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Autore: Alex Wolf    09/02/2014    11 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose.     




“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia.
Perciò ama moderatamente: l’amore che dura fa così.”


-W.Shakespeare-

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Lanciai uno sguardo alle stelle che illuminavano la notte. Splendevano, mute e silenziose, e, sebbene sapessi che erano solo ammassi di gas informe, non potei fare a meno di domandarmi come dovessero sentirsi a stare così in alto, sole. Chissà se le riempiva il vuoto dentro, o se avevano sentimenti. Forse persino loro amavano, in un certo senso. Magari amavano la luna, che ogni sera d’estete vegliava al loro fianco sulla terra; o magari, molto più semplicemente, ridevano di noi, destinati a morire quando la felicità bussa alla nostra porta oppure vivere per sempre nel rimorso e nell’odio più totale.
La sala del trono di Gondor era vuota, a quell’ora tutti erano andati a dormire; in attesa della grande ultima guerra che si sarebbe tenuta davanti al Nero Cancello. Una mezza luna svettava tra le piccole luci stellari, mentre i suoi fievoli raggi entravano dalle finestre e illuminavano il pavimento, le mura e il trono, bianchi e neri. Le alte colonne nere reggevano il soffitto alto, qualche candelabro ancora acceso infondeva una luce spenta all’ambiente. Tutto sembrava messo in pausa, statico. Nessun rumore si alzava dall’esterno; persino i draghi avevano finalmente trovato pace, abbandonandosi ad un sonno risanatore, dopo aver banchettato con le carcasse degli olifanti rimaste sdraiate sul campo di battaglia. L’unico spostamento d’aria era causato dal mio respiro regolare. Poggiai una spalla ad una colonna liscia e poggiai le mani sul ventre, senza staccare lo sguardo dal cielo. Persino da sotto la stoffa riuscivo a sentire il calore della mia pelle e la linea accennata della pancia. Ormai era passato poco più di un mese da quella sera e avevo cominciato ad abituarmi a pensare a tutte quelle piccole cose che avrei dovuto fare finita la guerra: come comportarmi da mamma e smetterla di essere una ragazzina avventata e cocciuta. Ma un dubbio gravava su di me: ora che il mio cuore batteva nuovamente io ero immortale? Chiusi gli occhi e respirai profondamente, poggiando una tempia alla colonna fredda. Le mie dita continuarono ad accarezzare la pancia e il mio cuore a battere.
Stai bene? La tua mente è rumorosa, sai?  Turon s’intrufolò fra i miei pensieri, la sua voce potente mi fece aprire le palpebre e riprendere a respirare; non mi ero nemmeno accorta di aver smesso. Ingoiai un fiotto di saliva e passai una mano fra i capelli, prendendo lunghi fiati.
Scusa, mi dispiace averti svegliato. Mormorai e sentii la mia stessa voce rigida graffiarmi i timpani. Ero insicura e impaurita in quel momento, non sapevo nemmeno io com’ero riuscita a parlare così distaccatamente al mio guardiano.
Stai mettendo su la maschera da dura, per caso? Ringhiò in contrattacco il drago, e lo immaginai alzare la testa dalle zampe e digrignare i denti. Potevo udire la sua mente, eppure non mi era permesso di provare i sentimenti che provava lui. Non ti azzardare a mettere la maschera con me. io non sono uno dei tuoi stupidi amichetti bipedi: io posso leggerti nella mente, ragazza, e sapere a che pensi. Perciò, ora sputa il rospo. Il suo tono non ammetteva repliche. Ingoiai un altro fiotto di saliva a vuoto e scrocchiai le nocche. Dilatai la mente finché non udii forte e chiaro il suono di quella del dragone e rimasi muta per qualche secondo. Cosa gli avrei potuto dire? Quanto mi sarei potuta aprire con lui, sebbene fosse il mio guardiano? Un macigno enorme mi pesava sul petto; ero divisa tra dirgli mezza verità e tutta.
Ho paura. Le parole uscirono da sole dai miei pensieri, appena sussurrate. Ho paura di morire, Turon. Il mio cuore ha ripreso a battere e questo significa che sono  di nuovo umana, che la mia vita finirà fra qualche anno. Sarò costretta ad abbandonare Legolas e nostro figlio. Feci una pausa sentendo gli occhi bruciare e un silenzioso nodo stringersi attorno alla mia gola. Stavo realmente per piangere, sul serio? Io, che mi ritenevo un “cuore di ghiaccio” stavo per piangere così?  Non voglio lasciarli andare, dopo che ho lottato così tanto.
Tu desideri l’eternità, Eleonora. Ma, l’eternità è molto, molto tempo. Forse, una vita da umana sarà più completa e gratificante che una vita da elfo.
No, non è vero. Come potrò vivere in pace sapendo che potrei andarmene da un momento all’altro? La consapevolezza di lasciare chi amo sarebbe una maledizione per me. Voglio vivere, non voglio morire.
La morte, a volte, può essere come una sorella maggiore, sai? Ti prende fra le sue braccia e ti culla fino a farti addormentare equando ti svegli sei in paradiso, e vegli su chi ami dall’alto. La morte è una strada alternativa alla vita.
Io ho ucciso mia sorella. Ringhiai, e  al solo pensiero di Isil sentii le mani pizzicarmi.  Mi ha tradita e così ha pagato. Perciò, non voglio morire: non ci tengo a rivederla.
La vita immortale può essere triste, piena di rimorsi e delusioni sai? Continuò imperterrito sulla sua strada.
Non mi interessa, Turon. Voglio restare in vita, al fianco della persona che amo e di mio figlio e non  ambierò idea.
Lo so, sospirò rassegnato alla mia determinazione, e sfortunatamente avrai ciò che chiedi, El. Un drago è immortale, a meno che non venga ucciso prima, e così il suo guardiano. Sono come legati da un filo rosso: il loro legame è indissolubile. Le loro vite sono legate finché uno dei due non viene ucciso.
« El? » Sobbalzai, colta di sprovvista e mi voltai. Dall’ombra avanzò una sagoma, snella e alta. I lunghi capelli d’argento erano mossi e lasciati liberi sulle spalle, mentre la vestaglia bianca che indossava strusciava a terra; stretta in mano teneva una pergamena. Socchiusi le palpebre finché Fanie non passò davanti ad un raggio di luna e la pergamena brillò; era di un bianco pallido, sopra portava uno stemma verde e non era una pergamena ma una lettera. « Perché sei ancora sveglia? »
« Pensavo. Tu cos’hai in mano? » Mi staccai dalla colonna e avanzai verso di lei; le lunghe maniche della mia camicia da notte caddero e andarono a coprirmi anche le mani. Mi ero dovuta accontentare di quella per dormire, sebbene avessi chiesto un paio di pantaloni, e così ora dovevo fare a botte con lo strascico e la stoffa in più. L’elfa lanciò uno sguardo alla lettera stretta fra le lunghe dita e sospirò, allungando il braccio nella mia direzione. Tolsi la busta dalle sue mani e la rigirai fra le dita, osservandola con curiosità. Lo stemma era lo stesso dell’ultima lettera che avevo letto: un cerchio verde, con sopra incise le corna di un cervo.
Proveniva da Bosco Atro.
Alzai lo sguardo incontrando quello di Fanie e lei ingoiò un fiotto di saliva; era agitata. Rimanemmo ferme a osservarci, poi, con cautela, aprii la lettera e tornai a fissare le parole scritteci sopra.





