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Autore: LOVE_sucks    08/02/2014    0 recensioni
Scrutatori, estremi, orditori e limpidi.
Sono una minaccia per la sicurezza del mondo o una salvezza?
Come può un segreto cambiarti per sempre?
Come può una ragazza non conoscere il suo passato?
Cosa si nasconde nel mondo in cui viviamo?
Quanto siamo disposti a perdere per conoscere la verità?
Nessuno è al sicuro.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiusi lo sportello della macchina con forza e questo si lamentò emettendo un fastidioso suono metallico che ribadiva la sua età avanzata. La macchina di mia zia era molto strana, esternamente si presentava come una vecchia mini rossa degli anni 90 o forse 80...non avrei saputo dirlo con estrema certezza. Comunque sia era decisamente molto in là con gli anni e delle scrostature della vernice sulla fiancata destra lo testimoniavano. Accomodandomi nel sedile notai che gli interni erano piuttosto moderni. I sedili erano foderati in pelle nera, la radio era stata sostituita con un modello più tecnologico, qua e là vi erano degli inserti di tessuto dai colori sgargianti come il verde smeraldo, l’azzurro cielo e il rosso fuoco, infine il volante era adornato da un simpatico orsetto bianco. Il tutto risultava piuttosto… stravagante. Tipico di mia zia Emily. Diciamo che stravagante era l'aggettivo che le si addiceva meglio. Con un altro tonfo metallico comparve una chioma rossa accanto a me e insieme a lei l'auto venne invasa da un forte odore di Cannella e...timo? -Allora? Emozionata per questo primo giorno?- Disse mia zia mettendo in moto la macchina e rivolgendomi un sorriso bianchissimo. Per un breve attimo rimasi a fissare quei denti bianchissimi e perfetti incorniciati da labbra rosso fuoco e un piccolo sentimento di invidia si fece largo nella mia mente al pensiero che non avevo ereditato nessun pregio dalla mia famiglia, né gli occhi azzurri tipici delle sorelle Hetfield, né i capelli di seta dorata di mia madre o i boccoli color fuoco di mia zia. Repressi quel pensiero all'istante. Dal tono di voce con cui aveva parlato mia zia si poteva intuire che era di gran lunga molto più eccitata di me. Avrei voluto dirle quanto ero terrorizzata all’idea di entrare a scuola e non trovare i vecchi volti delle bidelle che mi auguravano buongiorno con un’ aria stravolta e un sorriso tirato, o entrare in classe e non trovare i pallidi muri che tanto avevo odiato ma dai quali ora avrei tanto voluto farmi imprigionare, oppure non vedere i miei compagni. Non vedere Sheila. -Non mi pare una gran cosa- risposi invece con un mezzo sbuffo portandomi una ciocca riccia dietro l'orecchio. -Come no? Una nuova scuola, nuovi professori, nuovi compagni...- -...stesse scocciature- le labbra rosse di mia zia si curvarono in un sorriso e delle leggere rughe le di formarono intorno alla bocca. -Goditi questi anni tesoro perché non tornano più- -fortunatamente- aggiunsi io sbuffando nuovamente. Non riuscivo a capire come gli adulti potessero rimpiangere la scuola, le notti passate a studiare, le crisi di depressione, il fatto di sentirsi impotenti di fronte alla grandezza del mondo, o il fatto di non poter prendere decisioni importanti senza il consenso dei genitori... ‘genitori’. Il mio sguardo corse al ciondolo che portavo al petto. Era una sfera rotonda di argento e cava all'interno...beh lo era almeno. La strinsi tra le dita e il contatto gelido mi fece riacquistare un pò di lucidità. Sentii come una lieve scossa elettrica e lasciai all'istante la sfera metallica. -Siamo arrivati?- Chiesi a mia zia portando il ciondolo sotto la maglietta. -Non ancora. A dire il vero...siamo in ritardo- Frugai nella tasca del cappotto e trovai l'Ipod. Il display segnava le 7 e 50 e l'entrata era alle 8. -Quanto manca?