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Autore: Neverland98    25/01/2014    1 recensioni
[Dal capitolo 9]
La porta si aprì lasciando entrare una luce accecante che la costrinse a chiudere gli occhi, “Finalmente”, pensò, “Sono libera!”.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elsa non riusciva a vedere niente, la benda era saldamente stretta intorno ai suoi occhi. Sentiva il rumore della Ferrari che correva lungo l'autostrada, ma nient'altro. Sapeva che Bruce era accanto a lei, che era mattina, che stavano andando a parlare con Smith, ma non sapeva né dove né come. Ad ogni modo, non le importava. Bruce era con lei, le aveva promesso che nessuno le avrebbe fatto del male e anche se non avrebbe dovuto, si fidava di lui.
“Come sta andando il viaggio?” le chiese la voce profonda di Bruce. Elsa decise di girarsi comunque verso di lui, anche se non poteva vederlo. “Bene, quanto manca ancora?”
“Un po'” replicò Bruce vago, non poteva comunicarle niente, nemmeno quanto distasse il castello dell'interrogatorio da casa sua.
Elsa si rassegnò e incrociò le braccia.
Rimasero in silenzio per il resto del viaggio, finchè Bruce parcheggiò la macchina e aprì lo sportello per far scendere Elsa. Le slegò la benda e la donna dovette strizzare gli occhi un paio di volte per mettere a fuoco il paesaggio che la circondava. Erano nel giardino che circondava il Castello. “Vieni” Bruce la prese per mano e la condusse attraverso il prato. Elsa si sentì immediatamente più tranquilla quando le loro dita si intrecciarono. Raggiunsero il portone d'ingresso, Bruce indossava un paio di pantaloni beige e una giacca casual coordinata. La camicia azzurra aveva i primi bottoni sbottonati ed era in parte fuori e in parte dentro i pantaloni. I capelli biondi erano scompigliati dal vento e gli occhi azzurri erano coperti da Rey ban scurissimi. Elsa, dal canto suo, portava un paio di jeans all'ultima moda e una casacca violetto, tutti regali di Bruce. L'uomo bussò tre volte alla porta finchè questa non si aprì con un tonfo sordo. Inquietante, pensò Elsa. Bruce le fece cenno di entrare e lei obbedì, stando bene attenta a non perderlo di vista nel buio dell'ambiente. “Una luce è troppo costosa?” obbiettò irritata Elsa. Bruce le strinse la mano: “O il buio o la benda, scegli tu.”.
“Non è che cambi molto, però!” Elsa si lasciò guidare. Ma come faceva Bruce a vedere?
“No, è vero. Ma noi agenti della CIA siamo fantasiosi...” scherzò lui.
“Ma tu come fai a non sbattere contro un muro? Sei un vampiro, un pipistrello... Cosa sei di preciso?”
“Ah-ah, davvero spiritosa! Comunque si chiama 'memoria', mia cara, forse ne hai sentito parlare...” “I.d.i.o.t.a.” scandì Elsa in modo melodrammatico.
“Ehi, attenta, se ti lascio la mano poi dovrai cavartela da sola, al buio. E qualcosa mi dice che non riusciresti a fare un paio di passi senza inciampare in te stessa...” allentò appena la stretta della mano, quel tanto che bastava per rendere la sua minaccia un po' più credibile. Poi strinse di nuovo. “Be', se ce la fai tu ce la può fare chiunque...” Elsa si finse noncurante, ma sapeva che Bruce aveva ragione.
“Fingerò di non aver sentito! Comunque attenta, ora iniziano le scale...
Elsa fu costretta a tacere, troppo impegnata a cercare di non cadere. Non voleva dargli questa soddisfazione. Ma quante erano quelle maledette scale? Duemilasettecento?
“Ancora viva?” chiese Bruce sornione
“Io si, tu non per molto...”
Bruce ridacchiò, cogliendo la minaccia.
Terminarono di salire le scale e Bruce la strattonò appena per farle segno di fermarsi.
