Capitolo 3
Presunto colpevole
La casa era composta da poco più di quattro stanze, un bagno la cucina, due
camere da letto e un piccolo atrio adibito a salotto.
Alle pareti erano
appese le foto dei figli: due, un maschio e una femmina. In un altro angolo,
invece, sopra una mobile adibito a credenza vi era una piccola candela funebre
posta davanti alla foto che ritraeva una coppia felice: i genitori
evidentemente.
La casa era pulita, in ordine.
Tee e la detective Harris si
accomodarono sul divano, davanti a loro i figli della prima vittima: Trisha
Chatterly.
“So che sarete stanchi di sentirvelo chiedere, ma vogliamo essere
sicuri che la ricostruzione dei fatti che avete già fornito alla detective
Harris sia il più attendibile possibile” cominciò Tee.
I due giovani
annuirono.
La ragazza stringeva tra le mani un fazzolettino di
cotone.
“Noi...io sono tornata a casa per prima, quel giorno avevo un
corso...alla scuola Middleton, mentre Todd...” la ragazza si voltò brevemente
verso il fratello che prese la parola al suo posto.
“Io ero di turno
all’officina”.
“Sono stata io a trovarla” proseguì Meg, con gli occhi
leggermente arrossati “lei era era…” si interruppe, scoppiando in
singhiozzi.
La detective Harris le posò delicatamente una mano sul
braccio.
“Fai un respiro profondo “le suggerì la donna.
“Lei era lì...” e
indicò un punto della stanza, vicino alla foto col lumino che Tee aveva notato
entrando “legata…e c’era sangue...il sangue era dappertutto...” si interruppe di
nuovo, asciugandosi gli occhi.
“Sei stata brava Megan” esclamò Tee
sorridendole incoraggiante “e durante questo periodo avete provato a pensare se
c’era qualcuno che poteva avere qualcosa contro vostra madre? Magari qualcuno
che si era lamentato del suo lavoro...o un vicino qualsiasi cosa”.
“Chi
poteva avercela con lei? Era una donna così mite...si occupava di noi e...andava
in chiesa solo questo...e faceva anche del volontariato con gli
anziani”.
“Non avete notato nient’altro?” suggerì di nuovo Tee offrendo alla
ragazza un fazzoletto pulito.
Lei annuì “...io e Todd ci siamo accorti che
mancavano alcuni oggetti della mamma...poco cosa in realtà, però noi ci eravamo
affezionati...”
“Che cosa precisamente?” domandò Tee interessato.
“Una
collana d‘oro, due anelli, un paio di orecchini e anche un crocifisso
d‘argento”.
***
La parrocchia di Saint Jaques si affacciava su una piazza inondata da piccioni e sole. Tobias la trovò bella e si stiracchiò allegramente le braccia, allungandole verso il cielo. Hudson guardava con curiosità quello strano ragazzo che a momenti sembrava così cupo e a disagio, e a tratti sembrava perdersi in un altro mondo e non accorgersi di chi gli stava attorno. Gli avevano detto cose interessanti di lui: pareva che fosse cresciuto in una casa famiglia e riuscisse a tenere a bada i peggiori elementi solo con le espressioni del viso. Nel descriverglielo, Calligh gli aveva spiegato che si metteva in relazione con gli psicopatici risvegliando il loro lato affettivo, e aveva commentato con poca delicatezza che il confine che lo separava da loro era estremamente sottile! Del resto, con il passato che si ritrovava, Hudson riteneva già molto il fatto che quel ragazzo non fosse impazzito: non c’era proprio ragione di biasimare la sua stranezza. Chi era da biasimare era semmai Tee Murphy, che si era impuntato per averlo in squadra, senza avere alcuna certezza che un elemento simile sarebbe stato in grado di gestire lo stress psicologico a cui quel ruolo lo avrebbe sottoposto.
Tobias era ancora in mezzo alla piazza con lo sguardo per aria: lo superò, avviandosi verso la chiesa, ma quando vide che lui non lo seguiva, si voltò indietro e lo chiamò.
“Vogliamo andare Rendall?”
Il giovane si riscosse e fece un sorriso che lo stupì: da quando era arrivato non lo aveva mai visto ancora sorridere una volta.
“S-scusa...” disse “stavo...”
Si interruppe. Quello non era Tee.
Ma Hudson tornò indietro di un passo e insisté
“Stavi...?”
“Memorizzando” spiegò allora Tobias “Memorizzando il colore del cielo. E i suoni di questo posto. Se li associo ad un colore, mi viene più facile mandare a mente le sensazioni di un luogo. E le sensazioni a volte mi aiutano nelle indagini...”
“Mi hanno detto che fai profili alla gente partendo dalle voci. E’ così?”
Tobias si strinse nelle spalle
“No, non è così. Dalle voci deduco con una buona approssimazione gli stati d‘animo momentanei. So dire se un uomo mente, se è spaventato, se nasconde qualcosa, se si sente a disagio e qaunt’altro. Sebbene dall’impostazione della voce si possano capire certi aspetti del carattere, la voce è comunque una variabile. Ci descrive un sentimento, non un profilo. La tua, ad esempio, mi dice che tu mi stai studiando...”