- -Dieci minuti- ‘dannazione’ pensai tra me e me. Un ritardo il primo giorno di scuola non era proprio il modo migliore per fare impressione ai professori. O almeno non era il modo per fare una buona impressione. -Reggiti forte tesoro- disse mia zia spingendo con foga il piede sull'acceleratore. -Ora si balla. La scuola si presentava come un enorme edificio in cemento e vetro che emergeva da un parco verde pieno di aiuole di fiori rossi e bianchi e di pini verdi e rigogliosi. Salutai mia zia con un cenno della mano e la macchina parti a tutta birra scomparendo tra le strade di Boston. Guardai l'ora. 7 e 56. Mia zia aveva fatto un miracolo, dovevo riconoscerlo. Presi a correre per la stradina ciottolata facendo slalom tra i sassi. All'ingresso vi era una scalinata di marmo che doveva essere stata resa piuttosto scivolosa dall'umidità. Guardai di sfuggita i miei anfibi pregando che la suola di gomma mi avrebbe resa piuttosto stabile e mi avrebbe fatto mantenere l'equilibrio. Feci il primo scalino e quasi esultai per non essere scivolata ma non feci in tempo perché al secondo persi l'equilibrio e mancai il terzo scalino. Stavo per cadere all'indietro quando due mani mi afferrarono. Non potei non pensare a quanto forte potesse essere il mio salvatore per prendermi con tanta agilità e stabilità. Tempo di formulare questo pensiero che anche lui perse l'equilibrio. Cademmo tutti e due sull'asfalto. Un attimo dopo mi ritrovai sopra al mio salvatore. Aveva dei capelli castani tagliati corti ai lati e lasciati più lunghi in alto che gli si andavano ad arricciare un pò sulla fronte dove si schiarivano raggiungendo il biondo e quasi non fui presa dall'istinto di toccarli e arrotolarmeli intorno alle dita per testare se erano tanto soffici quanto apparivano. Notai subito che il ragazzo era molto bello. I suoi lineamenti erano regolari, ma non perfetti eppure c'era qualcosa in lui che lo rendeva più attraente della maggior parte dei ragazzi. Forse I suoi occhi...ma non per il colore no, per...per quello strano luccichio che vi era imprigionato, e quell'ombra che li incupiva e li rendeva misteriosi. Quegli occhi... come due pozzi di acqua cristallina verde smeraldo, senza fondo che... che mi fissavano. Ed erano spazientiti? Vidi il suo sopracciglio incurvato e mi risvegliai dalle mie fantasie. -So che vorresti stare tutto il giorno a contemplare quanto io sia dannatamente bello e sexy, ma se ti levi di torno mi faresti un gran piacere...mi stai facendo fare tardi.- Forse quello che vedevo nei suoi occhi erano solo vanità e superbia. -In realtà sei tu che mi stai facendo fare tardi.- Dissi alzandomi e cercando di levarmi un po di terriccio dalle ginocchia. Totalmente inutile. -Cosa? Io ti ho salvato la vita.- Disse portandosi una mano in volto con finta aria drammatica. –Comunque, se solo non mi fossi piombata addosso in quel modo principessina ora io...- -non farlo- -cosa?- -Chiamarmi così- dissi stringendo i pugni. Odiavo essere definita una “principessina”, non lo ero mai stata, anzi. Ero il tipo di bambina che non vedeva Barbie o aveva milioni di bambole totalmente uguali, no. Io adoravo vedere le Tartarughe Ninja o i combattimenti di Wrestling, e le poche bambole che avevo le vedevo più come super eroine che lottavano contro il male piuttosto che ragazze che si disperavano per sapere quale era la tonalità più alla moda da indossare per un appuntamento. Odiavo fare shopping, truccarmi, mettermi lo smalto o roba simile. Trovavo tutto ciò assolutamente frivolo e privo di interesse, e mi ero impegnata tutta una vita per sembrare l'antitesi della femminilità e ora arrivava lui e mi affibbiava quel dannato nomignolo. -come? Principessina?- Disse lui scandendo ogni singola lettera e assumendo una smorfia davvero irritante. Si era alzato in piedi e ora potevo ammirarlo in tutto il suo ego. Era un ragazzo alto poco più del metro e ottanta, aveva delle spalle larghe e la maglietta bianca attillata metteva in risalto la muscolatura sottostante. Le gambe erano lunghe e strette in jeans striminziti di tessuto aderente nero, e quando si piegò per raccogliere lo zaino, un muscolo gli guizzò sopra il ginocchio. Le braccia che calzavano in un giubbotto di pelle nera erano incrociate davanti al petto e in volto aveva ancora dipinta quell’espressione snervante. –Non ti azzardare a chiamarmi più in quel modo.