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Autore: __Stella Swan__    08/02/2014    0 recensioni
«Stai bene?», chiese Gabriel mentre ritirava la boccetta che aveva usato.
«Sì», risposi sospirando. «Fisicamente sto bene».
«Ti ha chiamata Sarah...».
Mi voltai verso lui e vidi che mi stava fissando preoccupato. Mi leccai le labbra e chiusi gli occhi. «Si sarà sbagliata», conclusi.
«Ma sapeva di tua madre...».
«Lo so», sbottai irritata, «ma non ho idea di cosa centri. Io non mi chiamo Sarah», dissi esplicitando per bene il nome che mi aveva attribuito la vampira. «E tantomeno sono una principessa».
[Tratto dal secondo capitolo]
Seguito di "Ice Heart - Cuore di ghiaccio"
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ice Heart Saga'
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Halloween

Per la seconda volta nella mia vita ero pronta per andare ad una festa. Anche nonna Peg era stupita quanto me quando aveva saputo della notizia.
In giornata era passata a trovarci e aveva conosciuto Gabriel. Un ragazzo in gamba, come lo definiva lei. Aveva passato tutto il tempo a raccontargli di quando aveva conosciuto nonno Bob, quando era nato mio padre e quando aveva sposato mia madre. Nominando Hilda vidi subito la scintilla di tristezza risplendere nei suoi occhi. Nonna Peg adorava mia madre, quasi come se fosse stata sua figlia. La notizia della sua “quasi” morte l’aveva sconvolta. Ma lei ovviamente non sapeva nulla di mondi oscuri in cui i vampiri non erano solo protagonisti delle favole d’orrore.
Non sapeva che mamma fosse ancora viva, in qualche modo.
Fece poi vedere al mio ragazzo un sacco di foto di quando ero piccola, alcune insieme a mia sorella Megan – e di nuovo nonna Peg si rattristò, questa volta perché lei l’avevamo persa per sempre. Poi toccò a Gabriel raccontare un po’ di noi: come ci eravamo conosciuti, da quanto ci frequentavamo. Sentii anche che la curiosità infinita della nonna si spinse fino a chiedere quanto Gabriel mi amasse. Io ero seduta sulla poltrona, mentre sfogliavo un vecchio libro di mamma che parlava dell’antico Egitto. Feci finta di non ascoltarli e probabilmente li illusi pure. Sentii il mio ragazzo risponderle in tono davvero dolce, perfino per nonna Peg. «È la mia vita», le disse.
Ovviamente, aveva inventato alcune parti, ad esempio quando aveva raccontato del nostro primo ufficiale incontro al Midnight’s Dream, sorvolando sul fatto che avevo una balestra e un vampiro da uccidere. Raccontò anche del ballo di fine anno che le era solamente stato accennato da mio padre per telefono. Anche qui, non raccontò dello scontro con lo stesso vampiro che dovevo uccidere e il quanto fosse andato vicino a farmi diventare una bambola di porcellana fredda e senza cuore.
Scusa mamma.
A malincuore per lei, nonna dovette poi andarsene per lasciarci il tempo di prepararci per la festa. Io avevo un vestito rinascimentale, di quelli con le gonne larghissime e i corpetti che ti dimezzavano il respiro. Gabriel invece era vestito da re Luigi Quattordicesimo di Francia, incredibilmente elegante e con la spada sul fianco. Sarebbe sempre potuta servire, pensai, dato che ne aveva presa una vera dall’armeria.
Con la giacca rossa ed oro, i pantaloni blu e gli stivali fino al ginocchio neri, sembrava davvero un re. Io, con un corpetto striminzito, le spalle completamente nude ed una gonna larga almeno un metro, verde scuro e nero, mi sentivo un’idiota. Sheila me l’avrebbe pagata, mi promisi a denti stretti. Perlomeno avevo le ballerine e non avrei avuto problemi di equilibrio.
