Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Joy_jest    19/01/2014    4 recensioni
Clopin legge tutto, almeno, tutte le persone. Tranne una. Lei è la sua nuova sfida.
Sono agli opposti, ma gli opposti si attraggono... o forse no?
--nota--
1.Sì, un'altra storia con Clopin e una ragazza. No, non è una storia sdolcinata.
2.Alcuni personaggi (come Frollo) prendono ispirazione anche dal libro, che li rende più complessi. Comunque il contesto resta quello del film.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La ragazza aprì gli occhi. Cosciente di essere sveglia si rigirò sotto le coperte nel tentativo di riaddormentarsi. Niente da fare, ormai la dolce dimensione del sogno, coronata di morbidi cuscini e calde coperte, era perduta, perciò con un enorme sforzo si mise a sedere sul letto, riempendo i polmoni di quanta più aria poté, come se tornasse da una lunga apnea. Era sveglia; a destra, dalle imposte chiuse filtravano nastri di luce che illuminavano la camera quanto bastava per distinguere gli oggetti, nel cupo colore ambrato che pervadeva l'ambiente.
Si alzò e andò ad aprire le imposte. La stanza in un attimo venne invasa da un'intensa luce e il vociare della strada le riempì le orecchie assonnate.
Parigi. La Città, la megalopoli. Era un sogno, o almeno avrebbe dovuto esserlo. Ci provava, ad essere felice, ma non era nemmeno un po' contenta. Le mancava casa sua. Le mancava il suo mare.

-Perché nessuno mi ha svegliata?
Doveva essere molto tardi. Decise di vestirsi subito e raccolse i lunghi capelli alla meglio: forse era ancora in tempo per avere qualcosa per colazione. Si precipitò per le scale e arrivò finalmente nelle cucine, ma erano deserte. Restò un attimo interdetta, ma subito il suo stomaco la riportò a problemi molto più concreti. Addentò una mela, appoggiandosi al muro, non c'era nessuno per dirle di doversi sedere. Già, nessuno... perché le cucine erano vuote? Tutti i servitori erano scomparsi.
-Cécile! Dove sei?
Qualcuno la chiamava, sottraendola ai suoi pensieri.
-Hé, pinson!
Era Emile! Nessun altro poteva chiamarla in quel modo, pinson, fringuello! Gliel'aveva dato lui quel buffo soprannome: da piccola cantava sempre, il nomignolo venne da sé.
-Arrivo!

Emile era figlio del compagno d'affari di suo padre, quando si conobbero l'uno era un ragazzo e l'altra una bambina. Cécile era sempre stata una personcina schiva, ma Emile la prese subito in simpatia. Diventarono presto amici, ora erano come fratelli. Con lui Cécile si permetteva di fare qualsiasi cosa. Per lei era molto più di un amico: era un confidente, era l'aiuto negli studi, era la sua voce al bancone del negozio, era la spalla che la portava quand'era stanca, era il suo scudo dagli altri bambini, era la sua guida in posti sconosciuti, era il compagno di giochi e di avventure.

-Eccoti! Dov'eri finita?
-A fare colazione.- rispose ancora masticando l'ultimo boccone. Emile la guardò stupito, era piuttosto tardi, ma Cécile tirò fuori un biscotto alle mandorle rubato da un vassoio lasciato incustodito e glielo offrì con un sorriso. E come avrebbe potuto rifiutare? Questo bastò per fargli cambiare argomento: -Ascolta, io e mio padre stiamo andando al mercato a vendere. Ti va di venire? Magari un faccino come il tuo attirerà i clienti...- ammiccò scherzando. Cécile rispose con una smorfia a quella provocazione, ma acconsentì. Dopotutto fare un giro per la città le avrebbe fatto bene. Avrebbe provato a farsela piacere almeno un po'.

