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Autore: Aqua_    08/02/2014    8 recensioni
Vi siete mai chiesti quale sia il lato positivo dell'essere una fangirl - o un fanboy, anche se sono decisamente di meno. O meglio, vi siete mai chiesti se ce ne sia uno? Perché, ammettiamolo, andare a dormire alle quattro di mattina, dopo una maratona di Sherlock, e alzarsi due ore dopo non è proprio il massimo. Specialmente se quel giorno hai una riunione, anzi, la riunione, quella più importante dell'anno, e l'unica cosa a cui riesci a pensare è... no, scusate, non posso dirlo, magari non avete ancora visto l'episodio, e io non voglio fare spoiler.
Comunque, quello che volevo dire è che la vita di una fangirl non è affatto facile, anzi, tutt'altro. O no?
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Che cosa?» domando, basita, sperando che quello che ho sentito sia solo un'allucinazione. A essere sinceri, una parte di me, quella irrazionale, spera che non sia così, ma sto cercando di farla ragionare, il che è tutto dire.
«Ho detto che potresti baciarmi» ripete lui, tranquillamente, come se stesse dicendo una cosa più che normale.
«N-No!» balbetto, mentre la mia parte irrazionale cerca di far uscire un "okay" dalla mia bocca, che resta più che chiusa.
Il capo sembra sorpreso da quella risposta e solleva un sopracciglio, confuso.
«No?»
Scuoto energicamente la testa, cercando di farlo desistere, ma a quanto pare è abituato ad ottenere quello che vuole. Non che io sia sorpresa, diciamocelo. Cosa ci si può aspettare da una persona del genere?
«P-Perché no?» chiede, indietreggiando di qualche passo.
Perché, probabilmente, ti porti a letto tutte quelle che incontri.
Perché hai un centinaio di contatti femminili sul cellulare.
Perché, be', perché non avrebbe alcun senso.
«Perché non sarebbe giusto» rispondo, invece.
«Perché sono il tuo capo, Mills? Perché se è così, non c'è alcun problema. So tenere un segreto e, se vuoi che non si sappia, non si saprà» risponde frettolosamente, cercando di farmi cambiare idea.
«No, no, non è per quello» borbotto, anche se, in realtà, quel fattore incide non poco. È un cliché visto e rivisto, purtroppo.
«E allora dov'è il problema?»
Okay, non so a voi, ma a me sembra un pelino isterico.
«Il problema sei tu, okay?» sbotto, per poi pentirmene immediatamente dopo.
«Cosa?»
Ecco, lo sapevo. Devo imparare a tenere la bocca chiusa, una volta per tutte. Borbotto un "lascia perdere" e mi allontano velocemente da lui. Anzi, a essere sinceri, possiamo dire che inizio a correre, correre a più non posso, ignorando la voce di Robert che mi chiama. Corro fino a quando non arrivo sulla Marylebone Road, poi mi fermo. Mi pulsa la testa in una maniera indicibile e ho una gran voglia di mettermi a urlare. E anche di piangere, senza un motivo preciso. Voglio dire, non è che quello che è appena accaduto non sia un motivo, ma, normalmente, non reagirei così.
Cerco frettolosamente il cellulare nella borsa, compongo il numero e aspetto una risposta.
«Nat?»
«Vienimi a prendere, ti supplico. Sono all'angolo tra Park Crescent e Marylebone Road» spiego velocemente, appena prima di riattaccare. Sospiro e rimetto il cellulare nella borsa.
Aspetto una decina di minuti, poi vedo una macchina familiare avvicinarsi a me, e mi ritrovo a ringraziare l'ipotetico Creatore per aver creato una persona tanto buona con la sottoscritta.
«Martin, grazie al cielo!» esclamo, entrando in macchina e sbattendo la portiera più forte del necessario.
«Nat! Che diavolo è successo?» risponde l'uomo al volante, con tono allarmato.
«Te lo dico a casa» mi limito a dire.
