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Autore: kiara_star    30/01/2014    4 recensioni
[Crossover | Adam (Only Lovers Left Alive); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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“Ci sono leggende che si tramandano per decenni, secoli, millenni.
Ci sono leggende che raccontano mille verità e poche bugie, molto più spesso, accade che sia solo una la verità narrata e miriadi le gocce di menzogna in cui essa si perde.”
[...]
Si avvicinò per riprendere la sua arma e fu allora che lo sentì: un battito di mani, secco, a intervalli regolari, un rumore sordo che ricordava in modo inquietante il dondolare di una campana.
«Lascia che mi congratuli con te, ragazzo. La tua tecnica è sublime.»
Alzò lo sguardo sul muro di mattoni grezzi alla sua destra e strinse forte le dita sull'argento.
Occhi spenti eppure accecanti, pelle pallidissima e una corona informe di capelli neri.
«Scendi da quel muro così ti faccio assaggiare la mia tecnica sulla pelle, bestia
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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Cap3 La fede del Cacciatore
A story ever told





III. La fede del Cacciatore





Non era mai stato un tipo molto religioso. Non aveva ma creduto molto.
Sua madre era solita ringraziare prima del pasto, suo padre non pronunciava mai neanche un amen.
Poi aveva avuto fra le mani quella scatola, poi un mondo nuovo e oscuro era piombato nella sua vita, poi in quella vita già stravolta aveva incontrato lui.
Non era un tipo religioso, Eric, neanche adesso che sapeva di avere sulle spalle un compito dato dall'Alto, un compito nato dalle labbra di San Michele e tramandato per secoli, millenni, da quelle degli uomini.
Un Cacciatore, un portatore di luce, un uccisore di demoni.
Bene e Male, la lotta primordiale di ogni Era.
Quando era stato baciato da quel Male solo a quel punto aveva cercato il Bene, solo quando le mani e gli occhi di Adam avevano iniziato a perseguitare realtà e sogno, solo in quel momento aveva sentito il bisogno di credere. Credere che ci fosse davvero qualcosa che si chiamasse salvezza, che ci fosse qualcosa che valeva la pena salvare.
Di quella lotta aveva visto solo una fazione, la vedeva tutte le notti e ormai neanche provava più il brivido solcargli la pelle.
Per cosa lottava? In nome di chi?
Sarah.
Era la sua risposta.
Non gli bastava più.
Affondò il paletto una volta. Lo affondò ancora e poi ancora, anche quando quel corpo stava ormai per divenire sempre più pallido; alle prime luci del sole sarebbe volato via come cenere.
Sentì il cuore galoppare doloroso nel petto mentre guardava quegli occhi, che non appartenevano più a una donna, osservarlo ormai vitrei.
Gettò il legno a terra con un gesto di stizza e iniziò a tossire forte.
Lo sentiva in gola, il sapore ferroso, il sapore del suo stesso sangue.
Tossì e poi tossì di nuovo.
Non era sangue, non c'era sangue.
Lei non aveva avuto modo di colpirlo. Eric era stato veloce e preciso e non c'era stato modo di fermare il suo affondo.
Eppure lo sentiva, lo sentiva salire dallo stomaco, fermarsi nella gola, invadere la bocca, colare dalle labbra.
Tossì.
Poggiò le mani sulle ginocchia e tossì ancora, tossì così forte finché lo stomaco non si contorse e vomitò sulla terra umida.
Non era sangue, non c'era sangue.
Si pulì la bocca con una manica e strizzò gli occhi.
Il collo pulsò.
No...
Stavolta le dita lo trovarono: sangue caldo sulla sua pelle sudata.
La ferita sanguinò finché non giunse a casa.



*



«Cosa ne pensi?»
Prese un profondo respiro mentre Sarah lo guardava in attesa. Strinse il braccio attorno alle sue spalle e le baciò la fronte. «Un figlio nostro... è quello di cui hai bisogno anche tu, Eric.»
«Un figlio che potrebbe divenire orfano di padre prima del tempo.»
Sarah si scansò dal suo abbraccio stringendosi nella coperta.
«Non amo sentirti fare questi discorsi.»
«Non sono discorsi, è la semplice realtà.»
Le ciglia trattennero le lacrime solo perché ormai ne aveva versate troppe.
«Perché hai voluto che divenissi la tua sposa se non hai intenzione di darmi dei figli?»
«Sarah...»
Non ebbe risposta.
Sarah gli diede le spalle e lui la sentì piangere. Non fece nulla, lasciò che il pianto la cullasse fino al sonno.
Dietro le proprie palpebre, Eric trovò solo altro sangue.
Non lo aveva più rivisto eppure sapeva che era sempre lì vicino, lo rincontrava ogni volta che chiudeva gli occhi, ogni volta che chiudeva i pensieri.

Il luogo era sempre lo stesso, sempre la chiesa di St. Thomas con il suo crocifisso a guardare.
Adam suonava.
Dita agili sui tasti antichi, palpebre chiuse e labbra sporche di sangue che colava fino al mento.
Eric lo raggiunse e si sedette sulla prima panca, di fronte al clavicembalo.
«Ti piace?» gli chiese ed Eric annuì. «L'ho scritta per te, Cacciatore. È il tuo requiem.»
E sorrise con i denti macchiati di rosso ed Eric sentì la paura far serrare le dita sul paletto.
«Stavolta ti ucciderò» asserì tornando in piedi e aspettando la fine della sua sonata.
Quando Adam pigiò l'ultima nota il paletto d'argento cadde a terra con un tonfo.
Eric saettò con lo sguardo al pavimento ma non riuscì neanche a piegare un ginocchio per afferrarlo. Mosse solo un passo indietro mentre lo vedeva avanzare verso di lui.
Aveva paura.
Aveva terrore.
Stava piangendo.
«Tu non mi ucciderai mai, Eric.»
Gli fu di fronte. Il palmo della mano a pulire il mento insanguinato, quella stessa mano portò poi via le lacrime dal suo viso lasciando una patina di linfa rossa sulla sua pelle.
«Sai perché non lo farai?»
Paura. Ancora paura.
Le gambe tremavano, le mani erano sassi immobili.
«Io ti ucciderò...»
«No, Eric, non lo farai perché non è ciò che vuoi davvero.»
«Tu sei un mostro! Io pianterò un paletto nel tuo petto e ti guarderò morire! Lo giuro!»
Un giuramento che lo fece solo sorridere.
Le dita di Adam raggiunsero i suoi capelli reclinando con poca gentilezza il suo collo.
«Non lo farai...» La sua voce gli scaldò la pelle e poi la sentì lacerare sotto i suoi denti.
Strinse gli occhi e il cuore prese a correre forte.
Si aggrappò a lui per non crollare a terra ma Adam lo accompagnò sul pavimento della chiesa continuando a nutrirsi di lui.
Sentiva il sangue colare caldo dal suo collo, le sue mani fra i capelli, il suo corpo a schiacciarlo.
Sentiva la sua vicinanza rubare pezzo dopo pezzo un po' della sua anima.
Respirò forte finché non sentì il freddo soffiare sulla pelle ferita e gli occhi di Adam bruciare sul suo viso.
Gli accarezzò con le dita il collo e lo portò alle labbra, alle labbra di Eric.
Scosse il capo furente eppure non aveva forza.
«Lasciami in pace... perché continui a torturarmi?»
Adam sorrise ancora.
«Non sono io che vengo, sei tu a chiamare me.»
«Non è vero.»
Il suo viso vicino, le sue labbra sporche del suo stesso sangue a un soffio dalla sua bocca.
«Vuoi risposte che non sai chiedere... vuoi emozioni che non riesci più a provare nella tua vita... nella tua caccia.»
«Non è vero...»
Lo era.
Adam soffiò sulle sue labbra e il suo respiro lo fece tremare.
«Vieni tu da me, e avrai ciò che brami, Eric.»
Un bacio sporco di sangue.
«Vieni da me.»