Cara Fanie,

non so quanto tempo passerà ancora prima che io possa rivederti: forse non ci rivedremo più. Non so nemmeno quando e se ti arriverà questa lettera; il Re ha iniziato a far controllare tutta la corrispondenza, ignorando le lamentele del suo popolo, forse attende risposte da parte di Legolas o tue. Mi dispiace così tanto di averti tratta in quel modo il giorno in cui sei partita. L’unica cosa di cui mi rammarico è quella e di non averti baciato e detto che mi saresti mancata; perché mi manchi Fanie. Mi manchi ogni maledettissimo giorno. Mi manca ogni cosa che fai e non sopporto più la lontananza. Sono sempre stato troppo orgoglioso lo so, me ne rendo conto e ora me ne pento amaramente. Se solo avessi messo da parte quello stupido orgoglio e fossi riuscito a tenere testa a Thranduil ora ci sarei io al tuo posto, a rischiare la vita. Ma non ti sto scrivendo per questo: ti scrivo per farti sapere che sto arrivando, sto venendo a prenderti.
Non so quanto ci metterò, se riuscirò a trovarti e se mi vorrai ancora; ma sto arrivando Fanie. Ho tanti errori a cui devo porre rimedio ma tu sei la mia priorità. Aspettami.


Rìnon.


« Chi è Rìnon? » Riuscii solo a chiedere, alzando lo sguardo dalla carta. Fanie si portò una mano alle labbra e trattenne un singhiozzo, prima di scoppiare a piangere. Lacrime cristalline le solcarono le guance candide e piccoli singhiozzi riempirono la stanza. Mi guardai attorno, passandomi una mano dietro il collo e rimasi immobile, indecisa. Cosa avrei dovuto fare? Come mi sarei dovuta comportare? Dopo svariati minuti di indecisione mi convinsi a fare un passo avanti e passare le braccia attorno alle sue spalle, spingendola verso di me. La sua tempia si poggiò alla mia e i suoi singhiozzi  inondarono il mio udito. Mi faceva male vederla così fragile; lei che da quando l’avevo conosciuta non si era scomposta davanti a nulla, neppure suo fratello.
« E’… era il mio compagno, prima che Thranduil rovinasse ogni cosa. » Le sue braccia strinsero la mia vita e la sua testa si abbassò sulla mia spalla, il suo petto si abbassava a singhiozzi e le sue lacrime bagnavano la stoffa del mio pigiama. Oh, se solo fossimo state a casa mia in questo momento ci saremmo gettate sul letto a guardare la tv e ingozzarci di schifezze, tra cui il gelato. Se solo fossimo state ragazze normali, in un mondo normale avremmo superato ogni cosa con delle sciocchezze: ma non eravamo ragazze normali in un mondo normale e non risolvevamo le cose con delle sciocchezze. Noi eravamo due donne immischiate in una battaglia, pronte a combattere per la libertà degli altri. Non avevamo la possibilità di fare vite normali, non più ormai. « M-ma non s-sono qui per questo… » si allontanò asciugandosi gli occhi e si passò una mano fra i capelli. Rizzò le spalle e affilò lo sguardo, tornando la guerriera che conoscevo. « Sono venuta per parlare del piano d’attacco di domani. » La sua voce era nuovamente seria e sicura: ogni traccia del pianto di prima era scomparsa.
« Beh, non c’è molto di cui discutere Fanie.» Scrocchiai le nocche e incrociai le mani al petto.
« Intendi dire che non vuoi organizzare nulla:  un piano d’attacco, nulla? » Sbatté le palpebre sorpresa.
« Io ho un piano, Fanie: attacco. » Alzai le braccia in alto e mi stiracchiai, prima di sbadigliare leggermente. I miei occhi passarono in rassegna le finestre e il panorama dietro di loro: era ancora notte fonda e il sonno iniziava ad avere la meglio. « E, guarda caso, il piano funziona sempre. »
« Ma non ne esci mai senza un graffio. » Ribatté lei, arricciando il naso contrariata. I suoi occhi grigi erano taglienti e curiosi allo stesso tempo. Chissà cosa le frullava in testa in quel momento.
« Si, beh, è un prezzo che sono disposta a pagare. Perché alla fine ne esco sempre vincitrice, in ogni caso. » Sbadigliai ancora e mi strofinai gli occhi con i pugni, passandole accanto e superandola. « Buona notte. » Le augurai in procinto di svoltare l’angolo. « Ci vediamo domani. »
« Stiamo andando incontro ad un destino peggiore della morte. » Disse ad alta voce e io mi bloccai. Rimasi per qualche secondo ferma, ad osservare il corridoio buio davanti a me. Il battito dei nostri cuori rimbombava nel grande salone silenzioso, come un battito d’ali di un colibrì.
« Ho già incontrato la morte, Fanie ed ho vinto. » Risposi, osservandola da sopra la mia spalla per qualche secondo. « Non mi fa più paura. » Sebbene mentissi, perché avevo paura di morire, riuscii a far si che la voce mi uscisse decisa e sicura, come volevo apparire. Dopo averla risalutata ed aver camminato per le stanze della reggia ancora intatte, entrai nella camera che mi aveva indicato Legolas prima di uscire per andare in qualche posto con Aragorn e gli altri; erano andati a parlare con i pochi uomini rimasti, a discutere dei piani per l’indomani e a parlargli dell’intervento che avremmo fatto io e Fanie con i draghi, perciò non c’era. Chiudendomi la porta alle spalle mi diressi verso il letto e mi gettai sul materasso; brutta idea: era scomodo e duro e freddo. Mi girai su un fianco e passai una mano sotto il cuscino, chiudendo gli occhi. Sarebbe stata una lunga notte, fredda, in attesa del ritorno del principe di Bosco Atro. Rimasi in dormiveglia finché non sentii la porta aprirsi e richiudersi; solo allora, quando il materasso si piegò sotto il peso dell’elfo e le sue braccia mi circondarono mi sentii finalmente in grado di riposare. Non mi ero accorta di quanto avessi sonno e freddo realmente avessi finché non avevo sentito il suo calore scaldarmi. Mi voltai verso di lui e affondai il capo nel suo petto, respirandone l’odore fresco e pungente che tanto mi piaceva.
« Buona notte. » Lo sentii sussurrare, mentre il sonno m’imprigionava nei suoi meandri.

