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Autore: Justanotherpsycho    04/02/2014    1 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LIBRO II Capitolo 34 un corpo integro Pentimento, è l’ultima sensazione avvertita da Ares, colpito da Ade. Ma il Dio ferma il volo e scuote la testa come per scacciare quei pensieri: se continua così suo zio gli farà il lavaggio del cervello o, peggio, lo farà diventare pazzo.
Ma qualunque pensiero riesca a farsi venire, le possibilità di riuscire a sconfiggere Ade sembrano diventare sempre più piccole.
Poi, all’improvviso, un ronzio. Non è passato molto tempo da quando Ares l’ha sentito l’ultima volta: è Thanatos.
Le possibilità svaniscono nel nero del suo manto vivente.
A cosa serve ora il Demone? La sua anima è stata già estratta dal suo corpo! Ma soprattutto, chi gli ha ordinato di attaccare se Ade è sempre stato qui?
La massa nera compare oltre il tetto del Palazzo e si ferma tra Ares e Ade, si ricompone nella solita figura incappucciata, ma dà le spalle al Dio Ribelle.
«Cosa significa questo, Ker?» tuona il Re degli Spiriti.
Il Demone della Morte Violenta sbuca tra gli insetti del suo compagno:
«Mi dispiace, capo, ma il caprone lì sotto… è stato più intelligente…» risponde, arreso.
Subito dopo l’Occhio di alabastro di Thanatos si rivolta, mostrando la nera pupilla, e le anime di Ade, iniziano a convogliarvi, per quanto questo, urlante di rabbia, cerchi di arrestare il processo.
Ares, sorpreso, approfitta del momento e attraversa il soffitto del Palazzo.
Giunto al Trono, ai suoi occhi si presenta una scena drammatica: macerie, resti di statue e sangue ovunque, due corpi immobili, uno dei quali è Chimera, e in mezzo a tutto ciò l’unico ancora in piedi e in movimento, in fiamme e brutalmente mutilato: Ade, ancora.
“E’ impossibile! – pensa – ho appena lasciato la sua anima! Come fa il suo corpo a muoversi senza?”
Ma poi, sommerso da terra e rocce avvista il proprio corpo, ancora fortunatamente integro.
Nel frattempo il Corpo di Ade sta tranquillamente recuperando i suoi pezzi dispersi dallo scontro, la testa, l’avambraccio inchiodato al pavimento dalla spada non più in fiamme di Chimera e la pala, poi, infine, soffoca il fuoco che l’ha consumato in una nuvola di terra, e quando ne esce le sue carni e la sua pelle divina stanno già riparando i danni.
Ares si decide e si fionda verso il suo cadavere, nello stesso istante il Corpo di Ade si volta proprio verso di lui e inizia a correre per anticipare le sue intenzioni:
“Può vedermi!?” esita il Dio.
Ade arriva per primo al corpo e lo afferra, sollevandolo sopra la testa come un fantoccio.
«Non oserai!» urla Ares, arrestando la sua corsa, persuaso che se può vederlo può anche sentirlo.
Ma Ade, senza proferire parola, sembra comunque avere intenzione di fare a pezzi il corpo del Dio della Guerra.
In quel preciso istante delle urla, da dentro il Palazzo: Cerbero, Sfinge e Leone galoppano e volano verso il Trono cacciando spaventose urla da battaglia.
«Ha il corpo di Ade!» nota il Leone, incalzando la carica dopo aver visto la meta.
Poi lo sguardo si Sfinge finisce sul corpo esanime del fratello quando ci giungono vicino
«Cos’hai fatto a nostro fratello! La pagherai cara!» urla fuori di sé, senza fermarsi ma anzi, se possibile accelerando di più e, quando la trova a portata di mano, stacca un’ascia ad una statua sulla strada pronta ad usarla contro il Re degl’Inferi.
“Bene, è il momento giusto!” pensa Ares, convinto di poter sfruttare la distrazione dell’avversario. Fa per riprendere la picchiata verso il suo cadavere, ma proprio in quella il Corpo di Ade, con un unico, potente strattone, stacca la testa di Ares dal resto del corpo tirandola per i capelli.
«NO!» urla il Dio della guerra, fermandosi nuovamente e guardando le sue sembianze orribilmente mutilate.
Forse l’urlo è stato così forte e disperato che sono riusciti a sentirlo anche i vivi, gli Echidnidi, oppure si sono fermati per la truculenza della scena, fatto sta che arrestano la loro carica a pochi passi dal nemico nonostante le lacrime di Sfinge per il fratello siano lungi dall’essere asciugate.
Il Re degli Spiriti, o la sua effige almeno, ora fa penzolare il corpo decapitato di Ares reggendolo da una sola gamba col braccio destro, mentre nell’altro impugna la sua testa come un trofeo.
«No…» scuote le teste Cerbero, sottovoce.
«Non capisco…» sgrana gli occhi la Sfinge.
«Il suo corpo… non è più integro…» commenta Leone.
«E un’anima, anche quella di un Dio, non può tornare nel suo corpo se non è integro! Aahahah!» finisce la voce gracchiante della Persefone cadaverica, non molto distante.
Gli Echidnidi non si smuovono minimamente nemmeno per scoprire chi ha proferito quelle parole.
Il tempo sembra essersi fermato.
«Questo significa…» inizia Sfinge
«Che è finita…» conferma il Leone.
Realizzano in quell’istante che, sebbene siano tre dei mostri più feroci temuti persino fra gli Dei, né Chimera, il più agguerrito di tutti, né perfino Ares, immortale Dio della Guerra, sono riusciti a fare nulla contro Ade.
E in un istante l’oscurità che li circonda sembra farsi più fredda e stretta.
