Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Gnocconana    01/02/2014    2 recensioni
Il campanello sopra la porta tintinnò, del tutto inaspettato. Ne entrò una ragazza bionda, dallo sguardo severo che inizialmente puntò nelle sue immediate vicinanze, come per dare un giudizio critico all’aspetto del negozio nel quale si era appena introdotta. Impropriamente, tra l’altro.
Successivamente, si voltò verso di lui. Gli sembrò di ritrovarsi senz’aria tutto d’un tratto, tanto quello sguardo era intenso. La prima opzione gli sembrò la più adatta: ne fu spaventato.
{ Chapter #3: Long time no see }
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Leonhardt, Berthold Huber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sweet, old pages
Chapter #3: Long time no see


Non si aspettava, il lunedì successivo, di trovare un cielo terso e un sole sorridente pronti a carburare il buonumore non indifferente con il quale era andato a dormire appena otto ore prima. Bertholdt non rimase perciò deluso quando furono due tuoni ben piazzati a trascinarlo giù dal letto ben prima del necessario, costringendolo a salutare da lontano l’ora in più che quel giorno avrebbe potuto permettersi grazie al favore che Christa gli aveva concesso, ovvero quello di aprire il negozio al posto suo. Fu comunque con l’eco della risata di ieri che decise di affrontare la giornata che di positivo sembrava non avere niente, per i suoi standard: dimenticò il mal tempo, il pavimento gelido sotto i suoi piedi, la consapevolezza che mancavano ancora sette giorni, sette, al suo prossimo incontro con quella che ormai aveva imparato a conoscere come sua cliente preferita. Il modo migliore di definirla, al momento, nonostante il termine ‘cliente’ non le si addicesse granché. Tranne quella raccolta di Fedro che le aveva visto tra le mani durante il loro primo incontro, Bertholdt non aveva avuto il piacere di vederla uscire dal negozio con uno dei suoi piccoli tesori in mano. Soddisfatto dalla sua sola presenza, però, il ragazzo non si era mai posto la domanda che molti avrebbero trovato, se non ovvia, quantomeno ragionevole: cosa la portava a fargli visita ogni domenica?
 
Alle nove e trenta del mattino, l’orario che lui e la sua piccola impiegata avevano concordato per il suo arrivo, il proprietario di Sweet Old Pages si ritrovò davanti una scena piuttosto inusuale: ammassati dentro e fuori il negozio, ad occupare lo spazio contenuto riservato a persone e non libri, riuscì a contare un minimo di 20 persone. In fila. Per… comprare? Una volta varcata – con non poche difficoltà – la soglia, dovette farsi spazio a furia di spintoni e finì col suscitare l’ilarità di Reiner, già dietro al bancone ad aiutare Christa con le transazioni. Doveva essere uno spettacolo esilarante, uno spilungone di un metro e novantasei centimetri in un oceano di ragazzi e ragazze del college. Perlomeno lo era per il suo vecchio amico.
Li raggiunse già col fiatone, più colpa della sopresa – e della mancanza  d’aria – che per vero e proprio sforzo fisico.
– Che accidenti… – mormorò sbigottito, scoccando un’occhiata ad entrambi prima di riportare l’attenzione alla folla davanti a lui e indossare frettolosamente il suo sorriso cordiale, cercando di dissimulare lo stress.
– Ringrazia Christa- sono tutti suoi amici! – lo schiamazzo che inondava la stanza quasi coprì la voce di Reiner, ma Bertholdt non potè fare a meno di notare la soddisfazione, se non l’orgoglio, nella sua voce. In un certo senso non si stupì delle sue parole, e osservando di sfuggita la bionda mentre lavorava ne capì immediatamente il perché. La gentilezza e la disponibilità che quella ragazza dedicava ad ognuna di quelle persone era degna di ammirazione. Era davvero felice di averla lì con loro- il pensiero di dover trattare con anche solo la metà della gente che si ritrovava davanti l’avrebbe fatto fuggire a gambe levate, senza ma e senza se. Quello che era senza dubbio un bene per i suoi affari avrebbe potuto facilmente trasformarsi nel suo incubo peggiore.
Con un sospiro rassegnato, e un peso sullo stomaco che da tempo non aveva avuto il piacere di incontrare, rivolse definitivamente lo sguardo al monitor del computer davanti a sé, pronto a rispondere nel meglio delle sue capacità – e di quelle del browser di ricerca – alle richieste di ogni cliente.
Rivolse un titubante ‘cerca qualcosa in particolare?’ alla prima persona con la quale incrociò lo sguardo, e le danze ebbero sfortunatamente inizio.