 




°      °

 




Il sole brillava già alto quando ci alzammo tutti.  Dall’unica finestra della stanza svettavano raggi di luce che trafiggevano l’aria, si allungavano sul pavimento e colpivano le nostre armature poste sulla panca ai piedi del letto. Mi alzai velocemente e legai i capelli come meglio potevo, grazie ad un elastico di fortuna. Tolsi la camicia da notte, mi lavai e corsi ad indossare gli abiti per la battaglia: stivali neri e alti fino al ginocchio, pantaloni dell’ennesimo colore, una blusa bianca e, infine, la corazza rossa e argentea che non ricordavo di aver mai raccolto dal campo di battaglia. Probabilmente Legolas doveva essere andato a cercarla quella notte, per riportarmela prima dell’ultima battaglia, che era alle porte. Ora non ci si poteva più tirare indietro, non c’erano più ne “se” ne “ma”: c’era solo il “vinceremo”. Strinsi l’ultima cinghia della corazza e mi voltai verso il mio elfo, che non aveva detto una parola da quando c’eravamo alzati; sorrisi inconsciamente. Era così fiero nel suo portamento, così… così lui.
« In bocca al lupo. » Sussurrai avvicinandomi, poggiando le mani sul suo petto. « Possa la grazia dei Valar proteggerti. » Sorrise e strinse le mie dita fra le sue, senza però toglierle dal posto in cui le avevo poggiate. Sentivo il suo cuore correre come le zampe di una gazzella e questo faceva si che anche il mio facesse lo stesso.
« Cormlle naa tanya tel’raa. » Disse in elfico. Non capii cosa intendesse, ma il suono era così melodioso che rimasi per un attimo incantata. « Lle naa vanima. » Aggiunse poi. Sorrisi e alzai un sopracciglio, in attesta di una spiegazione a quelle strane frasi melodiose. 
« Tu sai che io non parlo elfico, vero orecchie a punta? » Borbottai quando lui non disse più niente. Legolas sorrise, alzando gli occhi al cielo e una piccola risata gli scosse l’addome, facendolo fremere.
« Ho detto », iniziò a spiegare puntando gli occhi nei miei, « che il tuo cuore è come quello di un leone e che sei bellissima. » Socchiusi le labbra e strinsi la stoffa della sua maglia. Non c’era scherno nel suo sguardo, solo pura verità; riuscivo a leggere nei suoi occhi ogni cosa. Erano così limpidi che per qualche istante mi ci persi e la mia mente elaborò ogni ricordo facendolo tornare vivido come se l’avessi appena vissuto. Ogni ricordo, dal primo incontro all’ultimo, mi scaldò il cuore.
« Ti amo. » Riuscii solo a sussurrare. Forse era un po’ tardi per dirglielo: avevo avuto un anno per poterlo fare ma avevo scelto quel momento e non sapevo neanche io perché. « Vedi di restare intero, ti prego. O giuro che ti farò resuscitare per poi ucciderti con le mie stesse mani. » Tentai di sdrammatizzare, senza fargli capire quanto ci tenevo a lui e alla sua vita.
« E tu vedi di tornare viva. » Replicò, abbassandosi per baciarmi. Poggiai le mani sulle sue guance e intrufolai le dita fra i suoi capelli morbidi, alzandomi sulle punte per agevolarlo. Le sue mani strinsero il mio bacino con dolcezza, attirandomi verso il suo corpo. Socchiusi le labbra e gli permisi l’accesso alla mia bocca; la sua lingua accarezzò la mia con delicatezza.  Il mio cuor prese a battere come un la batteria di un concerto metal, e allora strinsi le braccia attorno al collo del ragazzo premetti di più le labbra contro le sue. Legolas sembrò apprezzarlo, perché rafforzò la presa sui miei fianchi fino a farmi alzare i piedi da terra. Sorrisi divertita e mi allontanai da lui un secondo per riprendere fiato; i suoi occhi azzurri da gatto brillavano, luci e famelici, sotto i raggi del sole. « Ti amo, anche io. » Mormorò, per poi rimettermi a terra. Sospirai quando tornai consapevole di quello che ci aspettava e gli accarezzai per l’ultima volta una guancia.
« Vinceremo. » Dissi decisa.
« Dobbiamo. » Replicò lui e ci avviammo verso l’uscita. « Oh, aspetta. » Si bloccò e tornò sui suoi passi, inginocchiandosi per qualche secondo sotto il materasso per poi riemergerne con qualcosa in mano: una lunga spada dall’impugnatura d’argento a cui mancava un braccio. « Questa è per te. Si chiama Orcrist e fu forgiata a Gondolin dagli alti elfi della famiglia di Re Elrond. Lui l’ha manda a te come augurio di buona fortuna. » Me la porse con cautela e io la presi, togliendola dal fodero. La lunga lama ricamata brillò sotto il sole e la pietra incastonata nell’elsa parve brillare come un stella. La riporsi nel fodero e legai quest’ultimo alla vita.
« Speriamo porti realmente fortuna. » Sospirai, tornando alla porta.

