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Autore: Neverland98    12/02/2014    2 recensioni
[Dal capitolo 9]
La porta si aprì lasciando entrare una luce accecante che la costrinse a chiudere gli occhi, “Finalmente”, pensò, “Sono libera!”.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ahia, mi fai male!” sbottò Elsa.
“Stai ferma, ho quasi finito!” replicò Bruce massaggiandole la caviglia. “Certo che te l'ha conciata bene!” la prese in giro.
Lei gli allungò un calcio nelle costole con quella stessa gamba. Erano seduti sul divano, Elsa aveva la gamba destra stesa sulle gambe di Bruce.
“Scommetto che non avresti trattato Mia così!”
Bruce la fisso in trance. Elsa aveva buttato lì quelle parole senza nemmeno riflettere e ora se ne stava pentendo amaramente.
“Che hai detto?” Bruce la trapassò con lo sguardo.
Elsa si morse il labbro e incrociò le braccia sotto al seno, ormai il danno era fatto: “Ho detto che non avresti mai trattato Mia così!”
“Che centra Mia adesso?” riprese lentamente a massaggiarle la caviglia.
“Non lo so, penso solo che tu sia stato molto più dolce con lei...”
“E io penso che lei non si sarebbe mai fatta slogare una caviglia dal primo giapponese che le attraversva la strada!”
Elsa sentì un tuffo al cuore. Aveva intuito che quella Mia le fosse superiore, ma sentirlo dire da Bruce era tutta un'altra cosa.
“Primo: non era un giapponese qualunque, ma un campione di arti marziali. Secondo, la tua Mia era un'agente, io no. E terzo: lei sarà pure stata una campionessa, ma io sono ancora viva e lei no...”
Bruce smise di colpo di massaggiare.
“Ripeti...?” le ordinò minaccioso.
Elsa si diede mentalmente della stupida. Doveva contare fino a cinquecento, prima di parlare.
“Niente...” abbassò lo sguardo.
Bruce scattò in piedi e fissò Elsa negli occhi: “Non ti azzardare mai più a dire una parola su Mia, chiaro? Lei era una persona speciale, stupenda! Tu non la conoscevi, non puoi giudicarla e soprattutto non varrai mai nemmeno la metà di quello che valeva lei!”
“Sei stato molto esauriente, Bruce” Elsa pensò che una pugnalata avrebbe fatto meno male. Si mise in piedi ignorando il dolore alla caviglia, e si avviò lentamente verso il piano di sopra.
Bruce l'afferrò per il polso: “Aspetta, Elsa, scusa.” mormorò con gli occhi bassi. Lei si strinse nelle spalle e abbozzò un sorriso: “No, scusami tu. Non so che mi è preso...”.
“Credo che ci siamo feriti abbastanza, per oggi!” anche Bruce sorrise. Rimasero un po' in silenzio, con lo sguardo basso. Le parole erano un ostacolo insormontabile.
Poi Bruce fece qualcosa che sorprese Elsa, la prese in braccio e la trasportò fino al piano di sopra.
“Che fai?” gli domandò.
“Non puoi camminare con quella caviglia. E poi è tardi, sei stanca. Hai bisogno di dormire...”
Elsa gli circondò il collo con le braccia e vi nascose il volto, sospirando.
Bruce la trasportò nella sua stanza e l'adagiò sul letto. Elsa aveva ancora indosso il kimono e la treccia disfatta. Reclinò la testa all'indietro, affondandola tra i cuscini. “Mi dispiace per prima” ripetè piano. Bruce sospirò e le si sedette accanto: “Anche a me.”
Elsa lo guardò uscire dalla stanza, senza neppure provare a fermarlo.
Si stese prone, fissando il soffitto bianco. La lampada pendeva drittissima e Elsa non aveva la forza di muoversi.
Mia.
Mia.
Mia.
Sospirò e si girò di lato, raggomitolandosi su sé stessa. La seconda scelta, ecco quello che era, che era sempre stata.
Fuori dalla finestra il sole tramontava tingendo il cielo di tutte le tonalità dell'arancione. Elsa si mise a sedere come un'automa e poi si alzò abbastanza da vedere una cosa che non aveva mai visto prima. Sul comodino opposto, incorniciata d'oro, la foto di Mia.
La afferrò con entrambe le mani e la osservò per bene. Non ci aveva mai fatto caso. In fondo il tempo che trascorreva nella sua camera da letto lo passava dormendo o con Bruce. Questa volta, invece, era pomeriggio e lei non aveva sonno, si era guardata intorno ed eccola là.
Elsa osservò il volto ritratto nella foto. Occhi troppo grandi e troppo verdi, come i prati in primavera. Trasmettevano gioia anche attraverso una vecchia foto. Mia sorrideva appena, le labbra rosate e carnose e le delicate fossette ai lati. Il naso dritto era coperto da una manciata di lentiggini e i capelli corti incorniciavano il volto in boccoli delicati color del cioccolato. Elsa allontanò la foto da sé come se scottasse. L'oggetto rimbalzò sul letto matrimoniale e si fermò appena in tempo per non cadere sul pavimento e frantumare il vetro delicato.
Elsa si sentì invadere da una fitta di odio verso quella donna così bella e così in gamba e le lacrime cominciarono a rigarle le guance. Perchè non poteva essere come lei? Si asciugò le lacrime con il dorso delle mani e si alzò. Voleva raccogliere la foto e rimetterla al suo posto prima che Bruce entrasse nella stanza, poi tornò a letto e in qualche modo si addormentò.
Driiin.
Il suono acuto e prolungato del campanello che suonava perforò i timpani insonnoliti di Elsa. Era la prima volta che suonavano alla porta, chi poteva essere? Perchè non andava ad aprire Bruce?
Infilò la testa sotto il cuscino e cercò di riaddormentarsi. Era mattina ormai, ma Elsa aveva sempre odiato essere svegliata a forza, non lo sopportava. Il sole entrava prepotente attraverso la finestra socchiusa.