Mervin alzò le sopracciglia, con aria interrogativa: non aveva intenzione di smentirlo, solo di saperne di più.
“Tu hai modulato la voce per mostrare curiosità professionale nei miei confronti. Ma non ti è riuscito bene, e quello che io ho letto non è stato curiosità professionale ma curiosità psicologica. Tu pensi che analizzando le mie risposte saprai qualcosa di me che prima non sapevi, perché sei un famoso profiler e per te queste sono cose da nulla...”
Hudson abbozzò un sorriso d’apprezzamento
“E tu credi di volermi dimostrare che sei in gamba, mi in realtà mi stai mandando a dire che non si viola il tuo spazio personale senza autorizzazione”
Il ragazzo abbassò gli occhi.
“Tee lo dice spesso” commentò, ma senza assentire o negare.
Hudson non aggiunse altro.
***
“Cosa ne pensi?” domandò la detective Harris quando i due
rimasero soli.
“E’ strano...insomma il fatto che non ci siamo segni di
effrazione suggerisce che la signora Chatterly conoscesse la persona che ha
fatto entrare, oppure che questa si sia presentata in modo da ispirarle
fiducia…”.
“Era una donna sola, faceva una vita piuttosto ritirata…” osservò
Claire riflettendo ad alta voce.
Tee annuì “giusto, non aveva molte relazioni
sociali …ad ogni modo c’è qualcosa che non…” Tee mosse qualche passo nella
stanza, guardandosi intorno, come se avesse dimenticato qualcosa di
importante.
“Che cosa…”
“Hai notato che questa volta il nostro s.i. ha
portato via alcuni oggetti appartenenti alla vittima?”
“Trofei?”buttò lì la
detective Claire.
Tee la guardò come se la vedesse davvero per la prima
volta.
Claire Harris scosse le spalle “ho solo fatto i compiti a
casa”.
Tee sorrise “può darsi, ma quello che non torna è…perché solo qui?
Insomma mi risulta che non ci siano stati altri furti nei successivi omicidi.
Giusto?”
Claire Harris annuì.
Tee continuò a camminare per il piccolo
salotto, concentrato.
Claire Harris non aveva la minima idea di che cosa gli
passasse per la testa.
“Lui è entrato da quella porta” fece Tee indicando
l’entrata principale, costituita da una porticina piuttosto stretta che non
avrebbe mostrato particolare resistenza persino al più incapace degli
scassinatori. E’ riuscito a farsi aprire, lei lo ha fatto entrare, magari lo ha
anche invitato ad accomodarsi, non aveva nulla da temere da lui. Lui ha
aspettato, non ha agito in fretta, ha atteso pazientemente che lei si sentisse
completamente a suo agio e non appena si è distratta…” si voltò verso un angolo
del salotto.
“Non dev’essere stato molto difficile sopraffare una donna
minuta, come Trisha” aggiunse il detective Harris.
“Già” ammise Tee
pensieroso “e molto probabilmente la teneva d’occhio da un po’, conosceva i suoi
orari, sapeva quanto era a casa da sola…e poi…” Tee chiuse brevemente gli occhi
e per un attimo vide la stessa scena che avrebbe continuato a turbare i sogni di
Megan.
“Forse prima l’ha stordita, poi ha preso una corda e l’ha legata, ma
la donna non era completamente incosciente, perché lui non voleva che lo
fosse…”Tee fece una breve pausa, guardandosi attorno, poi si mosse vicino al
luogo dove era stata ritrovata Trisha.
“Avrà implorato, avrà chiesto di
risparmiarle la vita?”
Claire Harris si schiarì la voce.
“Avrà chiesto
pietà, perché madre di due figli?”
“Agente…”
“Oppure gli avrà detto di non
toccare Megan e Todd? Qualsiasi cosa, purché non si avvicinasse ai suoi
figli…”
“Agente Murphy…”mormorò Claire Harris, avrebbe voluto fermarlo, ma
c’era qualcosa, qualcosa di affascinante e contemporaneamente oscuro in quello
che stava dicendo.
Poi Murphy si fermò e, come se non fosse successo niente
esclamò deciso “ma se aveva soddisfatto tutte le sue fantasie, allora perché i
gioielli?!”
Claire Harris scrollò le spalle, leggermente turbata da quel
repentino mutamento.
“E se non fosse stato lui a…sottrarli?”buttò lì Tee
passandosi una mano tra i capelli.
“Io non…”
“E’ stato così astuto da non
lasciare tracce, perché rischiare di farsi scoprire così? Per poche centinaia di
dollari, quando sappiamo benissimo che il motivo che lo spinge ad agire non è la
rapina?”.
La detective non seppe cosa rispondere, ma sentì un brivido
passarle lungo la schiena.
Alle spalle dell’agente Murphy, il lumino funebre
di Trisha Chatterly si era spento.
***
“Innanzi tutto cominciamo a parlare col parroco. Dobbiamo
scoprire se le due vittime avevano un legame, un qualunque legame. Poi ci faremo
dare un po’ di nomi e cominceremo a fare un’indagine a campione sui
parrocchiani: anche un pettegolezzo può essere d’aiuto. E comunque dobbiamo
chiedere se qualcuno ha notato la presenza di persone estranee, che non avevano
frequentato la parrocchia fino ad allora: un mendicante, un nuovo
arrivato...”