Il sole ci colpì dritti in faccia quando varcammo la soglia della stanza, rendendo i capelli dell’elfo bianco/argentei. Davanti a noi si estendevano le truppe di Gondor e Rohan; i pochi uomini rimasti stavano tutti sellando i cavalli e le loro armature scintillavano sotto il cielo limpido. Mi domandai come in una giornata così bella si sarebbe potuta decidere la sorte della Terra di Mezzo. Osservai quello che potevo, visto la forza del sole, finché i miei occhi non catturarono le sagome di Aragorn, Gimli e Fanie in disparte. Presi un profondo respiro e mi avviai verso di loro, con l’elfo alle calcagna. Quando li raggiungemmo tutti si voltarono a guardarci. Gimli strinse l’ascia fra le mani e mi sorrise felicemente: quella era la sua idea di “arrivederci”. Sebbene la trovassi molto poco amichevole, mi limitai ad abbassare di poco la testa, prima di rivolgermi ad Aragorn. I suoi occhi blu sembrarono velarsi di tristezza, sebbene le sue labbra erano curvate leggermente verso l’alto. Poggiai una mano sulla sua spalle e sorrisi, lui fece lo stesso. I nostri occhi rimasero incollati per qualche minuto, poi le sue labbra si socchiusero.
« Resta viva, mi mancheresti troppo se morissi. » Mi ordinò, stringendo leggermente la presa sulla mia spalla. Aragorn era diventato come un fratello maggiore per me durante quell’avventura e sentirgli pronunciare quelle parole fu come sentire un grosso macigno atterrarmi sopra il cuore e rotolare via. Trattenni le lacrime, che non sgorgarono mai in quel momento, e lo attirai a me in un abbraccio. Le nostre armature tintinnarono a contatto e brillarono nuovamente al sole quando ci staccammo.
« Lo stesso vale per te, mio re. » Ammisi. « Guida i tuoi uomini e vinci, noi ti aiuteremo per quanto ci sarà possibile. » Lancia un occhiata a Fanie, che annuì con il capo. « Ora, se volete scusarci », mi allontanai del tutto dal trio di uomini e affiancai l’elfa bionda, « i cieli ci aspettano. »
« Già, il fuoco per la distruzione di Mordor non apparirà dal nulla. » Aggiunse Fanie, poggiandomi le mani sulle spalle e indirizzandoci oltre le mura distrutte della città, dove Turon e Arme ci attendevano.




 

°     °

 





Turon fendette l’aria con le grosse ali nere e abbassò il volto verso la terra per osservare l’esercito di Aragorn. In lontananza riuscivo già a vedere il nero cancello, e l’occhio di Sauron che ci osservava; il rosso della sua iride già ci aveva puntati, e il l’urlo stridulo che produceva aveva iniziato a fendere l’aria. Digrignai i denti, tentando di non pensare al dolore che quello strano verso procurava alle mie orecchie e lanciai uno sguardo a Fanie. Anche lei, come me, stava tentando di resistere al dolore che suo fratello produceva. Il cielo si era oscurato di nubi grigie e l’aria era diventata pesante di zolfo: tutto era come l’avevo sempre visto e immaginato. Dietro il nero cancello, riuscivo a scorgere le immense armate di Sauron radunarsi, con le armi alzate al cielo e le bocche aperte da cui uscivano ringhi acuti.
« El! » Urlò Fanie, avvicinandosi quanto più poteva a me con il suo drago. « Aragorn ha fermato l’esercito, è ora di agire. »
« Che stiamo aspettando? » Domandai io. L’elfa sorrise e facemmo avanzare le cavalcature con velocità. Passammo sopra il Nero Cancello e molte teste si alzarono nella nostra direzione. Sentii qualche orco iniziare a gridare ordini agli arcieri: in poco tempo un mare di frecce iniziò a fendere l’aria, ma non arrivò mai a noi che volavamo troppo in alto. Al contrario, si alzavano per molti metri e poi tornavano a scendere verso il basso dove mietevano vittime. Si stavano uccidendo da soli, ma questo non sembrava fermarli dal cercare di ucciderci.
 « Fanie! » Urlai, sovrastando il rumore che quegli esseri facevano. « Fuoco? » Lei mi rivolse un’occhiata velocemente e scosse il capo; con un bracciò puntò la torre a cui eravamo dirette. Sapevo che il suo obiettivo era uccidere Sauron, ma se avessimo fatto fuoco avremmo risparmiato un po’ di fatica all’esercito oltre le mura.
Seguiremo il piano, ragazza. Intervenne allora Turon e la sua voce mi colse alla sprovvista. Rizzai  la schiena e mi aggrappai alla sella per restare in equilibrio.
Ma, se noi uccidessimo già qualcuno di quegli esseri forse…
Ho detto no, El. L’ultima volta che non hai seguito un piano il tuo guardiano è morto e tu hai dovuto convivere per un mese con l’animale che era rimasto in te. E in più, questa volta, se io dovessi morire moriresti anche tu e non torneresti più. Mi riprese freddamente, con un tono che non aveva mai usato prima d’ora con me. Irrigidii la mascella e chiusi gli occhi per un secondo, ragionando sulle sue parole. Era vero, l’ultima volta che non avevo seguito un piano il mio guardiano era morto: non volevo succedesse ancora.
Hai ragione: atteniamoci al piano.

