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Autore: emotjon    22/01/2014    26 recensioni
Heidi, 20 anni. Zayn, 22 anni.
Lei, cieca. Lui, grande osservatore.
Lei gli insegnerà ad ascoltare.
Lui le insegnerà a vedere.
E insieme impareranno ad amare.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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*buongiorno bellissime...
mi rendo conto di essere in un ritardo colossale.
lo so, faccio schifo. ma sto preparando un esame.
e di scrivere non ho nè il tempo nè la voglia di mettermi davanti al pc.
comunque, capitolo di svolta, che spero vi piaccia.
e spero che l'ultima parte non vi scandalizzi. gli istinti di Malik andavano descritti, lol.
okay... che altro? GRAZIE.
per le recensioni, i preferiti... e le 4000 visite al primo capitolo.
siete l'amore, dalla prima all'ultima. bene... io evaporo.
alla prossima, che non ho idea di quando sarà... xx Fede.*




A Marta, che mi ha fatto passare uno dei weekend più belli della storia.
Che mi ha fatta ridere, sorridere, emozionare, star sveglia fino all'una...
Che mi ha colorato la faccia di viola mentre dormivo.
Che è una persona fantastica, e bellissima, ma non se ne rende conto.
Ti voglio bene, piccolo panda.

18.


HEIDI’S POINT OF VIEW.

E le avete detto che sarebbe rimasta così per sempre?
Le parole di Zayn mi risuonano nella mente, all’infinito, come con un disco rotto. Solo quelle dieci parole, a ripetizione, come se non riuscissi a sentire nient’altro se non quelle. Beh, in fondo non ha tutti i torti. I medici sapevano. Sapevano che poteva esserci qualcos’altro. Forse lo sapeva anche mia madre, probabilmente.
Ma nessuno mi ha detto una parola. Hanno preso il mio terrore per gli ospedali e me lo hanno rivolto contro. Hanno lasciato che io vivessi tre anni senza vedere quando in realtà sarebbe bastato qualche esame… e ci sarebbe stata una possibilità – anche se minuscola – di tornare a vedere.
Speranza. Piccola, minuscola. Ma pur sempre un briciolo di speranza.
Ma, tornando a Zayn… sto fissando il vuoto. Da cinque minuti buoni. Ho ignorato l’uscita di Charlotte dalla mia stanza. Ho ignorato il medico. E ho ignorato mia madre. Riesco a solo a rivedere nella mia mente la sua espressione… ferita, in un certo senso. E’ scappato. Senza dire una parola. E senza darmi la possibilità di spiegare. Senza darmi la possibilità di fargli vedere come mi sento davvero… male. Molto male.
Tradita. Abbandonata. Lasciata sola.
Lascio scorrere una lacrima, e nel momento esatto in cui inizio a piangere, mia madre e il dottor Harrison smettono di parlare, come per magia. C’è silenzio. Più di quanto riesca a sopportare. «Piccola…». Mia madre mi si avvicina. Ma blocca la mano a mezz’aria, la sento, vedendo che mi ritraggo, forse senza nemmeno volerlo. «Heidi, tesoro…». Le trema la voce, come se si stesse trattenendo dallo scoppiare a piangere con me.
Ma è un attimo, e svanisce tutto. Sia il silenzio, che il tipico odore da ospedale. Svaniscono nel nulla, sostituiti da un respiro affannato, che sa di fumo di sigaretta. Un odore di muschio, tabacco e menta, che spazza via tutto.
Dolore. Tristezza. Abbandono.
Il tutto, sostituito da un abbraccio. Dal suo odore. Dal ruvido della sua barba contro il mio collo. Un bacio appena sotto il lobo dell’orecchio. Uno “scusa” appena sussurrato, come portato da un alito di vento caldo quando hai freddo, dentro e fuori. E la porta della stanza che viene aperta e poi richiusa, prima che Zayn si allontani e spazzi via coi pollici le lacrime dalle mie guance.