“Siamo arrivati”
Elsa sentì di nuovo il rumore di una porta che si apriva, e questa volta potè vedere l'ambiente che la circondava. Purtroppo. Sembrava una stanza delle torture. Una volta, da bambina, suo padre portò lei e Amanda al Museo delle Torture Medioevali di New York. Amanda non sarebbe mai voluta andarci, ma papà gliel'aveva ordinato e lei aveva obbedito. Elsa,invece, era sempre stata un po' sadica e, doveva ammetterlo, un pizzico sanguinaria. Sua madre era morta da un paio d'anni, quindi adesso era loro padre, un uomo violento e possessivo, ad 'occuparsi' di loro. Quel giorno Amanda compiva dodici anni e loro padre aveva trovato un modo decisamente originale di festeggiare il compleanno. Il museo era tetro e buio, gli strumenti da tortura venivano esposti in teche di vetro, con tanto di scheletri finti sparsi qua e là. Amanda ne era rimasta scioccata e anche Elsa, nonostante il suo carattere, ne fu decisamente colpita.
Ora, la stanza in cui si trovava adesso con Bruce conteneva gli stessi attrezzi del museo. Era una sala grande e tetra, non c'era né un lampadario né lampadine in generale, ma qua e là erano appese torce antiche dalle punte di fuoco. Le pareti erano scavate in roccia e l'ambiente era molto umido, il pavimento era invece decorato da affreschi sbiaditi e sorreggeva un infinità di teche come quelle del museo della Tortura.
Elsa si voltò di scatto verso Bruce, guardandolo con odio: “Che diavolo avete intenzione di farmi?” sgranò gli occhi.
“Tranquilla, Elsie, questo è solo per creare un po' di suggestione. Sei mai stata in un posto simile?”
Elsa si chiese se fosse stato meglio mentire o dire la verità. L'ultima volta aveva optato per la seconda ipotesi, ma lei era una donna a cui piaceva cambiare.
“No! O meglio, ho visto questo tipo di stanze in tivù, nei film horror...” doveva stare molto attenta a non farsi smascherare.
“Come si chiamavano i film?” Bruce la guardò con occhi che sembravano dire 'guarda che lo so che mi stai mentendo, stupida! Non ti servirà a niente!'.
“Be', ora non ricordo. A volte non li vedevo dall'inizio, sai: facendo zapping, la notte...” cercava di evitare lo sguardo di lui, e questo la tradì.
“Elsa, vuoi una dimostrazione pratica di come si usano questi giocattolini?” la scosse per le spalle. Elsa sentì il sangue gelarle nelle vene. Davvero Bruce avrebbe potuto torturarla?
Bruce si pentì delle sue parole, ma non aveva altro modo per spingerla a dire la verità. Doveva fare pressione sulle sue debolezze, sulle sue paure. Era anche questa una forma di tortura, Bruce lo sapeva e si sentiva uno schifo, ma meglio un po' di pressione psicologica che qualche amputazione...
“Salve!” la voce roca di Smith riecheggiò nell'ambiente umido. L'uomo era entrato dall'altra porta di fronte Bruce e Elsa, era vestito elegantemente e stringeva il suo solito sigaro tra indice e medio. Elsa si strinse a Bruce cercando protezione. Fu un moto involontario, razionalmente non l'avrebbe mai fatto, avrebbe preferito sembrare fredda e distaccata, ma Smith le incuteva un certo terrore. “Salve, colonnello” disse Bruce con voce sicura, scostando non molto delicatamente Elsa da sé. “Che piacere, miss Brent. Come è stata questa vacanza a casa del tenente?” Smith sorrise mellifluo. Elsa era rimasta abbastanza scioccata dal modo in cui Bruce l'aveva allontanata da sé, ma non lo diede a vedere, ne avrebbero riparlato dopo.
“Molto bene, grazie. Il tenente è stato così gentile ad offrirsi di ospitarmi...” rivolse a Bruce uno sguardo di sfida. Le aveva detto che avrebbe potuto passare dei guai se la notizia della sua ospitalità sarebbe giunta alle orecchie del colonnello, e Elsa desiderava fare tutto ciò che poteva per vendicarsi. Una vocina fastidiosa le diede della stupida, in fondo Bruce era stato molto gentile con lei, l'aveva ospitata, ricoperta di regali, fatta sentire amata... E soprattutto l'aveva salvata dalla stanza d'Isolamento nella quale adesso Elsa rischiava di tornare.
Bruce alzò gli occhi al cielo arrabbiato.
