Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Jane Ale    09/02/2014    3 recensioni
L'incomprensibile ironia del globo, ovvero come Evanna perse il senno per colpa di Will
Evanna Dawson vive felice con i genitori e la sorella minore. Ha due migliori amiche che adora, un ragazzo che ammira da lontano perché troppo timida per avvicinarsi, e un cane che non ama particolarmente. Ma poi arriva Will. William Reddington è uno dei tanti teppisti che la madre di Evanna cerca di aiutare. Così la famiglia Dawson si trova ad ospitare il giovane bullo nella loro dimora.
Cosa succederebbe se Evanna e Will fossero così incompatibili da non poter stare nella stessa stanza per più di qualche minuto? E se lei volesse sbattere fuori di casa "un brutto ceffo come lui"? E se lui la rendesse oltremodo acida e scontrsa?
Ma soprattutto, cosa succederebbe se Will non fosse così brutto e Evanna fingesse di essere acida? Strane cose stanno per succedere nella perfetta vita di Evanna Dawson.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'incomprensibile ironia del globo,
ovvero come Evanna perse il senno per colpa di Will

 

 

 

 

 

1. L'immane lotta tra bene e male


Erano le sette e trenta quando decisi ad alzarmi dal letto. Avevo lasciato che la sveglia suonasse per ben trenta minuti senza fare niente, poi mia madre era entrata e, con fare non proprio calmo e rilassato, mi aveva intimato di far tacere l’aggeggio che continuava ad emettere un suono noiosissimo. A quel punto avevo dovuto costringere il mio corpo ad alzarsi, vestirsi, lavarsi, afferrare la borsa con i libri e recarsi al piano di sotto per la colazione.

-Buondì!- salutai la mia famiglia già seduta al tavolo.

-Buongiorno Eve!- mi salutò mio padre imburrando la sua fetta di pane.

Mathilda, mio sorella, stava infilando tre dita nel barattolo della crema al cioccolato, ma mia madre fu più veloce e lo ripose nello sportello in alto.

-Smettila Tilly, hai già mangiato abbastanza cioccolato. Eve, vuoi le frittelle?- mi chiese.

-No, grazie mamma, mi basta una fetta di pane e il succo.-

Amavo la mia famiglia, per quanti difetti potesse avere, non l’avrei scambiata con nessun’altra. Mio padre, Jerry, era un dentista, uno dei pochi in città e, nonostante non potesse essere sempre presente, non aveva mai trascurato “le sue donne”, come ci chiamava lui; Sierra, mia madre, lavorava come assistente sociale in un grande centro culturale, sociale e amministrativo in città. Si trattava  di una novità, aperto da solo tre anni, il centro riusciva a dare assistenza e sostegno in vari campi non solo ai cittadini, ma anche agli stranieri. Ero molto orgogliosa del lavoro che mia madre e le sue colleghe svolgevano per la comunità. Poi c’era Mathilda, mia sorella: aveva 9 anni ed era convinta di essere una star famosa in tutto il mondo. Nonostante i suoi atteggiamenti da diva e la sua furbizia oltremodo sfruttata, le volevo bene e ci tenevo ad essere un buon modello per lei.  Infine Duff, il barboncino che girava per casa come il padrone del mondo e che io non riuscivo a vedere come simpatico “amico dell’uomo”, ma solo come una bestia pronta a sbranarci (sì, avevo attitudini melodrammatiche tendenti alla tragedia).

Perfetta a mio avviso. Era così che avrei definito la mia famiglia, perlomeno fino a due giorni prima. Ovvero quando il tizio è arrivato.

-Non scende?- chiesi alla mamma riferendomi a lui.

-Eve, non essere crudele, non usare quel tono. E no, non voglio svegliarlo, ha ancora bisogno di ambientarsi. Oggi pomeriggio ho un colloquio al centro, decideremo cosa fare.- mi rispose con quel tono comprensivo che usava quando si calava nella veste lavorativa.

-Mamma, ti rendi conto che potrebbe essere uno zombie assassino o un fantasma? Nessuno lo vede mai e non esce da quella stanza da due giorni!- dissi stridula.

