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Autore: LeGuignol    07/02/2014    1 recensioni
La stanza buia e spoglia, arredata unicamente dal pc e dalle periferiche collegate, è l’ideale per concentrarsi sul caso al quale sta lavorando. L non chiede di meglio che quell’arredamento minimalista studiato appositamente per evitare qualunque distrazione, in modo da focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’obiettivo.
Osserva le immagini delle vittime sul monitor. Gli schizzi di sangue, il bianco dei tendini esposti e gli organi interni visibili dagli squarci slabbrati non lo urtano minimamente; non è quello il punto fondamentale. La sua mente razionale lo spinge a notare solo gli aspetti essenziali per ricavare un quadro completo del modus operandi dell’assassino.
Lavorare sui piccoli particolari è la chiave per giungere alla soluzione, e lui ci riuscirà, come ogni volta. Anche questa sfida sarà vinta.
(Per chiunque fosse interessato, questa storia è interrotta; ma riprenderà presto sull'account di MissChiara, che si è gentilmente offerta di proseguirla. Grazie a tutti per avermi seguito fin qui ^^)
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Linda, Nuovo personaggio, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'alfabeto della Wammy's House'
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CAPITOLO 1 – LA CLIENTE BIZZARRA

 
Ad R l’autunno era sempre piaciuto. Linda le diceva che era perché si addiceva alla sua indole malinconica, ma lei era convinta che il motivo fosse un altro. Erano i colori che la natura assumeva, a colpirla. Le sfumature delle foglie, dal giallo carico al rosso acceso, erano una meraviglia.
In autunno, per R, camminare in solitudine in un bosco immersa nei propri pensieri era la cosa più rilassante che potesse esistere. Come si faceva a non amare quella stagione? Durante le sue passeggiate, era rimasta affascinata più volte dall’atmosfera raccolta del bosco di castagni, dai colori caldi che man mano si spegnevano nel bruno, ogni giorno di più, finché, con il sopraggiungere dell’inverno, gli alberi completamente spogli e il terreno dal sottobosco privo di verde sarebbero stati ricoperti da un manto di neve candida.
Era una perfetta allegoria di morte. Ma dolce, tranquilla, quasi idilliaca.
Sì, forse Linda un fondo di ragione ce l’aveva, quando le diceva che l’autunno faceva leva sulla sua malinconia.
Le faceva ricordare la se stessa di cinque anni prima, quando ancora era R e non Rossella.
Quando risiedeva alla Wammy’s House inseguendo un sogno romantico che già sapeva essere irrealizzabile.
Quando i tagli sul polso non c’erano ancora.
 
.oOOo.
 
Rossella guardò fuori dalla finestra dell’ufficio dell’agenzia investigativa, dalla quale poteva scorgere, in lontananza, gli alberi che circondavano l’imponente cattedrale gotica di Winchester. Nonostante quell’anno il clima autunnale fosse insolitamente mite, quel giorno fin dal mattino aveva continuato a cadere una pioggerellina persistente che aveva reso l’aria fredda e umida. La giornata non invitava certo a una passeggiata meditativa nel verde dei dintorni della chiesa, come era solita fare. Meglio così. In mancanza di un caso su cui lavorare, i pensieri alla fine sarebbero tornati senz’altro al passato, focalizzandosi in particolare su una persona che era meglio dimenticare.
Per riflesso, le dita andarono distrattamente a massaggiare il polso sinistro. Le vecchie cicatrici che lo deturpavano, nascoste sempre da abiti con maniche lunghe, talvolta le davano un po’ fastidio nelle giornate umide come quella.
Guardò l’ora: erano quasi le quattro. La cliente con cui aveva appuntamento, Kathy Warwick, sarebbe arrivata da lì a non molto. Dalla conversazione telefonica intercorsa fra loro il giorno precedente, Rossella aveva già abbozzato un profilo psicologico della donna. Negli anni, la sua già straordinaria capacità di analisi si era affinata ulteriormente, e a poco a poco aveva scoperto che, se dalle caratteristiche fisiche e comportamentali di un individuo era in grado di giungere quasi ad entrarne nella mente, era vero anche il contrario: non era impossibile, partendo dal tono e dal modo di usare le parole – che, in fondo, non erano altro che lo specchio dei pensieri –  ricostruire un identikit abbastanza preciso dell’aspetto. Certo, voce e parole non fornivano informazioni sul colore degli occhi o dei capelli, ma suggerivano un quadro piuttosto veritiero sul modo di atteggiarsi, di vestire, sull’età, perfino sulla corporatura.
La Kathy Warwick che aveva in mente Rossella era una donna sulla ventina, esageratamente timida e impacciata, anche se qualcosa nella sua voce le aveva suggerito anche un tocco di originalità. Si immaginò lo sguardo smarrito, i modi pacati. Al telefono, aveva provato simpatia per lei. Ne provava sempre, per le persone gentili. E Kathy le aveva dato proprio quell’impressione: una persona gentile che le stava chiedendo aiuto. Per questo aveva accettato di fissare un appuntamento per un caso che, a suo parere, poteva essere più uno scherzo che una faccenda seria.
 