“Con lei faremo i conti più tardi!” Smith rivolse a Bruce un'occhiata significativa.
Si metta in fila, avrebbe voluto dire Elsa, prima io e poi lei!
“Prego, miss Brent, non sia così rigida. Si accomodi...” indicò la stanza con un gesto vago.
“Dove? Sul trono di chiodi o nella vergine di Norimberga?” replicò Elsa stringendo i pugni.
“Senza dubbio l'umorismo non le manca! Ma ci dica, è già stata qui in passato?” Smith iniziò a camminare con passi molto lenti lungo la stanza. Era quasi ridicolo mentre cercava di psicanalizzare Elsa.
“Sì, da bambina”
Altro colpo inferto a Bruce. E di nuovo la voce che le dava della stupida. Maledizione, improvvisamente tutte le valide ragioni per odiare Bruce non sembravano più tanto valide. Si stava comportanto da stronza, non volle nemmeno voltarsi verso di lui per vedere la sua espressione.
“Quando, precisamente?”
“Il giorno del dodicesimo compleanno di mia sorella... Ma si può sapere che ve ne importa? Io sono venuta qui solo per dirvi che accetto di collaborare con voi...” Elsa era esausta.
“Davvero?” gli occhi piccoli di Smith si illuminarono.
“Si!”
“Bene!” gioì il colonnello.
Poi tornò serio: “Comunque, stava dicendo?”
“State scherzando, vero?” Elsa lo guardò come se fosse matto.
“Andiamo, miss Brent. Che c'è di male nel fare due chiacchiere tra amici?” allargò le braccia platealmente.
“Oh, assolutamente nulla. Se si è amici. E se non si minaccia di tortura la persona che sta 'chiacchierando'!” mimò le virgolette.
“Devo ammetterlo, Jona, è davvero uno spasso! Capisco perchè ti piace!”
Elsa resistette all'impulso di guardare Bruce che se ne stava alle sue spalle. Aveva sorriso?
Fatto sta che non disse nulla. E Elsa si sentì uno schifo per avergli fatto del male davanti ad un suo superiore.
“Dunque, Miss Brent, diceva che andò ad un museo della Tortura per il compleanno di sua sorella. Chi vi portò lì? Non le sembra uno strano posto per una festa di compleanno?”
“Ci portò mio padre, erano passati due anni dalla morte di mamma. Papà era un uomo...” Elsa pensò al termine adatto “... Complicato...!”
Sì, complicato era il termine giusto.
“Come 'complicato'?” Smith aggrottò le sopracciglia folte e aspirò dal sigaro.
“Non so bene come spiegare... violento, possessivo... ma a suo modo anche amorevole...”
“L'ha mai picchiata?”
“Puff...!” Elsa alzò gli occhi al cielo e sorrise amaramente. “Più volte di quante immagini..”
Smith annuì: “E sua sorella? Picchiava anche lei?”
“No, vuole scherzare? Amanda era la figlia perfetta! Non la si doveva toccare nemmeno con un dito! Io venivo punita anche per i suoi sbagli...” strinse i pugni, di nuovo stava tornando l'odio per sua sorella.
“Capisco. E vostra madre? Quando era in vita ,cosa faceva mentre vostro padre vi picchiava?”
“Posso sedermi?” Elsa sentì improvvisamente le gambe cederle e la gola diventare secca. “E potrei avere anche un bicchier d'acqua?”
Smith sorrise: “Certo, ovvio. Vede, miss Brent? Se lei si comporta bene con noi, noi ci comportiamo bene con lei...”
Le parole dovevano essere rassicuranti, ma per Elsa suonarono come una minaccia.
Smith fece un cenno ad una delle guardie presenti nella stanza e quella uscì un paio di minuti per ritornare poi con una sedia di legno e un bicchiere di carta. Elsa sussurrò un “grazie” e si sedette pesantemente, poi prese il bicchiere e ne bevve il contenuto con ingordigia.
“Dunque, miss Brent, le avevo chiesto cosa facesse sua madre in quelle situazioni...”
Elsa non potè rispondere subito, si distrasse ad osservare Bruce che, da dietro di lei, si dirigeva accanto a Smith. Lo guardò cercando di scusarsi, ma gli occhi di lui erano impassibili. Elsa si morse il labbro.
