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Autore: Neverland98    14/02/2014    1 recensioni
[Dal capitolo 9]
La porta si aprì lasciando entrare una luce accecante che la costrinse a chiudere gli occhi, “Finalmente”, pensò, “Sono libera!”.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elsa impiegò un po' di tempo per comprendere la situazione. Le parole della giornalista le riecheggiavano nella testa. Amanda era morta. Non scomparsa, non rapita. Morta.
Elsa sapeva che non era corretto, ma non poteva fare a meno di collegare l'improvviso arrivo di Mia con la morte di sua sorella. Dov'era Bruce adesso? Perchè non era ancora tornato? Stava dando la caccia al killer delle schegge?
Sentì la porta d'ingresso aprirsi e si fiondò verso l'ingresso. “Bruce!”
C'erano così tante cose che voleva – doveva – dirgli. Da dove cominciare? Amanda? Mia?
Le parole le uscirono di bocca prima che se ne rendesse conto: “Amanda è morta! Il killer delle Schegge... l'ha uccisa...”
Bruce le posò le mani sulle spalle: “Calmati, Elsa, calmati. Lo so, mi dispiace.”
“E' stata colpa mia?” del resto era quello che le avevano ripetuto, no?
Bruce scosse il capo: “No, Elsa.”
“Avrei potuto fare qualcosa per evitarlo?” chiese Elsa.
“Sì.”
Boom.
Elsa si sottrasse dalle mani di Bruce e strinse i pugni: “Cosa?”
Bruce sospirò e si passò una mano tra i capelli. Ahi, pensò Elsa, non era un buon segno. Ogni volta che Bruce faceva così voleva dire che si preparava ad annunciarle qualcosa di terribile: “Ho parlato con Smith, siamo entrambi d'accordo di farti smettere gli allenamenti, è inutile: stiamo sbagliando strategia. Abbiamo pensato ad un altro modo in cui potresti di certo esserci utile.”
Elsa sentì il cuore martellarle in petto: “Dimmi.”
“Abbiamo individuato un possibile sospettato come killer delle Schegge. Si chiama Edward Leighton, è un avvocato di mezz'età assolutamente rispettabile. Tuttavia, per ragioni che non posso dirti, attualmente pensiamo sia il nostro uomo.” spiegò Bruce.
Elsa riflettè un po': “E io cosa centro?”
“Tu devi sposarlo.” il tono pratico di Bruce, la colpì come una pugnalata.
“Come??” chiese, esterrefatta.
“Hai capito bene. Conquista la sua fiducia. Fallo innamorare di te. Sposalo.” elencò Bruce.
“E la cosa non ti dispiace? Voglio dire, non sei un po'... geloso del fatto che io possa sposare un altro?” Elsa si morse il labbro di sotto.
“Non lo so. Comunque il lavoro viene prima, la sicurezza della gente viene prima!” disse Bruce.
Non lo so.
“E se non fosse lui l'uomo che cercate? Se vi steste sbagliando?” azzardò Elsa.
“No, Elsa, non ci stiamo sbagliando! Ma essendo un pezzo troppo grosso anche per noi, non abbiamo i mezzi per trovare le prove per inchiodarlo.”continuò Bruce.
“Ma perchè io? Non avete un centinaio di agenti donna più attraenti e meglio addestrate di me?” Elsa incrociò le braccia.
“Ne avevamo una.” tagliò corto Bruce.
Mia.
“Ne avete una! Mia è viva!” urlò Elsa, era il momento di parlare del secondo avvenimento importante della giornata.
“Cosa??” Bruce si voltò di scatto, trapassandola con lo sguardo. Elsa si alzò in piedi: “Mia è stata qui, stamattina. Si è attaccata al campanello e non se ne andava più, ha detto che ti cercava.”
“Stai scherzando!” insinuò Bruce.
“No, Bruce. Te lo giuro!” Elsa mimò una croce sul cuore. Un gesto un po' infantile, ma le veniva
spontaneo ogni volta che doveva promettere – o giurare – qualcosa.

“Come sapevi che era lei?” le chiese Bruce.
