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Autore: Glenda    12/06/2008    1 recensioni
Storia completata. Grazie a tutti coloro che ci hanno letto e incoraggiato!
Riusciranno i cinque della squadra dell'Unità di Analisi comportamentale a trovere il killer che sta mietendo vittime nella piccola Sand Spring, rivestendo i delitti di un misterioso alone religioso?
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal quaderno dei deliri di Glenda:

CAPITOLO 4

Il profilo dell’S.I.

Tee Murphy era preoccupato. Non era solito farsi coinvolgere dai casi, ma quel ragazzo era solo un povero sbandato, non un assassino, e purtroppo le prove sembravano inchiodarlo. Non sarebbe stato semplice convincere una giuria - né tanto meno la polizia locale - del contrario.

“Malcom Denver si drogava” sentenziò Hudson, seduto accanto agli altri al tavolo principale della sala riunioni “Mary lo aveva scoperto, e lo aveva convinto ad entrare in un gruppo di supporto. Aveva già rubato una volta, Mary lo aveva rivelato padre Tamas in confessione”

“Per questo gli servivano i soldi” fece Tee “per la droga...”

“Sì, ma era su DUE delle tre scene del crimine” sentenziò Claire “Non so dove abbia rubato la prima volta...meglio non saperlo: va a finire che lo ha fatto a casa dello scrittore!”

“Ha rivenduto la refurtiva...” mormorò Tobias, quasi tra sé.

“E allora?”

Tee venne in soccorso alla detective.

“Un killer seriale non rivende i suoi trofei...”

“E Malcom Denver non risponde al profilo” precisò Risa “Cerchiamo un uomo metodico, organizzato, che segue un rituale, mette in posa le sue vittime...”

“Non nel caso di Mary Summers” gli obiettò Claire

“E’ vero. Ma in tal caso, dovremmo supporre che Malcom abbia ucciso solo la sua fidanzata, e questa teoria è smentita dalla coincidenza dell’arma del delitto. Non solo, Tobias è certo che Mary fosse serena, nel momento in cui è morta...e questo contrasta con il fatto che i due avessero avuto una colluttazione”

Tee annuì al sommario fatto dalla ragazza: se la cavava bene. Si rivolse a Tobias e Mervin.

“E voi? Cosa avete da riferire?”

“Oltre al fatto che l’agente Rendall diffonde informazioni riservate per ‘guadagnarsi la fiducia’ della gente che interroga?” fece Hudson con sarcasmo “Beh, il prete non ha detto molto, ma deduco che abbia taciuto qualche elemento” cambiò tono e divenne tecnico, espositivo “Il nostro dialogo è stato molto breve, dunque ho potuto notare solo alcuni tratti salienti della sua personalità. E’ diffidente, poco collaborativo, non ha fiducia nell’autorità. Penso che abbia visto in noi un ‘di troppo’ che in qualche modo vuole affiancarsi alle leggi di Dio: ho dovuto scendere nella sua dimensione per avere il suo rispetto; fino a quel momento mi ha studiato, come per valutare se fossi degno di essere lì. Sembra pacato e mite, ma il suo modo di parlare e le espressioni del suo viso mi fanno supporre che sia invece un uomo rissoso, pronto agli scatti d’ira. I suoi atteggiamenti sono un contenimento che lui stesso si impone...e forse l’abito che indossa ha avuto, un tempo, la stessa funzione. E’ distaccato e in rivalità nei confronti del maschile, e probabilmente molto più aperto verso il femminile. Parlava con me, ma con i gesti e gli sguardi si rivolgeva a Rendall: lo percepiva più mite, meno aggressivo, dunque la sua presenza gli era più gradita. Prova sensi di colpa, profondi e dolorosi: ha un rifiuto della società e cerca di compensare la solitudine con la fede. Direi che ha qualche tratto dello psicopatico dissociale”

Tobias era rimasto con la bocca semi aperta e gli occhi fissi su Hudson. Era pazzesco! Gli aveva fatto il profilo in pochi minuti, notando particolari che neppure lui, così istintivo e rapido nell’osservare certi atteggiamenti, aveva colto.