-Però è bello.- disse Tilly.

Le lanciai un’occhiata torva. –Sei troppo piccola per fare commenti del genere e si capisce benissimo che i tuoi gusti sono ancora precari e non ben definiti.-

Mio padre fece un risolino, mentre la mamma alzava gli occhi al cielo. Non vedevano niente di strano nel fatto di ospitare un perfetto estraneo in casa, per lo più un perfetto estraneo con precedenti penali che non si faceva mai vedere. Lo avevo incrociato solo due giorni prima, quando era arrivato da noi con un borsone pieno di quelle che dovevano essere le sue cose. Era piuttosto alto, castano, con due enormi occhi azzurri. Non si poteva definire proprio brutto, ma non avrebbe mai battuto il mio amato Ian Somerhalder. Lo avevo salutato sforzandomi di sorridere (sotto lo sguardo minatorio di mia madre) e mi ero presentata, ma lui mi aveva appena guardata, poi si era voltato chiedendo dove fosse la sua stanza e da lì non era più uscito. La mamma continuava a portargli i pasti in camera, ma io mi ero accorta che la mia scorta di biscotti ai cereali e cioccolato era stata saccheggiata, motivo per cui avevo dedotto che, qualche volta, il ladro scendeva per rapinarmi. E il mio odio per lui aumentava.

Mi alzai dalla sedia e feci per andarmene, poi mi ricordai una cosa.

-Ah, mamma, il tuo ospite ha finito il mio dentifricio alla menta forte, non è che potresti ricomprarlo? E, casomai, spiegargli di usare l’altro bagno? Grazie, ti adoro.- le dissi avviandomi alla porta per non darle il tempo di ribattere.

Uscii in strada e mi avviai alla fermata dell’autobus (non mi era concesso utilizzare l’auto per andare a scuola, secondo i miei genitori non c’era bisogno di produrre ulteriore inquinamento per un tratto così breve), dove trovai Lisa. Io, lei e Jean eravamo amiche dall’inizio dei tempi e, nonostante tutti i litigi che avevamo affrontato dall’infanzia, eravamo unite come non mai. Lisa era un ragazza magra e slanciata, con occhi marroni e lunghi capelli biondi, ereditati dalla madre di origini svedesi. Jean, invece, aveva una cesta di capelli rossi e riccioluti e dei fantastici occhi grigi. L’una l’opposto dell’altra, ritenevo che le mie amiche fossero entrambe bellissime.

-Lis!- la chiamai.

-Eve, come va? Il tizio?- mi chiese conoscendo la mia avversione per quell’intruso.

-Segregato come sempre. Comincio a pensare che abbia qualcosa di strano.-

Lei rise. –Fino ad ora, invece, lo ritenevi una persona normale?-

-No, ma almeno credevo fosse umano.-

Chiacchierammo tranquillamente fino a scuola, dove trovammo Jean ad aspettarci.

-Buongiorno!- ci salutò schioccando ad entrambe un bacio sulla guancia.

-Come va?- le chiesi.

-Benissimo. Ieri sono uscita di nuovo con Aiden, è stato così gentile.- diceva non riuscendo a trattenere un sorriso enorme. Aiden era il ragazzo che Jean frequentava da due settimane, quando, finalmente, lui le aveva chiesto di uscire dopo giorni di occhiate e mezzi saluti imbarazzati.

-Ti ha baciata?- chiese Lisa facendosi riconoscere per l’attenzione al lato pratico di ogni situazione.

Jean arrossì leggermente. –Beh, diciamo che ci siamo baciati, sì.-

-Quindi l’hai baciato tu?- continuò la mia pazza amica bionda, alla quale non era sfuggita la correzione.

-Potrebbe essere!- rispose l’altra con uno strano sorriso.

-Jean!- trillammo io e Lisa.

-Ragazze, dopo due settimane qualcuno doveva pur provvedere.- e scoppiammo tutte e tre a ridere mentre camminavamo verso la nostra aula.