Con velocità le ali di Titano si aprirono e, come due grosse vele, l’aria le gonfiò rallentandone la velocità. Tolsi i piedi dalle staffe, tentando di non cadere e m’issai sulla sella: davanti a me si apriva un varco profondo metri e metri. Se non fossi riuscita a saltare bene sarei precipitata nel vuoto di Mordor. Ingoiai un fiotto di saliva a vuoto e piegai le ginocchia. L’aria che tirava lassù era forte, ma più pulita rispetto a quella di prima, e per poco non caddi. Mi rimisi in equilibrio dopo poco e lanciai un occhiata a Fanie, che mi aspettava nel corridoio che conduceva alla sala del trono. Scrocchiai le nocche e iniziai a correre. Oltrepassai la sella e aumentai l’andamento delle gambe quando mi ritrovai sul collo squamoso del drago, poggiai per l’ultima volta il piede sulla testa di Turon e poi saltai. Allungai le braccia verso la ringhiera e ci mancò poco che non la mancassi. Il mio cuore batteva talmente forte che mi stupii di non averlo perso durante il salto, quando l’aria aveva schiaffeggiato il mio volto e i miei capelli. Il mio petto sbatté contro la dura roccia fredda e l’armatura vibrò. Presi a muovere le gambe per trovare un appiglio, ma come risultato riuscii solo a perdere la stretta di una mano alla ringhiera; con forza riuscii a issarla nuovamente e spingermi verso l’alto. Fanie strinse i miei polsi e mi tirò verso l’alto, in salvo. Atterrammo entrambe sul pavimento ruvido e freddo.
« Siamo davanti alla sala del trono, sbrighiamoci. » Mi disse, con voce già affannata per lo sforzo. Allora, ci issammo in piedi e voltammo entrambe il capo in direzione del Nero Cancello: le porte si erano aperte, la battaglia stava per iniziare. Per un istante mi domandai se Frodo fosse in viaggio verso il monte Fato, se fosse riuscito ad arrivare, poi mi levai la sua immagine dalla testa e tornai a seguire l’elfa.
« Restate in attesa qui! Se la torre crolla e noi non siamo ancora uscite, andatevene! » Gridai ai due draghi, mentre il rumore dei mei stivali rimbombava fra le pareti. Fanie, davanti a me, correva con velocità e i suoi capelli biondi le ondeggiavano alle spalle. Davanti a noi si ergeva la grande porta nera, la stessa porta che avevo oltrepassato svariate volte per molti motivi.  Fanie allungò un braccio e la spalancò con impeto, entrando nella stanza come una furia; la seguii. La prima cosa che riuscii a vedere fu il trono ancora distrutto che giaceva sul ripiano, le crepature del pavimento e i muri, le macchie di sangue a terra. Tutto sembrava essersi fermata alla sera della Luna di Sangue. Poggiai una mano su Orcrist e mi mossi cautamente, guardandomi attorno: tutto era muto e statico. Le tende rosse si muovevano col vento caldo e zolfato, ma di Sauron neppure l’ombra. Eppure, sapevo che era li da qualche parte, sapevo che c’era: sentivo la sua presenza. Era opprimente, quasi insistente; la sentivo sulla nuca, sulla pelle, dentro il petto.
« Tu dovresti essere morta! » Tuonò una voce all’improvviso, facendomi fare un giro su me stessa. « Io ti ho uccisa! Ho distrutto l’anello! » Gridò ancora e una nube di fumo si materializzò al mio fianco. Mi voltai velocemente ma lui fu più rapido: si smaterializzò e comparve alle mie spalle, stringendomi un braccio attorno al collo. Presi un bel respiro e gettai la testa all’indietro, colpendolo in pieno volto, e lo costrinsi a lasciarmi.
« Ho la pellaccia dura, dovresti saperlo. » Ribattei, impugnando la spada con una mano sola. I miei occhi analizzarono il suo viso: nel punto in cui l’avevo colpito aveva iniziato a uscire un rivolo di sangue scarlatto che andava a macchiargli la pelle candida e i vestiti neri.
« E’ una cosa che ho sempre amato di te. » Miagolò maleficamente, facendo un passo in avanti. Picchiettai le dita sull’elsa liscia e fredda e mi preparai ad attaccare ancora, ma Fanie si mise in mezzo. La sua spada si bloccò sotto la gola del fratello, graffiandola. «Ah, sorella! Sapevo che non ti saresti persa la festa. » La sua voce rauca si propagò per la sala del trono, e venne assorbita dai muri. Nei suoi occhi rossi passò una scintilla  che non riuscii a riconoscere ma di sicuro non annunciava qualcosa di buono.
« Avevo promesso di ucciderti con le mie stesse mani: mantengo sempre le mie promesse. » Ringhiò la bionda, spingendo ancora la lama verso la gola del fratello, che però non si mosse di un millimetro. Un sorriso strafottente gli animò il volto candido.
« Sai, anche qualcun altro non poteva resistere all’idea di partecipare. » Con uno schiocco di dita, poco più lontano da Sauron, apparve il corpo di un giovane elfo. Indossava dei vestiti verdi e marroni, come Legolas, ma i suoi capelli lunghi erano neri e la sua pelle macchiata di rosso. Fanie trattenne appena un urlo e lasciò cadere la spada a terra prima di gettarsi verso il ragazzo.
« Rìnon! » Strillò, poggiandosi la testa del giovane sulle gambe. « Ma cosa gli hai fatto? Mostro! » Gridò poi in direzione del fratello, che sorrideva malignamente. Osservai la scena per qualche istante, immobile e mi ricordai di quanto Fanie avesse pianto la sera prima per quel giovane. Per il suo compagno. Un odio profondo si diffuse, allora, nel mio corpo. Vagò dentro di me, aumentando la sua potenza man mano, crescendo. Stringendo ancora più forte Orcrist l’alzai in alto e, con un urlo liberatorio, mi avventai su Sauron. Colto alla sprovvista, il Signore Oscuro riuscì per un pelo ad evitarmi, senza però sfiorare la mia spada con una guancia. Quando mi girai per osservarlo, sulla sua guancia destra si era aperto uno squarcio dal quale colava un rivolo di sangue. L’uomo digrignò i denti e raccolse da terra la spada della sorella, soppesandola fra le mani.
 « Te la farò pagare. » Sibilò.