Martin sbuffa, ma non replica. Evidentemente, ha capito che non è il caso di parlarne ora. Non che sia poi tanto difficile da capire, chiaro. Si vede che non ho voglia di parlare, non adesso. E poi, lui è il mio fratellone, sa che vuoterò il sacco non appena metterò piede in quella che lui si ostina a definire "casa" - ma che sembra più un asilo - quindi non vale la pena insistere.
«Devo chiamare anche Kyle?» domanda poi.
«Sì.»
«È una cosa grave, allora» scherza, cercando di tirarmi su il morale.
Vi spiego. Kyle è l'altro mio fratello, gemello, per la precisione, anche se è convinto di essere più grande della sottoscritta solo perché è nato trenta secondi prima di me. Di conseguenza, ad ogni compleanno, esigeva di spegnere le candeline trenta secondi prima di me, forse per farmi un dispetto, forse perché era davvero convinto che trenta secondi potessero fare la differenza. Tra l'altro, indovinate chi si è preso i geni della bellezza? Esatto, lui.
Se ve lo state chiedendo, no, non siamo solo tre fratelli. Quando siamo nati io e Kyle, i miei hanno avuto un'ulteriore sorpresa che, oggi, ha il nome di Joe. Parto trigemellare, esatto. Una bella sorpresa per la nonna, che voleva solo una nipotina da viziare - ovvero, la sottoscritta - e si è ritrovata altri due maschietti. Siamo una famiglia allargata, sì. Ho anche proposto ai miei di cambiare il nostro cognome in Weasley - visto che siamo tutti rossi - ma non hanno voluto, nemmeno quando ho proposto di usare Millsey. I miei genitori sono due babbani, esatto.
Va be', la smetto di annoiarvi con la descrizione del mio albero genealogico, anche perché ho la vaga impressione che quel diavoletto biondo di mio nipote abbia una gran voglia di farsi abbracciare. Per modo di dire, certo. Non si farebbe abbracciare nemmeno sotto tortura, non da me, almeno.
«Mikey, amore della zia, vieni qua!» esclamo, preparandomi ad inseguire la peste per tutta la casa.
«Prima devi prendermi!» risponde lui, scappando su per le scale.
«Cioccolata?» domanda Martin, pur sapendo già la risposta.
«Ovvio!» rispondo io, per poi seguire Mikey su per le scale.
Riesco ad afferrarlo appena prima che si nasconda dentro l'armadio della sua cameretta e gli stampo uno di quei baci odiosi sulla fronte.
«Zia!» si lamenta lui, cercando di divincolarsi, fino a quando non lo lascio andare. Scappa nuovamente giù in salotto e io mi affretto a seguirlo prima che il mio lato materno - quello che cerco di seppellire ogni volta che entro in questa casa - inizi a farsi sentire. Non fraintendetemi, adoro i bambini e voglio avere una famiglia molto numerosa, ma non adesso e, se voglio che la situazione rimanga inalterata, mi conviene uscire da questa stanza al più presto. Così, per sicurezza.
Scendo le scale facendo molta più attenzione del normale, visto che sono fermamente convinta che queste siano la versione malefica delle scale di Hogwarts. Insomma, sono caduta già tre volte, e non perché sia particolarmente imbranata. Probabilmente, le scale mi odiano.
«Allora, Nat, mi dici cos'è successo?» domanda poi Martin, quando, finalmente, arriva con il mio Tardis di cioccolata fumante. Tazza, scusate. È una tazza a forma di Tardis, che io chiamo solo Tardis. Tanto per risparmiare, sì.
«Be', allora...» inizio, ma vengo interrotta da tre ripetuti drin del citofono - perché, sapete, il citofono di mio fratello ha lo stesso suono di un telefono - che annunciano la venuta dell'altro fratello (anche se non si tratta di Gesù). Impiega la bellezza di dieci minuti per fare due piani di scale, anche se, probabilmente, ha preso l'ascensore. Non che io non l'abbia fatto, per carità, ma non ho mai impiegato così tanto.