Quando si svegliò sapeva che doveva andare.



*



Era domenica mattina ma lui se ne rese conto solo quando trovò la chiesa, sempre in solitudine, piena di gente.
Superata la soglia guardò l'acquasantiere di marmo ma non immerse le dita. Si fermò e gettò uno sguardo alla nuca dei vari fedeli.
Quando le note del clavicembalo suonarono forte sentì il respiro fermarsi.
Non era lui a pigiarle, era un ragazzo magro con capelli castani e ricci.
Eppure più lo guardava più vedeva i suoi lineamenti mutare, più lo ascoltava più sembrava che lui fosse lì.
Si toccò il collo di istinto ma lo trovò privo di ferite.
Non gli piaceva stare lì, non in quel momento, non con quelle note, non con le parole d'ammonimento di un religioso.
«Cos'è il peccato, fratelli e sorelle? Il peccato è affascinante? Sì, lo è... Esso sembra brillare, sembra pronto a regalarci gioia e felicità. Ma è reale? È sincero?... No! Menzogne! Solo menzogne, fratelli e sorelle. Menzogne che possono inghiottire la nostra anima e condannarci per sempre al tormento.»
L'uomo che parlava con fervore dal pulpito poteva avere la sua età o essere addirittura più giovane. Capelli biondissimi, occhi di un azzurro quasi irreale.
La sicurezza che copriva ogni parola, la determinazione con cui le pronunciava, come se ci credesse sul serio. Ci credeva, questo Eric lo sapeva.
Credeva realmente che ci fosse un Male e che quel Male andasse combattuto e vinto.
Parlava di tentazione, di peccato.
Ma cosa poteva saperne quel ragazzo di cosa volesse dire davvero? Di cosa si provava a svegliarsi al mattino accanto a una donna che amavi, ma con il sudore sulla pelle per sogni in cui lei non compariva? Per sogni che avrebbero dovuto essere incubi?
Cosa ne sapeva della tentazione che poteva essere la verità?
Molto più infida, molto più seducente di una mela su un albero.
Vieni da me...
Sobbalzò alla sua destra ma non c'era nessuno a parte una donna che pregava a capo chino con le ginocchia poggiate a terra e le mani congiunte.
Si passò una mano sugli occhi sentendo la gola stringersi in una morsa. Aveva bisogno di uscire da lì, di abbandonare le parole del giovane predicatore e le note di quel maledetto clavicembalo.
Voltò le spalle a tutti e si incamminò verso l'uscita.
Il sole che lo accolse sembrò ardere contro la sua pelle ed era piacevole.
Non aveva senso restare lì, non aveva senso aspettarlo.
Tornò a casa, tornò da Sarah.
Quando scese il tramonto andò a caccia.