« Ti sto aspettando. » Risposi freddamente, lanciando uno sguardo di sfuggita a Fanie: era piegata sul corpo del giovane e le sue spalle sobbalzavano a ogni singhiozzo muto. Doveva odiare tremendamente suo fratello in quel momento. Accorgendomi che la lama di Sauron stava per colpirmi appieno saltai di lato evitandola e parai un attacco brutale che mi costrinse ad indietreggiare.
Le nostre lame s’incontrarono più volte, e il loro rumore metallico rimbombò nell’aria. Evitai un suo attacco, passando sotto la lama che graffiò la mia armatura, e girai su me stessa con l’intenzione di affondargli la lama in un fianco. Il colpò, però, andò a vuoto perché Sauron si eclissò nell’aria. Irrigidii la mascella e attesi la sua prossima mossa; poteva attaccare dove voleva, ma era troppo prevedibile. Feci in tempo ad abbassarmi che, la sua lama fendette l’aria sopra la mia testa. Purtroppo, persi l’equilibrio e mi ritrovai sdraia a terra: parai un suo attacco e ne evitai un altro rotolando; le braccia iniziavano a dolermi.
« Tu dovresti essere morta. » Strillò ad un tratto Sauron, parando un mio affondo e stringendomi una mano attorno al polso; quello con cui tenevo la spada. Il suo tocco incandescente mi portò a gridare, aprire le dita e lasciare che la lama cadesse. Sentivo la pelle bruciare e le gambe cedere sotto la pressione che Sauron mi faceva. Alla fine, fui costretta ad inginocchiarmi. Gridai ancora quando la punta della sua lama, dipo aver tagliato i lacci che tenevano stretta l’armatura, si posò sulla mia spalla e ne tracciò una lunga linea: la mia pelle si squarciò come carta tagliata da una forbice. « Ti avrei dato tutto, ma hai preferito lui. Ti avrei amata di più, ma tu hai scelto di amare lui. Ora, muori. » Puntò la lama al mio cuore e premette un poco.
« Sei un essere spregevole. » Strillò ad un tratto Fanie, alzandosi dal corpo di Rìnon. I suoi occhi erano freddi e ghiacciai e dalle sue dita stavano fuoriuscendo strisce di ghiaccio appuntite. « Muori! » Gridò gettandosi sul fratello come una furia. Entrambi caddero a terra, rotolando sul pavimento, e l’alfa riuscì ad afferrare Orcrist e issarla in alto per parare un fendete dell’uomo. Con una forza che non credevo avesse spinse a terra l’Oscuro e gli bloccò le braccia con le gambe, congelandogli le proprie. « Pagherai per tutto quello che mi hai fatto! Per tutto il male che hai fatto alla mia famiglia, ai miei amici e alla mia terra! Muori! » Strillò ancora e, con un solo colpo, affondò la spada nel petto di Sauron; ma, colta dalla rabbia, non si limitò ad un solo colpo: lo infilzò più volte con cattiveria. L’elfo gridò dal dolore inarcando la schiena e voltò la testa nella mia direzione. I suoi occhi di fuoco incontrarono i miei per l’ultima volta prima che le sue palpebre si chiudessero. La torre di Mordor prese a tremare e, con orrore, mi accorsi che eravamo arrivate alla fine. La battaglia era vinta, Sauron sconfitto, ma noi potevamo ancora morire. Tenendomi il braccio ferito con una mano, corsi dalla ragazza e la tirai su per una spalla. Stringeva ancora Orcrist fra le mani e delle lacrime salate le attraversavano il volto sporco di sangue.
« Andiamocene! » Strillai, stingendo un laccio della sua armatura fra le dita e iniziando a correre. Lei non si mosse. « Fanie! » Ululai nuovamente.
« Non posso abbandonarlo qui, ti prego. » Mi lanciò uno sguardo disperato e poi, porgendomi l’arma si diresse verso il corpo senza vita di Rìnon. Gli accarezzò la fronte con dolcezza e lo caricò fra le braccia. Poggiai nel fodero la spada e ingoiai un fiotto di saliva.
« Devi farlo. Non c’è più tempo, Fanie, dobbiamo andare. » Mormorai, continuando a seguire con lo sguardo la crepa che si stava creando sul muro nero.
« Lo porterò con me. » Ringhiò, passando le mani sotto il suo corpo. Tentò di sollevarlo ma era troppo pesante, così lo rimise a terra. Con mano tremante corsi da lei e la trascinai via, cominciando a correre più veloce che potevo. Lei si dibatté, gridò, imprecò e inveì contro di me e tentò di scappare alla mia presa: ma non ci riuscì. Poté solo saltare, quando la spinsi giù dalla torre, e atterrare sul dorso di Arme, che come d’accordo ci stava attendendo. Io, lanciai un ultimo sguardo al corpo morto di Sauron e respirai a fondo, stringendo la mano attorno al braccio destro ferito, poi saltai. L’aria schiaffeggiò il mio viso finché non mi trovai seduta sulla mia solita sella a cavallo del mio drago. Per la prima volta non mi sentii mai così in colpa e sollevata al tempo stesso: finalmente era tutto finito. Proprio mentre i draghi fendevano l’aria con le grosse ali di membrana e prendevano velocità, la torre di Mordor cadde spezzandosi in due.  Un forte urlo si propagò per l’intera valle e la battaglia si bloccò. Voltai il busto e la guardai cadere, mentre con lei se ne andavano alcuni dei miei ricordi più tetri. I muri portanti si schiantarono su se stessi e, in lontananza, il monte Fato eruttò maestosamente. Un onda d’urto si sprigionò nell’aria appena quella toccò terra e sospinse con forza i draghi in avanti. Io stessa fui costretta ad abbassarmi e reggermi come potevo alla sella di Turon. La terra sotto i piedi degli orchi cadde e con loro il Nero Cancello; quando lo sorvolammo Turon si permise di sputare fuoco nelle profondità degli abissi per poi ruggire e lo stesso fece Arma con il suo ghiaccio.
Oddio, Frodo e Sam! Strillai a me stessa, quando mi voltai a guardare il vulcano esplodere. La lava aveva iniziato a scendere come un mare rosso e bollente: quei due non potevano essersi salvati. Col cuore in gola, passammo sopra il piccolo esercito di uomini e le aquile ci vennero incontro. Sopra una di loro cavalcava un uomo dalle vesti bianche logore: Gandalf. Lo guardai volare via, verso il monte fato e nel mio cuore nacque una piccola speranza: Gandalf non partiva mai per nulla. Frodo era ancora vivo. Con una nuova, sebbene piccola, speranza ci dirigemmo tutti verso Gondor.