“E poi c’è lo scrittore...Magari qualcuno lo conosceva. La parrocchia avrà un oratorio: se Zarosky faceva letture animate per la scuola, molti dei bambini potrebbero aver assistito e, di conseguenza, anche le famiglie...”
“Quindi l’S.I. potrebbe aver adocchiato la Chatterly e la Summers in chiesa e lo scrittore alla scuola del...figlio? Nipote? Possibile...Ma ci servono elementi: gli assassini seriali difficilmente scelgono a caso...”
“Tanto meno coloro che portano avanti un assassinio rituale...”
“Ma il rituale non ricorre, nel caso della Summers. Che qualcosa lo abbia interrotto?”
Tobias si fermò un attimo in piedi sulle scale della chiesa
“Interrotto...” rifletté “no, io non credo. Lei aveva...”
“Gli occhi non spaventati? Sei così certo di questa tua ipotesi, Rendall?”
Il ragazzo ci pensò su un attimo
“Tee si fida delle mie ipotesi...”
Hudson non capì il senso di quella risposta, ma la frequenza con cui il ragazzo chiamava in ballo il nome del supervisore non era sensata e neppure sana. Quasi che il nome di Murphy fosse una forma di mantra per rassicurare se stesso.
Il buio della chiesa ferì i loro occhi, che si ridussero a piccole fessure.
Nell’aria c’era odore d’incenso, benché, a quanto risultava, l’ultima funzione fosse stata la sera precedente.
D’un tratto, dal fondo del corridoio, sbucata dalla sacrestia, schizzò fuori una ragazza: si mosse a passo veloce verso l’uscita, tenendo il capo basso e le mani raccolte una sull’altra all’altezza del cuore. Passò accanto a loro, e Tobias avvertì lo stesso odore d’incenso esalarsi dai suoi capelli: folti e rossi, lunghi oltre le spalle, dolcemente ondulati.
“Signorina...”
Tobias si voltò di novanta gradi e tornò sui suoi passi, sotto lo sguardo stupito di Hudson
“Aspetti, signorina!”
Lei si bloccò, immobile come una statua di sale: aveva gli occhi offuscati, cerchiati da occhiaie profonde, ma i suoi lineamenti erano belli e delicati.
“Cosa vuole?”
Tobias non disse niente, e la guardò fissa per qualche attimo.
“Lei non sta bene. E’ turbata, ha tensione nelle braccia, sente un blocco all’altezza del diaframma e fa fatica a respirare...” avvicinò le mani alle sue spalle, ma non le appoggiò per qualche attimo, come se aspettasse un consenso da parte di lei “adesso viene un attimo all’aperto, si siede, e io le dico come fare a sentirsi meglio...”
Solo allora, non avendo ricevuto segnali di rifiuto, permise alle sue mani di posarsi sulle spalle dell’interlocutrice. Lei rilassò le braccia e le lasciò cadere lungo i fianchi.
Hudson osservava la scena affascinato: Tobias Rendall - all’apparenza un sociopatico con grossi problemi di relazione - aveva appena stabilito un contatto intimo con una sconosciuta, che si stava fidando di lui come se lo conoscesse da sempre.
***
Claire Harris inchiodò la vettura in un vicolo di Amsterdam street,
proprio di fianco al negozio di Harper Goodman.
“Lui?”
Claire Harris annuì
“può essere solo lui, gli altri…non sono abbastanza abili”.
“Ok” fece Tee
infilandosi gli occhiali da sole.
“Sicuro che non…” Claire Harris
esitò.
“Non preoccuparti, così è più semplice”.
Da Harper era un
monolocale stretto e scuro, malamente illuminato solo da alcune lampare alogene
concentrate particolarmente intorno al bancone.
Il clik metallico della porta
d’entrata aveva segnalato l’arrivo di un nuovo cliente e Harper Goodman, ex
galeotto sulla cinquantina fece il suo ingresso.
“Buongiorno, in che cosa
posso esserle utile?” esordì l’uomo allegramente.
“Mah, non saprei” rispose
Tee osservando il banco con i gioielli esposti ”che cosa si regala per farsi
perdonare?”.
“Dipende da cosa va perdonato…” Harper Gooodman gli strizzò un
occhio lisciandosi i baffi.
“Giusto, bè…” continuò Tee passandosi una mano
tra i capelli “ad esempio…mi vergogno un po’ a dirlo, ma e se si trattasse di un
anniversario dimenticato?” .
“Oh, quello le costerà caro!!” esclamò
allegramente Harper Goodman.
“Peccato che in questo momento non navighi
esattamente nell’oro, sa…questi sono bellissimi” Tee indicò una coppia di
orecchini esposti in bella vista al centro del bancone “ma credo siano un po’
troppo per le mie tasche…se lei ecco…” Tee lo guardò speranzoso “vede io tengo
molto a Christina, ma…”
“Oh” fece Harper Goodman con un gran sorriso
mellifluo.
