Fandom: Black Friars.
Pairing/Personaggi: Axel
Vandemberg/Belladore.
Rating: Giallo.
Chapters: 14/14+1.
Genere: Dark,
Suspance.
Words: 1187
Canon or Fanon?:
Fanon, però… beh, che Axel abbia gli incubi su Belladore temo sia certo, no? È fanon la cosa della cicatrice che, per essere normale,
sarebbe dovuta accadere nel primo periodo dopo lo scontro con la vampira e non
intorno ai mesi dopo L’Ordine della Croce.
Note: Siamo arrivati all’ultimo
capitolo ufficiale. Wow. All’inizio non credevo che ce l’avrei fatta, in tutta
sincerità, eppure eccomi qui! *^* Ed è bellissimo *^* Il prossimo capitolo sarà
una cosa un po’… particolare, ecco. Non vi dico niente, perché è una sorpresa e
deve restare tale fino alla fine v.v
Per quanto riguarda questo
capitolo in particolare, devo ammettere di non essere tanto
avvezza ai generi dark/horror o simili, quindi non sono particolarmente
convinta di ciò che ho scritto, ecco. Perdonatemi, se non vi piacerà! Ma,
dopotutto, scrivere una commedia su Axel e Belladore, incentrata sulla
minaccia, mi sembrava un pochino azzardato, non credete anche voi?
Minaccia.
Axel&Belladore
Era buio.
La luce
sembrava essere stata risucchiata nell’unico punto vicino all’orizzonte dietro
il quale era scomparso il sole, pochi minuti prima. La brughiera attraverso cui
stava cavalcando sembrava infinita, con il buio, inoltre, non riusciva neppure
più a scorgere il sentiero e doveva affidarsi ai sensi del cavallo.
Aveva
attraversato quella scorciatoia, attraverso i terreni della famiglia di Ross,
almeno un centinaio di volte, ma non gli era mai sembrato di perdere così tanto
tempo, per raggiungere Aldenor.
Sembrava
che la terra si fosse dilatata sotto i suoi piedi, mentre correva verso il
palazzo Reale per raggiungere Eloise ed il resto della sua famiglia. Sembrava
che fosse stato aggiunto un altro regno a separarlo da casa. Eppure, sentiva
come familiare ciò che lo circondava, quasi non avesse fatto altro che correre
in tondo, da quando la visuale era sparita.
Non c’era
la luna ad illuminare il suo cammino, solo poche, pochissime stelle sparse in
modo vago, in cui non riusciva a riconoscere neppure una costellazione.
C’era qualcosa, però.
Guardando
il cielo, Axel si aspettava di trovare la stella polare, sua guida nei viaggi
notturni, ma i suoi occhi incrociavano sempre due stelle vicine, così brillanti
da sembrare enormi lumini il cui unico scopo fosse fissarlo. Due fari in una
trapunta oscura che, piuttosto che tranquillizzarlo, sembravano volergli
ricordare quanto fosse solo, in quell’istante, e quanto tutti gli affetti
fossero lontani.
Non
emettevano luce, come delle vere stelle, piuttosto sembravano rendere l’atmosfera
intorno a loro sempre più scura.
Buio,
sempre più buio. Possibile che la notte inghiottisse davvero ogni cosa su cui
cadeva? Possibile che avesse distrutto anche il terreno sotto gli zoccoli del
cavallo?
Cavallo?
Axel non era a cavallo, stava camminando a piedi.
Oppure
no?
Non
riusciva a ricordare.
Non
importava come, lui doveva raggiungere casa, perché la sua famiglia, la sua
adorata moglie, lo stava aspettando. Tutti attendevano solo il suo arrivo, non
avrebbe potuto deluderli. Non l’avrebbe fatto.
Perché lo
stavano aspettando, no?
No, forse
no. Forse nessuno sapeva del suo arrivo. Forse nessuno lo stava aspettando,
credendolo in città.
Un tuono inaspettato,
di cui lui non riuscì ad identificare neppure l’origine, lo fece bloccare sul
posto e, all’improvviso, lui dimenticò dove stava correndo con tanta fretta.
Dimenticò
tutto. Dimenticò dove si trovava, cosa voleva fare e perché stesse indossando
solo degli abiti da notte.
Perché stava
indossando abiti da notte?
Poggiando
le proprie mani sul viso, si rese conto di non ricordare neppure quale fosse il
suo nome. come fosse la sua faccia, di che colore
fossero i suoi occhi o i suoi capelli.
Era
pallido? Era abbronzato?
Chi era,
lui?
Era tutto
così buio, tutto così uniforme e, allo stesso tempo, confuso. Non vedeva nulla
e, allo stesso tempo, temeva di vedere tutto.
Il mondo
era davvero così buio o qualcuno aveva portato via la luce?