-o-0*§*0-o-

Intanto Clopin era di nuovo in piazza, come la mattina prima e quella prima ancora, “da tempo immemorabile”, come dicevano i bambini copiando l'espressione che a volte il burattinaio usava nelle sue storie.
Ma la mattina ormai era finita e così anche la favola quotidiana. Sia grandi che piccini correvano a casa per il pranzo. Già... e lui? Avrebbe mangiato qualcosa? Guardò il suo piccolo guadagno: ma sì, forse un pezzo di pane. Preferiva accontentarsi di poco, quando poteva, piuttosto che rubare. Si era dato una sorta di regola: oggi non mangi? Chiedi a qualche compagno. Ieri e oggi non hai mangiato? Non puoi certo morire di fame! Certo, non che fosse sempre ligio a questa norma, ma per sua fortuna era costretto poche volte ad applicarla, riusciva facilmente ad accattivarsi i bambini, come facesse nemmeno lui lo sapeva. Era sé stesso, semplicemente. Forse era nato per quello, per essere un buffone, un acrobata, un giullare. Credeva che ci fosse un motivo a questo, come per tutto il resto; aveva elaborato una sorta di “teoria sulla sua vita”, come la chiamava lui segretamente, ma non l'aveva mai svelata a nessuno. Strano talento, il suo, e poco redditizio per giunta, ma era tra i pochi che aveva e doveva tenerselo stretto.
Si incamminò per le vie della Cité, tra gli sguardi diffidenti della gente. Ormai non ci faceva più caso, d'altronde se era condannato a essere visto così per tutta la vita non poteva fare altro che accettare e ignorare. Camminava alla sua maniera baldanzosa, a testa alta, guardando in giro e soprattutto in alto, dove si scorgevano sempre i due campanili, che come due occhi grandi vegliavano su Parigi, giudici. Giunto in piazza, Clopin li salutò con lo sguardo.
Poi si fermò. Solo per un attimo, a guardare.

La ragazza.
L'uccello in gabbia.
Non gliel'aveva data a vinta a Notre-Dame, la testarda. Era là di fronte a lei, a fissarla, la ragazza la cattedrale, la cattedrale la ragazza.

Quella cosina minuscola pensava ancora di catturare Notre-Dame, tentava nuovamente di ghermirla tutta con uno sguardo, e farla sua. Per poi probabilmente appiattirla, come d'altronde aveva già fatto con tutto il resto. Aveva dichiarato guerra alla cattedrale: chi prende per prima l'altra. Clopin sorrise divertito. Che sfida impari.
Si diresse verso di lei, curioso, deciso e stranamente ingenuo. Quando le fu abbastanza vicino e le disse pacato: -E' bellissima; non è vero?-
La ragazza non si era minimamente accorta di avere qualcuno alle spalle, si voltò di scatto e rimase qualche istante in bilico tra la sorpresa e la rabbia; poi sbottò, rispondendo più per lo spavento che per l'ira: -Sporco zingaro, vai via! Cosa vuoi da me? Vuoi derubarmi? Vattene, o... chiamerò le guardie!-
Clopin restò sbigottito da quella scena. Lui, che aveva pronunciato solo una frase innocua, venire ora trattato come un ladro! Restò immobile a guardare come se ciò a cui aveva appena assistito riguardasse un'altra persona, talmente ne era allibito, con la gente attorno che iniziava a guardarlo in malo modo e la ragazza anche peggio, se possibile. In quel mentre intervenne un uomo giovane, attirato dal trambusto: -Va tutto bene, pinson? Qualcuno ti ha dato fastidio?- aggiunse indirizzandogli uno sguardo di fuoco. -No, Emile. E' tutto a posto ora- Rispose lei, vedendo lo zingaro retrocedere.
Questo, arrivato a debita distanza, si toccò il cappello in segno di saluto, si girò lentamente e se ne andò con un sorriso amaro. Sarebbe andato a cercare il pranzo altrove.

