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Autore: SoGi92    03/02/2014    3 recensioni
L'amore fraterno non ha limiti. Malgrado le scelte che compiono, per quanto sbagliate possano essere, i fratelli si sostengono.
Il giovane Erik Miller scoprirà a proprie spese quanto questa frase sia giusta.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

 

Il sabato mattina seguente mi ritrovai su un treno, diretto alla città di Jennifer. Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte al finestrino.

Il giorno precedente mi ero recato nel mio ufficio per portar via tutti i miei oggetti. Non potrò mai dimenticare gli sguardi lanciatimi dai colleghi: alcuni di commiserazione, mentre altri soddisfatti, tutti comunque sollevati. Indubbiamente felice che la triste sorte fosse toccata a me.

Non potei fare a meno di pensare che sarebbe stata anche la mia reazione, se ne avessi avuto l’occasione.

Il viaggio sarebbe durato almeno un’altra ora. Presi in mano il cellulare e ricontrollai la segreteria telefonica, nella speranza di trovarvi un messaggio di Ally. Cosa che, ovviamente, non avvenne.

Dopo poco suonò per avvertirmi dell’arrivo di un sms. Il cuore mi saltò in gola… ma tornò giù non appena vidi comparire il nome “Jennifer” sul display.

Scusa, non riesco a venire alla stazione…

Prendi un taxi. Ci vediamo a casa.

Poi ti spiego.

Baci.

Chiusi il messaggio e riposi il cellulare nella tasca. Perfetto… non avrei avuto nessuno con cui parlare nemmeno appena arrivato.

Certo, nessuno mi impediva di chiamare i miei genitori… ma sapevo già cosa mi avrebbero detto. Mia madre si sarebbe messa a piangere, mentre mio padre avrebbe iniziato con le sue critiche senza né capo né coda. Se proprio dovevo ricevere una lavata di testa preferivo mille volte mia sorella a loro.

 

L’ora di viaggio passò in fretta. Appena giunto alla stazione cercai un taxi libero. Non ci misi molto, in fondo si trattava di una piccola stazione. Anzi mi sorpresi della presenza stessa dei taxi.

Salii su uno di questi e dissi al conducente l’indirizzo di Jennifer. Casa sua non doveva distare più di un quarto d’ora dalla stazione. Anche a piedi non ci avrei messo molto, ma l’idea di portare tutte quelle a mano non mi entusiasmava molto.

Il taxi si fermò di fonte ad una casetta dalle mura esterne bianche, proprio come le ricordavo. Il giardino era sempre stato il vanto di mia nonna, e Jennifer le stava rendendo onore.

Scaricai le valige e le depositai sul vialetto. Il mio sguardo fu rapito da una piccola crepa su di esso. Il sorriso mi si dipinse sulle labbra al ricordo di quando, con mio fratello, giocando con la bicicletta cademmo inciampando proprio in quel punto. Lui si ruppe un braccio ed io mi scheggiai i denti. Oltre al dolore che provammo ci beccammo anche una bella ramanzina dalla nonna.

-Erik! – mi chiamò una voce. Alzai lo sguardo e vidi Jennifer sulla porta. Mi corse incontro. Lasciai le valigie lì dov’erano e la accolsi tra le mie braccia. –Che bello rivederti! – mi disse stringendomi.

La tirai su con molta facilità. Non ricordavo fosse così leggera. –Anch’io sono davvero contento di essere qui! – la scostai leggermente e la guardai. I lunghi capelli corvini erano legati in una coda alta, indossava dei jeans leggermente strappati e una T-shirt bianca. Proprio come la ricordavo; acqua e sapone. – Non ci vediamo da troppo tempo! –

Lei sbuffò e mi diede un leggero colpo sulla nuca. –E di chi è la colpa!? Se ogni tanto ti degnassi di farti sentire almeno… - incrociò le braccia e mise su il broncio. Mi scappò da ridere nel vederla così, sembrava una bambina capricciosa.

-Be’… che dici, mi fai entrare o no? – chiesi, dopo un paio di minuti. Non vedevo l’ora di potermi rilassare un po’ dopo il viaggio.

-Certo! – esclamò entusiasta. –C’è una bellissima sorpresa. –

-Il motivo per cui non sei venuta a prendermi, presumo… - come risposta ricevetti un cenno di sì della testa. Iniziai a sudare freddo, temevo si trattasse di uno dei suoi fidanzati appena venuto a vivere con lei. Non avrei retto a tale colpo.

Sono sempre stato molto geloso di Jennifer. Ogni volta che usciva con un ragazzo, oltre che con nostro padre, il povero disgraziato doveva vedersela anche con me.

