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Autore: Valvonauta_    16/01/2014    2 recensioni
Il Dottor John Watson è a pochi giorni dal suo matrimonio che lo legherà per sempre a Mary Morstan ma Sherlock, con la sua presenza, inconsapevolmente, insinuerà dei dubbi nella mente dell'amico, che, dopo due anni di assenza, inizierà a vederlo in un modo diverso e del tutto inaspettato...
Dal 1° capitolo:
«Watson osservò la figura slanciata e longilinea del suo compagno di avventura. Ancora non riusciva a credere che fosse vivo. A volte osservandolo accanto a sé, mentre lui era distratto e neanche lo considerava, gli pizzicavano stranamente gli occhi, in una maniera del tutto inedita, quasi si commuovesse della sua vicinanza.
Rivederlo di nuovo li, aveva dovuto ammettere, su quella poltroncina consumata dell’appartamento, certe volte gli dava euforia, gli veniva voglia di mettersi ad urlare dalla gioia ed abbracciarlo.
Focalizzò la sua attenzione al viso dell’uomo e notò quanto fosse… bello. Si, era bello.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Una scelta difficile
Capitolo 3 - Inquietudine




©planets-bend-between-us.tumblr.com  
 
Dopo dieci minuti di esitazione, a torturarsi sul da fare, uscì dalla camera con l'intenzione di parlare con Sherlock, chiarire quella situazione imbarazzante che lui aveva creato involontariamente con la sua stupidità, e farsi dire perché tutti, compreso lui stesso, si stessero comportando in quel modo. Risolveva casi impossibili, sarebbe stato in grado di dare una soluzione anche a quello stupido interrogativo, no?
"Sherlock!" urlò appena uscito dalla camera e fece appena in tempo ad arrivare in salotto per vedere il suo cappotto lungo svolazzare via, giù per le scale.
Il suo migliore amico non si era neanche preoccupato di chiudersi la porta alle spalle, tanta era la fretta di andar via.
 
***
 
Che Sherlock sapesse, avesse capito che...? Chiuse gli occhi, in cerca di equilibrio, per non farsi prendere dal panico, e fece quattro sospiri profondi.
Non lo aveva mai evitato a quel modo, mai aveva eluso una sua precisa domanda, come aveva fatto prima, per lo meno non in quel modo, non senza il sorriso sulle labbra.
Sherlock sa. Questa fu la conclusione che ne trasse, era l’unica possibile.
Un attimo di panico.
Poi la domanda fatidica: ma cosa sa?
No, no, ma che vuol dire trovare belli gli occhi di un uomo? Mica vuol dir niente!
Poi, una vocina maligna, da qualche angolino buio e remoto della sua mente, gli rispose: ‘Gli occhi di Lestrade li hai mai guardati davvero? Sai almeno di che colore sono?’
Va beh, ma che significa? Niente. Niente.
Sorrise tra sé rincuorato dalle sue stesse affermazioni.
In fondo non voleva dire niente, ripeté ancora a se stesso.
La vocina riprese forza, accusandolo: ‘Stai semplicemente rigirando la frittata’.
Io amo Mary, ok? La amo, la amo. Lei c'è stata per me. Sempre. Anche nei miei momenti più bui, soprattutto in quelli, anche quando volevo fare quel gesto, si, proprio quello, lei c'era ed è venuta a soccorrermi. Mi ha salvato la vita col suo affetto e la sua dolcezza. Sherlock invece, da buon amico, si è finto morto ed è stato lui a portarmi sull’orlo del non ritorno. Si, quel Psicopatico bastardo, ha inscenato la sua morte anche con me, come se fossi un qualunque estraneo non degno di condividere i suoi piani. I suoi genitori, suo fratello Mycroft, addirittura Molly Hooper!, sapevano. Io no. Io che...
Gli vennero, dal nervoso, quasi le lacrime agli occhi e li strinse fortissimo finché il pericolo di piangere non fu scampato.
Sospirò nuovamente ma era nervoso, troppo nervoso per poter ritornare quieto con così poco sforzo.
Mantieni la calma, John. Mantieni la calma, si disse.
Sei un soldato, per Dio!
Capitan John Watson, quinto reggimento dei fucilieri di Nothumberland.
Calma, soldato! Pancia indietro, petto in fuori! E cercò di riprendere a respirare normalmente, ad imporre ai battiti una velocità normale.
Questo auto-ordine gli ridiede una nuova apparente calma.
Quanto sarebbe durata?
 