La prime due ore di lezione, letteratura inglese, con la professoressa Grant, passarono velocemente. Ero sempre stata molto capace in letteratura e il mio amore per la lettura e la scrittura mi avevano sempre aiutata. Al contrario della matematica: la odiavo con tutta me stessa, nonostante avessi ottimi voti.

La lezione successiva, biologia, sembrava non finire mai, così cominciai a mandare bigliettini alle mie amiche per passare il tempo che ci separava dal pranzo.

Il pranzo era il momento che preferivo in tutta la giornata scolastica, potevo mangiare, chiacchierare e…guardare. Guardare cosa? Le ragazze, i ragazzi, Dean…

Dean era il mio sogno: era un ragazzo alto, biondo, profondi occhi neri e addominali da non dormire la notte. Mi ero innamorata di lui la prima volta che l’avevo visto e per anni l’avevo ritenuto il perfetto principe azzurro. Naturalmente non avevo mai trovato il coraggio di rivolgergli parola, ero troppo suggestionata dalle oche impazzite che gli vorticavano attorno e dal suo charme. In fin dei conti era un po’ come un attore famoso: guardare, ma non toccare, solo alcuni avevano il privilegio di essere ammessi al suo cospetto. E io mi ero rassegnata a guardare.

Quando la campanella suonò, mi alzai di scatto.

-Andiamo?- chiesi raggiante.

-Scommetto che vuole vedere Dean.- sussurrò Lisa a Jean.

-Ovvio che voglio vedere Dean. Dai, vi prego! Voi avete sempre un maschione in carne ed ossa con il quale soddisfare i vostri occhi, io posso solo ammirare da lontano.- dissi facendo sporgere il labbro inferiore per sembrare più tenera.

-Anche lui è in carne ed ossa, Eve. E io non ho maschioni in carne ed ossa con cui passare il tempo.- precisò Lisa.

-Solo perché l’ultimo che ti si è avvicinato è stato scaricato dopo qualche settimana.- le dissi.

-Troppo smielato.-

-Lisa, trovare un ragazzo che ti rispetta e mostra di tenerci non è una cosa smielata.- disse Jean.

-Povera cara, si sta per innamorare. Dobbiamo trovare una cura.- asserì Lisa avviandosi verso la mensa.

Dopo aver preso posto al nostro solito tavolo, cominciai la mia scansione quotidiana: come sempre Dean era seduto a due tavoli di distanza da noi con i suoi amici del basket e qualche ragazza che era riuscita ad infiltrarsi. Una in particolare era solita sedersi con loro da qualche giorno e non mi piaceva per niente. Lisa mi aveva detto che faceva parte della squadra di pallavolo e si chiamava Pearl. Che cavolo di nome è Pearl? Fisico perfetto, capelli perfetti, labbra perfette. Accidenti al destino che non mi aveva dato un nome abbastanza strano per diventare una ragazza popolare al livello di Pearl!

Sbuffai. –La odio.-

-Non hai niente da invidiarle.- mi disse dolcemente Jean.

-Se non il fatto che lei con Dean non ci ha solo parlato.- aggiunse Lisa. Jean la fulminò.

-Che ne sai?- le chiesi malamente.

-Si vede.-

Che risposta era “si vede”? Non si vedeva per niente. Non vedevo nessuna scritta lampeggiante sopra le loro teste, dunque nessuno poteva affermare con certezza che fossero stati a letto insieme. Eppure il sospetto…

-Da cosa?- le domandai.

-Dall’atteggiamento di lei quando lui la guarda. Si vede che sono stati, per così dire, intimi e lei non fa niente per celarlo. Anzi, sembra quasi che voglia alludere a un bis.- mi spiegò Lisa.  La mia amica, come si è capito, aveva avuto diverse esperienze nel campo, al contrario di me che, ovviamente, sguazzavo nella mia privata piscina di ingenuità e imbranataggine.

-Oh.- fu tutto ciò che risposi.