*



Erano in tre, eppure lo affaticarono come fossero una dozzina. Erano veloci, abili, forti.
Aveva imparato che era conseguenza della longevità della loro vita dannata. Più tempo trascorrevano sulla Terra, più tempo erano lontani dall'inferno a cui erano destinati, più forti diventavano.
Il calcio arrivò fulmineo dritto allo stomaco. Eric si ritrovò scagliato letteralmente con la schiena contro il muro alle sue spalle.
Tossì mettendosi in piedi prima di subire un nuovo attacco ma riuscì a bloccare il polso del secondo che lo aveva aggredito da sinistra.
L'ultimo arrivò dalla sua destra e lo colpì dritto al mento facendogli lasciare la presa sull'altro.
Poi sentì il collo soffocato nella stretta del suo braccio, l'aria scarseggiare e la testa iniziare a girare per la mancanza di ossigeno.
«Sarai un lauto pasto per me e i miei fratelli, Cacciatore.» La sua lingua a leccargli la guancia e la nausea a coglierlo dallo stomaco.
Calciò d'istinto l'essere che gli si piantò di fronte tentando inutilmente di liberarsi da quella morsa.
Era difficile e sentiva i sensi essere prossimi ad abbandonarlo.
Ma non poteva morire, non prima di aver conosciuto ogni cosa, non prima di aver trafitto con rabbia il cuore di Adam.
Aspettò che il secondo lo caricasse di nuovo e a quel punto usò entrambi i piedi per calciarlo e spingersi con le spalle così da far perdere l'equilibrio alla bestia che lo teneva imprigionato.
Quando entrambi caddero a terra fu semplice svincolarsi dalla sua presa e rotolare di qualche metro per avere la libertà di afferrare il paletto dalla caviglia.
Lo trafisse a terra senza lasciargli la forza di alzarsi.
«No!» Urlò il secondo mentre lo colpiva con una ginocchiata.
Aspettò che si avventasse su di lui e lasciò che si impalasse sul legno con le sue stesse mani.
Calciò poi via il corpo mettendosi in piedi con un colpo di reni.
A quel punto il terzo sarebbe stato facile da eliminare, ma Eric fu costretto a ingoiare un'imprecazione quando vide la sua balestra brillare nelle mani di quel demonio.
«Hai ucciso i miei fratelli...» Non sembrava esserci rabbia nelle parole ma i suoi occhi bruciavano e i denti aguzzi erano digrignati con ferocia. «Ora pagherai.»
Urlò con dolore quando il dardo di frassino gli colpì la coscia costringendolo a cadere sul suo ginocchio.
Sollevò lo sguardo per vederlo caricare il secondo colpo e stavolta puntarlo dritto al suo petto.
«Pagherai, Cacciatore.» Il braccio teso e la balestra pronta a colpire.
Non aveva paletti fra le mani e per estrarne uno dalla sua cintura avrebbe dovuto essere più rapido della sua arma, e con una coscia ferita e il legno a scheggiargli la carne, Eric sapeva non avrebbe neanche avuto la possibilità di azzardare.
Strinse i denti mentre un copioso fiotto di sangue defluiva dal profondo taglio.
Il respiro impossibile da rallentare e gli occhi fissi in quelli della sua preda, adesso non più tale.
Non aveva una sola possibilità.
«Colpisci» sibilò bagnandosi le labbra secche.
«Sto per farlo e, preparati, non c'è nessun Paradiso ad aspettarti dall'altra parte.» Sorrise rabbioso l'altro e tese ancora di più l'arma. Solo pochi metri li dividevano ed evitare il dardo sarebbe stato impossibile.
Quando avrebbe sentito il colpo partire Eric avrebbe comunque tentato.
Avrebbe fallito e sarebbe morto in un vicolo buio della periferia, e Sarah lo avrebbe pianto.
E Adam...
Si sentì male nel rendersi conto che il suo ultimo pensiero in quella vita sarebbe stato per lui.
Maledetto!
«Crepa, Cacciatore!»
Il respiro si arrestò nel momento in cui sentì il sibilo della balestra. Le palpebre si serrarono.
Alla fine non aveva neanche tentato di gettarsi da un lato o dall'altro, alla fine si era semplicemente arreso.
Arreso al dolore che ne sarebbe seguito, alla sua morte.
Ma il dolore non arrivò.
Arrivò il tonfo di un corpo che cadeva.
Aprì all'istante gli occhi e scorse l'essere ormai privo di vita a terra. Dinanzi a lui si ergeva ora un'altra figura, con un'altra balestra fra le mani, con gli occhi azzurri e i capelli biondi.
«Stai bene?»
La voce era quella che aveva udito quella mattina dal pulpito, la voce del predicatore.
«Chi sei?» chiese mentre atroci fitte pulsavano dal legno conficcato nella sua gamba.
Il ragazzo si avvicinò e gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Padre Cornelius.»
«E che ci fa un Padre con una balestra?» mormorò afferrando la sua mano e rimettendosi dolorosamente in piedi.
«Quello che fai tu, Eric.» Al sentirgli pronunciare il suo nome lo guardò diffidente ma il giovane non sembrò curarsi del suo sospetto. «Dobbiamo sanare quella ferita prima che si infetti.»
«Come conosci il mio nome?»
Ingoiò un ringhio di sofferenza quando le mani del prete iniziarono a tastare la sua coscia lacerata.
«Padre Jonathan mi ha parlato di te.» Scrutò i suoi occhi chiari anche nell'ombra della notte e il sorriso gentile che mostrava ancora una volta la sua giovane età. «Sono un Cacciatore.»



*



Cornelius lo aveva seguito fino a casa sua perché Eric aveva obiettato alla sola idea di essere curato nella sua di casa, in quella chiesa.
Così aveva camminato con sofferenza muta su quella gamba ferita non lasciando neanche che lui lo sorreggesse. Aveva sentito la carne lacerarsi ancora ad ogni passo ma aveva mandato giù dolore e grida.
Sarah lo aveva curato come sempre e aveva offerto una tazza di minestra al religioso.
Cornelius l'aveva mangiata con gradimento fino all'ultima goccia.
Eric studiava il suo viso e i suoi modi mentre affondava il cucchiaio nel liquido e spiegava a Sarah come sanare al meglio la sua ferita.
«Non ho estratto il paletto perché questo avrebbe solo peggiorato la lesione. Il legno ha impedito che perdesse più sangue.»
«Ti ringrazio per il tuo aiuto, padre.» Sarah lo aveva già ringraziato diverse volte dacché era seduto su quella sedia nella loro piccola e calda cucina.
Eric no, non gli aveva detto grazie.
«Mi stavi seguendo?» chiese mentre le mani di sua moglie medicavano la ferita.
Cornelius abbandonò la tavola e raggiunse il suo letto.
«Non esattamente. Ti cercavo, questo è vero, ma non mi aspettavo di trovarti in quel vicolo.» Aveva maniere semplici che non sembravano quelle di un predicatore, non sembravano quelle del ragazzo che aveva parlato con tale foga e sicurezza dal pulpito di quella chiesa.
«Ho incontrato Padre Jonathan qualche mese fa e quando mi ha parlato di te ho voluto raggiungerti per poter conoscere il Mastro della nostra Congrega.»
Non nascose una smorfia infastidita alla quale però Cornelius rispose con un sorriso. «Io sono Cornelius, Cacciatore della Congrega dei Figli della Neve. Mio padre era Marcus, amico fraterno di tuo padre Victor.»
Mio padre...
Non riuscì a dire nulla e aspettò in silenzio che Cornelius continuasse.
«Quando Victor abbandonò la Congrega, fu mio padre ad avere l'onore di fare le sue veci.»
«Dov'è tuo padre?» chiese Sarah e Cornelius si rabbuiò.
«In un luogo migliore.»
Anche Sarah tacque guardandolo dolcemente negli occhi ed Eric prese un profondo respiro.
Non aveva incontrato nessuno al di fuori di Jonathan che fosse a conoscenza di quella storia, nessuno a parte Adam.
La verità su suo padre, la verità dietro quella missione.
Cornelius poteva avere quella verità, avere quelle risposte la cui ricerca lo stava divorando notte e giorno.
«Sta per sorgere il sole. Sarà meglio che vada prima che Padre Gregory scopra le mie stanze vuote.»
«Aspetta.» Lo fermò quando giunse alla porta.
Provò a scendere dal letto ma Sarah glielo impedì.
«Riposa. Quella ferita può diventare una brutta faccenda se non la curi come necessita.» Lo raccomandò ancora il giovane. «Veglierò io per le notti che ci aspettano finché non ti sarai ristabilito.»
«Scordatelo!» tuonò. Il dolore era insopportabile e non riusciva neanche a tenere il piede poggiato a terra, ma non avrebbe di certo lasciato che un ragazzino vestito da frate facesse il suo lavoro.
«Permettimi di mostrarti il mio valore, Mastro.» Cornelius fece un piccolo cenno con il capo e sorrise ancora. «Tornerò con degli unguenti che accelereranno la tua guarigione.»
«Grazie per tutto.» Dopo l'ennesimo ringraziamento di sua moglie, il religioso lasciò la sua casa. «Il Signore ha ascoltato le mie preghiere.» A quelle parole guardò il viso di Sarah e lo scoprì sorridente.
Non le chiese nulla, lasciò che si prendesse cura della sua ferita e delle sue perplessità.
«Cornelius scioglierà i tuoi dubbi, amor mio. Forse scioglierà anche il buio che ha coperto i tuoi pensieri.»
L'aveva baciato ed Eric aveva sorriso.