Turon atterrò con velocità e io saltai giù dalla sua groppa con altrettanto tempismo; ma, prima di potermi voltare, qualcuno mi afferrò da dietro e mi strinse forte. Mi abbandonai ad una risata schietta, girandomi nell’abbraccio e baciai con forza il mio elfo. Lui sorrise, stringendomi le braccia attorno alle spalle. Gemetti un poco a causa della ferita, ma poco mi importava: in quel momento stavamo bene tutti e tre, eravamo vivi. Salutai con altrettanto entusiasmo Aragorn, stringendolo a me come un fratello e persino Gimli che si dimostrò contento dell’abbraccio ricevuto. Strinsi a me anche Merry e Pipino, che gettarono le braccia attorno al mio collo con felicità; mi erano mancati quei due piccoletti. Fanie, al contrario, atterrò con leggerezza e silenziosamente eclissandosi quasi subito. La seguii con lo sguardo e spiegai agli altri quanto era successo nella torre. Legolas chiuse gli occhi e inspirò profondamente: Rìnon era suo amico, ed ora non c’era più; sapevo quanto facesse male quella cosa. Perdere un amico era un po’ come perdere un arto: ti sarebbe rimasta la cicatrice in eterno. Un segno incancellabile della sua presenza.

Quando Gandalf fece ritorno assieme alle aquile restammo tutti in attesa. Smontò dal dorso di una di queste e, dietro di lui comparve Sam. Senza nemmeno pensarci i due piccoli hobbit che prima erano al mio fianco corsero da lui, stringendolo forte.
Dov’è Frodo? Mi chiesi successivamente. Una terza aquila atterrò innanzi a noi e depose il portatore dell’anello a terra. Ingoiai un fiotto di saliva e mi avvicinai, come tutti, per poi inginocchiarmi di fianco il suo piccolo corpo. Notai, con orrore, che l’indice della sua mano sinistra non c’era più e che lui pareva privo di vita.
« Frodo? » Sussurrai. Con un gesto veloce il piccoletto alzò la mano, con il dito mozzato, e la strinse attorno al mio polso. Sobbalzai impaurita, ma quando incontrai i suoi occhi mi rilassai: non sembrava triste, solo stanco e sfinito e dolorante.
« E’ tutto finito? » Domandò con poca voce.
« Si. C’è l’hai fatta. » Lo lodai, accarezzandogli i capelli ricci e castani. Lui sorrise e chiuse gli occhi, sfinito.

Apprendemmo in seguito che ci sarebbero voluti almeno 9 mesi per ricostruire interamente Gondor e almeno altrettanti perché Frodo si rimettesse pienamente; così, dopo un attenta chiacchierata, io e Legolas avevamo deciso di intraprendere un nostro viaggio e tornare a Bosco Atro dove Re Thranduil attendeva il figlio. Restammo in contatto con  la compagnia, informandoli ogni mese sull’andamento della gravidanza e in attesa di loro notizie sulla ricostruzione di Gondor. Avevamo promesso ad Aragorn che non saremmo mancati alla sua incoronazione, così ogni giorno spedivamo una lettera al nostro amico che rispondeva prontamente.
La prima volta che misi piede nel Reame Bosco, ricordo, tutti gli occhi erano puntati su di me e sulla mia pancia che era cresciuta durante il viaggio a cavallo di Turon (avevamo scelto di viaggiare così perché i draghi sono molto più veloci dei cavalli e non necessitano di fermarsi praticamente mai. Perciò il viaggio era durato solo qualche settimana. ) Ricordo come gli occhi del sovrano mi avevano scrutata, freddi e distaccati, e di come le sue labbra si erano piegate leggermente verso l’alto alla vista di Fanie. E ora, che erano passati sette mesi dal mio arrivo li, lui non smetteva mai di sorridere alla sua vista sebbene lei l’odiasse per quello che le aveva fatto; non si era dimenticata il modo in cui le aveva detto che sarebbe stata costretta a sposare suo figlio, ribatteva sempre Fanie.




 

°    °





Legolas si passò una mano fra i capelli, poi sul volto e infine di nuovo fra i capelli, tirandoli questa volta. Aspettava fuori dalla sua stessa stanza da letto da quasi sei ore, quelle in cui la sua El era entrata in travaglio, e non era riuscito a distrarsi nemmeno un attimo. Ad un tratto un grido lo scosse dentro, facendogli alzare la testa di scatto. Suo padre, che stava comodamente seduto su una sedia che si era fatto portare sorrise dolcemente, abbassando la maschera di ghiaccio che portava ogni giorno. Legolas gli rivolse uno sguardo, per poi tornare ad osservare la grande porta ad arco verde. Altre urla percossero il corridoio.
« Stai calmo, Legolas. » Lo riprese divertito Thranduil, con quella sua voce decisa e divertita. « Andrà tutto bene, la tua compagna è forte: una guerriera. »
« Si, ma senti come urla. Gli sta facendo male… per tutti i Valar, ada. » Il giovane principe prese a scrocchiarsi le dita ad una ad una, e quel comportamento gli ricordo la sua compagna: lei lo faceva sempre quand’era nervosa.
« Legolas, è normale. Anche tua madre gridava così quando sei venuto alla luce e mi ha pure maledetto un paio di volte. Scommetto che anche la tua El… » prima che il re potesse portare a termine la frase un grido più forte arrivò alle loro orecchie, seguito da un: “ Giuro che ti strapperò le orecchie appena uscirò di qui, Legolas! ” che fece ridere Thranduil di gusto.
« Intendevo questo. » Il re continuò a ridere per qualche secondo ancora e, dopo essersi accorto della serietà del figlio, si ricompose. « Vedrai, figliolo, il tuo bambino nascerà forte e sano, e a giudicare dalla madre che ha persino cocciuto. » Tentò di tranquillizzarlo, poggiandogli una mano sulla spalla.
« Si, credo tu abbia ragione ada. » Sussurrò Legolas, portandosi una mano fra i capelli. Le urla continuarono per una buona porzione di tempo ancora, poi tutto calò nel silenzio. I due elfi si voltarono verso la porta che, ora, si stava aprendo e seguirono con lo sguardo Fanie: aveva la treccia scompigliata e le mani rosse segnate dalle dita dell’amica. Si soffiò su un ciuffo biondo, chiuse la porta alle sue spalle e sorrise a Legolas.
« Beh, sei padre. » Annunciò, sorridendo felicemente. « Ed, è un maschietto. » Continuò. L’elfo si alzò di fretta, il cuore che batteva a mille e abbracciò stretta l’amica. L’elfa ricambiò l’abbraccio velocemente, perché poi il principe l’abbandonò per intrufolarsi nella stanza. Nella foga, lasciò la porta aperta e si diresse senza pensarci al letto: sdraiata fra vari cuscini e sotterrata da una pesante coperta giaceva la sua compagna. I capelli castani stretti in una treccia sfatta e la fronte sudata. Quando incontrò i suoi occhi scuri vi lesse tanta felicità e stanchezza, e amore. Il principe le sorrise e le accarezzò la fronte, baciandola più volte su di essa, sulle guance e sulle labbra.
« E’ maschio. » Sussurrò lei, la voce affannata.
« Lo so. Lo so, El. » Mormorò lui, alzando la testa nella direzione in cui la levatrice stava fasciando loro figlio.
« Ah, ho vinto io. » Scherzò lei, issandosi sulle braccia e gettando la schiena contro la testiera del letto coperta di cuscini. Proprio in quell’istante una giovane elfa le si fermò accanto e le porse una coperta azzurra. La guerriera la prese e la spinse con dolcezza contro il suo petto, gettandone un lembo dietro la testa del piccolo, per accarezzagli i pochi capelli biondi che aveva. « Haldir. » Sussurrò appena, alzando il viso verso il suo compagno.
« Haldir. » Confermò Legolas, sdraiandocisi accanto e baciando sulla fronte il piccolo.