“Uau...” si limitò a sussurrare, ammirato.

Tee lo guardò, e diede in una debole risata.

“Calligh ce li manda bravi, eh?” ammiccò.

L’espressione del ragazzo, che annuì vigorosamente, strappò un sorriso anche a Hudson.

“E i parrocchiani? Qualche collegamento?”

“Le due donne si conoscevano di vista. Dello scrittore, non sapeva niente. Ma Rendall ha parlato con una ragazza, e ritiene che abbia qualcosa da dirci...”

Tobias fece un cenno con il capo

“Una ragazza con un disturbo da panico amplificato da qualcosa di non detto. Forse un senso di colpa. Conosceva la vittima, ma in modo superficiale. Le ho lasciato il mio numero, vedrai che mi chiamerà”

Tee non fece commenti: evidentemente non metteva neppure in dubbio che la strategia del suo giovane collega funzionasse.

“Avril? A che punto sei?”

La ragazza sospirò

“Al sesto libro. Per ora nulla di interessante. Sono solo favolette. Non potrei...” azzardò “fare pausa e partecipare alle indagini?”

Il supervisore ci pensò su.

“Perché no. Vai con Hudson e Risa: serve un sopralluogo alla scena del crimine in albergo. Io mi recherò a casa di Mary Summers. Tobias: insieme a me”

***

Quell’appartamento era triste, pensò Tobias Rendall dopo essersi guardato in giro, vagando a passi lenti tra le tre stanzette perfettamente ordinate. Erano tristi quelle mensole linde e ordinate, quei santini sul comodino e sulla scrivania, quelle tende così innocenti, candide con ricami azzurrini, che sembravano quelle della casa delle bambole. Ed era triste quel puzzle di ritagli di giornale, dove si potevano leggere le disgrazie del mondo.

“Era una donna infelice”disse “insoddisfatta di sé e incapace di una comunicazione profonda. Si sentiva vuota ed incompleta, e cercava di riempire il vuoto colmandolo di presenze da accudire: era il suo modo di scacciare la tendenza a chiudersi in se stessa e cadere nella depressione, ma i suoi rapporti erano a senso unico; dava agli altri ascolto e attenzione, ma non era disposta a dare se stessa. Probabilmente non ha mai confidato a nessuno un suo problema, una sua sofferenza. Non credo che amasse veramente Malcom Denver: era innamorata di ciò che poteva fare per lui, non di lui. Viveva relazioni disfunzionali con il prossimo, ed in particolare con chi gli era più vicino...”

Claire, che già aveva avuto modo di stupirsi di fronte alle tecniche di Tee, ascoltava il ragazzo con tale attenzione che sembrava voler fissare il suo ragionamento nella mente.

“Cos’è una relazione disfunzionale?” chiese, approfittando di una pausa.

“E’ una relazione in cui non si mantengono i ruoli che per convenzione - intima, o sociale - ci si è assunti” spiegò Tee “e in cui si rischia quindi di rompere quel patto implicito che rende i rapporti sani: in un rapporto di amicizia e d‘amore, i ruoli dovrebbero essere paritari. Se uno dei due si riveste di un ruolo di salvatore, non solo non concede se stesso all’altro, ma svaluta l’altro, quasi imponendogli un aiuto prima che venga richiesto. Il messaggio che Mary trasmetteva a Malcom con le sue cure era recepito da lui come amore, ma in realtà ci si legge un sottinteso: ‘tu non sei in grado di farcela da solo’...”

“E quando lei lo ha abbandonato, lui ha sentito che non sarebbe stato capace di andare avanti...“ proseguì Tobias “dunque ha reagito come se gli venisse sottratta la propria fonte di sopravvivenza. Per un depresso drogato, incastrato in una relazione di questo tipo, il suo scatto d‘ira era normale. Ma non l’avrebbe mai uccisa, perché ucciderla corrispondeva all‘auto annientamento...”

“Avete dedotto tutto questo da una...casa?”