- scandii ogni singola lettera in modo da fargliela rimanere conficcata bene in testa. Stavo per replicare. Avrei voluto dirgli che non avevo mai e poi mai incontrato un tipo tanto irritante, presuntuoso e montato di lui, quando vidi la sua espressione dissolversi dal suo volto, i lineamenti contrarsi come in preda ad uno spasmo e ogni singolo muscolo del suo corpo si tese sotto a quella seconda pelle. I tratti del suo volto che un attimo prima trasparivano spavalderia e arroganza, ora invece rendevano il suo viso cupo, intetrito da uno strano misto di agitazione e serietà. -Cos'è quello? la sua voce era seria e potei giurare che sembrava esser calata di due ottave. I suoi occhi erano fissi su qualcosa sospeso tra il mio collo e il mio petto. Il loro colore parve scurirsi più di quanto la natura umana avrebbe concesso, Seguii il suo sguardo. Vidi la sfera di argento che riflettendo i giallognoli raggi del sole splendeva di una moltitudine di colori. Evidentemente il ciondolo di mia madre era fuoriuscito dalla maglietta quando caddi a terra. -è una collana. Dissi in una scrollata di spalle con il tono più annoiato che riuscii a tirar fuori. -questo lo vedo. Replicò lui senza staccare gli occhi di dosso dal ciondolo. -ma chi te lo ha dato? Come fai ad avere una collana del genere? -l'ho avuto da... mi conficcai le unghie nei palmi. 'Puoi farcela' -l'ho avuto da mia madre. Ascolta vorrei stare qui a contemplare la tua bellezza e a parlare con te di vecchie collane e cimeli di famiglia per tutto il giorno, ma credo di essere in un ritardo pazzesco. Feci un passo verso l'uscita ma il ragazzo mi piombò davanti in un battito di ciglia e un istante dopo me lo ritrovai ancora troppo vicino. Con uno scatto repentino mi strappò la collana di dosso e la portò in alto alla luce del sole, e iniziò ad analizzarla. Sentii un brivido percorrermi la schiena. -lascia subito le ceneri di mia madre. -tua madre?! disse lui tra la sorpresa e l'agitazione -hai messo le ceneri di tua madre dentro un aracmo?? -un ara cosa?? Cosa stava farfugliando? Come aveva chiamato la mia collana? -senti... probabilmente quando sei caduto hai sbattuto la testa e ora hai perso il lume della ragione... ma vedi... il suono continuato e metallico della campanella mi perforò un timpano. Il ragazzo fece un leggero sobbalzò per la sorpresa, come se quel rumore assordante lo avesse riportato alla realtà. Approfittai di quell'istante in cui allentò la sua presa per sfilargli la collana dalle mani e dirigermi a grandi passi verso la segreteria. Infilai la collana dentro la tasca destra del giubbotto e ne estrassi il foglio dove era indicato il mio orario che mi avevano esplicitamente raccomandato di far vedere alla signora Roxanne. Cercai di stirarlo con le mani per renderlo un pò più presentabile quando una donna di un metro e novanta imcombè su di me. -lei è la signora Roxanne? La bocca si contrasse in un sorriso privo di emozioni. -signorina. -oh beh certo... signorina. La mia voce era un sussulto, smorzata dall'imbarazzo nei confronti di quella donna autoritaria. -fammi vedere. Con una mano mi prese il foglio di mano e portandosi gli occhiali sul naso iniziò a controllare il foglio. -mh.. aula di chimica. Ti accompagno io. Seguimi. Mi voltò le spalle e iniziò a camminare tra gli stretti corridoi della scuola. Odiavo gli spazi troppo angusti e per un attimo rimpiansi gli ampi e luminosi corridoi della mia vecchia scuola. Arrivammo davanti ad una piccola porta di acciaio e Roxanne bussò facendo risuonare le sue nocchie ossute sul metallo cavo. Poco dopo la porta si aprì rivelando un professore basso e paffuto con gli occhiali in bilico sulla punta del naso. -Lei deve essere la signorina Hetfield, vero? Disse socchiudendo gli occhi dietro quei fondi di bottiglia. La sua voce era altamente squillante e decisamente odiosa. Ad ogni modo non feci in tempo a ribadire 'Kim' che aggiunse:-primo giorno e già in ritardo? La prego prenda posto con un gesto seccato indicò I banchi. Roxanne le rivolse un sorriso tirato esattamente uguale a quello che aveva rivolto a me e se ne andò. Camminai tra i banchi sentendomi addosso gli occhi di tutti che mi scrutavano e mi criticavano, senza risparmiarsi mormorii e commenti decisamente poco carini sul fatto che ero quasi completamente sporca di terriccio. Colpa di quello sbruffone. Alla fine presi posto in un banco che si trovava in fondo all'ultima fila a destra. Gettai lo zaino dietro la sedia e mi sedei sperando di non dover intrattenere una conversazione con il mio compagno di banco. Fortunatamente quest'ultimo non sembrava minimamente interessato al mio arrivo preso com'era dai suoi appunti, e questo mi tirò un pò su di morale...nonostante tutto. Avevo bisogno dei miei spazi. Il professore si posizionò davanti alla lavagna dove