Arrivammo davanti all’Hilton Hotel e subito mi sentii male. C’era un mucchio di gente, più di quella che era presente al ballo di fine anno del liceo. Erano tutti vestiti con un costume diverso: c’erano le streghe, i maghi, le gatte, i moschettieri... Sembrava Carnevale, non Halloween.
Già da fuori si sentiva una musica assordante, non volevo immaginare come sarebbe stato dentro. Le decorazioni esterne – dovevo ammetterlo – erano da favola. Finte ragnatele e zucche arancioni ovunque, con qualche pipistrello gigante appeso ai lampioni. Nell’atrio c’era un cartello con scritto alcune indicazioni. Avevano suddiviso il piano in diverse sale: la sala della morte, quella della strega, quella del sacrificio, quella degli elfi e così via.
La prima sala che s’intravedeva era quella della casa stregata e da dentro si potevano sentire le urla dei ragazzi che vi si erano addentrati. Alcuni ne uscivano sconvolti, altri ridevano come dei pazzi ed imploravano la propria compagna di rientrarci, ricevendo quasi sempre un “no” secco.
Vidi Sheila e Leonard davanti alla sala delle torture, indecisi se entrare o no. Gabriel si sbracciò per farsi vedere ed entrambi ci corsero incontro.
Sheila nel suo vestito da fata era bellissima. I capelli color oro le cadevano a boccoli sulle spalle nude. Il vestito era molto corto, rosa carne, con una minigonna fino a metà coscia ed un disegno molto complicato sul petto, che la lasciava comunque molto scollata. Una fata dei sogni, con l’immancabile bacchetta magica in mano. Chissà quante parole aveva fatto il suo ragazzo per non farla vestire così.
Leonard, invece, era vestito da pirata, con tanto di benda all’occhio e spada al fianco. Incredibilmente affascinante. Chissà quanti cuori avrebbe infranto quella sera, specialmente trovandosi accanto alla ragazza più carina della festa, oltre ad Ashley Proud.
«Kim, Gabriel!», esclamò aprendo le braccia mentre ci stava ancora venendo incontro. Mi strinse in un dolce abbraccio, sollevandomi di qualche centimetro da terra e dando poi il cinque al mio ragazzo, scambiandosi anche qualche spallata amichevole.
«Sei ancora vivo», disse Gabriel, senza smettere di sorridere per un secondo.
«Certo, anche tu a quanto pare. Allora, come vanno le cose tra voi due?». Io e il mio re francese ci guardammo, sorridendo l’uno all’altro. Incrociammo poi le nostre dita, mentre i nostri occhi continuavano a fissarsi, come se ci fosse stato un filo indistruttibile a collegarli.
«Tutto bene», risposi sorridendogli, «e voi due?». Sheila si lanciò al collo di Leonard, dandogli un bacio sulla guancia. Il suo ragazzo la strinse sul suo fianco.
«Come vuoi che vada? Splendidamente». Sembrava davvero molto emozionato. «Hai visto che bello il tatuaggio che si è fatta?». Annuimmo sia io che Gabriel.
«È bellissimo», rispondemmo in coro.
«Io sto ancora progettando di farmelo, devo ancora pensare bene a cosa scegliere».
«Sono sicura che sceglierai bene», disse Sheila baciandolo sulle labbra. Io e Gabriel guardammo da un’altra parte, per lasciar loro un po’ di privacy.
«Noi diamo un’occhiata alla sala da ballo, ci vediamo dopo», disse Gabriel.
«Certo, abbiamo un sacco di cose da raccontarci. A più tardi», rispose Leonard. Riprese poi a discutere con Sheila per entrare nella sala delle torture.
Io e Gabriel entrammo nella sala da ballo, molto più grande ed affollata di quanto immaginassi. La musica era piuttosto alta, ma si riusciva a sentire se qualcuno avesse parlato. Tutte le decorazioni erano nere ed arancioni, mentre l’atmosfera era molto cupa, tendente al viola grazie alle luci posizionate in ogni angolo. Dal soffitto scendevano dei finti rami bruciati d’abete ed un insieme di pipistrelli, uno più grande dell’altro.