 
Nel giro di un quarto d’ora ebbe occasione di sentire alcune tra le richieste più bizzarre della sua vita. ‘Qualunque libro piaccia anche a Christa’ fu quella che si aggiudicò il primo posto indiscusso. Secondo posto? Libri di barzellette. Incredibile quanto potessero essere popolari tra quei ragazzi… e quante espressioni deluse dovette sopportare. All’arrivo della richiesta n°3, libri di ricette tedesche, Bertholdt iniziò a prendere in seria considerazione l’idea di ampliare i generi in vendita. Mettersi al passo coi tempi. Darsi alla cucina tedesca. Farseli da sé, i waffles, per una buona volta.
– Bertl, senti, non ce la faccio più! – venne riportato coi piedi per terra da un Reiner sull’orlo di una crisi di nervi.  – Mi trovi fuori, torno quando quella smuove le chiappe e mi lascia in pace – continuò, gelando con lo sguardo… Ymir? Non l’aveva neanche vista entrare. Bertholdt annuì nella direzione dell’amico, osservando prima lui, poi la donna che era riuscita a farlo irritare così tanto in neanche dieci minuti. La lasciò così come l’aveva trovata, intenta a conversare con Christa, ‘rubandola’ allo stuolo di ammiratori e ammiratrici che si trovavano in quel negozio solo e soltanto per lei. La voce forte della mora per qualche minuto riuscì a sovrastare il chiacchiericcio dei numerosi clienti, e Bertholdt gliene fu grato. Si trovava già più a suo agio, e riuscì a tornare al suo lavoro senza rischiare di andare in iperventilazione.
Non ci volle molto prima che Ymir lasciasse il negozio, però, portandosi via l’unica distrazione che era stata concessa. A quel punto allungò il collo per dare un’occhiata fuori dal negozio, oltre il vetro. Sperava che Reiner tornasse presto. Era passata solo mezz’ora dal suo arrivo, ma sentiva già di averne abbastanza di tutta quella confusione.
Non vide Reiner, che sembrava essere sparito chissà dove. Ma notò un’altra figura, sotto un ombrello bordeaux. Ed era lei.
Lei, la cliente preferita, la padrona della risata-grugnito che l’aveva accompagnato nel mondo dei sogni la notte precedente, stava osservando con aria corrucciata la folla che aveva invaso il negozio. Bertholdt smise quasi di respirare, sentendo di dover approfittare di quegli attimi nei quali poteva osservarla, studiarla, ammirarla da lontano senza che lei se ne accorgesse.
Teneva l’ombrello per il manico con la mano sinistra, mentre l’altra stringeva tra le dita un oggetto che non riuscì meglio ad identificare, seminascosto oltre gli scaffali bassi che adornavano la vetrina. Si ritrovò a chiedersi perché non entrasse, ad attendere con ansia che lei lo facesse, ma se credeva di avere qualcosa in comune con lei, era l’amore per il silenzio. Qualunque cosa fosse venuta a fare lì, un lunedì mattina, non l’avrebbe portata a termine.
Il sorriso che si era involontariamente formato sulle sue labbra quasi crollò, per poi subito riprendersi quando la bionda incrociò il suo sguardo per la prima volta quel giorno. Bertholdt si azzardò ad aggrottare le sopracciglia in una muta domanda nella sua direzione. Per tutta risposta la ragazza sollevò la mano destra, rivelando l’oggetto prima ignoto. Era il suo ombrello blu, quello che le aveva prestato. Era passata per tornarglielo?
La ragazza fissò lo sguardo sul suo per qualche altro secondo, che per lui sembrarono non passare mai- ma comunque troppo pochi per riuscire a fermarla. Quando distolse lo sguardo, spezzò quel flebile legame, semplicemente superò il negozio con passo spedito e sparì dalla vista di Bertholdt. Il ragazzo rimase a corto di parole e pensieri per qualche altro istante, prima di riuscire a comprendere ciò che forse lei gli aveva voluto silenziosamente comunicare.
‘A domenica’.
 
Bertholdt si aggrappò con le unghie e con i denti a quella promessa per il resto della settimana. Ogni giorno sembrava sempre più pieno del precedente, e se da una parte i guadagni aumentavano, dall’altra era l’entusiasmo del ragazzo a scemare. Gli sembravano ormai un ricordo sbiadito quelle giornate dedicate al dolce far niente, in compagnia del silenzio e della calma, intervallati da uno o due clienti abituali che sapevano muoversi all’interno di quel negozio quasi meglio di lui. Quella routine costituiva il motivo principale per il quale aveva deciso di prendere in mano il negozio. Non era poi così difficile immaginare la ragione per cui non vedeva l’ora che arrivasse il weekend.