Alle quattro e mezza Rossella, con disappunto, riguardò l’ora per la decima volta. Perché mai per certe persone era così difficile essere in orario?

Alle cinque ebbe il sospetto che la Warwick si fosse persa.

Alle cinque e mezza il sospetto di essere stata presa in giro si fece più forte che mai. Che diavolo le era saltato in testa per prendere sul serio una cliente che le aveva detto di sentirsi in pericolo solo perché aveva ricevuto una ridicola lettera di minacce scritta con i ritagli di giornale? E poi? Cos’altro aveva aggiunto? Ah, sì! Aveva accennato a qualcosa a proposito di rose mozzate. Che stupidaggine! Nessuno si prenderebbe paura per una cosa del genere. E lei ci era cascata in pieno, giudicandola addirittura timida e gentile! Le bruciava da matti ammetterlo, ma forse il suo istinto, per una volta, aveva fatto cilecca.

Alle sei meno un quarto, quando stava per prendere il telefono e comporre il numero della sua cliente – numero che, ne era certa, si sarebbe rivelato inesistente – il campanello dell’agenzia investigativa suonò.
Rossella andò ad aprire, e si ritrovò davanti una ragazza di bassa statura, bionda, con due occhi chiari e smarriti, bagnata fradicia e tremante. I suoi abiti, di un’eleganza discreta, erano completamente neri.
«Mi perdoni! Sono in un ritardo terribile!» esclamò la ragazza a testa bassa, con una voce accorata e le guance rosse come due mele per la vergogna e il freddo.
A Rossella ricordò una scolaretta che si scusava per essere arrivata tardi alla lezione.
«La signorina Warwick, suppongo» le chiese, facendosi da parte per farla entrare.
«Oh, mi scusi, mi scusi, non mi sono nemmeno presentata!» rispose l’altra, nell’imbarazzo più totale.
Con una punta di orgoglio la detective pensò che, tutto sommato, aveva indovinato. Kathy Warwick era timida e impacciata, ma in un modo che ispirava tenerezza. Il suo fare insicuro la rendeva ancora più dolce di quanto la faceva sembrare l’aspetto da angioletto sperso.
«Cominciavo a preoccuparmi, non vedendola arrivare. Cosa le è successo?» le chiese per cercare di rompere il ghiaccio, mettendo una nota di calore nel suo timbro di voce solitamente asettico come quello di un disco registrato. Di solito mostrare solidarietà, con quel tipo di persone, era particolarmente efficace per metterle a loro agio.
«Ecco… come dire… ero uscita di casa in perfetto orario… solo che, quando ero quasi arrivata, mi sono resa conto che era addirittura troppo presto. Pioveva, e non volevo certo aspettare qui fuori sotto l’acqua, quindi sono entrata nella caffetteria che c’è qui vicino. Una tazza di tè è l’ideale, con questo tempo, non trova? Però, al momento di uscire, mi sono resa conto che mi avevano rubato l’ombrello! E nel frattempo aveva iniziato a piovere proprio forte… Ho provato a venire qui comunque, ma mi sono inzuppata dopo pochi metri. Non mi andava di presentarmi in quello stato, così sono tornata verso casa per cambiarmi, ma siccome non conosco questa zona devo aver preso l’autobus che andava nella direzione opposta e… ecco… me ne sono accorta solo quando ormai ero molto lontana. Ho cercato di tornare verso casa con un altro autobus, ma intanto si era fatto spaventosamente tardi e così… così…».
Kathy rimase a fissarsi i piedi, lasciando la frase in sospeso.
Così sei entrata nel panico e hai perso la testa, concluse mentalmente Rossella al posto suo. Tipico delle persone ansiose quando si trovano davanti a un bivio.
Analizzò quello che la sua potenziale cliente le aveva appena detto. Nello smarrimento più totale, si era posta due alternative: o tornare a casa a cambiarsi, aumentando le dimensioni di quello che era già un notevole ritardo, o presentarsi ugualmente davanti a una sconosciuta in uno stato che, per come era fatta Kathy, era senza dubbio imbarazzante. Tra le due strade, aveva scelto la seconda.
Interessante!
Dall’idea che si era fatta di Kathy Warwick, Rossella avrebbe detto che, per un’indole così infantile, tornare al sicuro nel proprio rifugio e lasciare perdere l’appuntamento sarebbe stata la scelta più ovvia. Contrariamente, la ragazza aveva visto nell’agenzia investigativa l’opzione migliore e vi si era recata ugualmente. Se non altro, ebbe la prova che la cliente aveva a cuore il caso che stava per sottoporle, e la sua preoccupazione era autentica. Poteva scartare il sospetto iniziale dello scherzo.
Ma i suoi pensieri furono interrotti bruscamente da un urlo acuto.
«Oddio, mi dispiace, mi dispiace!» esclamò la ragazza bionda nel realizzare che l’acqua che colava dai suoi vestiti zuppi aveva creato una pozzanghera sul pavimento dell’ufficio.
«Non si preoccupi! Non è niente, davvero! Venga, le do un asciugamano. Intanto si accomodi qui, le preparo qualcosa di caldo» la rassicurò Rossella indicandole la sedia di fronte alla scrivania.
 