«Qual è il problema, cozzetta?» esordisce, entrando in salotto e appoggiando - no, lanciando - la giacca sul divano, a meno di due centimetri dalle mie gambe.
«Se ti siedi te lo dico, caro il mio prostituto» ribatto, con la consapevolezza di averlo irritato. Volontariamente, certo.
«Non sono un prostituto, anzi, non so nemmeno se questa parola esista.»
«E io non sono un mollusco.»
«Avete finito?» domanda Martin, stizzito, cercando di interrompere quello che sembra essere il principio di un battibecco con i fiocchi e i controfiocchi.
«Scusa» borbottiamo all'unisono.
Non stupitevi, è una cosa che succede, uhm, ogni volta che ci vediamo. Lui mi chiama "cozzetta" e io "prostituto", è diventata una sorta di abitudine, così come il fatto che finiamo sempre per litigare.
«Dunque, cosa stavamo dicendo?» riprende il fratellone, togliendomi la mia (amata) cioccolata dalle mani per costringermi a parlare.
«Aspetta! Dobbiamo chiamare Joe» lo interrompe Kyle, prendendo il cellulare e componendo il numero di Joe alla velocità della luce.
Se ve lo state chiedendo, al momento Joe non è a Londra. Non è nemmeno in Inghilterra, se vogliamo dirla tutta. È, per qualche strano motivo che lui ha definito "di lavoro", in Russia. Non mi ha voluta portare con sé, nonostante sappia quanto io ami quel paese. L'ho pregato in tutte le maniere per, più o meno, due mesi, ma non è servito a nulla. Peggio per lui, perché, quando tornerà, troverà una bella sorpresina ad aspettarlo. Non posso dirvi altro, non sia mai che faccia spoiler.
«Sarà meglio per te che tu sia in punto di morte, Kyle, perché hai appena interrotto l'appuntamento più importante della mia vita.»
È la voce isterica di Joe a riportarmi alla realtà e a farmi ricordare perché, effettivamente, mi trovi in questa riunione di famiglia improvvisata.
«Natalie è incinta» ribatte Kyle, tranquillamente.
Strabuzzo gli occhi, stupita da quanto stupido possa essere quel ragazzo. Sto per spiegare che non è così, ma Joe mi interrompe.
«Co-Cosa?! Lo sapevo che non dovevo fidarmi, io. Natalie Mills, aspetta solo che torni a casa e vedrai... T-Ti chiudo in soffitta!» urla, ancora più isterico di prima.
«Non sono incinta, Joe, ma grazie per la comprensione» sbuffo, tirando un cuscino addosso a Kyle, che continua a sghignazzare come se niente fosse. Quando il cuscino lo colpisce, però, smette.
«Ah... Allora perché avete chiamato?» domanda poi Joe, senza nemmeno (ovviamente) scusarsi per avermi implicitamente dato dell’imprudente.
«È quello che sto cercando di capire anch'io» borbotta Martin, passandosi una mano tra i capelli.
Non prendetemi per una qualche sorta di pervertita, ma ho sempre pensato che i miei fratelli fossero estremamente sexy quando si passano una mano tra i capelli, Martin in particolare. Credo sia merito dei capelli rossi che, si sa, sono incredibilmente attraenti. Ecco, lo sapevo, non dovevo dirlo. Adesso penserete che io sia la versione sfigata di Cersei Lannister, ma non lo sono. Dico davvero. Insomma, non riuscirei mai a fare pensieri impuri su uno di loro! Certo, però, che se non fossimo imparentati... No. Devo stare zitta, prima che qualcuno mi faccia rinchiudere. Non mi stupirei, certo, ma preferirei evitare.
«Allora?»
Faccio un respiro profondo, cercando di capire da dove poter cominciare.
«Uhm, Martin... dov'è tuo figlio?» dico, provando a cambiare argomento. Inutilmente, devo dire, perché oramai mio fratello conosce tutti i miei trucchi.
«Di sopra, ma non cambiare argomento» risponde lui.
Sospirando, alzo dal divano e riprendo la mia tazza dalle mani di Martin.