Tee sorrise

“Vedi quelle mensole? Cos’hanno di strano?”

Claire ci si avvicinò: erano piene di fotografie, foto normalissime che ritraevano Mary ora in mezzo ai bambini, ora a ridipingere la facciata di una casa, ora insieme al fidanzato, ora con padre Tamal ad una vendita di beneficenza, e così via...Ognuna con una data.

“Ha bisogno di rassicurarsi sulla sua utilità” spiegò Tee “qua dentro non ci sono foto di famiglia, foto di una vacanza al mare, di una festa...Solo foto di situazioni in cui la vittima svolgeva l’unica funzione che la faceva sentire viva. E poi c’è il modo di disporre gli oggetti: quelli che acquistano risalto non rimandano mai a se stessa. La casa non parla di Mary, ma di ciò che Mary è in grado di fare per il prossimo...”

“Tranne questo...”

Tobias aveva preso una sedia, e vi era salito per arrivare a prendere un libro da uno scaffale.

“Questo ci rivela qualcos’altro...”

“Perché proprio quello?” chiese Claire

“Beh, perché era fuori posto” rispose il ragazzo “Questa casa è lo specchio dell’ordine...tutto ha una collocazione, e anche i libri sono tutti disposti in ordine di altezza, vedi? Ma questo esce dallo schema...è il primo della fila, anche se più alto degli altri...probabilmente lo legge spesso, e quindi è possibile che ci dica qualcosa di lei...”

Lo aprì. Sulla prima pagina c’era una dedica scritta a mano.

A Mary, perché possa calmare la sua anima inquieta.

Tee si affacciò sopra la spalla di Tobias per leggere.

“Forse abbiamo trovato la sola relazione autentica di Mary Summers. Dobbiamo scoprire chi le ha dato questo libro...è certamente qualcuno che la conosce meglio di altri...”

Claire era letteralmente incantata.

***

Hudson, Avril e Risa fecero la loro comparsa sulla scena del crimine.
All’entrata dell’ Hotel Libonne una guardia indicò loro di salire fino al terzo piano, dove avrebbero trovato l’appartamento in cui era stato compiuto il delitto.
I tre agenti presero l’ascensore.
Quando le porte si chiusero davanti a loro, Avril esclamò allegramente “Sapete che il 30% delle persone che rimangono bloccate in un ascensore riceve soccorsi in media solo dopo 20 minuti a partire dalla chiamata di allarme?”.
Risa le concesse un sorriso forzato.
“E non solo, considerando lo spazio che ci circonda, la densità d’aria e il fatto che siamo in tre, se dovesse succedere qualcosa…”
“Perché dovrebbe succederci qualcosa adesso?” domandò Risa leggermente inquieta.
“Abbiamo il 50% di possibilità di rimanere bloccati, stando agli ultimi dati che...”.
“Siamo arrivati” tagliò corto Hudson dando loro le spalle e uscendo per primo dal piccolo abitacolo.
“Ah per fortuna!”esclamò Risa contenta.
“La fortuna non esiste...” attaccò subito Avril, zittita però da un’occhiataccia della collega.
“Eccoci!” fece Hudson fermandosi poco distante dall’appartamento “ora vi pregherei di concentrarvi, non so come siate abituate con l’agente Murphy, ma io...”
“Le assicuro che sappiamo comportarci a dovere, se è questo che intende” ribatté Risa con una certa foga.
“Tee non ha mai dubitato della nostra professionalità!” intervenne Avril.
Hudson sembrò non aver nemmeno sentito le loro risposte.
Si girò e proseguì dritto per il corridoio. Le due ragazze si guardarono perplesse.
“Bene, chi delle due può riassumermi brevemente...”