Camminava e pensava. Non gli era mai successo. Mai, in tutta la sua vita. Certo che l'avevano trattato male, ogni giorno! Ma lo sapeva. Sapeva cosa sarebbe accaduto per un suo gesto, cosa la sua presenza avrebbe scatenato. Se agiva, prevedeva le reazioni; se parlava, conosceva le risposte. Lo sapeva, accidenti! L'aveva sempre saputo! Non era forse lui quello che conosceva gli altri? Lui, l'indovino dei caratteri? Colui che meglio canzonava la gente? E ora, cos'era appena successo? Stava forse -oh, no- invecchiando?
A un tratto, l'odore del pane appena sfornato scacciò quei pensieri.

-Una bella baguette, la più grossa che avete!
Quanto avrebbe voluto pronunciarle lui quelle parole! E invece erano del signore davanti, in fila per il panaio, che rise:- Ah! Per un occasione speciale, forse? Sei fiorini neri1!- Il cliente pagò e se ne andò. Quando Clopin apparve al panettiere, venne intimato a fare un paio di passi indietro, giusto per non rischiare che rubacchiasse qualcosa, prima che facesse la sua richiesta: -Una baguette!- Ordinò Clopin compiaciuto.
-Otto fiorini neri- si sentì rispondere
-Come? Ma il signore...-
-Otto fiorini neri ho detto! Non uno di meno.-
Clopin si indignò e protestò, ma poi sbuffando diede quanto richiesto (aggiungendo però di nascosto un pasticcino alla baguette...).

Quando finalmente Clopin si fermò per mangiare il suo sudato pranzo (e l'amato pasticcino), non poté fare a meno di tornare col pensiero a quanto era accaduto con la borghese. Come aveva potuto essere così stupido? Doveva intuire cosa sarebbe successo, doveva prevedere ciò che gli avrebbe detto. Perché le si era avvicinato? E, soprattutto, perché gli stava importando tanto, ora?
Continuava a porsi interrogativi su interrogativi, senza saper dare una risposta nemmeno a uno di loro. Clopin non lo sapeva, non lo sapeva proprio. Semplicemente, in quel momento, avvicinarsi a lei e parlarle era naturale, istintivo, facile. Non si era nemmeno chiesto perché lo stesse facendo e come.
Forse credeva di dare un senso a qualcosa. Forse voleva “salvarla” da Notre-Dame (o salvare Notre-Dame da lei?).
Oppure era semplicemente impazzito.

Pensò che la ragazza avesse pronunciato quelle parole in un modo spaventosamente automatico, come se gli stesse... sparando. Mentre il copione della scena di cui era stato occasionalmente attore veniva replicato nella sua mente, s'inceppò in una frase: era di quell'uomo giovane entrato in scena verso la fine dell'atto (primo e ultimo, scena unica), cos'aveva detto? “Va tutto bene, pinson?”. Evidentemente non era l'unico a paragonare la ragazza a un uccellino! Ma fringuello era esagerato, quello non era un fringuello, quello era un... un barbagianni, ecco, uno chat-huant!
-D'ora in poi le starò alla larga. Non è bene stare troppo vicino ai barbagianni.

-o-0*§*0-o-

-Cécile, sei sicura che va tutto bene?
-Te lo ripeto: sto bene! Smettila di preoccuparti, non mi ha nemmeno sfiorata.
-Allora va bene.
Emile fece una pausa e poi un lungo sospiro. Come poteva dirglielo? A lei, una ragazzina, dirle... non ce l'avrebbe mai fatta. “Fallo e basta” si disse “senza pensare”.
-Senti Cécile...
-Ancora! E' tutto a posto. Va. Tutto. Bene! E ora piantala!
“No, pinson, non va tutto bene...” Ormai era andata, non poteva tirarsi indietro.
-Non è questo.
-E allora?
-Devo dirti una cosa.
Si sedettero su due sgabelli. Era meglio stare seduti, non si poteva mai sapere.
Prese fiato e continuò.
-Tua madre... stamattina... la servitù non c'era.
-L'ho notato. Ma che c'entra mia madre?- lo interruppe.
-Sta male. Non la servitù. Tua madre, dico.
Cécile sbiancò. Si preoccupava sempre per i suoi, soprattutto per lei. Soprattutto ora.
-Lei... ha... il suo bambino?
-Non lo sappiamo ancora. Léa e Clothilde l'hanno assistita, ma non mi hanno detto niente. Basile è andato subito dallo speziale e Mathilde era al mercato, non sapeva nulla.