«Scusa…», mi soffia sulle labbra, a voce appena più alta.
Mi sfugge un sospiro, come sempre quando sono con lui, in quel modo. «Se non avessi bisogno di te, ti avrei già preso a calci in culo, Malik», riesco a mormorare, chissà come. Ho smesso di piangere, anche se mi trema ancora la voce dal dolore. «Se non…». Mi blocco all’improvviso, accorgendomi di quello che sto per dire.
Se non ti amassi.
«Se non…?».
Lo sento appena pronunciare quelle parole. Perché lo vedo. Nel vero senso della parola. Lo vedo, a colori, senza sbavature, per un paio di secondi. Vedo il profilo della mascella, la barba, la linea delle labbra… e gli occhi chiusi. Chiusi. Apri gli occhi, amore. Sbatto le palpebre a ripetizione, sperando di tornare a vederlo, per qualche altro secondo. Ma niente, sono tornata nel buio.
«Ti ho visto…», sussurro piano. Pianissimo. Mi tremano le mani, senza che riesca a controllarle. È impossibile. L’ho visto. E sono tornata al buio. Ma dura poco, e Zayn intreccia le dita di entrambe le mani con le mie, posandomi poi un bacio sulla fronte. «Avevi gli occhi chiusi». Ma sei proprio tanto bello, lo sai?
Lo sento sorridere. E quel sorriso mi fa respirare un po’ meglio.
Anche se non lo vedo.
«Hai cambiato argomento, però», mi fa notare dopo una manciata di secondi, riuscendo a spezzarmi il respiro in due. Me ne sono quasi dimenticata, focalizzando la mia attenzione sulla novità della giornata… averlo visto, anche se per un attimo, mi ha scombussolata. Più di quanto riuscirei ad ammettere. «Se non…?», ripete ancora, passando due dita sulla mia gola, dal mento a poco sopra l’incavo tra i seni.
Cattura un mio sospiro fra le labbra, rimanendo a qualche millimetro da me. Immobile, come una statua di cera. Allora mi accorgo che la mia paura per gli ospedali è niente. Niente in confronto alla paura che ho di dire quelle due semplicissime parole.
Ho paura. Paura di dire due parole. Paura di venir presa per pazza, perché innamorarsi di qualcuno che si conosce da meno di due mesi è letteralmente da manicomio. Non ho mai creduto all’amore a prima vista. In senso lato, ovviamente.  Ho paura che se dico di amarlo lui possa scappare.
E sono stanca di rimanere sola e delusa da tutti.
«Ho paura…».
«Non vado da nessuna parte, qualsiasi cosa tu volessi dire prima, piccola». Faccio un respiro profondo, per poi buttare fuori l’aria in un sospiro. Pesantissimo. Come un macigno. E le mie labbra sfiorano le sue, nel tempo di quel respiro. «Resterò con te sempre, te lo giuro», aggiunge tra un bacio a stampo e l’altro.
«Anche se dovessi rimanere così per sempre?», gli chiedo, stranamente con voce abbastanza ferma, lasciando scorrere una lacrima, sfuggita al mio controllo. Bum, bum, bum. Sento il cuore battermi fin nelle orecchie, da quanto batte forte.
Bum-bum, bum-bum, bum-bum.
E un altro battito di cuore si aggiunge al mio. Più forte. Più veloce. Inesorabile. Come se potesse esplodere da un momento all’altro. E una mano, che prende la mia e la porta alle labbra. Ne bacia le dita, una dopo l’altra, piano. Poi le dita si intrecciano, e finiscono dritte sul suo cuore, senza che nessuno dica loro di farlo.
«Sempre…».
Un sussurro. Ma la parola più intensa che mi abbiano mai detto in vent’anni. Un sospiro. Flebile. Ma che ha più importanza di qualsiasi altra parola mi sia stata detta prima di questa. Sempre. Sei lettere che, in qualche modo, riescono a convincere la parte folle del mio cervello a fare questa pazzia, senza sensi di colpa, rimorsi, o qualsiasi altra cosa possa farmi pentire di quello che sto per dire.