Hudson non riuscì a finire la domanda che Avril cominciò ad esporre i dettagli.
“Dunque la vittima è Alex Zarosky, un uomo di 40 anni. Non è di queste parti. Infatti è originario di Atlanta. Non è sposato, ed è uno scrittore. Autore di libri per l’infanzia, per la precisione” continuò sicura “Morto per un colpo alla testa. La finestra presenta segni di scassinamento, però la scientifica non ha rilevato alcuna impronta”.
Hudson annuì pensieroso, guardandosi intorno con attenzione.
“Segni di scassinamento eh?” mormorò più rivolto a sé stesso che non alle due giovani agenti.
“Già” fece Risa.
Mervin ispezionò meglio la stanza.
Per essere quella di uno scrittore per bambini, bisognava ammettere che Alex Zarosky si trattava piuttosto bene.
“Sui documenti riportati dalla polizia locale, hanno scritto che non sono stati portati via oggetti preziosi” esclamò Risa leggendo il rapporto.
“Il fatto che la finestra sia stata scassinata indica che il signor Zarovsky non conosceva il suo assassino, presumibilmente” aggiunse Avril “il rapporto della scientifica indica che l’uomo aveva subito il colpo di un corpo contundente alla testa...”
“Il colpo alla testa potrebbe indicare che l’s.i., per qualche ragione non è riuscito a sparargli subito, oppure...” commentò Hudson dal soggiorno.
“E se avesse lottato?” ipotizzò Risa passando in rassegna diversi oggetti presenti sul comodino di Zarosky.
“Zarosky era un uomo in piena forma fisica, credo che avrebbe lottato, se gliene fosse stato dato il tempo. No...era proprio questo che l‘S.I. voleva evitare. Lui deve legarli prima di ucciderli. Lo ha colpito per stordirlo...”
“Ma allora…”
“Venite un po’ a vedere” fece Hudson dal piccolo soggiorno dell’appartamento.
Le due giovani agenti si precipitarono da lui.
“Guardatevi intorno. Cosa notate?” Hudson indicò due punti sul tappeto.
“Io non vedo niente…” azzardò Risa.
“Non c’è niente che non vi torna? Guardate bene” le incoraggiò Hudson. In realtà era un modo per metterle alla prova.
Avril e Risa ispezionarono meglio la stanza: un tavolino da thé, una piccola scrivania sulla sinistra...un vaso di fiori e...
“Il quadro!” gridò Avril elettrizzata.
Hudson le scoccò un’occhiata di ghiaccio.
“Mi scusi”.
Risa ci mise qualche secondo in più

“Santo cielo!” fece eco alla collega.
“Il tavolino in origine era qui” spiegò Hudson, vedete questi segni lasciati sul tappeto? Proprio sotto questo quadro. E c’era anche una sedia. Qualcuno li ha spostati, appositamente”.
Il quadro rappresentava uno degli episodi della Bibbia: Santo Stefano lapidato.
“Voglio dire che, stando alle modalità degli altri omicidi, potremmo supporre che il signor Zarosky sia stato ucciso qui. Come una sorta di rituale, vedete? Proprio davanti a questo quadro. Qui e solo qui. Non poteva essere in un altro luogo” proseguì Hudson osservando meglio il dipinto.
“C’era un crocifisso tra la refurtiva presa in casa della Chatterly...” sussurrò Risa.
Hudson annuì: afferrò il telefono e composte il numero dell’agente Murphy

“Dobbiamo sapere se il crocifisso rubato si trovava appeso alla parete di fronte alla quale è stata trovata la prima vittima” disse, mentre aspettava che il collega rispondesse “Questo ci porterebbe ad un profilo”

Risa guardò Avril, con aria interrogativa.

Giustiziere con motivazione religiosa” fece lei, didascalica “Chiamiamo così gli psicopatici che credono di agire per un bene superiore, seguendo la volontà di Dio”

***

Claire Harris li aveva invitati a prendere un caffé, ma Tobias era rimasto fuori.

Il sole stava tramontando.

Fu raggiunto da Tee poco dopo, mentre se ne stava appoggiato al cruscotto della macchina.

“Posto troppo piccolo e bianco per te?” gli disse, comparendogli da dietro e appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle “Potevi provare...era solo per pochi minuti, e c‘ero io con te.”