Halloween, pensai.
Il giorno dei morti e dei mostri, in cui la linea che separa il mondo reale da quello d’orrore era più sottile e facile da varcare. Chissà quante cose sarebbero accadute quella notte.
Solitamente durante quella festa andavo a caccia, o con mia madre o da sola, nel caso dell’anno precedente. E c’era sempre qualche vampiro più assetato del solito. Incrociai le dita per essermi concessa una giornata di tregua.
Faceva molto caldo, sebbene fossi abbastanza svestita nella parte superiore del corpo. Gabriel si sbottonò un po’ la giacca e tirò su le maniche. Io mi guardai in giro per vedere se riconoscessi qualche alunno.
Tiffany Baker aveva il vestito da catwoman, che cadeva a pennello sul suo fisico snello. La maschera le copriva la maggior parte del voto, ma i suoi occhi color cioccolato si notavano perfettamente. Aveva in mano un bicchiere di plastica e parlava con altre ragazze in un gruppetto di tre o quattro persone. Poco più lontano c’era la timida Rachel Wood, il viso rotondo incorniciato dai suoi folti riccioli che sembravano andare in fiamme sotto quelle strane luci colorate. Era vestita come Atena, la dea della caccia. Era molto, molto carina e la sua pelle pallida la rendeva ancora più simile ad una dea, con gli occhi azzurrissimi che risaltavano grazie all’abito bianco e celeste.
Purtroppo trovai anche Ashley Proud, mentre attirava più occhi possibile in un gruppetto di ragazzi. Era anche lei una favola, dovevo ammetterlo: vestita da Cenerentola, un classico. Aveva un lungo vestito bianco che sarebbe stato più adatto ad un matrimonio. Il corpetto di perline era leggermente sul panna e subito sotto partiva la gonna gigantesca, che obbligava le persone a starle qualche metro di distanza per non pestarla.
Tutti la guardavano ad occhi e bocca spalancata, come se il sole fosse appena sceso sulla terra e si fosse unito alla festa. Incredibile come riusciva a manipolare i sentimenti dei ragazzi, pensai. Appena incrociò il mio sguardo, sulle sue labbra comparve un sorriso beffardo, per niente simpatico. Mi voltai e trascinai Gabriel verso i banchetti con gli stuzzichini, cercando di nascondermi in mezzo alla gente. Non volevo affatto sentirla criticare il mio vestito. Anzi, non volevo sentirla e basta.
«Cosa c’è?», chiese Gabriel mentre lo tiravo ancora per il braccio. Allentai la presa per non rovinargli il vestito da re.
«Ashley Proud», dissi in un lamento, «non mi va di sentirla parlare».
Appena arrivammo ai banchetti, tirai un sospiro di sollievo perché non vedevo più il viso irritante della mia compagna di banco. Mi guardai ancora in giro, alla ricerca di qualche volto famigliare. Vidi il professore Tunner, vestito da marinaio, che stava discutendo con una donna, probabilmente una professoressa di qualche altro corso, vestita da Pocahontas.
Appena mi voltai, sentii la voce di Gabriel uscirgli dalla bocca in un sussurro strozzato, come se fosse stato colto di sorpresa: «L- Lucas?».
«È un piacere rivederti Vixen», disse il ragazzo. Uscii con la testa da dietro le spalle del mio ragazzo e subito m’irrigidii, aprendo la bocca senza lasciar uscire parole. «Anche te, Kimberly Drake», aggiunse con un sorriso.
«Lucas Thunderstorm?», chiesi scuotendo la testa. Era vestito da cowboy, col cappello in testa e gli speroni agli stivali.
«Che ci fai qui?», concluse Gabriel. Lucas era un ex compagno di squadra di Gabriel. Aveva ricevuto la borsa di studio nella scuola che frequentava Leonard per giocare a rugby da professionista. Anche il mio ragazzo aveva ricevuto la proposta, ma l’aveva rifiutata.