*



Dopo una manciata di giorni a riposo, Eric riuscì di nuovo a camminare. Zoppicava e non era ancora in grado di piegare il ginocchio senza che la ferita tirasse dolorosa, ma era sulla buona strada per guarire, così aveva detto Cornelius.
Gli aveva fatto visita ogni dì e aveva portato con sé carne e frutta. La ferita aveva impedito a Eric di cacciare sia di notte che di giorno, e quindi se non fosse stato per lui, Sarah sarebbe stata costretta a chiedere aiuto a suo padre.
Eric non voleva lo facesse. L'uomo ancora non approvava la loro unione e in più di un'occasione i dubbi avevano sfiorato la sua mente.
Forse aveva ragione, non avrebbe dovuto legare Sarah alla sua vita, avrebbe dovuto lasciarla libera di incontrare e amare un uomo che sapesse renderla felice e che le desse quel figlio che tanto voleva, che le desse notti scaldate dagli abbracci e baci su un viso senza lacrime.
Eric sapeva di non essere quell'uomo, ma era l'uomo che lei aveva scelto e Sarah era l'unica donna che Eric avrebbe voluto al suo fianco, l'unica che sapeva dargli quel briciolo di pace che ormai faceva così fatica anche solo a cercare.
Sarah amava le visite di Cornelius, amava la sua compagnia. Cornelius aveva sempre un sorriso sul volto e una parola di conforto. Era un prete, ma era soprattutto un ragazzo vitale, vivo.
Vuoi emozioni che non riesci più a provare nella tua vita...
Adam era tornato ogni notte nei suoi sogni che erano sempre gli stessi eppure stavano cambiando.
Eric riusciva a reggere fino alla fine quel paletto, riusciva ad allontanarlo, riusciva a resistere e anche se alla fine crollava sempre fra le sue braccia, la notte seguente riusciva a resistere un po' di più.
«Cosa stai facendo in piedi, Eric? Torna a letto!» Lo rimproverò Cornelius quando lo scoprì alzato accanto al fuoco.
«Eric, non dovevi muoverti da solo.» Si aggiunse anche Sarah mentre portava dentro una cesta con la frutta che Cornelius aveva acquistato al mercato.
Non protestò neanche, ormai si era abituato alla loro alleanza a sue spese.
Si stese sulle lenzuola e Sarah gli lasciò dell'acqua accanto al letto.
«Vado alla locanda. Annemarie sta per partorire.»
Il sorriso sul suo viso era solo un modo per nascondere la sofferenza. Eric non disse nulla, non le chiese perdono per la sua volontà di non avere un figlio e Sarah ormai aveva smesso di chiederglielo.
«Dio benedica le tue mani, Sarah, che accolgano presto una nuova vita fra di noi.» Cornelius le baciò i palmi e disegnò in aria una croce.
Sarah uscì dalla porta con un sorriso più sincero.
«Com'è andata stanotte?» chiese quando furono soli.
Glielo chiedeva ogni mattina.
«Al solito, ma stanno mutando il loro comportamento. Sono più cauti e ormai attaccano in branchi di tre, quattro. È sempre più insolito trovarne qualcuno in caccia solitaria.»
Cornelius si accomodò sulla sedia accanto al suo letto con i suoi occhi azzurri sul suo viso.
«Stanotte andrò io.»
«Non se ne parla. Non sei ancora in grado di cacciare.»
Sorrise. «Ho riportato ferite peggiori e non sono mai stato fermo così a lungo» ammise sincero.
Spesse volte si era trovato al limite, spesse volte quegli esseri gli avevano causato tagli e lividi e talvolta aveva anche rischiato di essere morso. Ma mai prima di quella sera era rimasto a letto. Solo quella volta, solo quando Adam lo aveva portato a un passo dalla morte e Sarah lo aveva salvato.
«Prima eri solo, Eric, adesso ci sono anche io.»
Scosse il capo. «Non cambia nulla. Stanotte andrò a caccia. Discorso chiuso.»
«No.» Cornelius poggiò la mano sul suo braccio impedendogli di alzarsi. «Sai perché i Cacciatori si sono organizzati in Congreghe? Perché hanno bisogno di lottare insieme. Uno affianco all'altro, uno per l'altro.»
«Io l'ho sempre fatto da solo e così continuerò.»
Era sempre stato solo, Eric. Non aveva avuto fratelli da bambino né amici da adulto. Il suo carattere schivo e rude non lo rendeva avvicinabile da nessuno e a lui era sempre andato bene così.
Suo padre era stato il suo punto di riferimento e quando l'aveva perso era stato costretto ad affrontare qualcosa di così grande che era stato difficile ancora solo comprendere. Ed era stato costretto ad affrontarlo da solo.
Da solo aveva affrontato la morte di suo padre, quella di sua madre. Da solo aveva affrontato quella vita predestinata.
Le notti di caccia con il solo argento come compagnia.
Poi era arrivata Sarah e aveva avuto l'illusione di poter riavere ancora calore accanto a lui, ma Adam aveva distrutto anche quell'illusione ed Eric era stato più solo in quel letto con lei, di quanto non lo fosse mai stato prima.
Cornelius parlava di confratelli, di compagni, di lottare l'uno per l'altro.
Eric non aveva mai lottato per qualcuno che non fosse se stesso, non aveva mai dovuto né voluto badare a una vita che non fosse la sua e indirettamente quella di Sarah.
Quella sera sarebbe dovuto morire, ma Cornelius aveva scelto di aiutarlo.
«La tua missione non è un fardello che devi sopportare da solo, Eric. Tutti i confratelli portano lo stesso peso ma quando ci sono tante spalle quel peso diventa più lieve, anche se non sparisce mai del tutto. Si chiama condividere, la gioia come il dolore. Le lacrime e le ferite.»
Amava parlare, Cornelius, parlava di tante cose e usava tante parole per dire cose semplici.
«È stato tuo padre a parlarti di questo?» chiese.
Lui annuì. «Mio padre mi iniziò alla caccia che avevo dodici anni, ma mi parlò della nostra missione quando avevo coscienza per capirne il significato.»
«Hai cacciato con lui?»
Ci fu un breve silenzio e poi Cornelius assentì ancora con il capo.
«Ho cacciato al fianco di mio padre fino alla notte in cui fu ucciso...» L'azzurro si scurì e le labbra persero ogni sorriso. «Erano in due. Doveva essere una lotta semplice. Avevamo affrontato interi branchi ed eravamo riusciti ogni volta a debellare il Male, ma quella notte no. Mio padre fu colpito alla schiena. Non sono riuscito neanche a vedere come fosse accaduto, ho sentito solo le sue urla... Maledette bestie...» Cornelius strinse i denti e chiuse le palpebre. Eric conosceva il dolore della perdita, non sapeva cosa si provasse però a perdere qualcuno per colpa di una di quelle bestie, a vederla morire sotto i propri occhi senza poterla proteggere. «Riuscii a ucciderli entrambi e cercai di soccorrerlo, ma ormai non c'era più niente da fare... Mio padre è morto senza riuscire neanche a salutare l'alba. Lui amava l'alba di ogni nuovo giorno...» Quando il suo racconto terminò le labbra tornarono a sorridere sebbene fosse un sorriso triste e amaro. «Presto ti riprenderai e andremo a caccia insieme.»
Insieme...
Non aveva mai compreso quanto potesse essere calda quella parola.