 
***
 
Cercò Sherlock in tutti i posti che lui amava frequentare. Discariche, Speedy’s, obitori, Scotland Yard, ecc. ma niente da fare. Chiese anche ai senza tetto ma sembrava che fosse scomparso nel nulla, anche ai loro occhi. Mycroft lo liquidò dicendo che aveva badato abbastanza a suo fratello minore, che ne aveva le scatole piene e di certo aveva di meglio da fare che star dietro alle sue “uscite da draq queen”. Lo aveva rassicurato con un “vedrai che ritornerà, lo fa sempre”.
Ritornò lui a Baker Street, sconsolato. La Signora Hudson appena lo vide arrivare lo rimproverò del cadavere lasciato da Sherlock sul pavimento della cucina.
In effetti aveva ragione: il puzzo era diventato insopportabile.
Con l'aiuto dell'anziana, impacchettarono il caro vecchio Mitch e furtivamente John andò a buttarlo in un cassonetto dell'immondizia, uno di quelli vuoti in modo che con l'altra spazzatura sopra potesse non essere notato il sacco che per forma ed aspetto, ma soprattutto odore fetente, poteva risultare sospetto.
Aspettò il Vivisezionatore di Cadaveri in piedi tutta la notte come un cretino, guardando TLC, il canale che da Aprile aveva preso il posto di Discovery Real Time, così gli aveva spiegato la Signora Hudson, la quale gli fece compagnia fino alle 4, instancabile nella sua personale maratona di Cake Boss.
 