Nei pochi minuti che occorsero a Kathy per asciugarsi alla bell’e meglio e ritrovare un po’ la calma, complice anche la tazza di camomilla fumante, Rossella riuscì a mettere al loro posto tutti i tasselli che componevano il carattere della persona che aveva davanti. La Warwick rientrava nella categoria delle persone così ingenue e fiduciose verso il prossimo da risultare stupide. Probabilmente non aveva problemi economici, e viveva tranquillamente la sua esistenza senza essersi ancora mai trovata nella situazione di doversi accollare delle responsabilità.
Dubitava che quello che le aveva accennato al telefono potesse essere un caso di sua competenza, ma, ad ogni modo, avrebbe ascoltato cosa aveva da proporle. Al massimo le avrebbe dato un consiglio e l’avrebbe liquidata senza chiederle nessun compenso. In poche parole, una giornata di lavoro persa. Il prezzo da pagare per avere un debole per le persone gentili.
Dopo qualche domanda di rito, in cui apprese che la sua cliente era una studentessa di Midhurst trasferitasi a Winchester per studiare all’università, e che abitava da sola, Rossella le chiese di parlarle del motivo per cui era venuta.
«Dunque, Kathy… posso chiamarla Kathy? Anzi, diamoci del tu. Chiamami pure Rossella».
Far crollare il muro delle formalità funzionava sempre con le persone timide. Infatti, la ragazza bionda annuì vigorosamente, acconsentendo con un «Certo!» squillante e sorridendo fiduciosa.
Rossella ne fu felice. Si sarebbe sentita ridicola a continuare a dare del lei a una cliente che aveva meno dei suoi già invidiabili ventun anni. Senza dubbio, la cliente più giovane che le fosse mai capitata; nonché la prima che non avesse avuto la minima reazione di stupore nell’affidarsi ad una detective poco più che adolescente.
«Al telefono mi hai accennato al fatto che da qualche tempo ti senti… uhm… in pericolo? E che hai ricevuto una lettera di minacce, vero?».
«Esatto. A dire il vero, sono successe anche altre cose… Ecco… tutto è iniziato circa due settimane fa, dopo il funerale di mio nonno, sir Arthur Cavendish».
Al ricordo del parente defunto, gli occhi di Kathy si velarono. Nonostante ciò, Rossella non riuscì a pronunciare nemmeno una succinta frase di condoglianze ma, al contrario, alla notizia proruppe in un assai poco professionale: «Cooosa?!».
La famiglia di sir Arthur Cavendish discendeva dalla più alta nobiltà inglese, sebbene come ramo cadetto, ed era una delle più in vista di Winchester. Al funerale aveva partecipato mezza città. Non poteva credere di trovarsi al cospetto della nipote del nobile. Fu il suo turno di sentirsi in imbarazzo.
«Ma… ma… un momento! Voi… cioè… tu hai detto di chiamarti Warwick, non Cavendish» esclamò, mentre la maschera imperturbabile che celava costantemente le sue emozioni si sgretolava per un momento. «Ah, ma certo. E’ uno pseudonimo che usi per sicurezza».
«No, no, è proprio il mio nome» rispose la ragazza, divertita.
L’espressione confusa della detective la mise definitivamente a proprio agio. Nel tragitto da casa all’agenzia era rimasta sulle spine per tutto il tempo, all’idea di parlare con un investigatore. Si era immaginata una donna dall’aspetto severo che, sicuramente, l’avrebbe trattata male alla prima sciocchezza che avesse detto. Quando si era trovata faccia a faccia con Rossella, praticamente una sua coetanea, si era sentita sollevata. Confidarsi con lei sarebbe stato meno difficile del previsto.
«Vedi, i miei genitori non si sono mai sposati. Io porto il cognome di mia madre. Mio padre, Richard Cavendish, è morto scapolo senza avere figli ufficiali, quando io ero ancora neonata. Forse, se non fosse morto così presto, alla fine i miei si sarebbero sposati… Però, sebbene mio padre non mi abbia riconosciuta alla nascita, ha provveduto ugualmente al mio mantenimento, così come mio nonno dopo di lui. Sai, ho trascorso sempre le vacanze nella residenza di sir Arthur Cavendish. Mi voleva molto bene, e si è sempre comportato affettuosamente. Nonostante ciò, era una persona estremamente legata alle tradizioni e all’etichetta, e non voleva assolutamente che la faccenda di figli illegittimi