Driiin.

“Bruce!” urlò, nel caso lui non si fosse reso conto del campanello.

Driiiin.

“Bruce!!” Elsa si sollevò sulle braccia, ormai era chiaro che Bruce non era in casa. Che doveva fare lei? Aprire?
Decise di sì.
Elsa si alzò insonnolita e indossò la sua vestaglietta azzurra. Passò tra i capelli la spazzola sul comodino e li raccolse in una coda disordinata. Infine, infilò alla rinfusa le pantofoline eleganti e scese al piano di sotto.
Nell'atrio, il suono del campanello era ai limiti della sopportazione umana. Il trillo riecheggiava nell'ambiente vuoto e si espandeva a dismisura.
Elsa si avvicinò alla porta e fissò la maniglia per un po'. Si ricordò che poteva esserci un qualche antifurto speciale messo apposta per impedirle di fuggire, ma decise che non gliene importava: la curiosità era troppa e, soprattutto, i suoi timpani erano sul punto di sanguinare.
Decisa, girò la maniglia dorata finchè la serratura scattò con un 'clack'. Però, pensò Elsa, altro che antifurti sofisticatissimi: era tutto un bluff!
La porta si aprì rivelando l'immagine di una donna alta, bella, dagli occhi azzurri e i boccoli corti e scuri.
“Mia!” esclamò Elsa prima di rendersene conto.
“Ciao. Tu sei...?” la donna la guardò indagatrice. Elsa non riusciva a parlare, si maledisse per non aver indossato qualcosa di decente.
“Elsa..” balbettà.
“Molto piacere. Sei la moglie di Bruce?” la sua voce era troppo squillante, quasi sgradevole.
“No... Ma...” andiamo, Elsa, ce l'hai un po' di dignità? “Ma tu non eri morta?” esclamò, convinta.
“Sì, questo è più o meno quello che pensano tutti.” rispose la brunetta con nonchalanche.
Elsa rimase a bocca aperta, poteva anche avere una bellezza eccezionale, ma era antipatica allo stesso modo: “Ma Bruce... Tu l'hai ferito! Lui ti crede morta, si sente in colpa per te! Devi dirgli che stai bene!”
“Ehi, bella! Datti una calmata, okay? Secondo te perchè sono qui?” Mia alzò gli occhi al cielo.
Ma davvero Bruce aveva amato questa stronzetta? Si chiese Elsa.
“Comunque, dov'è lui?” continuò.
“Non lo so.” fu la secca risposta.
“Scusami, ma tu chi saresti esattamente?” Mia la trapassò con gli occhi.
Bella domanda.
“Che ti importa?” Elsa ricambiò lo sguardo di sfida. La odiava, odiava quella Mia e non aveva alcuna intenzione di nasconderlo.
“Veramente non molto.”
“Perfetto.” Elsa sbattè le sbattè la porta in faccia e tornò a letto. Non le importava se Bruce l'avrebbe odiata a vita per aver trattato male Mia, non le importava se lei avrebbe deciso di vendicarsi. L'unica cosa che Elsa sapeva, ora, era che prima si toglieva davanti Miss Perfezione, meglio era.
Dal canto suo, Mia si attaccò al campanello nella speranza che Elsa cedesse e tornasse indietro.
Ma Elsa sapeva essere molto testarda.
Andò nel salone, si accasciò sul divano e accese la TV. La caviglia ancora le faceva male.
Sullo schermo del televisore comparve la sigla del telegiornale e una giornalista dai capelli rossi iniziò a enunciare le ultime novità.
Il cuore di Elsa smise di battere. Il suono prolungato del campanello risultava ovattato. Solo la voce asettica della giornalista appariva chiarissima: “Il killer delle Schegge colpisce ancora. La donna di trentadue anni scomparsa pochi giorni fa, è stata trovata morta nei pressi del lago. Tra le mani stringeva due pezzi di vetro colorati: uno nero e uno arancione. Il suo nome era Amanda Brent.”

   
 
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