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Autore: Valvonauta_    01/02/2014    0 recensioni
Due persone si incontrano per caso la vigilia di Natale, sotto la neve. Cosa succederà? Scopritelo insieme a me!
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Capitolo 3 - Una nuova esperienza


La mattina si svegliò con allucinanti dolori alla schiena per aver passato la notte stravaccata malamente sul tavolo e ai piedi per le scarpe col tacco.
Scalciò via quegli strumenti di tortura, gettandoli malamente contro l’anta del frigo.
Guardò l’orologio sopra la sua testa. Erano le 7.
Il malumore che la attanagliava era ai suoi massimi storici e non vedeva l’ora di prendersela con quel coglione del suo “amico”. Ma che erano scherzi da fare, la Vigilia di Natale per giunta?
“Con lui ho chiuso!” disse al muro.
Si alzò, indispettita, e preso il cellulare in mano chiamò il suo ex-amico che, ovviamente, manco a farlo apposta, non rispose.
Scattò la segreteria telefonica e lei lasciò un messaggio che si avvicinava pericolosamente ad una vera e propria minaccia: “Brutto coglione, testa di pino! La prossima volta gli scherzi fatteli da solo. Fanculo. Non farti più sentire, ok? Addio!”
Buttò giù fuori di sé tanto che per un attimo fu tentata di dare un pugno al muro, poi, ragionandoci, capì che era una idea idiota.
Possibile che il mondo facesse di tutto per rovinarle la vita?
Si buttò sul letto, in modo scomposto e si risvegliò dopo due ore, un po’ più riposata di prima.
Decise che doveva uscire. Farsi Natale da sola già era abbastanza deprimente, stare inoltre rinchiusa in casa come una cretina sinceramente non era la tattica migliore per migliorare la situazione.
Si fece una doccia, sfregandosi il corpo e i capelli per bene, quasi che così potesse spazzare via anche il malumore.
Si vestì in fretta e furia ed uscì sbattendosi la porta dietro, ignorando di non aver fatto il letto da due giorni, di non aver messo a posto casa.
Liquidò il problema con un 'Tanto ci vivo da sola'. Era una persona ordinata, in linea di massima, e anche un po’ rompicoglioni sotto questo punto di vista, era anche per quello che aveva deciso ad un certo punto di prendere casa da sola.
I primi due mesi a Roma, aveva preso una casa in affitto con altre tre ragazze. Era stato un inferno.
Queste tipe, due siciliane e una veneta, erano zozze in una maniera indecente, prive di ogni rispetto per l’altro e sfacciate come poche.
Fortunatamente il contratto era un 4+4 e, dopo due mesi di forzata convivenza, messasi subito a cercare una nuova ragazza da piazzare con le tizie e un nuovo alloggio, nel giro di un mese aveva liquidato la brutta esperienza ed era andata a vivere da sola nel minuscolo trilocale che ora era suo.
In quella circostanza, stranezza della vita, aveva avuto invece molta fortuna. La proprietaria era una donna anziana e pacifica e, grazie a Dio, l’aveva presa particolarmente in simpatia. Era una vecchia signora, con una bella pensioncina, che aveva due appartamenti in quel palazzo, uno dei quali dove fino a pochi anni prima abitava il figlio, e di cui, in cambio di un po’ di compagnia e di pulizie ogni tanto, le aveva abbassato di molto il prezzo iniziale.
La posizione era abbastanza centrale, facilmente raggiungibile con metro ed autobus e non per niente male dentro, dato che era abbastanza recente come interni.
Scese giù, per strada, e respirò a pieni polmoni quell'aria gelida.
A Roma non nevicava più (solo a dire la frase 'Nevica a Roma' le scappava da ridere) però in compenso la poca neve che si era attecchita all'asfalto non si era sciolta.
Già bastò quell'aria frizzantina per risvegliarla e ricaricarle un po' le batterie.
Prese la metro, di cui aveva l'abbonamento e gironzolò un po' per il centro di Roma, in Via del Corso inizialmente, poi ritrovò inconsciamente, come molte altre volte succedeva, a girovagare per Via Condotti.
Ammirare quelle vetrine con quei prezzi proibitivi e quegli abiti che erano favolosi, la faceva sognare ad occhi aperti, senza ritegno.
Era una persona con i piedi per terra, di certo una che amava illudersi ma quelle vetrine la portavano in un’altra dimensione, fantasticata. Era seriamente qualcosa più forte di lei.
Fece avanti ed indietro almeno tre o quattro volte. Poi sognare diventò troppo doloroso, pensando ai sacrifici che i suoi avevano fatto per mandarla all'università, e decise di passare davanti al Parlamento, li di certo fantasticare diventava decisamente impossibile. Lo superò, schifata, passò per via del Seminario, di fronte al Pantheon, affascinata da tanta bellezza; vide Palazzo Madama, il Senato, e finì in Piazza Navona, la sua meta finale, tra le fontane del Bernini e le chiese del Borromini.
Ogni volta si stupiva di quanto bello fosse il centro di Roma, di quanto fosse stupendo, di quanta storia c’era in neanche mezzo km di strada.
Dove ti giri, dovunque, trovi storia, arte, bellezza.
Certe volte, vedendo i Fori Romani o il Colosseo o proprio Piazza Navona, o per meglio dire l’ex Stadio di Domiziano, non poteva fare a meno di pensare a come era, a come vivevano i romani e si ritrovava a desiderare di prendere una macchina del tempo e ritornare nell’Antica Roma, ai tempi di Augusto, o sotto Gaio Cesare, meglio conosciuto come Caligola, per vedere il famoso cavallo senatore. Una mossa come quella ora come ora sarebbe stata stupenda. I senatori di ora non sono di certo meglio di quelli che tanto odiava Caligola nel 40 d.C. Potesse lui vederli, cosa direbbe?
Oh, che scelta venire a Roma. Aveva dovuto litigare col mondo per andarci. I suoi ovviamente preferivano Parma o Milano, ma no, lei voleva andare a Roma e alla fine, dopo urla, grida e minacce c’era riuscita e, col senno di poi, fu la scelta più azzeccata che avesse mai fatto in vita sua.
Gironzolò, con questi pensieri frullarle per la testa, per i mercatini natalizi, curiosando, osservando, toccando.
Alla fine, come sempre, non comprò nulla. Ritornò indietro, sui suoi passi, entrò in Galleria Alberto Sordi, dalla Feltrinelli, a guardare alcuni libri (libri che tanto amava), quando il telefono squillò.
"Pronto?" rispose al numero sconosciuto.
"Ciao sono Antonio di Ciro&Ciro, volevo dirti che avremmo scelto te per il part-time. Non ti ho detto molto ieri perché avevo molti colloqui da fare ed ero interessato soprattutto a vedere i curricula più che non spiegare alle candidate i dettagli."
Wow. Questa non se la sarebbe mai aspettata. Forse la buona sorte stava soffiando dalla sua parte. Sentendo il silenzio, Antonio dall'altra parte buttò li la proposta: "Potresti venire entro oggi pomeriggio, così discutiamo un po'?"
"Ma certo! Posso venire - guardò l'orologio – anche tra mezz'ora."
L'uomo dall'altra parte della linea ne sembrò entusiasta.
"Penso che io e te andremmo molto d'accordo. Le ragazze spigliate mi piacciono assai. Comunque vieni oggi verso le tre, che almeno parliamo con calma."
Sorrise, lusingata dai complimenti: " Ok. A dopo.”