Le molte fobie di Tobias non erano un mistero: non riusciva a rimanere troppo tempo con le mani ferme, si ripeteva frasi e poesie ad alta voce quando era nervoso, aveva reazioni incontrollate se si invadeva il suo spazio fisico senza il suo consenso...ma la più evidente delle sue ossessioni era quella per l’assenza di colore. Il bianco asettico, in particolare, lo rendeva ansioso: se esso poi era associato ad uno spazio stretto, letteralmente lo terrorizzava.

“All’interno non era così come lo vedi. E tu non dovresti mai smettere di fare un po‘ di terapia comportamentale”

“Non ha mai funzionato” buttò là il ragazzo, senza tono.

“Funziona con il tempo. E con la costanza...”

Tee fece un sorriso paterno.

“Ti ho portato qualcosa...”

Tirò fuori un paio di gelatine alla frutta dalla tasca.

“Non c’erano cioccolatini. Squallido. Ma è un bar da due soldi...”

Tobias sforzò un sorriso, e prese una delle caramelle scartandola con delicatezza.

“Non è che non ho costanza...è che...Non sono dell’umore giusto...”

Il collega annuì e non chiese niente. Sapeva bene come comportarsi col suo giovane amico. Non gli si doveva mai chiedere qualcosa di personale, se non era lui a parlare per primo: recepiva le domande dirette come un’aggressione, e si bloccava completamente.

“Quella donna...la vittima. E’...è molto triste che abbia vissuto così. E io...E questo mi fa paura...”

Tee non aveva bisogno di altre spiegazioni: conosceva Tobias da tre anni e sapeva di che genere fossero le sue relazioni con il prossimo. Non una confidenza, non una concessione di fiducia, mai uno spiraglio lasciato aperto sulla sua interiorità...mai una sola, anche minima, richiesta d’aiuto. Tobias “studiava” gli altri, ma non li capiva e non si lasciava capire. Paradossalmente, gli S.I. erano forse coloro a cui aveva concesso la maggiore visuale su se stesso.

“Scusa...” disse, ad un tratto “mi sono deconcentrato” e mise in bocca la caramella, masticandola con soddisfazione.

“Non male, per un ‘bar da due soldi’” commentò “E senti...di Hudson che mi dici?”

L’improvviso cambio di discorso non spiazzò Tee, che ci era abituato: quello era il modo di Tobias di chiudere una finestra perché non voleva che ci si occupasse più di lui.

“E’ bravo. Perché me lo chiedi?”

“Lo hai mandato con le ragazze. Come mai?”

“Banale strategia di team-building. Voglio che si affiati con la squadra”

“Bugia”

Tobias sfoderò quel sorriso intelligente che Tee amava tanto.

“Ce lo hai mandato perché vuoi che noi lo ‘studiamo’! Prima tu, poi io, ora Risa e Avril. Ma non ci chiederai cosa ne pensiamo, perché tu non fai il profilo ai colleghi...”

Tee diede in una mezza risata, e calò la mano sulla testa del ragazzo scompigliandogli i capelli.

In quel momento l’agente Harris uscì fuori.

“Ehi, ecco dov’eri...lo hai bevuto al volo, quel caffé!”

“Ero curioso” scherzò lui “volevo sentire se Rendall ti aveva fatto il profilo..!”

La donna sorrise

“Ah, e dunque tu mi avresti fatto il profilo?”

Tobias si strinse nelle spalle

“Direi di sì” fece, in tono assolutamente serafico “Lei è una donna ansiosa che ha sempre temuto che gli uomini la considerassero inferiore, e questo l’ha portata a sviluppare un’indole forte e talvolta anche aggressiva”

Tee si rese conto che aveva aperto un discorso che era meglio evitare: accidenti, possibile che non tenesse mai abbastanza in considerazione quanto il suo collega sapesse mancare di tatto?