Voleva
urlare, voleva chiedere aiuto, ma non ricordava di aver mai imparato a parlare
o quale lingua conoscesse.
Un senso
di opprimente angoscia gli attanagliò il petto, facendolo precipitare in
ginocchio, con il cuore che sembrava voler uscire dalla sua gabbia toracica.
Aveva
paura, ma non sapeva neppure cosa lo spaventasse a tal punto. Era come un
brivido freddo causato da uno spiffero inesistente, come la pelle d’oca
improvvisa che arrivava in momenti di assoluta tranquillità ed era capace di
far nascere inquietudine anche negli animi più pacati.
« Sei
spaventato, Axel? »
Una voce
melodiosa, bella come il canto di un fringuello, pose fine
al silenzio asfissiante che era piombato su di lui, facendogli rialzare il capo
alla ricerca di qualcuno, di qualcosa, che potesse dirgli qualcosa - qualunque
cosa - ed allontanare la sensazione di essere solo in un mondo di oscurità.
« Hai paura, mio giovane principe? »
La voce
non arrivava da nessun luogo in particolare, o, almeno, non uno che lui potesse
individuare. Sembrava uscire direttamente dal terreno su cui lui era
inginocchiato e saturare ogni particella d’aria che stava respirando, fino a riempirgli
i polmoni, fino a saziare una fame che lui non credeva e non voleva
assolutamente avere.
Gli venne
la nausea e non riuscì a capire perché.
Voleva
rispondere, voleva chiedere spiegazioni o aiuto. Voleva che la proprietaria
della voce lo salvasse da quel buio che sembrava volerlo inghiottire.
No, lo
aveva già inghiottito. Non poteva neppure vedere o ricordare se stesso. Però
poteva essere salvato, lo sapeva. Sentiva di essere già stato tirato fuori dai
guai, un’altra volta.
«
Vuoi scappare, Axel? »
Sì! Sì,
lui voleva andare via da quel luogo orribile. Lui voleva chiudere gli occhi -
li aveva già chiusi? - e, nel riaprirli, ritrovare tutto il mondo che sentiva
di aver perso.
Perché esisteva
altro oltre il buio, nel mondo reale, no?
In quell’istante,
si rese conto di non riuscire ad immaginare nulla di diverso dall’oscurità,
nonostante sapesse per certo di aver visto e di aver sognato dei visi, dei
colori, vite diverse…
« Tu
non puoi scappare da me, lo sai. »
No! No,
lui sarebbe scappato, ce l’avrebbe fatta! Non si sarebbe arreso all’evidenza,
non si sarebbe piegato al volere di quelle stelle - quelle stelle dannate che
lo avevano inghiottito nel loro buio maledetto! - e non avrebbe lasciato andare
la presa su se stesso!
Ma non l’aveva
già fatto, dimenticando il suo nome?
«
Credevi di avermi distrutta, ma io tornerò. Io torno sempre. »
Lui non
sapeva a chi appartenesse la voce. Non sapeva dove guardare, nella speranza di
trovare la fonte di quel terribile e bellissimo suono. Non sapeva nulla, non
ricordava nulla, ma l’orrore che lo colpì, come un pugno all’altezza dello
stomaco, ebbe il potere di farlo piombare a bocconi, sconvolto da conati
improvvisi.
«
Tornerò e tu sarai mio. Non sono mai stata davvero distrutta. »
Voleva
piangere, ma non sapeva più come farlo. Voleva buttarsi a terra e sbattere i
pugni al suolo fino a farli sanguinare, ma non credeva di avere, o di aver mai
avuto, delle mani da stringere o un terreno su ci poggiarsi.
Era solo
oscurità, nient’altro. Oscurità perenne, oscurità senza fine capace di
inghiottire qualsiasi cosa. Ed anche lui era stato inghiottito, con una
maestria tale da far si che non se ne accorgesse.
Non era
mai uscito dal buio, nonostante se ne fosse convinto. Quello si era solo messo
da parte, in attesa che lui abbassasse la guardia, per poi sferrare l’ultimo,
poderoso attacco.
Quando
riaprì gli occhi e sentì il corpo di sua moglie, al suo fianco, per un attimo
pensò fosse stato solo un terribile, terribile incubo.
Abbassando
gli occhi, però, vide che la cicatrice alla mano - un ricordo del periodo più
nero della sua esistenza - sembrava essersi nuovamente riaperta ed un rivolo di
sangue era arrivato a macchiare la candida camicia da notte che Eloise
indossava.
Forse se
l’era riaperta da solo, dormendo, senza neppure essersene reso conto.
Forse la
sua era solo suggestione.
Ma,
quando si girò su un fianco, per stringere nuovamente la giovane donna a sé,
non riuscì a chiudere occhio per paura di rivedere tutto.
Quella
non era stata una minaccia, ma una
vera e propria promessa.