Questa ragione si manifestò, puntuale come sempre, davanti all’entrata della piccola libreria, chiusa al pubblico ma aperta solo per lei. Bertholdt, già dietro il bancone, nascose un sorriso nato spontaneo per colpa dello sguardo quasi sorpreso della ragazza – quasi. Per una volta era arrivato prima lui.
– Mattutino. – la sentì commentare, con tono lievemente sarcastico. Entrò, e con movimenti che denotavano una certa familiarità con l’ambiente lasciò il cappotto e l’ombrello che le era stato prestato sulla sedia vicino alla porta.
– E-Eh, già… – fu la sua unica, titubante risposta. Meglio evitare i particolari – il fatto che non avesse chiuso occhio tutta la notte per l’ansia non era un dettaglio che valeva la pena condividere, no? Si sentì in dovere anche di ignorare la regale alzata di sopracciglio che l’altra gli rivolse. Non fare domande, non fare domande, non fare domande.
– Mh. – non ne fece. Bertholdt si lasciò andare in un sospiro di sollievo non appena la ragazza si inoltrò tra gli scaffali non più così tanto polverosi, e si prese la libertà di accendere la radio, sintonizzandola sulla prima stazione che non stesse trasmettendo pubblicità. Non riconobbe la canzone, ma la melodia dolce e le voci dei due cantanti, un uomo e una donna, riuscirono quasi immediatamente a rilassarlo. Accasciandosi sulla sedia in legno che aveva a disposizione, a corto di ore di sonno, si preparò mentalmente alla solita, ma sempre nuova, domenica che l’aspettava. Solitamente quella ragazza stava rintanata nella foresta di libri per almeno un’ora, ed erano sempre diversi i posti dove si accucciava per leggere qualche passo di un libro che aveva attirato la sua attenzione. Raramente questi posti includevano anche lui nell’immediato raggio d’azione, ma per suo immenso piacere erano sempre più frequenti le volte in cui la bionda si rivolgeva a lui per qualche informazione.
A Modest Proposal. Swift. Ce l’hai a solo? – come in quel momento. La ragazza fece capolino da dietro lo scaffale più vicino, con in mano un libro di edizione recente, evidentemente non proprio quello che cercava. Bertholdt la raggiunse frettolosamente, nervoso e allo stesso tempo felice di poter esserle d’aiuto. Osservò con più attenzione la copertina del libro che lei le aveva porto, prima di annuire con un lieve sorriso.
– Senza gli Other Satirical Works, giusto? Penso di sì! – le rispose, confidente, dopodiché la superò, percorrendo la breve distanza che lo allontanava dalle mensole posizionate direttamente dietro al bancone. Nonostante l’ordine alfabetico per autore con il quale sistemava i libri, alcuni di essi non vi rientravano per motivi di spazio e rimanevano ‘in attesa’ che si liberasse qualche posticino anche per loro. Tutti quei libri finivano alle sue spalle, a portata di mano per qualsiasi inconveniente.
– Swift, Swift, Swift… a-ah, eccolo! – allungò il braccio verso l’ultima mensola sulla parete, e ne ricavò un libriccino in copertina rigida, di non più di 40 pagine. Se lo passò di mano in mano voltandosi poi verso la ragazza, ferma esattamente dove l’aveva vista l’ultima volta. Sembrava soddisfatta del risultato ottenuto, anche se non suo. Si avvicinò al bancone con passi lenti e calibrati, per poi allungare una mano e chiuderla intorno al piccolo tomo. I suoi bellissimi occhi azzurri si accesero di curiosità osservandolo, nonostante avesse cercato per un attimo di nasconderlo. Bertholdt si limitò a sorridere, felice di averla resa felice. Non era poi così strano… no?
– Lo cercavi da tanto? – si ritrovò a chiedere. La ragazza si era intanto appropriata della sedia che prima aveva usato come appendiabiti, sedendosi sul suo stesso cappotto senza badare al fatto che avrebbe potuto formare delle grinze su di esso. Col libro già aperto in mano, annuì.
– P-Per fortuna mi sono ricordato dove l’avevo messo, a-allora… – continuò il ragazzo, cercando di mandare avanti una discussione che sembrava essere già morta. D’altronde lei stava già leggendo. Forse era meglio non disturbarla oltre. Le rivolse un’altra occhiata giusto per essere sicuro di non averla infastidita continuando a parlare, e si sorprese quando notò che lei lo stava già guardando. Confusa. Forse. Non riusciva ancora a comprenderla bene.