Sospirai. –Devo preoccuparmi? –

-Affatto. E poi ti ricordo che sono io la sorella maggiore! – su questo non potevo darle torto. L’uomo, però, restavo sempre io!

Non appena entrammo in casa posai le mie valigie accanto alle scale, e non potei fare a meno di notare delle altre borse proprio accanto all’arcata del salotto. Che il mio sospetto si stesse rivelando vero?

-È arrivato! – urlò Jennifer, in direzione del salotto. Mi chiesi con chi stesse parlando.

-Arrivo subito! –

Gli occhi mi si sgranarono e mi bloccai. Riconobbi quella voce immediatamente. Anche fra altre mille l’avrei riconosciuta. Guardai Jennifer come per cercare una risposta alla mia domanda inespressa. Lei mimò un “sorpresa” con le labbra.

I miei occhi si spostarono nuovamente verso l’arcata. Dopo pochi secondi ne venne fuori dalla stanza una sagoma che corse verso di me e mi strinse.

-Come sono felice di rivederti Erik! –

Rimasi pietrificato, con le braccia immobili lungo i fianchi e gli occhi sbarrati. Il ragazzo mi si scostò un poco e lo potei guardare bene: i capelli corvini, uguali ai miei, leggermente lunghi sul collo e con la frangia che copriva gli occhi scuri. Il fisico asciutto coperto da un pullover grigio e dei pantaloni bianchi che cadevano a pennello. E un sorriso smagliante. Il mio gemello Randy, dopo più di sette anni, era di fronte a me.

-Che ci fai qui? – dissi, dopo essermi ripreso dallo shock.

Lui alzò le spalle. –Ero nei dintorni per una mostra d’arte, ed ho pensato di far visita alla mia sorellona. – disse, avvicinandosi a Jennifer e abbracciandola. –Pensavo di fermarmi in albergo, ma Jenny ha insistito perché mi fermassi da lei. – le baciò la sommità della testa.

Guardai Jennifer, che sorrise colpevole. Poi mi si avvicinò, sempre tenendo stretto Randy, e coinvolse anche me nell’abbraccio. –Noi tre di nuovo insieme in questa vecchia casa. Sembra di tornare indietro nel tempo. – disse lei, passando da me a Randy con lo sguardo.

Mi divincolai dalla loro stretta e mi diressi all’esterno. Mi sedetti sul gradino dell’entrata e presi un po’ d’aria.

Dopo poco Jennifer mi si accostò dietro, senza parlare.

-Perché non me l’hai detto? – chiesi.

-Perché non lo sapevo ancora. E poi anche lui è mio fratello, proprio come lo sei tu! – rispose, senza muoversi.

-Lo sai che non posso soffrirlo! –

La sentii sbuffare. –Ancora con questa storia! Basta, sono passati dieci anni ormai! –

Non mi mossi. Sentii degli altri passi nella mia direzione.

-Jenny… vai dentro. Parlo io con Erik… - era la voce di Randy. Mi si avvicinò e si sedette accanto a me. –Sei ancora arrabbiato? – mi chiese.

Mi voltai verso di lui. –Non lo so… - ed era vero. Non sapevo cosa provavo per mio fratello, ma quel che era certo era che non volevo scoprirlo ancora. O per lo meno non in quel periodo.

-Senti Erik… io sono gay. Nessuno di noi può cambiare questa realtà. So che avresti preferito un fratello “normale”. –fece una pausa.

-Io non volevo un fratello normale… avrei solo voluto che tu ti trattenessi un po’… - dissi, ripensando a tutto l’imbarazzo che Randy mi aveva fatto provare.

Lo guardai e lui alzò le spalle sorridendo. –Sono un tipo schietto io… se una cosa non mi va lo dico senza problemi. –

-Almeno potevi evitare di dire alla mia ragazza del liceo che per portare quelle scarpe avrebbe dovuto muovere meglio i fianchi, con annessa dimostrazione… -

-Lei non stava portando quelle scarpe, le stava torturando! E poi, ti ho visto sai, ti sei messo a ridere pure tu quando le ho messe! –

Alla sua affermazione mi scappò da ridere. In effetti le portava molto meglio lui di Melanie…

-Allora, che dici, riuscirai a stare con il tuo fratello matto per due settimane? –

Lo guardai, poi volsi lo sguardo all’orizzonte. –Ti ho sopportato per vent’anni, no? – gli diedi una pacca sulla spalla, poi ci alzammo e raggiungemmo Jennifer all’interno.

 

 

   
 
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