Gli fece segno di aspettare e si diresse verso la porta d’entrata.
Girò il cartello dove comparve la scritta torno subito.
Poi, invitò Tee
dietro il bancone.
Si trattava di un ripostiglio coperto di povere, pieno di
scatole di cui non era visibile il contenuto.
Lì, Harper Goodman gli mostrò
una coppia di orecchini in finto oro, ma molto ben contraffatti.
Tee
sorrise.
Anche Harper Goodman sorrise.
Tee estrasse qualcosa dalla
giacca.
Harper Goodman smise di sorridere.
“Ok. Bene così. Adesso
tieni la testa bassa e segui il mio respiro...”
Tobias aveva fatto sedere la donna sui gradini, e poi si era seduto dietro di lei, un gradino più su, in modo che la sua schiena fosse in contatto col suo petto.
“Segui il mio respiro...” ripeté con voce calma, inspirando ed espirando profondamente in modo che la ragazza potesse percepire i movimenti del suo torace.
Hudson, in piedi, in dietro di un paio di scalini, lo osservava: la sua formazione da psicologo era evidente, aveva riconosciuto al volo i segni di un attacco di panico e aveva soccorso la sconosciuta in tempi record, prima che la crisi si manifestasse. Era sorprendente la confidenza che era riuscito a farsi concedere, tanto da permettersi una simile vicinanza fisica; lei, infatti, aveva tutte le caratteristiche della classica ragazza di parrocchia: riservata, timida, con un uovo prossemico grosso quanto una casa.
“Va meglio?”
Tobias estrasse dalla borsa una bottiglietta d’acqua, e gliela offrì. Lei rifiutò con un cenno della mano.
“Come ti chiami?”
“Helena”
“Helena, ti farà bene bere qualcosa...”
Si alzò, ed andò a risedersi sul suo stesso gradino, porgendole di nuovo la bottiglia. La ragazza la prese timidamente e bevve qualche sorso.
“E’ successo qualcosa in chiesa, Helena? Qualcosa che ti ha fatto male?”
“No, no!” scrollò il capo.
Troppa fretta nel negare, pensò Hudson.
“Tranquilla, non ti sto chiedendo di raccontarmi i fatti tuoi. Puoi tranquillamente rispondere ‘non mi va di parlarne’. Hai appena avuto un attacco di panico e capire cosa l’ha provocato è semplicemente un passo per prendere le distanze. Spesso gli attacchi di panico sono immotivati...anzi, no: hanno cause che non riusciamo a razionalizzare, che giacciono nell’inconscio. Ma il tuo sembrava proprio una fuga. Quando ti ho vista sbucare nella navata centrale della chiesa, stavi chiaramente scappando. Da cosa, non ho idea. Da una persona, da una parola, da un sentimento, da un’immagine di te che non ti è piaciuta, che so, una reazione inconsueta, o una situazione in cui non avresti mai voluto vederti...”
La ragazza ora lo guardava con occhi sbarrati.
“Ehi, non voglio che tu me lo dica, ok? Voglio solo che tu adesso razionalizzi e prenda le distanze, ti guardi dall’esterno e pensi ‘va tutto bene’...” le rivolse un sorriso rassicurante “fidati di me: ho lavorato come psicoterapeuta un paio di anni, e so come funzionano queste cose. Ma anche tu lo sai, vero? Sono sicuro che ti è già successo altre volte...”
E’ intelligente - riflettè Mervin dall’alto delle scale - Ha tirato in ballo la competenza scientifica per annullare la sua diffidenza.
“Sì” ammise lei “Ma non molto spesso. Mi era già accaduto...qualche anno fa. Quando ho avuto un...” deglutì “...intervento”
“Ho capito. Quindi era molto tempo che non ti capitava. Forse dovresti parlarne con un medico...sempre che tu non lo abbia già fatto. Non si muore per un attacco di panico, ma nella vita pratica è decisamente invalidante...”
“Già...” la ragazza riuscì ad abbozzare un sorriso “E’ vero...”
Il suo viso aveva ripreso un po’ del suo colore: il peggio era passato.
“Incontri spesso gente nuova in chiesa?” chiese d’un tratto Tobias.
La ragazza si sorprese.
“N-no...Perché?”
“Perché sono uno sconosciuto, e tu non mi hai ancora chiesto chi sono e cosa ci faccio qui...”
“Ah...emh...I-io...”
Lui la anticipò.
“Mi chiamo Tobias Rendall, sono dell’Unità analisi comportamentale dell’F.B.I: io e il mio collega” fece cenno ad Hudson “stiamo indagando su un omicida seriale, e crediamo che possa scegliere le sue vittime in questo ambiente...”
Mervin spalancò gli occhi: Rendall era impazzito? Che gli saltava in testa di spiattellare così, davanti ad una completa sconosciuta, le loro ipotesi sull’indagine?
“Q-qui..? N-nella casa di Dio? N-non...”
“Non è possibile? Già. Penso anche io che questo non sia il terreno di caccia migliore per un serial killer, ma ci sono due donne morte tra cui non riusciamo a trovare altro legame tranne il fatto che entrambe frequentassero questa parrocchia. Ma forse siamo semplicemente poco informati su di loro. Tu conoscevi Trisha Chatterly?”