 

°       °






Poggiai la fronte contro la spalla di Legolas e ispirai il suo profumo. Mi doleva ogni parte del corpo e la gola bruciava, ma ne era valsa la pena per tenere in braccio quel fagottino che ora si muoveva leggermente. Gli accarezzai una guancia e Haldir strinse la manina attorno al mio dito, voltandosi verso di me con gli occhi aperti.
I suoi occhi.
I suoi occhi erano di un azzurro così chiaro che sembravano ghiaccio ed erano contornati da un piccolo cerchio nero. Erano meravigliosi, e sembravano quelli di suo padre. Socchiusi le palpebre e lasciai che Legolas lo prendesse in braccio, poco prima che io mi addormentassi sfinita.

 

 
°    °






Due mesi dopo eravamo nuovamente a Gondor, e con noi, assieme a Fanie, c’erano persino Thranduil e Haldir. La prima cosa che avevamo fatto arrivati nella città dei Re era stata quella salutare tutti, dal primo all’ultimo, e poi di andare da Frodo, che ha detta di Gimli, si era appena risvegliato.

« Ciao Frodo, ti vedo bene. » Gli sorrisi, abbassandomi al suo livello. Il piccolo Hobbit mi osservò per qualche istante, poi mi strinse le braccia al collo e io cinsi la sua vita con una mano.
« E tu sei stupenda: la maternità ti dona. » Mi disse lui, osservando il mio bambino con la faccia inclinata verso destra. Un sorriso nacque sul suo volto e su quello di tutti gli altri quando Haldir aprì gli occhi, risvegliatosi dal sonno in cui era caduto, e sorrise con la sua boccuccia senza denti. Iniziò a muovere i piedini quando Gimli lo prese in braccio con un po’ di timore e Legolas gli insegnò come fare. Erano proprio un bel duetto quei due, mi ero dimenticata com’era vederli assieme.
« Frodo ha ragione: la maternità ti dona. » Mi sorrise Aragorn, affiancandomisi. Gli rivolsi un occhiata di sfuggita e sorrisi, senza togliere gli occhi dalla scena di Legolas e Gimli.
« Grazie, mio signore. » Risposi, mordendomi le labbra.
« Mi sei mancata, sai? » Aggiunse lui, facendo cadere tutte le mie barriere.
« Anche tu! » Esclamai stringendolo in un forte abbraccio fraterno, che mi fece scuotere tutte le ossa.


I momenti a seguire furono quelli che conoscete tutti: l’incoronazione di Aragorn e il suo ricongiungimento ad Arwen (grazie all’intervento di Legolas), l’amore che si era scatenato fra Faramir ed Eowyn e l’inchino davanti ai giovani hobbit avventurieri: Sam, Merry, Pipino e Frodo. L’inizio della quarta era della Terra di Mezzo.
Ma, se vi state chiedendo com’è finita la mia, di storia, posso dirvi che si è conclusa bene: ho accanto a me la persona che amo e mio figlio. Sono circondata da buoni amici e, sebbene abbia dovuto rinunciare a Gandalf e Frodo che sono partiti con gli elfi per le terre immortali quattro anni dopo l’incoronazione di Aragorn, continuo a volare con Turon fra i cieli.  Ogni tanto ho nostalgia di casa, di mia madre e mio padre, ma poi penso a quello che ho costruito qui e questa scompare.
Fanie invece, al contrario mio, ha deciso di partire e viaggiare per la Terra di Mezzo in cerca di nuove avventure, ma mi ha promesso che sarebbe tornata a Bosco Atro a trovarci un giorno o l’altro.
Non c’è più molto da sapere su di me, adesso. La guerra è finita, ma non passa giorno in cui io non ricordi il dolore e la gioia che ho provato durante il suo corso. Ogni tanto il petto mi brucia, a causa della cicatrice,  così come quella che ho sul braccio, inferitami da Sauron; ma non ho rimorsi. Non tornerei indietro per cambiare nulla: perché quello che è stato mi ha portato ha quello che è oggi.
La mia avventura è finita, ma la mia vita è appena iniziata. Ma, chissà, forse un giorno sarà pronta per un’altra avventura.

 

 

Hey peipe!
E così siamo giunti alla fine di questa trilogia. Dannazione, non ci posso ancora credere! Cristo, ho passato quasi 2 anni a scriverla ed è finita. Non posso crederci.
Ringrazio tutte le ragazze che l’anno seguita e recensita, lo apprezzo davvero molto.


Ringrazio soprattutto:
Viviana, Giulia, Chiara, Laura, Paola e Chiara.


Grazie di tutto. Grazie per avermi sostenuta.

 

Siete Fantastiche.

  
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