*



«Non hai scritto un diario?»
Eric addentò una mela e scrollò le spalle. «Perché avrei dovuto?!» mormorò poggiandosi contro il tronco dell'albero alle sue spalle.
Il cielo ero rosso e prossimo alla sera e lui stava solo aspettando che scendesse la sua notte. La loro notte.
Aveva scoperto presto quanto cacciare con un altro Cacciatore potesse essere allo stesso tempo un aiuto quanto una distrazione.
Cornelius era un abile cacciatore e nonostante la sua veste da religioso, quando lottava aveva furia negli occhi e nessuna esitazione. Era soprattutto un cacciatore preciso e con le armi a distanza non mancava mai il colpo.
Eric preferiva la lotta vera e propria, preferiva sentire il pugno schiantarsi contro la carne, il piede schiacciare le ossa e il sangue di quegli animali macchiare le mani quando affondava il paletto.
La caccia era tornata ad essere viva grazie a Cornelius.
«Sei un Cacciatore, Eric, e per di più un Mastro. Devi avere un diario.»
«Non ne vedo il motivo.»
«Cosa vuol dire? Devi farlo perché così è scritto.»
Lo osservò a lungo continuando a mangiare la sua mela per poi gettare il torso sull'erba.
«Sarah vorrebbe un figlio» sospirò con un sorriso triste. «Un figlio da me...»
«Mi sembra naturale e giusto che sia così. È la tua sposa.»
Cornelius gli sorrise con calore e lui scosse il capo.
«Dovrei mettere al mondo un figlio per condannarlo? Per renderlo orfano prima del tempo e lasciargli come eredità questa vita?» Si alzò da terra con rabbia. «No, grazie.»
Cornelius lo seguì subito dopo.
«Non è una condanna, è solo il tuo destino.»
«Non l'ho chiesto io questo destino.»
«Il destino non si sceglie, Eric, si accetta soltanto.»
Destino, missione, chiamata. Qualsiasi nome potesse trovare, Eric sapeva solo che non era la vita che voleva per suo figlio.
In un'altra storia avrebbe donato a Sarah tutti i figli che desiderava e l'avrebbe guardata crescere con amore e cura la loro famiglia.
Ma la sua storia non si sarebbe scritta con quelle intenzioni.
«Tu lo stai scrivendo il tuo diario?» chiese.
«Certo.»
Sorrise. «E per lasciarlo a chi? Sei un prete.»
Cornelius non cadde nella sua provocazione e gli sorrise di riflesso.
«Come ben saprai non c'è necessità di prole, basta un giovane degno a cui affidare la nostra missione, e in ogni caso non si scrive il diario solo per tramandarlo, ma anche per se stessi. Ogni Cacciatore impara dalle proprie azioni, dai propri sbagli. Ogni Cacciatore, così come ogni semplice uomo, cambia e matura a seguito delle proprie esperienze.» Il sorriso si accentuò. «E di solito migliora.»
«Quanto ti piace parlare, prete» brontolò dandogli una spallata e incamminandosi verso il sentiero che portava al villaggio.
Il sole non era ancora calato.
Cornelius lo seguì ridendo ed Eric si lasciò contagiare come ogni volta.
Lui li chiamava confratelli, Eric avrebbe voluto dire amici.
«Eric, Jonathan ti ha parlato dei dieci Sire?»
Il suo cuore saltò un battito e un nodo ruvido gli scese nella gola.
«Ha detto qualcosa a proposito di farne fuori uno.»
Delle tante domande che aveva posto a Cornelius, nessuna aveva riguardato Adam.
Cornelius gli aveva detto che suo padre Marcus conosceva Victor e che avevano lottato fianco a fianco per anni. Gli aveva detto che nel diario di Marcus più volte veniva riportato il coraggio e il valore di Victor, la sua lealtà e la sua fedeltà alla Congrega. Quelle parole rispecchiavano quelle di Padre Jonathan.
Il vero Victor... un cacciatore abile e spietato, un uomo privo di compassione e pietà...
La voce di Adam tormentava ancora i suoi pensieri sebbene si fosse fatta più lontana e così anche la sua presenza.
Il suo collo non aveva più sanguinato ma i suoi sogni non l'avevano abbandonato.
«Pensi di cercarlo, un giorno?» A quella domanda aveva rallentato il passo e aveva guardato il compagno con la coda dell'occhio.
«Perché dovrei?»
«È il tuo compito primario, in verità. La caccia spetta principalmente ai confratelli minori della Congrega, un Mastro dovrebbe impegnarsi solo nella ricerca e nell'uccisione del Sire. Non fraintendere le mie parole, mai nessuno si attiene con rigore a questa regola.»
Ricordava bene le parole di padre Jonathan: trovare lui prima che lui trovi te.
«Tu l'hai mai incontrato un Sire?» chiese con un filo di voce ma Cornelius scosse il capo con un sorriso quasi divertito.
«No, mai. Se l'avessi fatto non sarei di certo qui a raccontarlo.»
Il passo si arrestò e la sua espressione seria portò Cornelius a spegnere quel sorriso.
«Che vuoi dire?»
«Un Sire non è un comune vampiro, è un vampiro puro. Non c'è nessuna umanità in lui, in quanto esso è nato direttamente dal sangue di Lucifero, dal suo peccato di disobbedienza. È più forte, più feroce e spietato di ogni altro vampiro. Per questo un Mastro trascorre l'intera vita nella preparazione fisica e mentale per affrontarlo, per affrontare un male primordiale e antico, perché è questo che rappresenta un Sire: il Male incarnato.»
Sentì un brivido correre lungo la sua schiena e la gola sussultò.
«Non si può uccidere quindi.»
«Oh, certo che si può, ma nessuno ci è mai riuscito.» Cornelius parve pentirsi di quell'affermazione perché scostò lo sguardo lontano.
Nessuno era mai riuscito a ucciderne uno, nessun Mastro nel corso delle Ere era riuscito a mettere fine ad una sola di quelle dieci vite.
Come poteva riuscirci lui? Un Mastro senza conoscenza né abilità all'altezza?
Cornelius che era più giovane in età era già un Cacciatore esperto se non quanto lui addirittura superiore.
«Devi avere fede, Eric. Dio non abbandonerà i suoi figli, quando essi lottano in nome suo.»
«Io non lotto in nome di nessuno.»
«Ora non bestemmiare...» Lo riprese Cornelius con sguardo ammonitore ma Eric non aveva voglia di sorbirsi un altro sermone sulla fede e sul credere. Sul Bene e sul Male.
Aveva solo voglia di cacciare e di tornare da Sarah con le mani lorde di sangue.
Dietro i colli il sole era tramontato.
La notte era appena iniziata.