La ragazza annuì piano
“S-sì...beh...n-no...Non ci avevo mai parlato, ma la vedevo sempre alle funzioni...Io...passo qui...molto tempo...”
“Davvero? Allora, tu potresti essermi di grande aiuto, Helena. Ascolta: anche Mary Summers veniva spesso in chiesa, come te?”
“M-mary...?”
Ci fu un attimo di silenzio.
“Mary Summers. La conoscevi?”
Helena esitò, e a Tobias parve un esitazione troppo lunga per essere motivata da un semplice attimo di smarrimento.
“D-di vista. Noi...a volte...tornavamo a casa insieme...”
“Capisco. Pensi che qualcuno potesse avercela con lei?”
“Con Mary? Oh, no! Lei...é troppo buona!”
Tobias annuì, poi le sorrise amichevole.
“Stai meglio? Te la senti di alzarti?”
Helena gli fece cenno di sì, e il ragazzo si mise in piedi per primo, per darle una mano a sollevarsi.
“Non trascurare i tuoi attacchi di panico” le disse, porgendole un biglietto da visita “e se pensassi di rivolgerti a qualcuno, chiamami: conosco degli ottimi terapeuti qui in zona”
La ragazza prese il biglietto e lo ripose con cura in una tasca della camicetta.
“Lei è molto gentile, Tobias. Grazie...”
“Ah, finalmente ti sento pronunciare il mio nome!” sorrise lui “Non c’è di che, Helena. Un dovere e un piacere...”
La accompagnò per alcuni gradini, poi la salutò con un gesto della mano.
Mervin gli fu accanto in pochi istanti.
“SI PUO‘ SAPERE CHE DIAVOLO TI E‘ SALTATO IN MENTE???”
***
Claire harris controllò l’orologio. Dieci minuti.
Tee Murphy stava per
perdere la scommessa.
Non si era ancora fatta un’idea su di lui.
Da una
parte c’era la sua fama, che era giunta anche alle sue orecchie, in parte
comprovata nel corso delle due ore trascorse con lui, dall’altra…
Claire
Harris ricontrollò l’orologio “meno quattro, meno tre…”.
Poi qualcuno bussò
allo sportello “maledizione!”
Fine della scommessa.
Tee Murphy aveva
impiegato una decina di minuti e una manciata di secondi per avere il nome di un
uomo implicato nelle indagini. Molto meno di quello che avrebbero impiegato per
farsi dare un mandato di perquisizione.
Niente di male, infondo, sennonché
l’agente Murphy l’aveva anche convinta a scommettere sulla riuscita del suo
piano.
Tee Murphy però non sembrava soddisfatto.
“Cosa c’è? Hai scoperto
chi è stato a rubare i gioielli della signora Chatterly?”
Tee annuì
pensieroso, mostrandole parte della refurtiva.
Mancava solo il
crocifisso.
Tee compose in fretta un numero di telefono.
“Pronto Avril?
Puoi inviarmi le foto della casa di Mary Summers?”
Pochi istanti dopo il suo
cellulare trillò.
L’agente Murphy osservò il contenuto del messaggio: diverse
foto scattate nell’appartamento di Mary Summers “maledizione” borbottò tra
sé.
“Qualcosa non va?” tornò alla carica la detective Harris.
Murphy parve
accorgersi di lei solo in quel momento “temo che dovremo andare a parlare con
Malcom Denver”.
***
“Le è successo qualcosa, là dentro. Ci sono migliaia di
possibilità che non sia nulla di collegato al nostro caso, ma una donna che esce
da una sacrestia sull’orlo di un attacco di panico non è un fatto da lasciar
passare inosservato. Si va in chiesa perché sia ha bisogno del conforto di
Dio...se questo conforto non funziona - e per l’appunto nel luogo dove si
suppone possa muoversi un S.I. che ha commesso 3 omicidi - ovviamente è il caso
di approfondire”
Hudson era piuttosto nervoso.
“Non lo metto in dubbio, Rendall. Approfondire era la mossa giusta. Ma in questo approfondimento rientrava anche il dirle su chi stiamo indagando e perché? Non c’è stata una conferenza stampa, non abbiamo diffuso ipotesi, i particolari delle indagini non sono stati resi pubblici: come ti sei permesso di rivelare elementi riservati senza prima consultarti con me?”
Tobias lo guardò con stupore: non aveva previsto quella reazione.
“Lei avvertiva le intenzioni...” spiegò “leggeva i sottotesti. Me ne sono accorto quando ha percepito il mio interesse per conoscere cosa le fosse successo e si è chiusa in se stessa. Per ottenere la sua fiducia, ho dovuto aggiustare il tiro e distogliere veramente me stesso da quell‘interesse. Ho dovuto essere autentico, perché lei mi vedesse come un possibile interlocutore. Desidera parlare, ma per qualche ragione non può, ed io sono sicuro che mi cercherà. Poi, magari, non ci rivelerà nulla di significativo per il caso...Boh, magari il parroco la molesta, o in sede di confessione ha detto qualcosa che si è pentita di dire...o viceversa non l’ha detta e si sente in colpa...che ne so! E’ probabile che da lei avremo solo indizi inutili. Ma mi richiamerà.”