potesse trapelare. Quindi, senti un po’ cosa si è inventato per poter trascorrere del tempo insieme a me: ha cominciato a lamentarsi dicendo che, dopo la scomparsa del figlio, pativa disperatamente la solitudine e la mancanza di nipoti. La voce si è diffusa velocemente, quindi a nessuno è sembrato strano quando ha offerto all’orfanotrofio di organizzare di tanto in tanto festicciole di beneficenza e giochi per i bambini presso la sua residenza. Anzi, tutti l’hanno lodato per il suo spirito caritatevole. Nessuno ha mai fatto caso che, in quella baraonda, potessero esserci degli intrusi. Così, salvate le apparenze, il nonno poté passare con me tutto il tempo che voleva. Diceva che prima o poi sarei diventata una nipote legittima, e che meritavo tutte le attenzioni» concluse Kathy, sorridendo al ricordo.
«Un momento! Non starai per dirmi che tu ora sei a tutti gli effetti un’erede di sir Arthur Cavendish?».
«Proprio così!» rispose candidamente l’altra. «Il nonno mi ha nominata erede ufficiale nel testamento».
Sarebbe bastato verificare personalmente il documento per confermare un’affermazione del genere, ma la detective era già certa che la ragazza non stesse mentendo. Il dono di cui era dotata, che da sempre le aveva permesso di leggere nella gente con una precisione sconcertante, le disse che Kathy Warwick era sincera fino al midollo.
La faccenda stava prendendo una piega interessante. Se i presupposti erano quelli, forse i timori della sua cliente non erano infondati.
«Parlami di cosa è successo dopo il funerale» la incoraggiò.
Inconsciamente, incrociò le gambe nella posizione yoga del loto, come le capitava sempre quando si concentrava.
«Sì, d’accordo» rispose Kathy estraendo una busta dalla borsetta. «Un giorno, tornando a casa, ho trovato in buca questa lettera».
Porse a Rossella la busta, che la esaminò. Evidentemente era stata recapitata a mano, perché non vi era traccia di timbro postale. Il presunto stalker aveva recapitato personalmente la busta rischiando di essere visto? Se così era, non si trattava certo di un professionista. Magari vi aveva pure lasciato qualche impronta.
Aprì la busta e fece uno sforzo per non scoppiare a ridere: la “lettera di minacce” era degna di un filmetto poliziesco di terza categoria. Anzi, di un film comico che parodiava un poliziesco; il testo era stato composto incollando lettere colorate ritagliate da una rivista, dai font più disparati. Il risultato era un allegro collage variopinto, dal contenuto profondo: “Non ti avvicinare al maniero o sarà peggio per te”.
No, decisamente non si trattava di un professionista. Se temeva una perizia calligrafica, avrebbe potuto scrivere il testo al computer e stamparlo invece che usare quello stupido metodo. Un individuo piuttosto infantile…
«Di quale maniero parla?» domandò la detective.
«Di quello di mio nonno, credo. La residenza estiva presso la foresta di Green Haven».
«Dunque l’autore della lettera è qualcuno che è a conoscenza del testamento» mormorò Rossella. «Beh, direi che la cerchia dei sospettati si riduce nettamente! Però, scusa la franchezza, ma mi riesce difficile prendere sul serio quello che c’è scritto qui. Non pensi che potrebbe essere semplicemente uno scherzo di cattivo gusto? Gli altri eredi non devono aver preso bene la notizia della tua esistenza».
«In un primo momento l’ho pensato anch’io. Il fatto è che… la lettera è stata solo l’inizio. In seguito, qualcuno si è introdotto in casa mia» rispose la ragazza bionda, rincantucciandosi sulla sedia e stringendosi le braccia. Che avesse paura era un dato di fatto.
«Accanto alla finestra della mia camera c’è un tavolino con alcuni oggetti a cui sono molto affezionata. Un libro di poesie che apparteneva a mia madre, un album di fotografie, la mia bambola preferita Priscilla… e naturalmente c’era anche la gabbia di Polly, il mio pappagallino».
«C’era?» la incalzò Rossella.
Il colorito di Kathy si fece livido, e la sua voce tremò quando proseguì.
«Qualche giorno fa, quando sono rincasata, ho trovato la gabbia aperta e dentro… oh, mio dio… dentro…». Si interruppe nuovamente, portandosi una mano al viso.