13 giorni prima…
Neanche il giorno dopo fece ritorno.
A mezzogiorno si stufò di star li a scaldare la poltrona. L'inattività l’aveva sempre ripudiata.
A quel punto c’era solo una persona con cui potesse cercare di chiarire la situazione: Mary.
Si sentiva terribilmente in colpa per non averla chiamata per un giorno intero lasciando in quel modo osceno le cose sospese tra loro. Ebbe paura che quel suo non richiamare avesse compromesso la loro relazione irrimediabilmente.
Mary era una donna sveglia, bellissima e dotata di una innata perspicacia. A lei, come a Sherlock, non era facile nascondere niente. La differenza era solo una, tra i due: la prima lo faceva per una sorta di sensibilità emotiva, l’altro perché era un pazzo sociopatico drogato.
La chiamò. Rispose subito, al primo squillo.
“John, ti fai risentire, eh?”
La voce di lei come al solito fu calma e dolce, anche se con una punta di rimprovero questa volta, messa ironicamente alla fine.
“Eh, già!” fece in imbarazzo dondolandosi sui piedi e fissandoli.
“Hai ripensato alla nostra conversazione di ieri? John, io…” cominciò lei ma la fermò.
“E’ inutile fingere ancora.” Sospirò e chiuse gli occhi, maledicendo con tutto se stesso ciò che stava per dire. “Dobbiamo parlare.”
Aveva sempre odiato quelle due parole. Era sempre il primo segnale di allarme in una relazione, era sempre quello, sia nella realtà che nelle telenovele spagnole.
Non poteva essere più originale? Originale in cosa, nel dirle che aveva dei dubbi dopo neanche due mesi dopo averle chiesto di sposarla? Che non sapeva quello che voleva? Che l’aver affermato che non c’erano problemi, il giorno prima, era tutta una balla? E il perché soprattutto, oh, li avrebbe dovuto ingegnarsi molto a spiegarlo anche perché neanche lui sapeva con precisione il perché di tutto quel macello in cui stava riducendo la sua vita, rischiando di perdere il suo miglior amico e sua promessa sposa, in caso tutto fosse degenerato dalle sue mani ulteriormente con il passare del tempo.
Sono un uomo semplice, io, di queste cose non ci capisco niente, non c’ho mai capito niente. E’ anche per quello che sono entrato nell’esercito. Li ricevi ordini e fai quello che ti dicono senza pensarci tanto. E’ anche per questo che adoro Sherlock. Con lui l’aspetto emotivo non c’è, lui le emozioni le evita, le scaccia via da se come si fa con gli insetti, inoltre nei nostri casi io non lavoro d’ingegno, quello che ragiona, che osserva, che elabora soluzioni è lui, è sempre lui. Io mi limito a fare le mie solite opinioni banali, quelle di un medico o di un semplice essere umano ma lui non è umano, lo sanno in molti, tutti quelli che lo conoscono, suppongo. Io gli faccio compagnia, come un buon cane da compagnia. Aveva ragione lui quando mi ha detto che servo da supporto al suo smisurato genio. E’ così, sempre è stato e sempre sarà.
Fino ad ora ho evitato questo tipo di impicci. Anche con mia sorella. L’ho lasciata affogare nell’alcol, dopo un blando tentativo di aiutarla poi per me è risultato troppo, troppo pesante da sopportare emotivamente e sono scappato. Scappato dai problemi di gestione di tutto quel casino. Non mi piace parlare di questo, neanche mentalmente.
Ora mi ritrovo in uno stato mentale di confusione e non so che fare. Quando Sherlock è morto, quando si è finto morto io sapevo cosa volevo. Volevo che vivesse, volevo che facesse quell’ultimo miracolo per me e sapevo cosa provavo: dolore. Tutto, in quel dolore, era ben definito e chiaro. Anche quando è arrivata Mary tutto ha continuato ad essere semplice. Mary mi faceva stare bene, dimenticare per un po’ il ricordo di Sherlock, allontanarlo in modo da non avere quel senso costante di soffocamento alla gola. I miei sentimenti erano stati chiari fin dall’inizio: la amavo. Punto. Amavo la sua gentilezza, la sua riservatezza, la sua comprensione e la sua pazienza. Era quello di cui avevo bisogno in quel periodo e lei ne era l’incarnazione umana. Tutto era lineare.
E’ lo stato mentale di confusione che odio. Quando non so chi sono, cosa voglio o provo. E’ quello da cui ho sempre fuggito ed ora… mi ci trovo proprio in mezzo, schiacciato come un wurstel in un hot dog.
La donna che amava gli rispose in tono accomodante: “Certo, a che ora?”
“Tra un’ora? Casa tua?”
“Casa nostra, John” gli ricordò e sentì il soffio d’aria nasale tipico di un sorriso appena accennato.
“A dopo, Mary” fece per chiudere. Non credeva di poter sopportare a lungo ancora quella conversazione senza dare di matto.
“A dopo John!” gli rispose e la chiamata terminò.
Arrivò sotto casa della donna, mille pensieri sparsi per la sua mente, incapace di radunarli.
Suonò il campanello e lei gli aprì la porta, sorridendogli, quasi come fa una mamma che vede tornare il suo piccolo dopo settimane fuori.
In una situazione normale sapeva che lo avrebbe baciato ed abbracciato. Ma non lo fece e questo per fortuna, o sfortuna, dipende dai punti di vista, gli confermò che sospettava che qualcosa si era rotto tra di loro.
Almeno quando le avrebbe detto quello che doveva dirle non sarebbe caduta dal pero. In effetti dopo quel “Dobbiamo parlare” e l’ubriacatura era giusto pensarlo, no? Prepararsi al peggio.
“Accomodati, è casa nostra!” insistette lei su quel punto, proprio come aveva fatto al telefono, mettendogli una mano sulla spalla destra e quasi spingendolo di forza all’interno.
Lui si sedette sul divano, incerto, con le mani sudate. Lei si accomodò nella poltroncina di fronte, in attesa che dicesse qualcosa, fissandolo con i suoi occhi blu che gli infondevano tranquillità.
Approccio blando: “Scusa se non ti ho chiamata…”
“Non c’è problema” rispose secca, senza dargli tempo di iniziare quell’abbozzo di discorsetto che si era preparato nel tragitto.
