di stare in piedi da sola.
Pansy ha imparato ad essere un’educata aristocratica, una
degna Purosangue e una fredda Slytherin. Ha imparato
ad essere tante cose nella sua vita, ma non ha mai imparato ad essere una
donna. Non ha mai imparato ad essere semplicemente Pansy.
<< Mi insegni a farne uno?>> gli
domanda, alzando verso di lui il viso. E’ così vicino che potrebbe contare le
sue lentiggini una ad una. Che potrebbe baciarlo, senza motivo, solo per poi
potersene pentire per tutta la vita.
<< Ma certo >> esclama lui,
lasciandola libera e camminando a grandi passi verso il pupazzo. Per un attimo,
inspiegabilmente, si sente abbandonata. Poi lui le prende la mano e la trascina
con sé, come guidandola verso quella distesa di neve fresca dietro la capanna
di Hagrid. E lei si sente di nuovo bene.
<< Voglio farne uno
splendido>> gli dice, mentre i piedi le sprofondano e ogni passo è più
faticoso di quelli che percorreva avanti e indietro per camera sua, guardano la
neve oltre il vetro.
<< Voglio farne uno
splendido>> gli ripete, lasciandosi guidare, mentre sa che non ci saranno
più vetri tra lei e la neve.
<< Voglio farne uno
splendido>> dice ancora, come in una specie di cantilena, decidendo che
non c’è persona migliore di George Weasley per
insegnarle ad essere semplicemente Pansy.
<< Voglio farne uno
splendido>> canticchia ancora, mentre lui distrugge a calci il vecchio
pupazzo per far spazio ad uno nuovo e non le lascia la mano e guarda solo lei e
non Vera Wollstonecraft.
<< Voglio farne uno
splendido>> ripete per la quinta volta, alzando il viso per prendere la
neve in faccia, e in quel momento lo sa, che quel 24 Dicembre se lo ricorderà
per sempre.
Scritta
per il ‘Quotation Fest’ di www.georgeandpansy.forumfree.net
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