Era facile intuire il finale del racconto. Un velo di rossore si diffuse sul volto impassibile della detective, tradendone l’ira. Come potevano esistere dei bastardi tali da prendersela con un povero uccellino solo per mettere paura alla sua padrona?
«… c’era il corpo decapitato di Priscilla» concluse Kathy, abbassando lo sguardo.
«Eh? La… la bambola?!» esclamò a voce alta la detective.
«Sì… terribile, vero?».
Già, per una bambina poteva davvero esserlo. Rossella si accasciò sulla sedia. Rettificò l’idea che si era fatta della sua cliente, aggiungendo due tacche buone alla scala di infantilismo che aveva stimato all’inizio. Da quel momento in poi avrebbe fatto meglio a giudicare le parole di Kathy considerandole dal punto di vista di una ragazzina, se non voleva incorrere di nuovo in fraintendimenti.
«E tu cos’hai fatto?» chiese.
«Uhm… nulla. Non potevo rimontare Priscilla, la testa non c’era più. Ho preso una sedia e ho recuperato Polly, che dormiva tranquillo in cima alla porta»  rispose semplicemente l’altra.
«Volevo dire, non hai avvisato la polizia o un conoscente?».
«Certo che no! La polizia non sarebbe mai intervenuta per il furto della testa di una bambola! E gli amici mi avrebbero riso dietro».
Benedetta ragazza! E la violazione di domicilio dove la metti? pensò fra sé Rossella. Ma tenne le proprie opinioni per sé e proseguì.
«Però non è successo solo questo, vero?» chiese.
Elementare. Se la sua cliente non aveva avvertito nemmeno i conoscenti, perché avrebbe dovuto rivolgersi  di punto in bianco a un’agenzia investigativa se qualcos’altro non l’avesse spinta?
«Esatto. Ieri infatti, verso le cinque, quando sono tornata a casa ho trovato tutte le rose del giardinetto recise, dalla prima all’ultima. Giacevano in un mucchio davanti alla porta. Ci sono rimasta malissimo. Non come per Priscilla, ma ci sono rimasta male lo stesso» spiegò Kathy affranta.
Minacce scritte incollando lettere ritagliate… una bambola decapitata… dei fiori mozzati… danni più simili a beffe che ad altro. Questo molestatore sembrava tanto ingenuo quanto la vittima.
«Uhm… e perché le rose recise invece ti hanno convinta a telefonarmi?».
«No, no, non è stata un’idea mia. Il fatto è che, mentre fissavo le rose e pensavo a cos’altro mi sarebbe potuto capitare a causa di quella lettera, mi sono accorta che c’era qualcuno dietro di me».
Adesso non mi verrà a parlare di tentata aggressione? Uhm… no, è tutt’altro. Una come lei in caso di aggressione si sarebbe chiusa in casa, completamente nel panico. Invece mi ha telefonato verso le cinque e un quarto, ovvero poco dopo aver scoperto il danno. Un tempo troppo breve per il periodo di ripresa di coscienza post trauma.
«Era un ragazzo che poteva avere sui ventidue o ventitré anni» spiegò la ragazza bionda. «Ha guardato le rose e ha detto “che peccato, eh?”. Poi si è fermato a parlare un po’ con me».
Rossella era abituata a giudicare con imparzialità – le era stato insegnato che le opinioni personali potevano falsare le indagini, e che bisognava sempre basarsi su fatti oggettivi – ma questa cliente viveva in modo fin troppo leggero. Non le era nemmeno passato per la testa che quella persona avesse potuto essere lo stalker stesso.
«Raccontami tutto, anche i particolari più insignificanti» le chiese, protendendosi in avanti.
«Dunque… era alto e magro, con i capelli scuri. Ed è stato molto gentile. Deve aver capito subito che non sapevo proprio dove sbattere la testa, perché mi ha consigliato di rivolgermi ad un investigatore privato e mi ha dato il numero del tuo ufficio, dicendo che mi avresti presa senza dubbio sul serio. Ho fatto bene a dargli retta!» concluse Kathy raggiante.
«Come? Uno sconosciuto passava di lì, ha visto le rose rovinate e ti ha detto di chiamarmi?» riassunse Rossella aggrottando la fronte.
La faccenda aveva preso una piega a dir poco demenziale. La detective concluse che solo una persona che conosceva bene Kathy avrebbe potuto pensare che la ragazza avrebbe abboccato a un consiglio tanto assurdo senza farsi domande. Dunque, il ragazzo moro in qualche modo lo sapeva. Ma perché le aveva consigliato di rivolgersi proprio a lei?
 