«Ehi è pur sempre una festa, no? Avevo sentito che Leonard sarebbe venuto a trovare Sheila. Così mi sono detto “Magari troverò anche Gabriel, dato che studia ancora a Londra”. Ma trovare anche te, Kim, mi stupisce. Da quant’è che state insieme? Tre mesi?». Accennò l’ennesimo sorriso da strafottente e subito socchiusi gli occhi.
«Cinque», corressi acida. Alzò le mani in segno di resa. O di scusa. Ricordai la volta che gli avevo tirato un pugno in faccia perché si era spinto troppo in là con le mani. Mi sentii fremere, come se avessi voluto ripetere la scena.
«E tu? Ancora un’anima solitaria?», chiese il mio ragazzo. Lucas scoppiò a ridere, obbligandosi a portare una mano sullo stomaco per far passare il dolore.
«Io mi diverto, al contrario di voi! Non m’incatenerò così facilmente».
«Certo, se lo fai nello stesso modo con cui ci avevi provato con me», dissi imitando il suo stesso sorriso. Lucas si trattenne dal ringhiarmi in faccia. Gabriel soffocò una risata, anche se al solo ricordo lo avrebbe preso lui a pugni al posto mio.
Si guardò poi in giro, come se stesse cercando qualcosa o qualcuno. «Beh ragazzi, io vi saluto. È stato un piacere rivedervi. Gabriel... Kim». Si toccò il cappello e scomparve in mezzo alla folla di studenti che si strusciavano l’uno sull’altro.
Le luci divennero leggermente più chiare e la musica era più lenta. Ancora abbastanza scatenata, comunque. Leonard e Sheila entrarono nella sala da ballo a braccetto, mentre tutte le persone, ragazze che guardavano lui e ragazzi che guardavano lei, si voltarono per seguirli. Si misero al centro, iniziando a ballare sotto gli occhi perplessi di mezza università. Mi trattenni dal ridere, coprendomi la bocca con la mano.
Gabriel si alzò in punta di piedi per cercare una persona dall’altra parte della sala. «C’è l’allenatore di rugby», disse tenendo lo sguardo fisso davanti sé.
«Vuoi entrare in squadra?», gli chiesi.
«Ho sentito dire che avevano bisogno di qualche giocatore. Un ragazzo si è infortunato e non sarà disponibile per tutta la stagione. Un mio compagno di francese mi ha chiesto se volevo unirmi a loro e mi ha detto di parlare col professor Wise».
«Allora vai, prima che non lo becchi più».
«Sei sicura?», chiese voltandosi verso me. «Insomma, non mi va di lasciarti da sola».
Sorrisi e scossi la testa. «In mezzo a tutte queste persone non potrei mai sentirmi sola. E non scappo da nessuna parte, non preoccuparti». Si avvicinò per darmi un bacio e poi vidi le sue spalle immergersi in quel mare di studenti, fino a quando non riuscivo più a seguirlo.
Rimasi a braccia incrociate davanti al banchetto, mentre alcuni ragazzi stavano sorseggiando coca e stavano assaggiando le pizzette. Due o tre alunne si fermarono a guardarmi, a non più di cinque metri da me, ma feci finta di niente. Non mi sentivo a mio agio, dovevo ammetterlo, e per colpa del corpetto mi sentivo i polmoni compressi. Quanto avrei voluto un paio di jeans ed una maglietta semplice.
Davanti a me ricomparve il viso odioso di Ashley Proud e non appena i nostri occhi s’incontrarono, si voltò verso di me.
La vipera pronta all’attacco, pensai. L’avrei semplicemente ignorata, come sempre.
Fece qualche passo veloce verso di me, tenendosi su gran parte della gonna da Cenerentola, ogni tanto sistemandosi il diadema in testa. Ma improvvisamente si bloccò, come se avesse appena visto un fantasma. Magari si è spaventata per un pipistrello finto, pensai ridacchiando.
Sentii poi l’allarme pericolo accendersi dentro di me, mentre qualcuno si era fermato alle mie spalle. «Sei sola?», chiese il ragazzo con voce sensuale e delicata come una piuma. Avevano suonato le campane?