“Ciò la svantaggia sul lavoro” continuò Tobias “rendendola poco precisa: l’ansia di risolvere un caso può portarla a commettere errori. Tuttavia è saggia, e sa tornare sui suoi passi. Prova anche insofferenza verso le formalità, perché sente di essere valutata non per il suo effettivo valore ma per la divisa che porta: politicamente, direi che è democratica e pacifista, il che contrasta con le posizioni della maggioranza dei suoi colleghi. Infine, è visibilmente affascinata dall’agente Murphy!”

La donna spalancò la bocca, visibilmente risentita, e Tee si mise le mani tra i capelli. Se come profiler Tobias era geniale, come savoir faire era un disastro su tutta la linea.

Fu allora che il telefono squillò.
“Abbiamo nuovi indizi” esordì secco Hudson, dall’altro capo della cornetta “Zarosky è stato messo in posa davanti a un quadro con un episodio biblico. Non ci sono dubbi, si tratta di un caso di delirio di natura religiosa. Crede che Dio sia dalla parte e non si fermerà...”
“Ho capito” esclamò Tee, asciutto, dall’altro capo del telefono “devo parlare con Malcom”.
L’agente Hudson chiuse delicatamente il telefono.
Dall’interno dell’appartamento giungeva il vociare delle ragazze.
Possibile che non riuscissero a comunicare con un tono di voce appropriato?

***


Le pareti della cella in cui era stato confinato Malcom erano umide e tetre.
Chissà che paura avrà lì dentro, si trovò a pensare l’agente speciale Murphy,mentre percorreva veloce uno dei corridoi della prigione di Sand Springs.
Non poteva farne a meno, aveva provato subito un’istintiva simpatia per quel goffo ragazzo invischiato in una faccenda più grande di lui. Sapeva anche che non avrebbe dovuto provare simili sentimenti.
Durante le indagini le opinioni personali non contavano, contavano solo i fatti e adesso, si sarebbe confrontato con Malcom.
Udì la guardia annunciare il suo arrivo.
Dal canto suo Malcom sedeva sulla brandina all’interno della cella, appoggiato al muro e con le gambe tirate sù ad appoggiarvi sopra il mento. Malcom alzò appena la testa a veder entrare Tee.
“Come va?” chiese Tee rimanendo in piedi al centro della sala.
Il giovane scrollò le spalle, abbattuto.
“Malcom ascolta...”cominciò l‘agente, poi si interruppe. Non c’era tempo per lunghi discorsi o parole d’incoraggiamento, che comunque non sarebbero valse a molto “ci sono novità nelle indagini”.
Anche questa parola non riuscì a destare l’attenzione del giovane.
Tee fece qualche passo verso di lui

“Ora hai la possibilità di aiutarmi. Sappiamo che hai rubato quel crocifisso dall’appartamento della signora Chatterly e sappiamo anche perché l’hai fatto”.
Il giovane si raggomitolò ancora di più su se stesso, se era possibile.
“Devi dirmi una cosa, Malcom, fallo per Mary…”.
A quel nome il ragazzo alzò appena la testa a annuì impercettibilmente.
“Bene: ora concentrati, quando sei stato dalla signora Chatterly, hai notato in che posizione era il cadavere?”
Malcom annuì controvoglia.
“Benissimo Malcom” sussurrò Tee “e dimmi: dove…”
“I-io non volevo, solo...” borbottò il giovane.
“Lo so” fece Tee piano. E improvvisamente avvertì il desiderio di confortare quel giovane, ma non poteva, non in quel momento. Tutto quello che riuscì a fare fu di posargli una mano sulla spalla e inginocchiarsi alla sua altezza. Dei passi risuonavano nel corridoio: la guardia stava tornando.
“Malcom, dov’era rivolto lo sguardo della signora Chatterly?”
“Lei...lei” la voce gli tremò, ma fece uno sforzo per proseguire “ lei era davanti al crocifisso, oddio...” esclamò portandosi le mani al volto e coprendosi “oddio, non volevo!”
Tee si alzò sollevato.
“Tornerò Malcom, te lo prometto” esclamò poco prima di andarsene.

 

Fan Fiction scritta da Glenda e Rem: se vi piace lasciateci una recensione di incoraggiamento!!! ^_^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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