erano disegnati legami chimici tra alcune molecole. Emisi un sospiro di sollievo. Avevo già affrontato questo argomento con la mia ex classe, circa un mese fa. Devo ammettere che erano un bel pò indietro con il programma. Il professore tossì due volte cercando di ottenere l'attenzione della classe, inutilmente. -come stavamo dicendo... fu interrotto da qualcuno che bussò rumorosamente alla porta con un ritmo incalzante e deciso. -E adesso cosa c'è?! La voce già troppo acuta del professore si alzò di un'ottava e con passi decisamente troppo lunghi per le sue corte gambe si avviò verso la porta. L'aprì con un unico repentino gesto. Appoggiato allo stipite, i capelli castani ordinatamente scompigliati, le poderose braccia incrociate davanti al petto, c'era il mio odioso "salvatore", insieme alla sua odiosa espressione che non lo abbandonava mai. -Signor McCallister, vedo che anche oggi siamo in ritardo eh? -Vede bene prese a fronteggiarlo lui, senza riporre quel suo dannato sorrisetto. -Non ci posso credere. Ringhiai tra i denti. -Devo dire che a primo impatto non si presenta molto bene. Il mio vicino di banco si era come risvegliato dal suo letargo e ora mi stava rivolgendo un grande sorriso a 32 denti -sono Kurt disse porgendomi la rosea mano. Era lunga e affusolata, sembrava quasi gracile e quando l'afferrai ebbi paura di fargli male. -Kim dissi cercando di ricambiare il sorriso. -in tanti lo definiscono arrogante... ma se lo conosci meglio... -è arrogante. Dissi tagliando corto. -e poi è solo uno sbruffone presuntuoso e... -Ed è mio fratello. Complimenti Kim, vedo che ci facciamo riconoscere sempre. -scusa io non volevo... iniziai cercando le parole adatte che non volevano venire fuori. Era così, quando dovevo chiedere scusa le parole mi si bloccavano in gola. -Non fa niente, anche io lo ritengo davvero insopportabile, a volte. Disse con tono rassegnato. Non potevo biasimarlo. Dover convivere con un essere del genere doveva essere insopportabile, sempre. -penso che dovrebbero farti una statua in tuo onore o farti santo o qualcosa del genere. Abbassò lo sguardo e prese a torturarsi le mani. -I miei non la pensano affatto come te. Stavo per chiedergli il perché quando il professore prese a guardarci e con un colpo di tosse per attirare l'attenzione prese a parlare -Visto che si permette il lusso di arrivare in ritardo, signor McCallister, vorrebbe spiegarci cosa è illustrato sulla lavagna? -un legame tra molecole. Disse lui con noncuranza. Il professore fece un verso insoddisfatto. -è un legame ionico, per l'esattezza. La mia voce fuoriuscì dalle mie labbra quasi come se avesse una volontà propria. -eccellente signorina Hetfield. Disse il professore con l'accenno di quello che doveva essere un sorriso. Non ero una di quelle ragazze troppo studiose, ma avevo una buona memoria e la mia ex professoressa aveva insistito quasi troppo sui Legami -si accomodi signor McCallister. Ringhiò il professore. Il ragazzo prese posto nel banco davanti a me, vicino ad una biondina che sembrò rianimarsi quando lui le rivolse un sorriso ammiccante. Sbilanciandosi indietro con la sedia avvicinò la bocca al mio orecchio. Il forte odore di menta mi aggredì quando parlò: -Vedo che hai studiato, principessina. Odiavo quel tizio, era ufficiale. Le mani iniziarono a fremere dalla voglia di conficcare le unghie in quel bel faccino. -Ti ho detto di non chiamarmi così, si può sapere che problemi hai?! -il mio problema sei tu. Da quando ti sei messa in mezzo al mio cammino non hai fatto altro che infastidirmi. E io odio essere infastidito. Avevo voglia di riversare su di lui tutto la rabbia racimolata in quei giorni, di sfogarmi con lui, come se potessi addossargli la colpa di tutto. Quando parlai la mia voce uscì in un urlo. -Tu ti sei messo in mezzo. Esci dalla mia vita, subito. I suoi occhi si sgranarono, probabilmente aveva capito che facevo sul serio. Stava per ribadire, fece per dire qualcosa ma non uscì un suono dalla sua bocca. Pensai che probabilmente era una delle rare volte che uno come lui rimaneva senza parole. Era come se tutt'intorno fosse calato il buio più totale. Ora c'era solo lui, davanti a me. Ormai non riuscivo più a trattenermi. Sbattei un pugno sul banco e alzandomi in piedi feci cadere la sedia. -farai meglio a non rivolgermi più parola o ne pagherai