Mi voltai e vidi gli occhi incredibilmente viola di Derek Santo fissarmi, mentre si scioglieva in un sorriso spontaneo e bianco come la neve dell’Alaska. Sembrava più colorito del solito, forse per colpa delle luci stroboscopiche, e i suoi occhi brillavano, punteggiati d’azzurro cielo. Come faceva un umano ad essere così bello? Il suo profumo poi era da capogiro.
«Derek, che ci fai qui?», chiesi ignorando la sua domanda.
Iniziò a ridere, abbagliandomi sempre di più. «È la festa di Halloween e sono tutti invitati. Non ho il permesso, per caso?». Scossi la testa, mentre il cuore martellava nel petto già schiacciato dal mio vestito rinascimentale. Sentii poi le mie guance chiazzarsi di rosso vergogna.
«No, non intendevo questo. È solo che non ti ho più visto questa settimana, ai corsi...».
«Sì, sono dovuto andare a trovare dei parenti in Italia», rispose guardando in aria. Che labbra scure, pensai. Mi ricordava mia sorella quando usciva dall’acqua e tremava dal freddo: erano viola. E in quel momento dava l’impressione di aver freddo. Vide che lo stavo fissando, incantata dalla sua inconcepibile perfezione, perciò mi sorrise. «Costume rinascimentale?», chiese.
«Sì», sbuffai, «pessima scelta». Derek inarcò un sopracciglio perfetto, nero come l’inchiostro.
«Dà l’impressione di essere scomodo».
«Non è solo un’impressione», dissi con una risatina isterica. Mi mancava l’aria. «E tu invece? Da cosa sei vestito?». Aveva una sottospecie di smoking, con una rosa rossa appuntata al taschino e un mantello nero sulle spalle, legato da un laccetto dorato che gli ricadeva sul petto.
«Io sono un vampiro», rispose continuando ad abbagliarmi coi suoi denti bianchissimi. Scossi la testa ad occhi chiusi, sollevando un angolo della bocca.
«No, non è possibile».
Aggrottò le sopracciglia, con una strana espressione dipinta in volto. «Perché?», chiese cambiando tono di voce. Sembrava confuso, ma allo stesso tempo divertito.
Mi feci seria e lo guardai dritta negli occhi. Mi mancò sempre di più il respiro, come se stessi affogando in quelle sfumature violacee. «Non esistono vampiri buoni».
«Beh», disse avvicinandosi, «devo dissentire. Io sono buono». Non riuscii a interpretare il suo sorriso. Mi limitai a fissarlo, cercando di ricordare ogni particolare del suo viso e dei suoi movimenti. «Hai un graffio sul collo», aggiunse poco dopo, con gli occhi puntati sulla mia gola.
Passai la mano sul taglio che mi aveva fatto il vampiro la sera prima, spostando lo sguardo da un’altra parte. «Non è niente», dissi tagliando corto.
Mi voltai e vidi Ashley Proud verde di gelosia, mentre stringeva i denti e batteva i piedi a terra, come una bambina. E cercava d’incenerirmi con gli occhi, per aver osato rivolgere la parola a colui che doveva essere suo.
«Sembra piuttosto irritata», sussurrò al mio orecchio, ridacchiando. Non mi mossi. Strano, l’allarme ora sembrava essere alle stelle, ma mi sentivo maledettamente rilassata. Guardai l’orologio appeso alla parete: era mezzanotte meno dieci.
«Non m’interessa nulla di lei. Non può decidere con chi posso parlare o no», risposi fredda come il ghiaccio. Ecco di nuovo la Principessa di Ghiaccio, pensai.
Non rispose subito, lo sentivo solo respirare accanto a me. «Comunque lo sapevo che non t’interessa», sospirò dopo un po’. Mi voltai e Derek si raddrizzò con la schiena, mostrandomi il suo sorriso sghembo da togliere il fiato. Già ne avevo poco, non mi aiutava molto così.
«E sai anche il perché?», chiesi.