– C-Cosa? – chiese, deglutendo.
La ragazza esitò un secondo, prima di rispondere.
– Non ce l’hai per questo, il computer? I libri non sono tutti registrati lì? – ‘potevi trovarlo più velocemente, idiota’ sembrava il significato dietro le sue parole. O forse Bertholdt era solo influenzato dal timore che provava ogni volta che si trovava in stanza con lei. Forse era solo curiosa.
– Oh- questo? È vero, servirebbe a questo… ma c-come dire, preferisco fare senza! Bene o male ricordo dove sta ogni libro e di solito ho tutto il tempo che voglio per cercarlo… – aveva due soli obiettivi in mente: far suonare la sua spiegazione plausibile e soprattutto non stupida. A giudicare dallo sguardo scettico della ragazza, gli sembrò di aver fallito in entrambi. Allentò il collo della maglia scura che indossava e cercò di andare ai ripari.
– Ma- il computer non è inutile! E’ stato Reiner a consigliarmi di prenderlo, dicendo che è utile quando c’è confusione… n-non che ciò accada spesso, eh, ma quest’ultima settimana mi ha davvero salvato la vita! – concluse, con un sorriso speranzoso. Sì, aveva già più senso, ma… non aveva avuto l’effetto sperato sulla bionda.
Si era fatta seria – beh, più seria –, e lo lasciò in silenzio e imbambolato per più di dieci secondi prima di prendere parola.
– Questo Reiner- fai sempre tutto quello che ti dice di fare? – domandò, con una sfumatura di sarcasmo, quasi rabbia, nella voce. Emozioni che Bertholdt non riuscì a spiegarsi. Aveva detto qualcosa di male? Non l’aveva mai sentita così- così ostile. Seppe immediatamente di non volerlo sperimentare mai più. Quella prima fitta al petto gli era bastata e avanzata, forse per il resto della sua vita.
– Credo- credo di sì? Solitamente ha ragione, quindi non vedo perché non dovrei… – rispose con sincerità, cercando di mantenere un tono più neutrale possibile. Non era la prima volta che suoi conoscenti, addirittura i suoi genitori, glielo domandavano. All’inizio Reiner poteva dare quella impressione- come se fosse lui a muvoere le fila e Bertholdt il suo burattino. Ma lei- lei non lo conosceva neanche.
– Quindi se ti chiedesse, ad esempio, di lanciarti giù da un ponte, tu lo faresti? – gli pose un’altra domanda, chiudendo il libro che aveva solo appena iniziato a sfogliare e senza distogliere lo guardo dagli occhi scuri di Bertholdt. Si sentiva davvero a disagio. Sentiva il sudore imperlargli la fronte, l’intensità di quegli occhi glaciali che lo mettevano sotto pressione. Non riusciva a voltarsi, però, non era capace di liberarsi da quelle catene invisibili, e roventi. Roventi come il suo orgoglio, malmenato e lasciato a sanguinare per terra perché non lo sapeva, non sapeva cosa rispondere. Probabilmente sì, l’avrebbe fatto, si sarebbe fidato ciecamente del suo migliore amico anche se ciò avrebbe potuto portarlo alla morte.
Per la ragazza, l’esitazione del ragazzo bastò come risposta. Ma non quella giusta. Come a sopprimere un sospiro rassegnato, si limitò ad abbassare nuovamente lo sguardo sul libro di Swift che aveva temporaneamente abbandonato per una semplice conversazione, evolutasi in qualcosa che Bertholdt avrebbe voluto dimenticare.
– Sei il solito deficiente. – furono le parole della bionda che sancirono la fine della discussione, e che lasciarono Berthodlt nella confusione più totale. Una sensazione estranea ma allo stesso tempo familiare si impossessò di lui, ma non riuscì a darle un nome. Era come se si fosse trovato in un deja-vu, come se avesse già vissuto quella scena tempo fa. Ma non era semplicemente possibile. Sconfitto, calò il capo a sua volta e cercò di non farsi sommergere dai pensieri che vorticavano nella sua testa. Sentiva come se qualcosa fosse… finita? Prima ancora di iniziare. La radio emetteva un suono statico che più che mai descriveva l’atmosfera che si era venuta a creare in quel momento. Statico. Nessun dialogo. Solo un disturbo, nell’aria.