***

Prese l'autobus e dopo poco arrivò dal ristorantino napoletano, in perfetto orario.
Antonio, appena la vide entrare, l'accolse stritolandola nel proprio abbraccio, da brav uaglion napoletano.
"Vieni di là, vieni di là" la invitò caloroso. Il locale era chiuso, tutto già in ordine e pronto per la sera.
La fece accomodare nel proprio studiolo, dove era stata solo il giorno prima, che sembrava fungesse più da archivio, e si sedette dietro la scrivania.
"Come ti ho già detto ieri il tuo contratto è a chiamata. E durerà finché la ragazza si riprenderà, il che dovrebbe richiedere all'incirca un mesetto e mezzo."
Lei mosse attenta su e giù la testa in segno di assenso.
"Bene. Il tuo compenso sarà, se accetti il lavoro, di 8 e 70 all'ora. La tua occupazione è cameriera. Servizio ai tavoli." Prese il suo curriculum in mano, dal cassetto alla sua destra. "Ho visto che hai già avuto una esperienza in questo settore, due mesi in un bar a Fidenza."
"Si, esattamente" confermò lei, seria.
"E' un po' poco, lo ammetto, ma per noi basta. Inoltre abbiamo bisogno di personale abbastanza giovane e di bella presenza, e fai al nostro caso."
Ripose il foglio sulla scrivania: "Domande?"
"Quando inizio?"