La madre di Cècile, Hélène, era incinta, ma, benché prossima al parto, aveva voluto accompagnare il marito in quel viaggio. La figlia e il consorte non erano riusciti a persuaderla.

Cécile si alzò di scatto, portandosi una mano alla fronte per il repentino sbalzo di pressione, poi si incamminò verso il palazzo, ma presto si accorse di stare correndo. In lontananza sentiva Emile richiamarla, ma era inutile. I suoi piedi correvano veloci, autonomi, sganciati da qualsiasi volontà. “Stupido Emile! Stupido, stupido Emile!” Ora capiva perché le aveva chiesto di uscire di casa, voleva tenerla lontana da lì e non le aveva detto niente, niente!
Di colpo si fermò, aveva mancato la svolta. Tornò indietro, sempre correndo, e la imboccò per arrivare infine nel cortile.
-Madre!- gridò.
Risalì le scale.
-Madre!-
Entrò nella camera col fiatone.
-Madre...-
Hélène era seduta sul letto e la guardava.
-Ma Cécile! Sei tutta rossa! E guarda i tuoi capelli... oh, ma sei così spettinata.-
Non sembrava stare tanto male. A quanto pareva la peggio messa tra le due era Cécile.
-Maman, cos'è successo? Stai bene? Emile mi ha detto...-
-Oh, quell'uomo. Esagera sempre! Gli avevo detto di non dirti niente, ma non mi dà mai retta.- Sorrise.
Cécile le si avvicinò per abbracciarla: -Ero così in pensiero... pensavo che il bambino... ecco...-
-Oh, figlia mia, il bimbo sta bene. Non preoccuparti.-

-Ma insomma Cécile! Sei tutta sudata!-











Note:
[1] Inizialmente avevo intenzione di inserire il ducato (quindi soldi e denari come sottomultipli), ma riguardando il film ho visto che nominavano il fiorino. Insomma, il fiorino nero è il fiorino di rame (che col tempo anneriva, da qui il nome) ed equivale a 1/12 del fiorino d'argento e 1/240 del fiorino d'oro (fonte: wikipedia). Ho immaginato che il pane non dovesse costare molto.


Spazio autrice:
Come avrete notato è sempre più introspettivo, forse troppo (?), spero solo di non avervi annoiato! Perché in tal caso ne soffrirei molto, per voi, s'intende.
Volevo pubblicarlo un po' prima, ma ci ho impiegato una settimana a scriverlo e quattro giorni a revisionarlo (la revisione è importante per me).
"Capitolo breve!" Lo so, lo so. Non sono capace a farne di lunghi. E ho scoperto anche che i dialoghi non sono il mio forte.
Detto questo, non avete idea di quello che sono andata a cercare sul contesto storico! Ho scandagliato mezza wikipedia e un quarto di Internet. Ho trovato cose moolto interessanti, tra queste una ricostruzione 3D della Parigi medievale. Sono rimasta a bocca aperta tre giorni, forse a voi non colpirà più di tanto, ma io l'ho adorata follemente dal primo istante. Se vi interessa, qui c'è l'indirizzo (spero):
http://www.foliamagazine.it/parigi-nel-medioevo/
Mi auguro che vi sia piaciuto almeno un po', se avete domande, dubbi o perplessità e ancor meglio critiche, positive o negative, recensite!
A presto!

P.S.:
Un'altra cosa *parla sottovoce* sto provando a fare degli schizzi su Cécile e Clopin... se volete posso metterli, o almeno tentare... non sono un mago col computer.

 

  
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