«Perché odi le persone altezzose come lei». Piegai la testa su un lato, rendendo i miei occhi a due fessure.
Alzai le braccia e le lasciai immediatamente cadere sui fianchi, innervosita. «Ma sai tutto tu!», lo accusai.
Ridacchiò scuotendo la testa. «In realtà non so dov’è il tuo cavaliere». M’irrigidii. Cercai Gabriel girandomi solo con la testa e cercandolo nei dintorni, ma proprio non riuscivo a vederlo. Guardai ancora Derek.
«Era andato a parlare con l’allenatore di rugby e...».
«Quindi non gli dispiacerà se ti chiedo un ballo», disse senza assumere il tono di domanda. Lo guardai perplessa. Volevo ballare con lui, ma qualcosa in me diceva di no: il fatto che ero già fidanzata, forse? Annuii timidamente e Derek mi prese per mano. Le sue erano coperte con dei guanti bianchi, ma riuscii a sentire comunque che aveva la pelle ancora fredda.
Prima di ballare, alzò un dito per fermarmi. Prese la rosa dal taschino e me la infilò nello chignon che avevo tentato di fare. Mi prese poi per mano e iniziammo a danzare.
Tenevo gli occhi fissi su di lui, rendendomi ancora più impacciata del solito. Non ero una grande ballerina, lo dovevo ammettere, e la presenza del misterioso Derek Santo non migliorava affatto le cose. Mi lasciai guidare da lui, com’era giusto che fosse. Ogni tanto vedevo qualche faccia sbigottita intorno a noi, tra cui quella di Ashley Proud. Non riuscivo nemmeno a ridere talmente ero attratta dal mio compagno di danze.
Le sue iridi viola erano accese, come se stessero andando a fuoco. Ma le fiamme dei suoi occhi erano celesti, non rosse. E un’idea totalmente, assolutamente e consciamente sbagliata si stava formando nella mia testa.
Non è interessato a te, mi dissi pacatamente. È solo un ballo, tutto qui. Durante la festa di Halloween, dove sia io che lui siamo in tiro.
Il lunedì dopo, a scuola, saremmo tornate le persone di sempre. Io l’ammazza vampiri – creature misteriose e terrificanti da cui si era travestito lui – e Derek il normale studente appena trasferito dall’Italia, orfano e incredibilmente affascinante.
Non fece parola durante tutto il ballo, fino a quando non lo sentii sussurrare qualcosa a ritmo con la musica. Stava cantando a bassa voce la canzone, senza scollare i suoi occhi magnetici dai miei smeraldi.
La mia concentrazione si spostò sui suoi denti perfettamente bianchi e notai subito che aveva i canini piuttosto pronunciati. Non sembravano nemmeno finti, a dirla tutta. Però avevo già incontrato persone con una dentatura del genere.
Semplicemente in quel momento, dato che si era travestito da vampiro e aveva i canini affilati, mi sentivo più paranoica e confusa del solito.
I suoi occhi, per la seconda volta, iniziavano a diventare più scuri, o per colpa delle luci o perché non stava bene.
Vide che lo stavo guardando perplessa, perciò spostò la sua attenzione al di là delle mie spalle. Poco dopo andai a sbattere contro qualcuno dietro di me. Mi voltai e vidi Gabriel con una strana espressione sul viso. Lanciava occhiate veloci prima a me, poi a Derek. Rimasi imbarazzata davanti ad entrambi.
«Spero non ti sia dispiaciuto se ho rubato un ballo alla tua dama», disse cortesemente Derek.
«No, figurati», rispose con lo stesso tono pacato il mio ragazzo. «Posso riprendermela, ora?». Allungò una mano verso me ed io l’afferrai, provando una strana sensazione che non avevo mai sentito. Non riuscivo nemmeno a descriverla: era un misto di preoccupazione, angoscia ed eccitazione. Mi sentivo quasi febbricitante.
Guardai di nuovo verso Derek, che fece un inchino e si allontanò da noi, passando dietro le spalle di Gabriel.