“Che ti richiami o non ti richiami, Rendall, è un’altra faccenda! Quello che non va bene è che tu devi concordare le strategie di interrogatorio col tuo collega, specie quando occupa una posizione superiore alla tua! E’ stato forse l’agente Murphy a insegnarti a prendere questa iniziative personali?”
Tobias si irrigidì.
“Perché tiri in mezzo l’agente Murphy?”
“Perché fino a prova contraria è il responsabile di questa squadra”
Le mani di Tobias ebbero un lieve tremito e una delle due prese a gingillarsi con un lembo dei pantaloni: era diventato d’improvviso nervoso, e quel cambio di umore non sfuggì a Hudson.
“T-tee non è responsabile di me” sentenziò
Tutto d’un tratto, sembrava estremamente a disagio, ed era evidente che stava cercando di gestire faticosamente quello stato emotivo. Questo non era un bene.
“No, non è responsabile di te” si corresse Mervin “ma diventa responsabile se ti insegna a compiere azioni che violano i protocolli. Intesi?”
Tobias annuì seccamente.
“I-intesi”
“Adesso andiamo ad interrogare il parroco, ma stavolta fai parlare me. Tu presterai attenzione al linguaggio non verbale e al tono della voce: mi pare di capire che sia la tua specialità”
“L-lo è...” ammise il ragazzo, allentando la tensione delle sue mani.
Entrarono nuovamente in chiesa, ma quando furono a pochi passi dall’altare, Tobias si fermò di nuovo.
“Agente Hudson...” il suo viso si era fatto vagamente inquieto, pensieroso “La ragazza...Helena...ha usato il presente...”
“Cosa?”
“Ha detto...lei è troppo buona. Come se Mary Summers fosse viva. Questo significa...”
“Che avevano un legame affettivo...!” esclamò Mervin, come svegliato da un sonno “Per la miseria! Probabilmente facevano ben più che la strada insieme!”
Il ragazzo confermò con un cenno della testa.
“Rendall, augurati di aver visto giusto. E‘ assolutamente necessario che lei ti richiami!”
***
L’abitazione di Malcom era appena fuori città.
“Lo fate
spesso?”.
Tee si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri “scusa?”
“Se
lo fate spesso…quello che hai fatto con Goodman… Cos’è un giochino in voga tra
voi cervelloni del B.A.U.?”
Tee si concesse una breve risata “potrei proporlo
come incentivo ai fini di una promozione in effetti…hai avuto una bella
idea…”.
“Allora è stata un’anteprima?” tornò alla carica l’agente
Harris.
Tee scosse la testa “no…però non sei andata molto lontano…era un
gioco che facevo da ragazzo”.
“Scommetto che vincevi sempre tu!” esclamò
allegramente Claire Harris.
“Nient’affatto. Ho avuto questo privilegio solo
una manciata di volte, però non c’era in palio nessuna promozione. Una volta
convincemmo lo sceriffo locale che l’ultima vincitrice di America Idol aveva
deciso di fare un giro proprio a Carvel, in Arkansas e lui si diede da fare per
preparare l’accoglienza. Non ti dico la sua delusione quando, dal fondo della
Main street vide comparire il trattore di Jeff Sinclair, invece che la limousine
di J.A.”.
“Devi...ah ma quello non è...”
Claire Harris inchiodò l’auto e scivolò fuori dall’auto in un batter
d’occhio.
Era stata una frazione di secondi, ma era bastato.
Come li vide
avvicinarsi Malcom Denver prese il volo.
Claire Harris era veloce e ben
allenata.
Amava tenersi in forma e ogni giorno correva per un’ora almeno sui
sentieri intorno alla sua città.
Tee Murphy frequentava regolarmente la
palestra dell’Accademia e,quando il lavoro glielo consentiva, si concedeva
un’escursione in qualche parco nazionale.
Malcom Denver invece era un
ladruncolo che aveva vissuto di espedienti fin dalla più tenera infanzia.
Non
c’era di che stupirsi se li aveva già distanziati parecchio, col vantaggio che
aveva fin dall’inizio.
Inoltre Malcom non si curava di non travolgere
ambulanti, passanti, e qualunque cosa di presentasse lungo il suo
cammino.
Zigzagava con collaudata esperienza tra il traffico cittadino,
mentre le auto impazzivano a suon di clacson e brusche frenate risuonavano
ovunque.
“Così si farà ammazzare!” gridò Tee dando voce ai suoi
pensieri.
“O farà ammazzare noi” gli fece eco Claire Harris “tu continua a
seguirlo io provo a tagliargli la strada”.
Claire Harris deviò per una
stradina laterale.
“Malcom vogliamo solo farti qualche domanda!!”gridò Tee
con il poco fiato che gli era rimasto, sperando di farsi udire al di sopra dei
clacson.
Svoltarono in un vialetto, Tee saltò due o tre bidoni
dell’immondizia lasciati indietro da Malcom.
Intravide in lontananza una
rete, Malcom avrebbe dovuto rallentare, ma eccolo scalare la rete metallica con
l’agilità di un acrobata.