Ha detto che mi avresti presa senza dubbio sul serio.
 
Quel ragazzo sapeva che lei avrebbe capito che Kathy non stava mentendo, nemmeno se le avesse sottoposto un caso apparentemente insensato? Chi era a conoscenza del suo dono, oltre a Linda?
La detective impallidì visibilmente, mentre chiedeva: «Descrivimi meglio quella persona, tutto quello che ricordi».
«Allora, che era magro con i capelli scuri te l’ho già detto. Era alto, più di te, poteva essere sul metro e ottanta. A dire il vero, alla prima occhiata però non ci avevo fatto caso, perché era piuttosto incurvato. Poi… uhm… aveva la pelle molto chiara e gli occhi scurissimi. Aveva una faccia buffa, eh eh! In quanto ai vestiti… boh… niente di speciale. Indossava una maglia bianca e un paio di jeans stinti. E scarpe da ginnastica, credo… sembravano abbastanza vecchie. Ma, ehm… Rossella… tutto bene?».
Il viso della detective, già pallido di natura, aveva perso ogni sfumatura di colore, mentre la sua mente vagliava le molteplici ipotesi di ciò che aveva appena udito, focalizzandosi su una in particolare.
Sentì una puntura al polso sinistro, dove la cicatrice slabbrata le ricordava costantemente la persona che aveva tentato in tutti i modi di levarsi dalla testa. La persona a causa della quale si era imposta di non far mai più trapelare all’esterno la minima emozione interiore, sopprimendo la sua vera indole.
Quella faccenda doveva nascondere qualcosa di ben più grosso di qualche fiore danneggiato, se aveva smosso la curiosità di L. Sì, l’individuo che aveva incontrato Kathy non poteva che essere lui. Che cosa nascondeva veramente l’eredità di sir Arthur Cavendish?
A quanto pareva, L aveva già iniziato a lavorare a tempo pieno al caso, se era giunto alla conclusione che gli era necessario il dono di R per arrivare alla soluzione.
Non era cambiato. Sapeva benissimo che lei non avrebbe mai accettato di incontrarlo, né tantomeno di aiutarlo, ma aveva trovato ugualmente il modo di farsi ascoltare per vie traverse.
Rossella soppesò la questione. Cosa avrebbe dovuto fare? Accettare di collaborare voleva dire riaprire una vecchia ferita dolorosa.
In realtà, si è mai richiusa? E’ forse mai passato un giorno in cui non ci abbia pensato? si chiese.
Osservò Kathy, che la stava guardando speranzosa. Dietro lo sguardo impaurito, avvertì chiaramente tutta la fiducia che la ragazza stava riponendo in lei.
«D’accordo, accetto il caso» acconsentì sospirando.
«Evviva!» esclamò l’altra giungendo le mani, senza notare l’ombra che era scesa sul viso della sua interlocutrice.
«Per prima cosa svolgerò qualche indagine sugli eredi di tuo nonno. Vorrei parlare almeno con alcuni di loro, ovvero quelli che potrebbero essere maggiormente interessati al maniero» disse la detective con voce atona. «Hai qualche idea?».
«Mah, mio fratello David ultimamente vi trascorreva un sacco di tempo insieme al nonno. Per ricerca, diceva» rispose semplicemente Kathy.
Rossella sgranò gli occhi, ma la sua reazione di stupore non durò che una frazione di secondo. La maschera di impassibilità tornò al proprio posto, e la detective si impose di stare calma. Era evidente che lavorare con Kathy Warwick non sarebbe stato facile. Tanto per cominciare, con lei non avrebbe dovuto dare nulla per scontato. Nemmeno il fatto che la ragazza, fino a quel momento, non avesse fatto il minimo accenno ad un particolare così fondamentale come la presenza di un altro neo-legittimo erede.
Pare che la scelta oculata delle domande dovrà essere un punto focale del mio metodo d’indagine, d’ora in poi, si disse.
«Come è possibile che tu abbia un fratello che è allo stesso tempo un Cavendish? Non hai detto che tuo padre è morto poco dopo la tua nascita?» chiese.
«Siamo gemelli. Oh, non te l’avevo detto?» rispose l’altra con un’espressione di innocente stupore dipinta sul viso rotondo.
«No, non l’avevi detto. Senti, Kathy, tanto per non lasciare adito a dubbi, non è che anche a tuo fratello è successo qualcosa di insolito?».
«Non saprei proprio. Dopo il funerale, ha detto che aveva una questione da risolvere. Si è messo in viaggio e non ha dato più notizie. Gli ho mandato un messaggio, ma non ha risposto».
«E non ti sei preoccupata?».
«Uhm… no. Capita spesso che mio fratello si renda irreperibile e poi torni da un momento all’altro come se niente fosse. E’ un tipo strambo».
Rossella prese mentalmente nota di svolgere qualche ricerca. Date le circostanze, non era da escludere che anche il secondo erede potesse essere stato coinvolto in qualcosa di spiacevole.
«Ah, è vero!» esclamò Kathy all’improvviso.
«Ti è venuto in mente qualcosa di importante?».
«No, cioè sì, però… Accidenti, me ne ero completamente dimenticata! Nel testamento c’era una clausola che riguardava me e David!».
«E sarebbe?» chiese Rossella incuriosita.
«L’eredità è vincolata a una condizione. In un giorno prestabilito avremmo dovuto recarci al maniero. Solo allora il notaio avrebbe potuto leggerci il resto del testamento. Quel giorno è domani! Accidenti, se David non si presenta perderà il diritto di eredità!».
Rossella si fece attenta. Sorvolando sull’eccentricità della condizione imposta, tenere lontani gli eredi dal castello poteva essere un movente? In questo caso, rintracciare David Warwick diventava una priorità.
La conversazione andò avanti ancora per un’oretta. Dopo di che, Rossella giudicò di aver raccolto informazioni a sufficienza e congedò Kathy, raccomandandole di chiudersi in casa e assicurandole che il giorno dopo l’avrebbe accompagnata al maniero. Chiuse l’ufficio e tornò a casa.
 