***

Era davvero un bel localino: intimo, curato e con begli accostamenti nell'arredamento, con colori pastello, sobri.
Bellissimo il murales che occupava per intero una delle pareti del locale, che raffigurava Napoli in tutto il suo splendore.
"Queste sono le cucine" le indicò velocemente. Era il momento del tour.
C'erano due cuochi maschi in cucina, al momento, fasciati nella loro ‘tenuta da lavoro’.
"Pari e Dispari, venite qua, che vi presento il nostro prossimo acquisto" li chiamò dalla porta.
I due non stavano facendo al momento stavano riordinando un po' i piani da lavoro.
Uno era basso, circa 1.65, tarchiato, un po' paffutello e dotato di un baffetto ma completamente calvo. Avrà avuto sui trentacinque-quarant'anni.
L'altro, invece, quasi a voler far contrasto con l'altro cuoco, era altissimo, quasi due metri e magro come un chiodo. Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi verde smeraldo. Avrà avuto la sua età, non di pìù. Curiosamente le ricordò Stecco di A Bug's Life. Non poté non sorridere.
Ora capiva perché avevano preso molto probabilmente ispirazione dal film di Bud Spencer e Terence Hill per definirli.
Il tarchiato fu il primo a stringerle la mano con forza, serioso e bofonchiò da sotto i baffi un semplice: "Ciccio" "Il Dispari" completò il Capo. Appena finita la presentazione girò sui tacchi e riandò a pulire il bancone.
L'altro invece le fece un gran sorriso e le strinse la mano con gentilezza: "Piacere, Francesco – e in tono più basso, in modo che l’altro non sentisse – non fare caso a Ciccio, è scorbutichello ma è bravo nel suo lavoro" e le strizzò l'occhio.
"Ovviamente, lui è il Pari" disse sogghignando Antonio. "Ed è l'unico Nordico, insieme a te, del locale."
"Ah" si limitò a rispondere non sapendo se agli occhi dell'uomo era una cosa positiva o negativa. Concluse che essendo lui di giù molto probabilmente la risposta era no.
"Io sono di Aosta" le disse lui.
"Aosta" ripetè sorpresa persino lei.
"Stupita, vero? Ed il signorino è finito a Roma sotto la guida di un terrone a fare da mangiare terùn."
I due uomini risero allegri. Lei si unì a loro in modo poco convincente, un po’ spiazzata da questo così accentuata auto ironia.
Antonio si mise ad urlare: "Quando avete finito di pulire potete andarvene."
Uscirono dalla cucina e l'uomo le disse: "Per la firma credo che dovrai aspettare domani"
Aggrottò la fronte, interdetta: "E perché mai?"
Alzò un sopracciglio: "Beh, il padrone dovrà pur vederti. E devi parlare con lui."
E lei che pensava che fosse Antonio il Padrone!
"Ah, quindi non è sicuro..." fece lei sulla difensiva.
"No, no, è uno tranquillissimo. Vedrai, non fa mai storie" e le sorrise ancora.
"Io credevo fossi tu il Padrone..." ammise.
"No, no, io sono solo il direttore di questo postaccio" e le fece l’occhiolino.
Poi si guardò intorno come se stesse cospirando un attentato terroristico, le sussurrò: "Il padrone è nordico pure lui. E' genovese. Ha fiutato anni fa l'affare del locale napoletano, che di certo attrae di più di quello milanese, ma di certo se lo avesse gestito direttamente lui, chi ci sarebbe venuto? E quindi eccomi qua!" e allontanandosi le fece un gran sorrisone.
"E come la mettiamo con il cuoco valdostano?" disse scherzosa, senza pensarci.
Credendo di aver osato troppo fece per scusarci ma la risata prorompente dell'uomo la precedette.
Le diede due pacche nella schiena e le fece un gran sorrisone: "Mi piaci, sai? E penso piacerai anche ai clienti, si si!"
Non sapendo che altro aggiungere si limitò a: "Beh, a domani"
"A domani cara, ti chiamo io stasera per farti sapere l'orario" e la accompagnò alla porta.

Si, sono viva.
V'è piaciuto? Sto preparando il terreno per piantarci la storia vera.
Pian piano sto intessendo la storia.
Questa volta vi ho fatto un signor capitolo, in termini di lunghezza.
Mi auguro abbiate apprezzato! ;)
Baci
Francisca
   
 
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