Quando tornai a casa, mi lasciai cadere sul divano. Socchiusi gli occhi e decisi che dieci minuti di sonno non avrebbero fatto del male, per di più ero sola in casa, nessuno mi avrebbe potuto rimproverare. Appoggiai la testa sul primo cuscino che riuscii ad afferrare e mi rilassai. La mia mente stava vagando in un universo parallelo nel quale io e Dean ci incrociavamo nel corridoio, lui mi notava e, abbagliato dalla mia bellezza, mi chiedeva di uscire con lui; sognavo già il nostro primo appuntamento, il secondo, il primo bacio che mi avrebbe dato, ma un rumore proveniente dal piano di sopra mi fece drizzare. Un ladro? Un assassino? E io ero sola ed indifesa. Mi alzai ed afferrai il candelabro che si trovava sopra il caminetto e mi appostai dietro la colonna che divideva il salotto dall’anticamera dove si trovavano le scale. Il killer cominciò a scendere le scale rumorosamente, mentre il mio cuore batteva freneticamente dalla paura. Contai i suoi passi sugli scalini e, quando seppi che era arrivato all’ultimo, mi preparai allo scontro. Sinceramente, non sapevo nemmeno da dove mi fosse venuta la pessima idea di affrontare un probabile pazzo psicotico che si era introdotto in casa mia con mezzi illeciti per derubarmi o, peggio, uccidermi. Respirai profondamente e mi scagliai contro il killer. Stavo per colpirlo in testa e abbatterlo al suolo con la mia potenza, ma questo mi afferrò per il braccio.

-Che cazzo stai facendo?- mi gridò.

Alzai lo sguardo per vedere la faccia del mio aggressore e non potei fare a meno di sentirmi la persona più idiota sulla faccia della terra: il tizio, mi ero completamente, totalmente dimenticata della sua presenza in casa.

-Oddio, scusami! Cacchio, tizio, mi ero dimenticata.. Potevo ucciderlo, accidenti.- borbottai un po’ a lui e un po’ tra me.

Lasciò il mio braccio e mi guardò perplesso. –Tizio?-

-Sì, insomma..non sapevo il tuo nome..Non potevo certo inventare!- dissi mettendomi sulla difensiva.

-Prova con Will.- mi disse.

-Oh..bene. Will. E io sono Evanna.-

-Ti sei già presentata.- fu ciò che mi disse con un irritante tono di superiorità.

-Pensavo che fossi sordo.- lo provocai.

-No, ero semplicemente irritato dalla tua voce.- ghignò mentre i suoi occhi azzurri luccicavano. “Carini”, pensai, mentre una voce interiore mi correggeva con “Belli”.

-Brutto str..- borbottai.

-Dicevi?-

-Che sei uno stronzo!- gli urlai in faccia.

Rise. –Oh, che parolone. Se lo sapesse la mammina.-

-Mia madre ti ospita in casa nostra e tu osi prenderla in giro?- ringhiai.

-No, Sierra è una donna simpatica. Peccato che la sua primogenita non sembri neppure sua figlia.- e si avviò verso la cucina con quel ghigno schifoso stampato sul volto.

Guardai la sua schiena allontanarsi e parlai. –La guerra è appena cominciata, ti farò fuggire a gambe levate da questa casa.-

-Parli della guerra tra bene e male? Non impegnarti troppo, non hai speranze.- mi sorrise malignamente.

-Tu sei di sicuro il male.-

-Senza dubbio.- mi rispose trapassandomi con l’azzurro dei suoi occhi facendomi rabbrividire. Poi si voltò per andarsene. Poi, dalla cucina, mi gridò: -Ah, ti ho ricomprato il dentifricio, così non rompi a tua madre.-

Non lo ringraziai neppure. Salii in bagno, feci una doccia veloce e mi lavai i denti. Non avevo guardato la confezione del nuovo dentifricio, ma il sapore nella mia bocca era inconfondibile: schifosissima fragola. Lo sputai disgustata e urlai.

Ero troppo impegnata a vedere rosso per accorgermi che qualcuno, dall’altra parte della porta, ridacchiava divertito pensando al vantaggio che aveva appena guadagnato.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

Salve di nuovo,

per la seconda volta in meno di ventiquattro ore torno a tormentarvi. Il primo capitolo era pronto, quindi non ho resistito e ho deciso di pubblicarlo.

Spero vi piaccia. :)

Un bacione,

Jane

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Jane Ale