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Autore: Nadine_Rose    05/02/2014    2 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 9

 

Delirio d’amore

 

“L’amore si paga solo con l’amore e le piaghe dell’amore si guariscono solo con l’amore”.

Santa Teresa di Lisieux

 

Città di Berlino, settembre 1940

 

“Otto, dimmi: come sta il ragazzo?” Il signor Franz balzò dalla poltrona del salotto non appena il dottore, suo carissimo amico e sostenitore della sua “missione”, uscì dalla stanza dopo aver visitato Kurt. “Pian piano, sta riprendendo le forze ma avrebbe bisogno di qualche operazione chirurgica al viso. Io non posso operarlo, Franz, perché non è mia competenza.” rispose il medico estremamente dispiaciuto e, mettendogli una mano sulla spalla, continuò: “Ma se devo essere sincero, in questo momento, mi preoccupa di più il suo stato di salute mentale.”

Kurt era, infatti, ossessionato dal ricordo di Nadine. La sua immagine appariva in ogni angolo della stanza e, continuamente, il suo fantasma sedeva ai piedi del letto sul quale era immobilizzato a causa delle innumerevoli fratture. In questo delirio, Nadine implorava il suo aiuto e lo incolpava di non averla portata via dall’inferno di Ravensbrück. E Kurt, senza sosta, urlava il nome della sua amata e invocava il suo perdono.

Incurante del dolore, il giovane tentò di alzarsi dal letto precipitando inevitabilmente a terra. “Perché?!... Non doveva andare così!... Perche?!!... Lei doveva vivere, non io!... Nadine, perdonami!... Perdonami!!... Adesso tornerò da te!” urlava e, piangendo in maniera convulsa, iniziò a strisciare verso la porta della stanza. Le sue strazianti urla richiamarono l’attenzione del signor Franz e del dottor Otto che si precipitarono nella stanza per aiutarlo. Ogni tentativo fu vano. Kurt si dimenava violentemente, batteva i pugni sul pavimento, continuava a piangere e urlare e, per evitare che si facesse del male, il medico gli iniettò un tranquillante. “è più grave di quanto pensassi.” affermò il dottore …   

 

Berlino ovest, 9 ottobre 1950

 

Quel giorno, Werner decise di non andare in ospedale: i troppi pensieri che affollavano la sua mente gli avrebbero impedito di lavorare in pace. Gli mancava Nadine; gli mancava quasi da togliergli il respiro; gli mancava perché temeva di perderla. Il dottor Hofmann rimase quindi a casa con suo figlio e, mentre lo guardava giocare, ripensava a tutti i suoi sbagli, a uno in particolare. Ripensò agli anni vissuti da medico antisemita, ai malati che aveva visto uccidere senza far nulla, alle terribili e false teorie descritte nelle sue tesi. Sì, le sue tesi. Le stesse che Nadine aveva scoperto dopo il loro matrimonio. La giovane sposa conosceva già l’oscuro passato di suo marito ma leggere quei documenti era stato ugualmente sconvolgente per lei e ancora di più l’aveva delusa quella mancanza di fiducia nei confronti suoi e del suo amore. Ci volle un po’ di tempo per sanare la frattura e, solo dopo l’arrivo del piccolo Andrej, Werner ricevette da sua moglie il sospirato perdono. Ma questa volta sarebbe stato diverso. Era certo che la sua Nadine, davanti ad una nuova e più sconvolgente verità, non l’avrebbe perdonato come allora e sarebbe scappata via portando con sé anche il loro bambino. Werner non riuscì più a contenersi e, allontanatosi da Andrej, in un’altra stanza, scoppiò in un pianto sommesso.

 

Città di Berlino, febbraio 1941

 

Come ogni mattina, Engel mise la colazione sul comodino e aprì le tende della finestra. Engel era la più piccola delle tre figlie di Franz, aveva diciannove anni ed era l’unica rimasta a casa con suo padre, vedovo da ben oltre dieci anni. Era lei che si prendeva cura di Kurt. Dal carattere forte e tenace, la ragazza seguiva coraggiosamente suo padre nella Resistenza ed era con lui quando Kurt fu ritrovato agonizzante fuori al campo di concentramento di Ravensbrück. Il giovane, intanto, iniziava a metabolizzare il dolore per la perdita della sua amata. Aveva smesso di piangere e dibattersi ma ancora non aveva trovato la forza di reagire e rialzarsi da quel letto. Viveva in una sorta d’incoscienza.

“Per quanto tempo ancora pensi di vivere in questo modo?” iniziò a dire Engel “Devi reagire!... Coraggio, parlami un po’ di te!” Kurt non rispose e la guardò. La ragazza portava sempre i pantaloni e i capelli legati in una coda di cavallo. “Io conosco il tuo dolore, so benissimo cosa significa perdere una persona cara.” Engel riprese a parlare e sedette sul letto, accanto a lui “Ma prova a trasformare il tuo dolore in rabbia, una sana rabbia che a sua volta deve trasformarsi in desiderio di giustizia. Vieni con noi, Kurt!” la ragazza gli mise una mano sul braccio e, guardandolo profondamente negli occhi, continuò: “Aiutaci a salvare quelle persone innocenti!... Innocenti, come lo era Nadine.” Kurt ricambiò lo sguardo e, inaspettatamente, iniziò a raccontarle di lui, di Nadine e del loro amore. Engel lo ascoltava con attenzione, poi con trasporto, finché non accadde l’inevitabile: in lei si accese un sentimento mai provato prima. Engel s’innamorò di Kurt e del suo modo di amare. S’innamorò di quell’amore fatto coraggio spingendosi oltre fino al sacrificio, di quell’amore che gli era bruciato dentro fino a diventare cicatrici sulla sua pelle. Qualche tempo dopo, il giovane se ne accorse e anche in lui cominciò a muoversi qualcosa.

 

Città di Berlino, marzo 1941

 

Engel apparve sull’uscio della stanza in un vestito beige chiarissimo, i capelli biondi sciolti e un’espressione dolce sul viso. Quella sera, la ragazza sembrava davvero un angelo. “Engel, vieni qui.” Kurt la chiamò “Ho freddo.” e la ragazza s’infilò nel suo letto …

 

E da allora solo oggi non farnetico più.

A guarirmi chi fu?

Ho paura a dirti che sei tu.

Ora noi siamo già più vicini.

Io vorrei … non vorrei … ma se vuoi …

 

Lucio Battisti, Io vorrei … non vorrei … ma se vuoi …

 

   
 
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