*



Un calcio, poi un altro. Una gomitata, un pugno.
Una ginocchiata sui denti.
Eric cadde al suolo ma rotolò sulla schiena e recuperò il paletto dal terreno.
Affondò il legno immediatamente dopo nel cuore della sua preda.
Alle sue spalle il sibilo della balestra.
Un colpo, due colpi.
Due tonfi.
Si voltò con il fiatone e Cornelius saltò giù dal ramo su cui aveva fatto da vedetta.
«Sei ferito, Eric?» gli chiese controllando con la punta del piede che nessuno dei cinque vampiri si muovesse più.
Eric sputò un grumo di sangue e si pulì le labbra con il polsino della camicia.
«Sono ancora tutto intero...» Cornelius gli sorrise e poggiò l'arma a terra. «Grazie per essere rimasto a guardare.»
«Ho solo rispettato i tuoi ordini. Mi hai detto tu di coprirti le spalle.»
Gli lanciò un'occhiataccia mentre cercava di distendere i muscoli del collo indolenzito.
Passò accanto al vampiro dai capelli bruni guardandolo con sdegno.
«Ha cercato di mordermi...» sospirò quasi fosse un pensiero ad alta voce.
Aveva rischiato di vacillare quando aveva avvertito i denti contro la sua pelle, memorie torbide si erano presto appropriate della sua mente, ma per fortuna il suo braccio era stato più veloce dei pensieri ed era riuscito a ucciderlo prima... prima che-
«Se l'avesse fatto sarebbe comunque cenere a quest'ora.» Sollevò lo sguardo sul suo viso. Non comprese quelle parole e Cornelius dovette capirlo. «Non eri a conoscenza di questo, Eric?» Si sentì chiedere e semplicemente alzò le spalle.
«Mio padre era di poche parole» spiegò riferendosi al suo diario.
Cornelius lo raggiunse dopo aver raccolto le armi che avevano portato con loro per quella caccia.
Il sole era prossimo a sorgere.
«Il sangue di un Cacciatore è letale per loro.» Lo informò. «Così come loro sono figli di Lucifero, noi siamo discendenti di Michele e quando non vi è collegamento di sangue, vi è il passaggio del dono della caccia. Nel momento in cui un Cacciatore tramanda il suo compito a un altro uomo, tramanda con esso la benedizione di Michele che rende il semplice servo di Dio, un'arma, la Sua arma contro il male... Nessuna bestia degli inferi può trarre nutrimento dal sangue di un Cacciatore in quanto esso è consacrato da Dio stesso.»
I suoi pensieri non poterono che andare all'episodio della chiesa.
Non era stato reale? Era stato tutto un incubo come quelli che lo perseguitavano da allora?
Eppure ricordava chiaramente la sensazione che aveva investito il suo corpo, ricordava il sangue, il dolore. Ricordava la paura.
«Più di una volta mi sono trovato con i loro denti a un soffio dal mio collo. Sei certo di ciò che dici?» chiese ancora conferme.
Cornelius annuì con sicurezza. «Se per pura follia dovessi chiederlo a uno di loro, questi demoni ti direbbero che è solo una leggenda, una menzogna creata dai Cacciatori per impedir loro di bere il nostro sangue.» Sorrise con altrettanta fermezza poggiandogli una mano sulla spalla. «Ma nessun vampiro è rimasto in vita per contraddire questa “leggenda”. È verità, Eric. È la parola diretta di Michele, colui che difese la fede in Dio nella biblica battaglia in cui tutto ebbe inizio.»
Cornelius lo superò per avviarsi al sentiero ma Eric restò fermo sui suoi passi.
Non poteva essere davvero così, se il suo sangue poteva uccidere una di quelle bestie, come aveva potuto lui nutrirsi di lui? Come?
Se era stato reale, se era accaduto sul serio, allora...
«È letale...» sospirò recuperando la sua attenzione. Gli occhi di Cornelius indugiarono sul suo viso in silenzio. «Anche per un Sire è letale?» chiese ma la sua voce tradì i suoi dubbi, tradì la sua incertezza.
«Non posseggo questa risposta, Mastro.» Ne seguì un lungo silenzio e poi le sue labbra si mossero ancora. «Temo tu debba scoprire ancora molte verità, mio buon amico.» La balestra stretta nel pugno e un piccolo sorriso sul viso. «Sarò lieto di aiutarti a cercarle.»
Eric era grato della presenza di quella voce nel suo silenzio, di quel sorriso nei suoi timori, di quell'amicizia nella sua solitudine. Eppure Sarah si era sbagliata, perché con tutto il calore e la vita che Cornelius aveva portato con il suo arrivo, non era riuscito a sciogliere i suoi reali dubbi che nulla avevano a che fare con la sua missione. I suoi dubbi, le sue domande, le sue paure che vorticavano pericolose attorno a quel nome, attorno a quel mistero che era Adam.