.oOOo.
 
L’appartamento che condivideva con Linda era comodo e spazioso. Decisamente troppo spazioso per la rendita dell’agenzia investigativa.
Anche se Rossella non lo accettava volentieri, era innegabile che la maggior parte degli introiti provenissero dalla sua coinquilina, giovane pittrice rinomata in tutta la Gran Bretagna, la cui fama si stava allargando perfino nei Paesi d’oltremanica.
Linda possedeva una spiccata capacità di osservazione, dote che le permetteva di cogliere particolari che la maggior parte della gente avrebbe giudicato superflui, e che sfruttava abilmente per dipingere quadri di straordinario realismo.
Anche se l’agenzia investigativa era stata fondata da entrambe le ragazze, Linda a poco a poco se ne era allontanata per dedicarsi maggiormente alla sua passione. Di tanto in tanto, però, non mancava di dare una mano nelle indagini. Il suo contributo consisteva nel mettere a disposizione la sua capacità fotografando i “luoghi del delitto”.
Quando Rossella rincasò, trovò l’amica stravaccata sul divano, intenta a leggere un romanzo.
«Eccoti qui, finalmente! Mi stavo giusto chiedendo se era il caso di ordinarmi la cena al delivery all’angolo!» l’apostrofò con un sorrisetto impudente.
«Per una volta potresti cucinartela da sola, invece di aspettare che qualcuno ti serva» le rispose, gettandole la borsa e dirigendosi verso la propria camera.
«Sei tu che ti lamenti dell’odore di trementina sui piatti!» esclamò Linda scansando la borsa e alzandosi per stiracchiarsi. «Allora? Che c’è di buono stasera?».
«Tutto quello che troverai sul menù del delivery service. Io ho da fare» rispose la detective chiudendosi la porta della camera alle spalle.
«A proposito!» aggiunse facendo capolino per un attimo, prima di sparire nuovamente «C’è un nuovo incarico. Prepara i bagagli, domani si parte per Green Haven. I tuoi occhi potrebbero servirmi».
«Eh? Cosa?! Stai scherzando, vero? Ho una mostra fra tre giorni! Ehi! Rossella!» protestò Linda, prima di rinunciare del tutto davanti alla porta chiusa.
Udì il “bip” di accensione del computer dell’amica e sospirò teatralmente, cominciando a pensare a cosa mettere in valigia. Inutile lamentarsi, quando la sua coinquilina e socia in affari si buttava in un’indagine non esisteva più altro per lei. Avrebbe dovuto capire subito che aria tirava, quando l’aveva vista rientrare e dirigersi direttamente a passo di marcia verso la sua stanza, senza nemmeno spogliarsi o farsi una doccia.
Sospirò di nuovo e cercò il numero del delivery service.
 