“Scusa se mi sono ubriacato…” riprese lui dopo alcuni attimi di silenzio.
“Non c’è problema” insistette lei.
“Ok” fece infine mordendosi il labbro inferiore.
Ed ora che diavolo le dico? Tutto dipendeva dalla sua risposta alla domanda che avrebbe fatto tra un momento.
“Sherlock è scomparso ed è strano dalla sera in cui mi sono ubriacato. La cosa buffa è che non mi ricordo nulla. E mi sto preoccupando per lui.”
Era molto peggio di così ma non sapeva come porre la questione quindi si limitò alla scusa più banale per ottenere le informazioni di cui necessitava.
“Fino a quando ricordi?” le chiese la compagna, paziente.
“Ero al locale quando Sherlock è arrivato per parlarmi, poi il nulla, non mi ricordo nemmeno quello che mi ha detto” raccontò.
“Beh, come avrai letto dai messaggi dopo che hai rifiutato più volte le mie chiamate – John abbassò lo sguardo, beccato ed affondato in pieno – ho iniziato a preoccuparmi seriamente e ho contattato Sherlock, che ovviamente non ha risposto subito, ma solo dopo un’ora.
Lui mi ha detto che eri uscito,
che non c’era bisogno di preoccuparsi. Alla fine dopo una breve lite l’ho costretto a cercarti e solo dopo quattro ore ti ha trovato, allo Speedy. Deve aver pensato che quello fosse l’ultimo posto in cui cercarti. Mi ha contattata dicendomi che eri ubriaco, che non ti reggevi in piedi ma che tutto sommato stavi bene. Mi sono offerta di venire ma lui ha insistito che no, non ce n’era bisogno. Di star calma che ci pensava lui.”
“E tu?” chiese sporgendosi involontariamente verso di lei, come a prepararsi a bere assetato tutte le parole che avrebbe detto di li in poi.
“Io niente. Alla fine ho rinunciato – fece spallucce – abito in periferia, sai. Andare in giro di notte non è il mio hobby preferito.”
Fece segno di assenso con la testa: “E quindi?”
“Niente. Sono andata a letto. Era mezzanotte. Ho provato a prendere sonno, leggere ed altro ma ero troppo preoccupata per te, davvero.” E allungandosi con il corpo tese una mano fino a prendere tra la sua quelle di lui.
Fu un attimo, un tocco lieve e poi ritornò ad accomodarsi sulla poltrona, con un sorriso dispiaciuto, quasi si sentisse in colpa per l’interesse che lei stessa provava per le sue condizioni di salute.
“Alla fine alle 4 ho preso un taxi e sono venuta a Baker Street. Tu dormivi sul divano. Io sono stata con te finché ho potuto poi sono dovuta andare a lavoro. Verso le 7.”
“Tutto qui?” Sinceramente? Si aspettava di meglio, almeno qualcosa che gli facesse capire che fosse successo. In fondo tutto dipendeva da quello… o no?
“Mi spieghi che sta succedendo, John? Perché sei tanto interessato a quella sera? Seriamente? Quello di cui mi preoccuperei fossi in te è del perché ci sei arrivato su quel divano, non come.”
“Cosa vuoi dire?” esclamò aggrottando la fronte. Si, era vero, sapeva quello che voleva dire ma preferì per la figura del finto tonto.
Lei lo guardò poi fissò i suoi piedi e rialzò lo sguardo su di lui ed incerta iniziò il discorso: “Oh, John, ti prego, dimmi perché, perché hai sentito il bisogno di ubriacarti, il bisogno di dimenticare tutto a due settimane dal nostro matrimonio.”
“Io… Mary…” Accidenti, era stata più diretta di quello che si aspettasse ed ora non sapeva come uscirne. “Non lo so” ammise infine ammosciandosi visibilmente sotto il proprio peso, abbandonando la postura rigida che lo caratterizzava.
“Ah, quindi tu…” e la vide scrollare la testa “non sai che ti sta succedendo?”
Vide gli occhi di lei timorosi, impauriti da lui, da quello che poteva uscire dalla sua bocca, dalla verità.
“No, Mary, credimi io ti amo, ti voglio sposare…” iniziò per poi fermarsi bruscamente alla ricerca delle parole giuste.
“Ma…”
“No, io… ti prego… dammi tempo” chiese. Che altro poteva dire o dare, garanzie che non c’erano?
“Vuoi ancora sposarmi?” Lui fece per ribattere ma stese un braccio per fermarlo e riprese subito a parlare. “John, se hai dei dubbi, qualunque cosa, non ti senti pronto… io non ti forzo a far niente. Rimandiamo o lo cancelliamo semplicemente. Sei stato tu a chiedermi di sposarmi, se neanche tu ci credi più…”
“No, io non voglio annullare il matrimonio. Sono solo agitato, ok? Passerà. Passerà.”
Vide gli occhi di lei desiderosi di ribattere ma dalla sua bocca non uscì nessuna frase.
“Te lo prometto” concluse lui.
“Ok” replicò semplicemente lei.
Si osservarono per un po’. Lui ad un certo punto, non tollerando più la pressione, si alzò di scatto, come attivato da una molla nascosta nel divano, e lei lo imitò, quasi in un riflesso condizionato.
Le disse in tono solenne, quasi fosse ancora all’esercito: “Vado a cercare Sherlock.”
Poi con tono più calmo e scherzoso aggiunse: “Che non sia in qualche casa del crack o a cercare di farsi ammazzare da qualche psicopatico come lui.”
Lei rise, ma per poco: “Ok. A dopo?”
“A presto” rispose senza neanche sapere lui bene il perché.

 

Olè.
Ce l'ho fatta! Contenti? Spero proprio di sì.
Questa volta ho optato per un capitolo un po' più lungo del solito. Spero abbiate gradito la scelta!
La storia si sta ingarbugliando sempre più ed il nostro John non sa più che pesci prendere. Sherlock nel frattempo è scomparso a rifugiarsi chissà dove. Come andrà a finire? John riuscirà a sposarsi e Sherlock ritornerà mai a Baker Street per chiarire le cose con l'amico? 
Lo scoprirete solo leggendo!
Ringrazio tutti coloro che hanno messo tra le preferite/seguite/ricordate la mia ff e ringrazio ancora Vanth_ per l'ulteriore commento lasciatomi nel secondo capitolo, troppo carina come sempre. 
Un abbraccio a tutti,
FranciscaMalfoy

 
   
 
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