*



Era ancora la chiesa di St Thomas. Era ancora il clavicembalo che suonava.
Eric si avvicinò al primo banco e si sedette ad ascoltarlo.
«Ti piace?» gli chiese ed Eric annuì. «L'ho scritta per te, Cacciatore. È il tuo requiem.»
«Potrebbe essere il tuo.»
Adam sorrise ancora e i suoi denti scintillarono sotto la luce della candela poggiata sullo strumento.
Gli occhi chiusi che si aprirono per guardarlo.
La musica cessò stavolta prima che la sonata fosse conclusa.
Adam abbandonò il clavicembalo e si diresse verso di lui.
Eric stringeva con forza il suo paletto freddo fra le dita.
A pochi metri, Adam si fermò e allungò la mano. «Vieni da me, Eric.»
Il paletto diventava sempre più pesante, sempre più pesante, finché non fu più capace di tenerlo.
Cadde a terra tintinnando.
«Non voglio» sospirò facendo un passo indietro.
«Oh, sì che lo vuoi.» Il suo sorriso si allargò e la lingua inumidì le labbra.
Il suo cuore stava battendo forte nel petto, così forte da voler uscire fuori.
«Ti ucciderò!»
«Vieni da me.»
Scosse il capo ma le gambe non riuscirono a fare un solo passo più lontano.
Fu Adam ad avvicinarsi mentre i suoi piedi sembravano inchiodati al suolo.
Il collo iniziò a far male e il sangue prese a scendere copioso dalla ferita di nuovo lacerata sulla sua pelle.
Eric la coprì con la mano ma non poteva arrestare il fluire denso del liquido cremisi.
Osservò inorridito le sue dita coperte di sangue e scosse di nuovo il capo con furia.
«No!»
Sollevò lo sguardo e Adam gli era di fronte.
Non poteva andare via, non poteva lottare.
«Vieni da me, Cacciatore, e avrai ciò che brami.»
Adam gli sfiorò il viso e poi il collo. Le sue labbra lambirono la pelle ferita.
Rabbrividì.
Chiuse gli occhi e lasciò che Adam lo stringesse a sé, che affondasse i denti nella sua gola e lo facesse crollare fra le sue braccia.
Le sue dita strinsero con forza il nero dei suoi capelli e solo in quel momento Eric si rese conto che non era per allontanarlo.
Le labbra lasciarono andare un gemito che avrebbe dovuto essere sofferenza.
Non lo era.
«Veni da me.»
Lasciò che fossero quelle di Adam a inghiottire ogni altro suono.

Aprì le palpebre ma era ancora buio.
Il suo cuore non smetteva di battere forte e le mani di tremare.
La fronte madida di sudore così come il resto del suo corpo.
Si liberò della casacca che gli copriva il petto e la passò sul viso per asciugarsi.
Passò la stoffa sul collo ma non trovò sangue.
La passò sul ventre umido.
I suoi occhi inorridirono quando si accorsero della reazione vergognosa del suo stesso corpo.
Serrò la mascella e strinse le palpebre per cancellare l'ignobile vista, ma nel buio dello sguardo riusciva solo a rivivere le immagini di quell'ennesimo incubo.
La sua voce, i suoi occhi, le sue labbra... le sue mani.
Vieni da me...
E quella reazione era solo un insulto alla donna che giaceva al suo fianco.
Mandò giù la rabbia e la frustrazione, la vergogna e il disgusto per se stesso e scese dal letto.
Si diresse verso la porta e lasciò che il freddo lo schiaffeggiasse.
L'erba umida sotto i suoi piedi nudi e il gelo della notte prossima alla fine.
Raggiunse il tronco del faggio a una decina di metri e poggiò il braccio sulla corteccia nascondendo poi il viso contro di esso mentre cercava di cancellare quella vergogna dal suo corpo.
Lasciò al silenzio della notte i gemiti abominevoli che lasciarono le sue labbra, e al vento freddo il compito di asciugare ogni goccia di sudore che scivolava infamante sulla sua pelle.
Crollò sulle sue stesse ginocchia con il legno del tronco a graffiare il suo braccio e con ancora la mano ferma fra le sue gambe, una mano bagnata di vergogna.
Colpì forte il faggio con un pugno, poi un altro e un altro ancora finché le nocche non si scorticarono macchiando la corteccia di sangue.
Il respiro ancora affannato e le spalle ricurve come a volersi nascondere dagli occhi del mondo stesso.
Non avrebbe mai potuto nascondersi dai propri.