***

ZAYN’S POINT OF VIEW.

Sempre.
Perrie me lo diceva, in continuazione. Diceva che io e lei saremmo stati insieme, sempre.  Per sempre. Che ci saremmo sposati, prima o poi. Perché ci rendevamo migliori a vicenda. Perché eravamo l’uno il lato migliore dell’altra.
E magari era vero, una volta. E forse Heidi ha addirittura ragione quando dice che Perrie è innamorata di me. Ma mi rendo conto solo ora che sono io. Sono stato io il problema, tra me e Perrie. Non lei. Io, le ho rovinato la vita facendola entrare nel giro di Nathan. Io, l’ho fatta soffrire. Io, ho lasciato che Nathan le facesse del male. Io, l’ho allontanata dopo la morte di mia sorella.
Lei, voleva solo starmi vicino. Io, ho eretto un muro d’acciaio intorno al cuore. In modo che lei non potesse nemmeno pensare di avvicinarsi. Ho sempre dato la colpa a lei. Ma sono stato io. Sono io che ho rovinato tutto, non lei.
Sempre.
Starei accanto ad Heidi sempre, per sempre. Contro gli ospedali, i medici, la cecità. Contro Nathan. Contro il suo odio per sé stessa. Contro il suo sentirsi inutile, sbagliata, disabile. Contro tutto e tutti. Sempre. Come Perrie promise di fare con me.
E come Perrie continua a mantenere la promessa con me, io la manterrò con Heidi.
Perché la amo troppo. Troppo, se si considera che la conosco da nemmeno due mesi. Troppo, come non ho mai amato nessuno. Quel troppo che ti attorciglia le viscere. Quell’amore che distrugge. Quell’amore che rimane, lì. Fermo, immobile, e immutato. Nonostante lei sia così… diversa. Non sbagliata, solo diversa.
E ho ancora le nostre dita intrecciate ferme sul mio cuore che batte all’impazzata, quando mi accorgo che sta finalmente muovendo le labbra, tirando fuori… tutto. Senza più paura in quegli occhi magnificamente azzurri.
«Ti amo». Sento distintamente il mio cuore, fermarsi per secondi che sembrano anni. E poi ripartire all’impazzata, mentre le dita di Heidi contro le mie si rilassano sensibilmente. Ma se il cuore è ripartito subito, il cervello fatica a rendersi conto di quello che ha appena detto. Fatica a capire. «Forse ti amo da quando mi sei venuto addosso la prima volta…».
Chiudo gli occhi, sorridendo. Ho sempre pensato che il nostro primo incontro la potesse portare ad odiarmi. Sarebbe stato più semplice. Andarle addosso, e magari non vederla più. Non cercarla, non cederle il posto, non chiederle di uscire, non presentarle mia sorella, non raccontarle la storia della mia vita. Non scoprire nulla dell’incidente. Non conoscere sua madre.
Eppure, se non avessimo fatto tutto questo, probabilmente non saremmo noi. Non ci saremmo affezionati. Riuscirei a stare senza di lei. Riuscirei a tenere il broncio con mia madre e mia sorella, perché non avrei niente per cui sorridere. Riuscirei a sopravvivere. Ma non a vivere.
Vivi, Zayn.
«Sarebbe strano se ti amassi anche io?». È un attimo, prima che sgrani gli occhi e le si spezzi il respiro in due. Un attimo, prima che il sorriso più bello di sempre compaia sul suo volto. E un attimo, prima che una lacrima le scorra indisturbata lungo la guancia, lungo il collo, e poi sparisca. «Comunque, non vedo perché tu non debba amarmi… sono o non sono incredibile?», scherzo contro le sue labbra, facendola insieme sorridere e rabbrividire.
«Lo sei», mi sussurra ridacchiando, facendo ridere anche me. È inevitabile. Non riesco a smettere di ridere, nemmeno quando si fa piccola piccola e si accoccola contro il mio petto, un attimo prima che aprano la porta della stanza. Non vorrei smettere nemmeno quando sento il dottor Harrison schiarirsi la voce per attirare la nostra attenzione. Di nuovo.
Poi accade tutto troppo in fretta perché possa accorgermene. Suona il cellulare di Charlotte, come impazzito nella tasca dei suoi jeans. Così lei si allontana, lasciandoci da soli. E il dottor Harrison inizia a parlare… e parlare… e parlare. Di esami, sangue, macchinari. E Heidi trema. Non fa altro che tremare.
«Basta», riesco a dire puntando i miei occhi in quelli del medico. La ragazzina impaurita tra le mie braccia tira un sospiro di sollievo, e vedo distintamente sua madre, che sospira all’unisono con lei. «Non c’è bisogno che le spieghi con quanti aghi, elettrodi o chissà cosa, le dovrete riempire la pelle… fatelo e basta», aggiungo sentendo la presa di Heidi diminuire sulla mia camicia. Le tremano le labbra, posate contro il mio collo… e non voglio che stia così.
«Volevo solo che avesse chiaro…».
«Voglio che senta la mia voce quando sarà a fare la TAC e la risonanza», lo interrompo inclinando la testa da un lato. Deve smetterla di parlare. Ora. Voglio che stia zitto. E che Heidi sia il più tranquilla possibile al momento degli esami. Il dottor Harrison si massaggia le tempie per un paio di secondi, per annuire, quasi impercettibilmente.