Ma il Corpo di Ade non ha finito di divertirsi e, all’improvviso, lancia in aria, altissima, la testa del Dio. Ares cerca di prenderla al volo, ma, come già sapeva, quella gli passa attraverso senza fare una piega.
Poi Ade, sempre con lo stesso sorriso immobile, come la smorfia del rigor mortis sulla faccia di un morto, inizia ad agitare i resti di Ares come fosse un’arma.
Sfinge viene presa in pieno e scaraventati di lato, mentre i suo fratelli evitano gli attacchi senza rispondere, per non compromettere ancora di più il corpo, come se si potesse recuperare.
Il Re degli Spiriti, poi, tira di nuovo fuori la sua pala e, al volo, colpisce la testa che stava tornando a terra come fosse una palla, spedendola via nell’oscurità.
Butta via il resto del corpo come una pezza vecchia e si appresta a fare sul serio coi suoi avversari, quando all’improvviso, dalla stessa oscurità, spunta fuori una delle colossali teste dell’Idra e lo ingoia intero.
«Idra» fa Cerbero, come a voler fermare il fratello, come a volergli dire che è tutto inutile.
Ma altre teste spuntano e una di queste allunga la lingua sulla quale è adagiata la testa di Ares che aveva precedentemente preso al volo.
Sfinge, che si è rialzata, la prende, la ripulisce dalla saliva e va ad adagiarla al suo posto sopra il corpo, ma è talmente distrutta da non accorgersi nemmeno che questo è a pancia in giù mentre la testa è rivolta in alto. Poi, senza proferire parola, va ad accasciarsi di fianco al cadavere del fratello.
La testa dell’Idra che ha ingoiato Ade, intanto, inizia a rantolare, come sbattuta di qua e di là, e più volte cozza col pavimento. Alla fine il Corpo di Ade le apre a forza le possenti fauci.
«Non mi importa se moriremo, ma il Leone di Nemea non se ne andrà senza combattere, questo è quello che avrebbe voluto Chimera!» urla il Leone e, con un ruggito, colpisce il Dio che ancora regge le zanne sopra la testa, catapultandolo nuovamente in profondità nella gola da serpente del fratello.
«Hai ragione!» eruttano anche le teste di Cerbero all’unisono prima che questo parta alla rincorsa, faccia un cenno a Idra e salti direttamente nella sua gola dopo che quello ha spalancato la bocca appositamente.
Già normalmente delle interiora non dovrebbero essere un posto comodo, figurarsi per uno della taglia di Cerbero, ma comunque questi avanza nell’oscurità più assoluta, viscida e inzuppata di saliva e fluidi corporei, finché non sente una mano fermargli una testa.
«Perdonami, fratello» dice, prima di sputare tutte le sue fiamme sul Corpo di Ade, illuminando al contempo le budella, anch’esse danneggiate gravemente dall’attacco.
Infatti i lamenti di dolore subito dopo vengono dall’Idra e non dal Corpo dello Zeus Ctonio, che continua imperterrito a ghignare perfino tra le fiamme.
Anche l’altra sua mano raggiunge la testa di Cerbero ed entrambe iniziano ad esercitare una tremenda pressione, come volessero frantumargliela.
Delle lunghe zanne, da destra e da sinistra, bucano repentinamente le pareti della gola e affondano nelle carni in fiamme del Dio: è lo stesso Idra costretto a mordere le sue carni!
Il Corpo di Ade, però, non si scompone e, mollando la presa su Cerbero, stacca le grandi zanne conficcate nelle sue braccia e le usa per squarciare la parete e creare un’uscita, tra altri versi di dolore dell’Idra.
Né fuoco né veleno, ma gli Echidnidi non potevano saperlo. Eppure Leone sembra preparato all’eventualità e inizia a caricarlo appena spunta tra le squame dell’Idra.
Il Corpo di Ade non si fa attendere e, dopo aver recuperato anche la fidata pala, parte a testa bassa, evitando qualche affondo delle altre teste che si schiantano al suolo.
Ad un solo passo di distanza, Leone esplode uno dei suoi ruggiti più potenti.
La corsa di Ade si arresta, ma poi questi solleva lo sguardo ad incontrare quello incredulo del nemico, poco prima di abbattere la sua pala sul suo cranio, infossandolo con violenza inaudita nel suolo e riempiendo il palazzo di un greve rintocco funebre.
Il Leone non si muove più.
«Leone!» urla disperato Cerbero, emerso dall’Idra giusto in tempo per vedere la scena.
Anche lui parte quindi alla carica, e anche a lui Ade destina uno sguardo terrificante, poi affonda la sua pala nel terreno e scaglia contro l’avversario un enorme pezzo del suolo che ne ricava.
Una testa d’Idra si para davanti al fratello giusto in tempo, ma quando si sposta, Ade non è più al suo posto.
Ha raggiunto Sfinge ed ora la tiene sollevata a testa in giù per la coda, lei che ha gli occhi vuoti, persi, le ali una volta bianche abbandonate senza forze sul pavimento.
Il Dio impugna la pala di taglio e si assicura che il mostro sia in una buona posizione per assistere alla scena.
Ma prima che possa caricare il colpo, un frastuono, come di massi che si smuovano, e poi una porta si apre sotto i suoi piedi, inghiottendolo e perdendolo in mezzo a violenti flutti di un mare infuriato comparso inspiegabilmente nel cuore del Palazzo Oscuro, nelle viscere più tristi di Gaia, in un rettangolo di terreno grande giusto quanto chi vi è caduto dentro.
Tre rintocchi, come una bussata, poi quella specie di porta si richiude, lasciando dell’acqua fredda sul pavimento di marmo.
«Scusate il ritardo» fa una vecchietta, che sembra essere apparsa insieme alla porta.
  
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