*



I giorni seguenti aveva evitato la compagnia di Cornelius ma non gli fu altrettanto facile evitare gli sguardi di Sarah e le sue mute domande.
Non l'aveva più toccata, non era stato più capace di sfiorarla dopo quella notte perché ognuna di quelle che ne erano seguite, Eric era dovuto fuggire sotto l'ombra del faggio.
Andava a caccia, tornava stanco e sporco di sangue e chiudeva gli occhi nel caldo del suo giaciglio e lì gli incubi lo tormentavano finché non era costretto a macchiare di nuovo le sue mani.
Adam non era mai stato più lontano eppure più vicino come allora ed Eric non l'aveva mai odiato di più.
Stava tornando dalla sua battuta di caccia mattutina con il bottino di qualche lepre e un coniglio quando aveva incrociato lo sguardo di Cornelius fra le genti del mercato.
«Buondì, Eric.» Lo aveva salutato con l'immancabile sorriso.
Eric aveva risposto con un semplice cenno del capo mentre barattava con un mercante le sue pelli.
Aveva raccolto il denaro e aveva preso il passo con premura verso la periferia della città.
Cornelius lo aveva seguito.
«Eric, aspetta.» Una mano a fermarlo e nessun sorriso sulle labbra. «Cosa turba i tuoi pensieri, amico mio?»
«Ho solo fretta» mentì.
Cornelius non credette a quella menzogna e gli fece cenno di seguirlo.
Eric tentennò.
«Per favore, Eric.»
Alla sua destra la chiesa di St. Thomas.
Non ci aveva più messo piede neanche dopo le insistenze di Cornelius affinché partecipasse alle celebrazioni della domenica.
Non poteva andare lì, non dopo ciò che accadeva nell'ombra del suo sonno.
«Voglio mostrarti qualcosa.»
«Cosa?»
Gli sorrise gentile. «Il diario di mio padre.»
Il diario di Marcus, il diario che parlava di suo padre Victor.
Osservò ancora le scale e ingoiò ogni inquietudine.
Padre...
Seguì Cornelius fin dentro alla chiesa e non poté impedire a un conato di vomito di salirgli acido dallo stomaco quando i suoi occhi caddero prima sul clavicembalo e poi sul crocifisso. Sulle panche e sul pavimento freddo.
«Attendi qui. Voglio accertarmi che Padre Gregory non sia nei paraggi.»
Cornelius sparì dietro a una piccola porta di legno malconcia ed Eric cercò di far rallentare il cuore.
Chiuse gli occhi e si poggiò con la mano contro una delle panche.
Erano solo incubi, solo costrizioni della sua mente.
Nulla era reale. Nulla.
Eppure le sue azioni lo erano, le sue azioni folli e prive di morale, spregevoli e abominevoli.
La porta cigolò e riaprì le palpebre.
Non era la porta dietro cui era scomparso Cornelius, ma quella che si era aperta alle sue spalle.
Passi lenti ma decisi a cui non avrebbe dato importanza se non avesse avvertito il caldo bagnare il suo collo.
Accarezzò la pelle con le dita mentre i passi si avvicinavano sempre più.
No...
Il suo cuore gli bloccò la gola quando le dita tremanti mostrarono il sangue.
I passi si arrestarono.
Gli occhi fissi sulle sue stesse mani e i piedi impiantati a terra.
«Tu...» Fu un debole fiato.
«Io.» A quella voce raggelò.
Voltò lentamente il capo e incrociò due occhi verdi su un viso pallido.
Fu a quel punto che il Cacciatore reagì al posto dell'uomo afferrando con rapidità il paletto alla cintura e tentando l'affondo.
Non si sorprese che lui evitasse il suo colpo.
«I tuoi riflessi sono migliorati.» Era alle sue spalle.
«Non sai quanto!»
Si voltò e tentò una seconda volta. Il suo polso fu imprigionato fra le sue dita e la torsione dolorosa gli fece perdere la presa del legno. Provò comunque a colpirlo con l'altra mano ma Adam bloccò con facilità anche quella.
A quel puntò fu un calcio a fargli mollare la presa.
Adam fece un balzo indietro e le sue mani tornarono libere.
«Ho visto che hai fatto amicizia.»
Da dietro la schiena tirò via un piccolo paletto che gli lanciò contro.
Adam lo afferrò al volo e lo spezzò fra le dita senza alcuna fatica.
Poi sparì dalla sua vista e fu di nuovo dietro di lui.
Eric si voltò velocemente scorgendo il suo sorriso.
«In tutti i vostri discorsi sotto la luna non ti ho udito accennare a me, Eric.»
Non rispose. Il suo cervello stava cercando di elaborare in fretta un piano d'attacco ma qualcosa teneva occupato ogni suo pensiero.
Era il sangue che sgorgava dalla sua pelle, erano i suoi occhi, erano le sue labbra. Era il riflesso di quegli incubi.
«È il figlio di Marcus, vero?»
Sentì la rabbia montare nelle vene e qualcosa di altrettanto forte afferrargli lo stomaco. Era paura.
Nessuno aveva mai ucciso un Sire, aveva detto Cornelius. Nessuno, nessun Mastro, nessun Cacciatore.
Un Sire è il Male incarnato.
«Non toccarlo.» Lo minacciò stringendo i pugni, ben consapevole che non sarebbe stata qualche parola a fermare qualsiasi fosse stata la sua intenzione.
I Cacciatori combattono fianco a fianco, l'uno con l'altro, l'uno per l'altro.
Eric avrebbe rispettato almeno quell'ordine.
«Lo difendi...» Il sorriso di Adam sembrò vacillare appena. «Come Victor e Marcus... La storia si ripete» affermò reclinando appena il capo cosicché una leggera ciocca nera gli coprisse lo sguardo da un occhio.
«La storia... Quale storia?»
Adam sorrise ancora.
«La storia che tu non conosci, Eric, quella storia che non sarà il tuo compagno Cacciatore a narrarti.»
La sua gola sussultò sotto quello sguardo, sotto ogni singola parola, sotto la sua semplice presenza.
«Se vuoi conoscerla... Vieni da me.»
Se la porta non si fosse aperta con un cigolio assordante, se Adam non fosse sparito così come era apparso, se il suo collo non avesse smesso di sanguinare e i suoi vestiti non fossero tornati candidi come ogni volta, se Cornelius non lo avesse raggiunto con un vecchio diario stretto nella mano, Eric sarebbe crollato nuovamente al suolo.
Avrebbe nascosto il capo fra le braccia e avrebbe pregato.
Per la prima volta nella sua vita avrebbe pregato quel Dio che non conosceva ma per cui doveva lottare.
Avrebbe invocato una fede che non aveva per chiedere perdono di un peccato che non aveva realmente assaggiato, eppure riusciva lo stesso a sentirne il sapore.
Ed era dolce come la più crudele di ogni tentazione.












***













NdA.
Lo so che mi avevate dato per dispersa, ma questa storia necessita di un certo stato d'animo per essere scritta, quindi chiedo venia per avervi fatto aspettare tanto, spero che almeno l'attesa sia stata ripagata.
Grazie a chiunque legga e segua questa piccola fiaba gotica.
Mi auguro di poter concludere presto e concludere degnamente ^^
Un abbraccio.
Kiss kiss Chiara
  
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