Sei febbraio: a volte ritornato.
“Che hai?”
“Non toccarmi…”
“Ti senti male?”
“Non- Lasciami respirare”
"Non avevi detto che gli attacchi di panico ti erano passati?"
"Non passano mai del tutto..."
Il sole rifulge sopra i tetti
delineando sottili profili taglienti;
il fiume gonfio e contuso
mormora ai postumi violacei di una notte uggiosa;
le nuvole nel cielo sono chiare e ancora umide di stelle.
Una nuova giornata d’inverno
in una nuova terra – rinata -
con nuove speranze;
l’ampio respiro s’infrange in rarefatte condense verbali.
Ma
i raggi carezzano la pelle, bruciandola, violandola;
e all’improvviso gli indumenti comprimono, stritolano, soffocano,
la trachea si contrae, il muscolo cardiaco ha uno spasmo,
le mani s’intorpidiscono:
è una scossa di adrenalina inversa, dannosa,
quella che punge ogni lembo di carne;
i muscoli vibrano e il respiro si sconquassa.
E la paura della morte, dell’oblio,
ritorna.
Come in un bacio a fior di labbra,
o in un abbraccio d’amicizia,
il tempo dell’attacco è poco più che un battito di ciglia.
Eppure è violento, è conosciuto,
è improvviso;
e lascia inermi, prostrati a terra,
le ginocchia ammaccate e la mente appannata;
le schegge dell’impotenza conficcate nell’orgoglio
sanguinano e pulsano insieme alla paura.
*