Mentre ero abbracciata al mio ragazzo cercai di seguirlo con gli occhi e, nello stesso tempo, suonò la mezzanotte. Derek arrivò sulla soglia della porta, si fermò e rivolse un ultimo sguardo verso di me, mentre lo stavo ancora fissando da lontano. Accennò un sorriso e scomparve, lasciandomi completamente sola con Gabriel. La mia mente, però, lo stava ancora seguendo.
Perché, perché mi sentivo così? Avevo sbattuto la testa, forse?
Tutte le coppie ballavano il lento abbracciati, impedendo di farmi vedere bene le loro facce. Riconoscevo qualche alunno solamente dal vestito che portava. Tiffany e il suo vestito da catwoman era facilmente riconoscibile ed era abbracciata ad un ragazzo muscoloso, vestito da Zorro. La piccola e timida Rachel stava chiacchierando a bordo pista con alcune ragazze.
Esattamente quando scoccò l’ultimo tocco della mezzanotte, vidi un ragazzo che non avevo mai visto. Ballava con una ragazza rossa di capelli, piuttosto alta e magra, ma mi dava le spalle e non ero sicura di chi fosse. Forse Melissa Leinor, mia compagna al corso di inglese.
Vedevo perfettamente il ragazzo, invece.
Era biondo cenere, i capelli lisci e scompigliati, come se avesse appena litigato con un pettine. Era lontano, ma notai subito i suoi occhi celesti, più chiari del cielo più limpido che io avessi mai visto. Non capivo bene la sua carnagione per colpa delle luci colorate, ma sembrava piuttosto chiara. E la cosa più strana – perché era davvero strano che lo facesse – mi stava fissando, mentre sorrideva.
Solo dopo notai com’era vestito: aveva un abito dorato, con dei disegni rossi e blu scuro. Le braccia erano nude, così come i polpacci; aveva una corona in testa che gli copriva la fronte e gli schiacciava i capelli ribelli sulle tempie.
È identico ad un faraone, pensai.
Ebbi una velocissima visione ad occhi aperti, come se avessi vissuto un sogno, ma sveglia. Vidi quegli stessi lineamenti, più o meno lo stesso vestito e lo stesso sorriso, di un egiziano che abbracciava una ragazza, voltata di spalle verso me.
Il tipo mi aveva inchiodata con lo sguardo e la mia mente non riusciva a ragionare come avrebbe dovuto. Qualcosa, il mio sesto senso forse, mi diceva di stare attenta. Ma nello stesso tempo stavo ancora pensando a Derek Santo e a i suoi ipnotici occhi violacei.
Il ragazzo misterioso, ad un certo punto, tolse i suoi occhi dai miei e guardò in volto la sua dama, senza smettere di sorridere. Dio solo sapeva quanto fosse affascinante. Era normale che, quella sera, mi invaghissi di tutti i ragazzi che sorridevano?
Lei annuì e sparirono insieme dalla pista, andando verso l’esterno.
Appoggiai la guancia sulla spalla di Gabriel, lasciandomi dondolare da lui finché non fosse finito il lento. Intanto pensavo a Derek, come se avessi avuto il permesso di farlo.
Ashley era esattamente davanti a me, avvinghiata ad un ragazzo che non conoscevo. Anche lei nella mia stessa posizione, mi fissava arcigna, in segno di sfida.
Le persone non sono dei giocattoli, dissi nella mia mente. E tantomeno lo è la vita.
Quando finì il lento, un urlo straziante fece voltare tutti i presenti verso la porta che dava sul giardino. Arrivò una ragazza di corsa, l’aspetto terrorizzato e il trucco sbavato. La guardarono tutti perplessi, pensando che si fosse spaventata per qualche decorazione troppo realistica. Infondo era Halloween e le urla erano all’ordine del minuto.
Ma qualcosa nella sua espressione, nascondeva molto di più di uno semplice spavento.
«Ragazzi, aiutatemi!», gridò con voce stridula Samantha Rooney, agitando le mani. «Melissa, qui fuori! Non sta bene! Aiutatemi!».