Se in quel momento avesse estratto la pistola e
sparato un colpo in aria, forse Malcom si sarebbe spaventato e non sarebbe
successo niente.
Poteva farlo…
Ma gli era già addosso. Lo prese per le
gambe, cercando di tirarlo giù “vogliamo solo farti qualche domanda!!” gridava
Tee.
Finalmente riuscì a staccarlo dalla rete ed entrambi caddero
all’indietro.
Malcom gli mollò un calcio allo stomaco e cercò di liberarsi,
ma Tee fu lesto a riafferrarlo. Lo strattonò un po’ cercando di farlo ragionare
“siamo stati da Harper Goodman”.
Il giovane si immobilizzò per una frazione
di secondo guardandolo allarmato.
“Ora devi dirmi se hai regalato questo a
Mary!”
Tee gli mostrò la foto del crocifisso.
Lui lo osservò sbalordito.
“Non
–non…”.
“Shh tranquillo, so che non sei stato tu a ucciderla…”si lasciò
sfuggire Tee.
Forse era un bene che si trovassero lì da soli.
“...devi lasciare che ti
aiuti. Ehi mi stai ascoltando?” gli diede un altro strattone, forte “se vuoi
salvarti devi ascoltarmi , quando ti chiederanno…”
“Fermo!!”.
Dall’altra
parte della rete Claire Harris puntava la pistola sul sospettato.
“Claire...”
fece Tee rivolto alla collega.
Malcom Denver approfittò di quella breve
distrazione per spingere di lato l’agente Murphy, colpendolo ai reni, per poi
scavalcarlo.
“Malcom No!”
“Fermo o sparo!” gridò l’agente Harris.
“No!”
dal tono della sua voce Tee aveva capito che di lì a pochi istanti, qualche
secondo forse, Claire Harris avrebbe sparato.
Non perse tempo a riflettere,
perché avrebbe dovuto?
“Che diavolo! Agente Murphy si sposti! Si sposti, ho
detto!” gridò la detective Harris. La sua traiettoria di tiro era occupata
proprio dall’agente che avrebbe dovuto contribuire all’arresto del
sospettato.
Tee si voltò indietro vedendo Malcom che girava l’angolo. Solo
allora si tolse dalla linea di tiro dell’agente Harris e prese a rincorrere
nuovamente il ragazzo.
“Agente Murphy!!!”
Prima ancora di raggiungere
l’angolo si sentì un forte stridore di freni, qualche breve urlo. Poi
niente.
“Malcom!” gridò Tee facendosi largo tra la gente.
Ed eccolo lì,
ammanettato e riverso sul cofano di un’autopattuglia, mentre una colonna di fumo
usciva da tre auto ormai definitivamente bloccate all’incrocio.
***
“Sono in questa parrocchia solo da un anno, e non conosco nel
profondo tutti i miei parrocchiani...”
Padre Rayan Tamas era un uomo dall’aspetto pacato, mite, ma gli occhi erano intelligenti e indagatori. Dal momento in cui si erano seduti di fronte a lui, aveva continuato ad osservarli con quello sguardo vagamente diffidente, che incuriosiva Tobias, tanto che non riusciva a smettere di fissarlo.
“Non le ho chiesto se conosce tutti i suoi parrocchiani, padre” fece Hudson “ma se conosceva le due vittime...”
“...Trisha e Mary: due anime tornate a Dio” lo corresse, con una certa decisione “non mi piace che sentirle chiamare vittime”
“Trisha e Mary” ripeté Hudson “Dunque, che sa dirci di loro?”
“Trisha era una gran brava donna. La conoscevo bene, ed anche i suoi figli. Venivano in chiesa ogni domenica, e lei dedicava il suo tempo alla casa di riposo. Inoltre, insegnava anche catechismo ai bambini...”
“A Mary piacevano i bambini” intervenne Tobias “insegnavano per caso anche lei?”
“No, Mary no. Ma faceva animazione nell’oratorio. Insieme a Trisha, una volta, ha animato una festa. Nulla di più. Certo, in parrocchia si vedevano, e di certo si conoscevano, come si conoscono un po‘ tutti coloro che non si limitano ad assistere alle funzioni, ma supportano la chiesa con le loro opere. Però, non credo fossero amiche, o, se lo erano, io non ne sono a conoscenza. Abitavano distanti, ed avevano interessi diversi. Trisha era in pensione, madre di famiglia: passava molto del suo tempo in casa o qui. Mary era diversa. Era un‘anima pura e gentile, ma la maggior parte del suo tempo la dedicava al fidanzato...un povero ragazzo, una pecora smarrita...Non so come facessero a stare insieme: non avevano nulla in comune. Ma lei era buona, e non voleva abbandonarlo al suo destino”
“Cosa sa di lui?” chiese Hudson “perché lo ha chiamato ‘pecora smarrita’?”
“Beh, aveva avuto brutte esperienze. Precedenti penali, risse...si ubriacava spesso e...” si interruppe.
“E...?”