Fino a quando il campanello della porta non tintinnò fragorosamente, e il protagonista della loro discussione non si materializzò davanti a Bertholdt.
– Ehi, Bertl! – salutò Reiner, sotto lo sguardo sorpreso di entrambi i presenti, soprattutto della ragazza. La porta si richiuse dietro di lui, ripetendo il tintinnio e ponendo fine all’attimo di stupore del moro, che cercò di sforzare le labbra in un sorriso amichevole.
– Ciao, Reiner… ehm, posso- – si alzò di scatto dalla sedia e posò lo sguardo sulla bionda, venendo imitato da Reiner. Quest’ultimo si illuminò immediatamente in volto, seguito dalla scritta ‘ero sicuro che l’avrei trovata qui quindi sono passato per conoscerla senza avvertirti’  più che leggibile in fronte. Prese un bel respiro, prima di continuare. – Posso presentarti la ragazza della quale ti ho parlato? L-Lui è Reiner, come sono sicuro tu abbia già capito… – concluse, sconsolato, tornando a sedersi e passandosi una mano sul volto. Ciò non sembrò attirare l’attenzione dell’amico, che pareva avere occhi solo per la ragazza.
– Piacere! Ho sentito parlare molto di te, è come se ti conoscessi da sempre – Reiner ignorò bellamente l’espressione innervosita della ragazza, che non rispose alla mano tesa di lui, né al suo commento. Ma qualcosa la fece: si alzò dalla sedia, e si avviò al bancone. Frugò nelle tasche della felpa per trovare un piccolo portamonete sobrio, e ne uscì i soldi necessari per pagare il libro che aveva in mano. Avendo perso quel poco di intimità, se così si poteva chiamare, con la ragazza, Bertholdt si limitò a prendere i soldi, aprire la cassa, posarvi dentro i soldi ed emettere lo scontrino per l’acquisto. Come era stato abituato a fare. Come se quella davanti a lei fosse solo una cliente come tanti. Tranne per il fatto che no, non lo era mai stata.
Quando la ragazza si voltò su se stessa con l’intenzione di uscire, si ritrovò davanti Reiner.
– Beh, tutto qui? Non ti presenti neanche? – borbottò, cercando comunque di mantenere un comportamento pacifico. Come al solito suo. – Bertl, è per lei che apri tutte le domeniche, no? Ce l’ha un nome? – continuò, schietto come al solito. Per uno come Bertholdt, che lo conosceva da quando erano piccoli, era facile notare la nota di sincera curiosità nel suo tono burbero- ma a quella ragazza doveva sembrare semplicemente invadente.
– E-Ehm… –
– Arrivederci. – la voce della bionda sovrastò il suo tentativo di rispondere alla domanda di Reiner. Con nonchalance Bertholdt la vide aggirare l’amico, come se fosse un semplice ostacolo inanimato, e dirigersi verso la porta che probabilmente non avrebbe più varcato per un po’ di tempo. Quel solo pensiero lo riempiva di più tristezza di quella che pensava di riuscire a gestire. E Reiner doveva averlo intuito, perché cercò di rimediare al suo inconsapevole sbaglio andandole dietro.
– Dai, sto per andarmene, puoi rimaner- –
Fu quel gesto in apparenza innocuo ad innescare il resto. Reiner le poggiò una mano sulla spalla, con il solo obiettivo di assicurarsi la sua attenzione… e la ragazza ricambiò facendolo letteralmente schiantare a terra. Quello che Bertholdt riuscì a notare fu la presa sulla mano e braccio di Reiner e un calcio ben assestato alle gambe. Dopodichè, la ragazza era sparita e Reiner era dolorante sul parquet del negozio.  
La leonessa.
Quel termine gli attraversò la mente con la velocità di un treno in corsa, e sembrò sbloccare qualcosa in lui. Ricordi dimenticati, sepolti sotto strati e strati di assenza e codardia.
Reiner, riuscito a mettersi seduto sul pavimento, rispose al suo sguardo sconvolto con una smorfia di dolore. Ma era sicuro che avesse capito.
Conosceva quella donna. L’aveva sempre conosciuta. Ironicamente fu proprio quella scena di violenza a riportargliela alla mente.
Leonhardt. Cuor di Leone.
– Annie. –


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Sono passati ben sei mesi, ma sono tornata. Spero che l'attesa non abbia innalzato enormemente le aspettative, spero di non deludervi, spero di riuscire a mantenere un ritmo costante e a finire questi due benedetti capitoli che mi mancano. Spero che vi sia piaciuta- e spero che non mi linciate! Gnocconana~

   
 
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