Mi sciolsi dall’abbraccio di Gabriel e mi feci strada tra le persone. Alcuni mi guardarono confusi, poi qualche volontario mi seguì, rimanendo qualche passo più indietro di me.
Samantha ci guidò attraverso il giardino, portandoci sotto una betulla che si trovava a non molti metri dalla porta. Sotto l’albero, all’ombra, si trovava stesa Melissa Leinor, incosciente. Un profumo di fiori freschi mi aveva aperto i polmoni e notai li accanto un cespuglio di rose identicche a quella che avevo trovato sul letto in camera mia e a quella che mi aveva infilato Derek nello chignon.
Presi Melissa in braccio – era terribilmente fredda - dicendo agli altri ragazzi di farsi preparare un tavolo sgombro sulla quale la potessi posare. Tornai nella sala da ballo, senza musica e con le luci dei lampadari accese.
Gabriel mi venne incontro agitato. «Kim, che sta succedendo?», mi chiese.
«Non lo so».
Posai Melissa su un tavolo che mi avevano preparato e la sistemai bene. Alla luce era pallida come un cadavere, le sue labbra erano quasi bianche e s’intravedevano le occhiaie violacee. Qualcuno chiamò subito il 999, altri farfugliavano tra di loro.
Le misi due dita sulla gola: non c’era battito. Sentii poi che mi ero bagnata la mano, perciò la tolsi e osservai le mie dita: erano sporche di sangue.
Il mio cervello tornò a lavorare.
Sulla gola aveva due buchi rossi e poco più sotto aveva un taglio lungo almeno dieci centimetri, dalla quale cadeva ancora qualche goccia di sangue.
Alcune ragazze iniziarono ad urlare, mentre io non riuscivo più a muovermi. Gabriel mi allontanò dal corpo di Melissa e due ragazzi provarono a premere le mani sul suo petto, aiutandosi con la respirazione artificiale.
Mi girava la testa. Un mare di voci confuse era nel mio cervello, mentre cercavo di capire come tutto ciò fosse successo sotto i miei occhi.
Mi voltai per non guardare più il corpo inanime di Melissa e vidi quel ragazzo che – fino a poco prima – ballava con lei. Ora riuscivo ad intravedere la sua pelle chiara, quasi marmorea, leggermente più arrossata sulle guance. Aveva le labbra rosso scuro e gli occhi ancora più chiari. Si passò una mano sulla bocca, come per pulirsi, poi mi sorrise. Notai che all’anulare portava un anello simile a quello di Derek, dorato e col rubino rosso. Lo stesso rubino del sogno.
Senza pensarci due volte, presi la spada di Gabriel dalla sua fodera e iniziai a camminare velocemente verso quel ragazzo. Appena lo persi di vista iniziai a correre, mentre Gabriel m’inseguiva balbettando qualche cosa che non riuscii a capire.
Quando arrivai nel cortile... non c’era più.
Gabriel mi raggiunse di corsa e mi mise una mano sulla spalla. Non mi voltai e rimasi a fissare la nebbiolina davanti a me. Tenevo ancora la spada alta ed i respiri erano corti.
«Kimberly, cosa succede?». Il suo tono non era tranquillo come sempre e per di più mi aveva chiamata col mio nome intero. Mi scosse dolcemente finché non mi voltai per guardarlo; i suoi occhi erano terrorizzati, freddi, troppo scuri. Solamente in quel momento sentii i brividi corrermi in tutto il corpo, facendomi allentare la presa della spada e facendola cadere a terra. Gabriel mi strinse tra le braccia, infondendomi un po’ del suo calore.
Non riuscivo più a parlare o a pensare. Tremavo solamente e ribollivo di rabbia.
«La polizia sta per arrivare. Andiamo via o saremo bloccati qui fin quando non si sa», disse tra i miei capelli. Non mi opposi, ma lasciai che mi portasse fuori, nascosti con la giacca di Gabriel per non essere obbligati a rimanere al ballo e tornammo a casa.
  
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