“Non posso violare il segreto del confessionale. Lei non lo vorrebbe”
“Ma Mary è morta”
“E’ salita a Dio. Questo è ciò che accade alle persone come lei”
“E’ salita a Dio” fece eco Hudson, un po’ seccato “Dunque, lei sa qualcosa su Malcom Denver ma non può dirlo”
“No, non posso”
Mervin rifletté: non poteva elaborare un profilo dopo pochi minuti di conversazione, ma doveva ugualmente trovare una strada per farlo parlare. Denver era il principale indiziato, ma Tee lo aveva ritenuto innocente...ed anche lui, tutto sommato, era giunto alla stessa valutazione. Ogni indizio poteva essere determinante per scagionarlo. O, nella peggiore delle ipotesi, per condannarlo.
“Lei credeva in ciò che Mary stava facendo? Apprezzava i suoi sforzi di redimere Malcom, e di non abbandonarlo?”
“Certo che la apprezzavo. Gliel’ho detto: una creatura rara!”
“E non crede che ci sia stata la mano di Dio nel farli incontrare? Non crede che Mary sia stata un dono di Dio nella vita di Malcom, affinché anche lui avesse un’opportunità? Dio gli ha dato Mary, perché lui potesse seguirla, e tornare sulla giusta strada...”
“Lei dice una cosa molto bella...” ammise padre Tamas, sorridendo debolmente.
“Dunque, se anche lei lo crede...le confiderò una cosa” disse Hudson in tono grave “noi dell’unità analisi comportamentale abbiamo interrogato Malcom, e crediamo sia innocente. Forse è vero, aveva eccessi d’ira, ma non al punto di uccidere. Però...in mancanza di altri indizi, lo incrimineranno...e tutto il lavoro di Mary verrà vanificato. Quando uscirà dal carcere, se ne uscirà, la sua vita sarà rovinata...Il carcere non redime gli uomini, lei lo sa bene. Li incattivisce e li rende aggressivi ed antisociali. Non rivelarmi ciò che sa, è come...togliere a Malcom tutto ciò che Dio gli aveva donato, mettendo Mary sulla sua strada...”
L’uomo rimase un istante in silenzio. Poi, d’improvviso, ebbe uno scatto: si alzò e corse fuori dalla sacrestia, andando a inginocchiarsi ai piedi dell’altare.
Tobias e Mervin si scambiarono un’occhiata d’intesa: quell’uomo aveva un problema.
***
“Dimmi perché l’hai fatto? Avanti!”
Claire Harris, anche senza una
pistola in mano, sapeva essere molto minacciosa.
“E sappi che dovrai essere
molto convincente...” Fece la donna sterzando sulla Main Street.
“Dovrò fare
rapporto lo sai?!” continuò la detective fermandosi per lasciar passare una
donna col passeggino.
“Ma che ti è saltato in mente? Non so come siate
abituati a Quantico, ma qui...”.
“Accosta” esclamò Tee.
“Cosa?
Perché...”
“Accosta un momento per favore” insisté lui.
Sbuffando, Claire
Harris accostò.
“Hai due minuti agente Murphy!”gli intimò.
“Ti fidi di me?”
Lei ci pensò su un momento, non che non si fidasse,
però...
”Cosa c’è sotto” Chiese con un accenno di diffidenza nella voce.
“Vorrei
che al rientro alla centrale tu lasciassi gestire a me le cose...”
“Dovrò
fare rapporto” esclamò automaticamente Claire Harris.
“Sì certo...”
“Senti
Murphy, parliamoci chiaro” lo interruppe lei “se intendi omettere qualcosa
io...”
“Claire, quel ragazzo è innocente!”
Non fu tanto la convinzione con
cui rivendicò l’innocenza di Malcom a colpirla, quanto il tono
confidenziale.
“Ci sono molte cose che non funzionano, che non rientrano nel
profilo dell’s.i. in Malcom. Ad esempio la refurtiva: cosa se ne fa uno che
prova piacere nel legare le proprie vittime, uccidendole in casa propria e
sparando loro al cuore, cosa se ne fa di qualche stupido monile da rivendere al
mercato nero? Sono persone molto astute quelle di cui parlo Claire, non
farebbero mai qualcosa che potrebbe pregiudicare le loro azioni future...e ti
ricordo che solo in un caso si è verificato un furto. Ma l’hai guardato bene? Ti
sembra un tipo così sveglio da riuscire a studiare un piano così nei particolari
da poter farla franca per così tanto tempo? No...” Tee scosse la testa e
continuò “Malcom non riuscirebbe ad architettare niente di simile,
senza...”
Claire Harris alzò una mano per fermarlo.
“Cosa vuoi fare?”
domandò chiedendosi quanto in là l’agente Murphy intendesse spingersi per
Malcom.
“Bè, non vedo perché, ad esempio, aggravare la sua posizione
raccontando della sua piccola aggressione” esclamò Tee stiracchiandosi con le
braccia dietro la testa.
“Tu sei...” il detective Claire Harris si fermò
osservandolo sorridere piuttosto compiaciuto e scosse la testa, sconsolata
“sappi però che ti ritengo responsabile di qualunque cosa quel ragazzo farà...”
minacciò infine, ingranando la prima.
Tee Murphy annuì serio.
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