«Allora, uhm...» inizio, dopo averne bevuto un sorso. «C'è un ragazzo, un gran bel ragazzo, devo dire...»
«Visto? Lo sapevo che c'era in mezzo un ragazzo!» esclama Kyle, interrompendomi. Per quanto la trovi una cosa irritante, devo ammettere che, in questo preciso istante, non mi dà alcun fastidio, anzi, potrei seriamente ringraziarlo per averlo fatto.
«Oh, Kyle, taci!» borbotta Joe dall'altro capo del telefono.
Kyle sbuffa, appoggia i piedi sul tavolino davanti al divano e mi fa cenno di continuare.
«Be', ecco, questo ragazzo ha, diciamo, provato a baciarmi.»
Lascio la frase in sospeso, aspettando la una qualche reazione da parte dei ragazzi, ma nessuno di loro dice o fa nulla.
«Avete capito cosa ho detto?» domando, stranita.
«Non vedo cosa ci sia di strano...» risponde Martin, tirando un sospiro di sollievo. Evidentemente, si aspettava qualcosa di peggio. «Voglio dire, quando mi hai chiamato, questa mattina, sembravi sconvolta.»
Oh, sai com'è, il mio capo aveva appena cercato di baciarmi. Un po' sconvolta ero, no?
«Il punto è che lui è il mio capo, Martin!» spiego, sentendomi leggermente innervosita dalla sua precedente affermazione.
«Fammi capire, Nat, il tuo capo ha cercato di baciarti e tu l'hai rifiutato?» domanda Kyle, mettendosi improvvisamente a sedere.
«È il mio capo, cosa avrei dovuto fare?»
Non faccio in tempo a finire la frase che Kyle inizia a ridere, seguito a sua volta da Joe. Come se ci fosse qualcosa di divertente, in questa situazione.
«Dio, la piccola Natalie ha paura di diventare un cliché.» dice, ridendo di gusto.
Gli ci vuole una decina di minuti per riuscire a smettere, ma, nonostante il mio broncio strategico, non smette di sorridere sotto i baffi – anche se no, non ha baffi, per fortuna.
«Natalie, stai parlando Hector?» domanda Martin, preoccupato – e chi non lo sarebbe, sentendosi dire che il capo ultracinquantenne della propria sorella ha provato a baciarla? Kyle, tanto per iniziare – e lanciando un'occhiataccia a Kyle, che smette immediatamente di sorridere e torna serio. Ah, come farei senza il mio fratellone?
«No, suo figlio. Lo conosco da due giorni, da quando Hector ha lasciato l’azienda» ammetto, arrossendo più violentemente del previsto.
«Du-Due giorni? Persino io faccio passare più tempo, prima di provarci con una ragazza!» esclama Kyle, sbigottito.
Visto che prima non l'ho ancora detto, lo faccio adesso. Kyle, il mio adorabile fratellino, è una sorta di spogliarellista-gigolò, motivo per cui l'ho soprannominato "prostituto". Svelato l'arcano. Non ve lo aspettavate, ammettetelo.
«Di' un po', com'è che si chiama?» continua Kyle, alzandosi e venendosi a sedere accanto a me.
«Robert. Robert Clarkson.»
«Quel Robert Clarkson?» domanda Joe, con voce preoccupata. Troppo preoccupata, per i miei gusti.
«Ho paura che sia proprio lui» ribatte Kyle, con tono grave.
«Cosa? Di che state parlando?» mi intrometto, cercando di capirci qualcosa.
«Non preoccuparti, Nat, ci siamo noi, ora.»
Okay, tutto questo è ridicolo.
Non ho la più pallida idea del perché Kyle abbia quel tono paterno e quell'espressione preoccupata stampata in faccia, quel che so è che mi sta nascondendo qualcosa, e io devo assolutamente sapere cosa.
E se si sta prendendo gioco di me, cosa che fa praticamente sempre, saranno guai.
Okay, non volevo suonare così minacciosa, ma ci siamo capiti.
   
 
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