Verso le due di notte Rossella spense il computer, rimuginando sui dati che era riuscita a raccogliere. Le era bastato contattare Q – con cui aveva sempre mantenuto i rapporti anche dopo essersene andata dalla Wammy’s House – per riuscire a ricavare l’indirizzo ip del computer del notaio di cui Kathy le aveva dato nome e recapito, e poter leggere i particolari del testamento di sir Arthur Cavendish. Il contenuto del documento completo le sembrò ancora più assurdo di quanto era riuscita ad apprendere da Kathy. Questo lord Cavendish doveva essere stato proprio un tipo originale. Non si stupì che la faccenda avesse attirato l’attenzione di L.
E, a proposito di L, cosa si aspettava da lei? In che modo l’avrebbe contattata?
Rossella era certa che tutte le domande presto avrebbero trovato una risposta, e sentì l’apprensione crescerle dentro. Non avrebbe mai immaginato di avere di nuovo a che fare con L, un giorno.
O forse… sì? Non stava ingannando se stessa, ripetendosi di non volerlo rivedere?
Fino a quel momento si era convinta di essere riuscita, se non proprio a dimenticare – no, quello era impossibile – almeno a tenere sotto controllo i propri sentimenti, a reprimere a forza la passione di quella sedicenne malata di un amore non ricambiato che era stata un tempo. Oh sì, ne era convinta per davvero, ed era stata una sciocca a crederlo. Si era ingannata proprio bene, scambiando per nostalgia quella che era ancora una fiamma bruciante. Del resto, non era mai stata tanto brava a interpretare le proprie, di sensazioni.
Si sorprese a scoprire che il tempo non aveva cancellato nulla, che quella fiamma era più viva che mai. Il suo calore era insopportabile, e Rossella ebbe di nuovo paura come una volta. Paura di essere scoperta. Per quanti sforzi si facciano, non si può nascondere il linguaggio del corpo. Lei lo sapeva bene, grazie a quel dono che si era rivelato essere una maledizione.
Guardò in basso, e scoprì che la mano destra stava stringendo spasmodicamente il polso opposto. Cominciò a tremare. Un timore irrazionale la pervase, impedendole di scostare il palmo, temendo di scorgervi sotto una ferita aperta. Quasi urlò in preda al panico quando, per un momento, credette veramente di veder defluire sangue tra le dita, di un rosso vivo e ripugnante.
Inspirò profondamente, imponendosi di calmarsi e di non fare l’idiota. Andò in cucina e aprì il frigo alla ricerca della bottiglia con la sua bevanda preferita, la limonata non zuccherata, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare Linda. Niente male come inizio, se cominciava ad avere le allucinazioni già dal primo giorno di indagini.
Dopo qualche sorso si sentì meglio. Il liquido acre le scese in gola schiarendole le idee. Non doveva preoccuparsi di L. Era inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Se aveva deciso di coinvolgerla, avrebbe fatto lui la prima mossa. Probabilmente si sarebbe limitato a darle delle direttive attraverso un computer o un telefono, rimanendo nell’ombra, e non si sarebbero nemmeno incontrati.
Andava tutto bene. Avrebbe fatto meglio a trascorrere le poche ore che la separavano dall’alba dormendo almeno un po’. O almeno, cercando di farlo.


Commenti personali
Non sono una chiacchierona, e non mi piace inserire commenti su ciò che scrivo. Credo che sia il lettore a doversi fare le proprie idee, non l'autore a spiegare cosa avrebbe voluto trasmettere ^^ E questo vale anche per gli autori mediocri come me che, dopo un lungo periodo di stasi, non sono più capaci nemmeno di trasmettere i concetti più semplici. A quanto pare, l'allenamento é fondamentale in tutti i campi, anche quello della scrittura amatoriale.
Per motivi vari posso dedicarmi solo di rado alla scrittura. Ragione per cui gli aggiornamenti a questa storia saranno molto, molto lenti. Ma abbiate fede, arriveranno, promesso :) Se nel frattempo voleste tenermi compagnia con qualche commento, ne sarò felice!
Una precisazione però é doverosa: Q non é un mio personaggio, ma un ex allievo della Wammy's House di cui si é fatto cenno nel libro "L change the world", ed é un genio informatico. In quanto alla predilezione di R per le bevande aspre, ne ho fatto cenno in una mia precedente fanfiction ^^
   
 
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