le conseguenze. McCallister, Hetfield dal preside. Ora. La voce stridula del professore risuonò nella stanza. Tenevo ancora gli occhi su quell'odioso e lo seguii quando raccolse lo zaino e si avviò verso la porta fin quando non scomparì dietro di essa. Quando entrammo nell'ufficio del preside ci accolse un signore di età piuttosto avanzata. L'uomo era seduto dietro una cattedra in legno scuro completamente spoglia se non per una targhetta dove c'era scritto preside Peterson. Aveva dei capelli brizzolati tagliati corti e un fisico possente. Nei suoi lineamenti non c'era nulla di delicato o vagamente femmineo, e nonostante la sua tarda età era ancora un uomo attraente, anzi il tempo sembrava addobbarlo come un albero di Natale. I suoi occhi indagatori si posarono su di noi come fosse dotato di uno strano potere secondo il quale la sua vista era a raggi x e poteva leggermi nella mente solo guardandomi. Sembrava più un generale della marina piuttosto che un preside. -Nathan evidentemente era quello il nome di quell'essere -Di nuovo nel mio ufficio? potrei metterti una targhetta vicino alla mia o attaccare un banco alla mia scrivania se vuoi. Sai, sarei quasi lusingato dalle tue visite se non fosse sempre così irritante vederti. soffocai una Risata e sentii si nuovo quel pesante sguardo di ghiaccio scrutarmi da cima a fondo, passando dai capelli neri che ricadevano in ciocche ricce sulle spalle, indugiando sui tratti del mio viso assolutamente normali e soffermarsi sui miei vestiti neri. Non ero una dark, ma adoravo i capi neri e mi sembrava inopportuno indossare altri colori in memoria della recente morte di mia madre. Comunque sia non portavo niente di così strano o particolarmente scandaloso. Indossavo una camicia nera e dei jeans aderenti dello stesso colore e infine I miei piedi calzavano in un paio di anfibi. -e lei deve essere la signorina Hetfield. Affermò in tono accusatorio. Trasalii quando incontrai i suoi occhi. Erano di un azzurro intenso e una sottile linea verde segnava l'iride. Tuttavia il mio primo pensiero non corse alla loro bellezza. C'era qualcosa di diverso. Erano vuoti, completamente. Non un'emozione sembrava incupirli, o illuminarli...niente. solo specchi colorati. -Già dal primo giorno ci hai dato modo di inquadrarla. Estrasse un pacco di cartelle e inizio a sfogliarle fin quando non prese la più grande e la sbatté sul tavolo. -aggressione ad un coetaneo. Continue proteste riguardo lo svolgimento delle lezioni. Linguaggio inadeguato in ambito scolastico. Astinenza dalle lezioni. Danni a materiali scolastici. Espulsione da due scuole. Devo dire che le sue imprese sono quasi degne del signor McCallister. Questo fece un sorriso compiaciuto e il preside lo guardò con disgusto. -Dovrò ricredermi sul tuo conto, principessina. Mi sussurrò Nathan in un orecchio. Di nuovo quell'odore pungente di menta mi aggredì l'olfatto. Lo guardai in modo truce cercando di fulminarlo con lo sguardo. Era così irritante. Tutto in lui dava a vedere che non era esattamente un bravo ragazzo, anzi che non lo era per niente. Aveva un anello sul sopracciglio destro e un orecchino gli pendeva dall'orecchio. Un ciondolo che prima non avevo notato gli spuntava tra i capelli. Era una saetta di metallo. Stravaccato sulla sedia inclinò la testa e guardando il professore disse: -allora? Qual'è la nostra punizione? Pronunciò quell'ultima parola come se non stesse aspettando altro, attendendo la reazione del preside, come un avvoltoio che ammira la lenta morte della preda assaporando ogni attimo di terrore. E lui era così. Una belva che si nutre della paura che semina. Poggiando tutte e due le mani sulla cattedra aggiunse -Bene signor McCallister, visto che è così impaziente di sapere qual'è la sua punizione sarò felice di accontentarla. Due ore di detenzione per lei e una per la signorina Hetfield. Si avvicinò a me sporgendosi in avanti e disse: -è fortunata che questo è il suo primo giorno alla Liberty high school altrimenti... Sentii il suo sguardo su di me bruciarmi e cercai una tana nella sedia. Dovevo smetterla di farmi soggiogare da quell'uomo. Mi alzai in piedi e mi diressi verso l'uscita. Arrivata sull'uscio mi girai per guardarlo dritto negli occhi. -altrimenti gli avrei procurato guai più seri.
  
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