«Allora procurati un microfono e gli auricolari… ha il primo esame tra due ore, ragazzo», ci dice con un mezzo sorriso, chiudendo di scatto la cartella clinica della mia ragazza e uscendo dalla stanza, seguito dalla madre di Heidi, che prima di uscire in corridoio mi rivolge un sorriso, strapieno di riconoscenza.
«Vengo con te…».
«Sei ricoverata, piccola. Non puoi venire con me». E sto per posare le labbra sulle sue, quando veniamo interrotti per l’ennesima volta dalla porta che si apre. Di scatto, finendo poi per sbattere contro il muro. «Oh, insomma… Charlie, che…?». Cambio tono di voce all’improvviso, rendendomi conto della mia migliore amica, col fiatone e gli occhi lucidi. Ferma sulla porta. Pallida come non mai.­
«Harry… l’hanno trovato privo di sensi nel vicolo dietro casa tua…». La voce della mia migliore amica è debole, distrutta dal dolore, spezzata in due. Faccio appena in tempo a lasciare Heidi e correre da lei, a pochi metri da noi, che mi crolla tra le braccia, scoppiando a piangere. «E’ stato Nate, Zay…», mi sussurra con voce roca.
Convinta fino all’ultima cellula del proprio corpo.
E di conseguenza me ne convinco anch’io. Con tutto me stesso.
«Chiama Perrie e chiedile se sta bene, poi chiama Niall e chiedigli di portare qui un microfono e tutto il resto… e vai da Harry, okay?». Le poso un bacio sulla fronte e mi allontano, vedendola poi annuire e uscire. E mi volto verso Heidi, che tortura il lenzuolo, stringendolo forte tra le mani. «Ehi…», provo a dire vedendola scendere dal letto e provare a muovere un paio di passi verso di me.
Mi avvicino in silenzio, lasciando che mi abbracci. In punta di piedi, con il viso nascosto nell’incavo del mio collo, e i capelli biondi a solleticarmi il volto. Respiro il suo profumo, con le sue mani legate dietro il mio collo e le mie a cingerle i fianchi. E lei respira piano, lentamente. Ha paura, in un certo senso. Lo capisco da come mi stringe a sé. Perché ha capito tutto, come ogni volta.
«Non farti male, ti prego… ho troppo bisogno di te…». Voce ferma, anche se debole. Voce ferma, piena di paura e amore insieme. Ha bisogno di me. E io di lei, troppo. Le do un bacio sui capelli, poi sulla fronte, uno sulla tempia, e giù giù fino a fermarmi a qualche millimetro dalle sue labbra. «Ti amo, okay? Se ti succedesse qualcosa…».
Le blocco le parole prima che possano uscire, posando le labbra sulle sue. Heidi sorride appena, per poi prendermi il labbro inferiore tra i denti e succhiarlo piano. La tengo per i fianchi, sollevandola fino a farle posare i piedi nudi sulle mie scarpe, in modo da averla più vicina. E la sento ridere, come fosse l’unico suono che importa, in quel momento. L’unico suono che mi fa dimenticare il fatto che anche il mio migliore amico è in ospedale.
Muovo le labbra contro le sue, con urgenza, bisogno, voglia di lei.
E sento il suo respiro affannato contro le labbra, le sue mani a giocare tra i miei capelli, tirandoli appena. Sento un gemito uscire dalla sua bocca, e le sue labbra schiudersi al passaggio della mia lingua su di esse. Ed è un attimo, prima che camminando all’indietro io appoggi la schiena contro la porta, mentre le nostre lingue prendono a rincorrersi.
E come ogni volta che succede, rischio di perdere la testa.
Faccio scivolare le mani sotto il camice color carta da zucchero, a sfiorarle i fianchi e la schiena nuda, portandomi dietro le stoffa leggerissima. Ma poi mi rendo conto. E mi stacco da lei mordicchiandole un labbro, cercando di tornare a respirare normalmente. Riapro gli occhi e la vedo rossa in viso, ma sempre incredibilmente bella.
«Scusa…», le mormoro, ancora labbra contro labbra.
Ma in realtà non mi dispiace. Per niente.
Heidi scoppia a ridere, a voce bassa, come un coro di campanellini d’argento, scendendo dai miei piedi e sbattendo velocemente le palpebre, cercando di ritrovare l’equilibrio. «Dovrei dire al dottore che ti ho visto… e che sei bellissimo… e tu dovresti andare».
Stavolta sono io a ridere. «Forse… ma tu sei più bella, principessa», ribatto dandole un ultimo bacio a stampo e uscendo da lì col sorriso sulle labbra. Tipo ragazzina innamorata, incredibile. Ma poi mi ricordo di una cosa, e torno indietro lungo il corridoio. Apro la porta della stanza, e la trovo sul letto, con la testa leggermente inclinata da un lato. «Ho scordato una cosa…».
«Cosa?», mi chiede, visibilmente divertita.
«Ti amo».
E l’ultima cosa che vedo prima di uscire di lì è lei, che scuote la testa e sorride come mai l’ho vista sorridere. Ed è la fine del mondo, quel sorriso. Dovrei dirglielo, prima o poi. Ma prima c’è un’altra cosa da fare.
Spaccare la faccia ad uno stronzo, per dirne una.


 
 
TWITTER
TUMBLR
FACEBOOK
ASK
(askate, vi supplico in ginocchio, lol)

*ah, a proposito... uno di questi giorni dovrei creare un gruppo su fb per le mie lettrici.
e molto probabilmente anche un gruppo su whatsapp, se volete :)
okay, mi dileguo. addio. Fede.*
   
 
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