“Miss Brent?” la richiamò Smith.
“Sì, scusi! Dunque, no: la mamma non faceva niente, ma per il semplice fatto che quando era ancora viva papà non ha mai alzato un dito su di noi...”
“E su sua madre?”
La domanda colpì Elsa come un pugno. Ricordò il sogno della notte precedente e il cuore iniziò a martellarle in petto.
“Io... Non lo so, non l'ho mai visto fare del male alla mamma. Ma non lo escluderei, varie volte mamma sembrava spaventata da lui e aveva degli strani lividi sul volto...”
“Quindi potremmo dire che dopo la morte di sua madre, suo padre si fosse ritrovato senza la sua 'vittima di turno', ecco perchè ha iniziato a prendersela con lei..”
Elsa si passò una mano tra i capelli e deglutì a vuoto: “Può darsi...”.
Ripensò ai ceffoni e ai pugni, ai calci e alle umiliazioni. Tutto perfettamente livido nella sua mente. “E lei è proprio sicura di non aver mai visto suo padre picchiare sua madre?” cosa le stavano nascondendo?
“No... No, ne sono sicura. Altrimenti me lo ricorderei...” aggrottò le sopracciglia e fissò il pavimento cercando un ricordo che non sapeva di avere.
“Capisco...”
Ci fu qualche momento di silenzio. Bruce lanciò a Smith uno sguardo incomprensibile, il colonnello annuì.
“Bene, miss Brent. Le faccio i miei complimenti per la sua decisione di aiutarci, perciò nei prossimi giorni sarà addestrata alle basi del combattimento corpo a corpo e, soprattutto, le verrà insegnato ad usare una pistola.”
Elsa fu percorsa da un brivido d'eccitazione. Cercò lo sguardo di Bruce, ma ad accoglierla c'erano solo iridi ghiacciate e inespressive. L'aveva fatta grossa, in fondo lei non sapeva davvero cosa potevano fargli per averla ospitata. Si guardò intorno e un orribile pensiero l'attraversò. Tortura?
“Comunque, per oggi abbiamo finito” riprese Smith.
“Perfetto. Elsa, andiamo: ti riaccompagno in macchina...” Bruce le indicò sbrigativo la porta.
“Non così in fretta, tenente!” lo richiamò il colonnello senza scomporsi.
Tum Tum
Bruce sbuffò e fissò il pavimento: “Accompagno miss Brent in macchina e torno...” deglutì.
“Sarà meglio per lei” gli rinfacciò Smith.
Bruce afferrò Elsa per un braccio e la condusse fuori dalla stanza. La donna sentiva il braccio dolerle, ma credeva di meritarselo, quindi non si lamentò.
Appena furono fuori dalla stanza, ad accorglerli c'era di nuovo il buio impenetrabile.
Questa volta però le mani di Bruce non furono accoglienti come all'andata, ma guidarono Elsa con forza e, probabilmente, con rabbia. Non dissero nulla per tutto il percorso, Elsa avrebbe voluto piangere, forse aveva perso l'unica persona che le fosse rimasta, l'unica di cui le importasse.
Uscirono dal castello quando ormai il sole stava tramontando e il cielo si era tinto di tutte le sfumature dell'arancio. Bruce la fece entrare in macchina e sbattè lo sportello. “Bruce...” lo richiamò lei vedendo che stava tornando nel castello. “Che vuoi?” sbraitò lui con gli occhi fiammeggianti. “Mi... mi dispiace per prima. Forse non avrei dovuto dire che...” si morse il labbro.
“No, non avresti dovuto!” urlò Bruce, Elsa non l'aveva mai visto così. “Ma a te che importa? Sei solo un'egoista, ecco cosa sei. Non ti importa niente degli altri, e adesso io dovrò pagare perchè tu non hai saputo tenere la bocca chiusa! Fai schifo, Elsa, fattelo dire!” le voltò le spalle e continuò a camminare verso il portone. Elsa rimase allibita e scoppiò, finalmente, a piangere. Pianse perchè sapeva che Bruce aveva ragione e perchè adesso anche lui la vedeva per quello che era davvero.

 






Ehilà! Ecco qui il nuovo capitolo, enjoy ;)

   
 
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