“L'ho riconosciuta grazie alla foto che per tutto questo tempo è stata sul mio comodino e della quale non mi ero mai accorta!” sbottò Elsa.
Bruce sembrò paralizzato dal pensiero che la sua amata Mia fosse ancora viva: “E tu che hai fatto?”
“Le...” uh-oh! “Le... Le ho sbattuto la porta in faccia!” Ecco, pensò Elsa, adesso mi uccide!
“Tu cosa??” strillò Bruce.
Elsa indietreggiò di qualche passo: “E' stata antipatica! Arrogante e antipatica! E poi non potevo farla entrare in casa, tu mi hai detto di non far entrare nessuno, tecnicamente non potevo nemmeno aprire la porta!!”
“Quella regola non valeva per Mia!!” urlò Bruce lanciando un pugno contro il muro che si sgretolò all'istante. Il rumore fu assordante e nuvole di intonaco inondarono la stanza.
Elsa rimase completamente paralizzata, ma trovò comunque il coraggio di parlare – di urlare: “Ma cosa cazzo ti aspettavi da me, eh Bruce? Che facessi mille moine e mi inginocchiassi davanti alla donna che ami? Svegliati Bruce!! Mi ha anche chiesto cosa sono io per te! Cosa sono? La tua amante, la tua fidanzata, la tua puttana?? Stai con me solo perchè ti servo per la tua stupida indagine??”
Bruce spalancò la bocca, completamente impreparato a una reazione del genere: “Elsa, io...”
Elsa non gli diede il tempo di finire la frase, deglutì e corse al piano di sopra.
I passi leggeri di lei furono l'unico suono che riecheggiava nella mente di Bruce, incorniciando l'immagine sbiadita del volto di Mia.
Mia. Elsa.
Mia.
Elsa.
Bruce si accasciò sul divano e si prese la testa fra le mani. Sorrise amaramente, tanto quella situazione non sarebbe durata a lungo: appena arrestato Leighton, avrebbe dovuto uccidere Elsa e a quel punto non ci sarebbe stata molta scelta.
Cosa sono io per te?
Una domanda che non gli dava tregua. Non era solo sesso, tra loro; ormai era appurato. C'era qualcosa di più, qualcosa a metà tra l'amore e l'indifferenza. E l'amore per Elsa era la cosa peggiore che potesse accadergli, in quel momento.
Rimaneva Mia, però. Bruce ricordava perfettamente la notte in cui l'aveva persa. Avevano circondato la villa di Santos, uno dei più potenti spacciatori del mondo. Mia era l'unica donna, non si perdeva mai l'azione. Lei e Bruce, insieme ad un'altra ventina di agenti, si erano appostati dietro gli alberi che circondavano l'abitazione. Il capo del gruppo, Colin, aveva il compito di dare il segnale per uscire allo scoperto e far uscire lo spacciatore. Bruce aveva fatto di testa sua. Disprezzava Colin e non gli era andato giù che i loro superiori avessero nominato Colin come responsabile e non lui. Quindi era uscito dal suo nascondiglio da solo, senza aspettare il segnale. Vedendolo arrivare, le guardie del corpo di Santos avevano già imbracciato i fucili e sparato. Prima che un proiettile mortale gli perforasse il cuore, Mia si era gettata davanti a Bruce e l'aveva coperto. Dei momenti che erano seguiti, Bruce aveva solo un ricordo confuso. Sapeva che erano immediatamente partiti gli altri agenti, che qualcuno gli aveva urlato di allontanarsi e di lasciare il corpo ormai morto di Mia. Lui aveva obbedito ed era tornato tra gli alberi, assistendo alla carneficina come se si trovasse in un incubo. Non gli avevano più fatto vedere il corpo di Mia, della donna che aveva amato e aveva dato la vita per lui. Bruce seppe che era stato seppellito e fino ad allora non aveva mai avuto motivo di dubitarne. Ma adesso...
Possibile che Mia fosse ancora viva? E se era davvero così, allora forse Elsa l'aveva fatta andare via per sempre.
L'odio verso di lei tornò alla carica, ma non poteva biasimarla per il suo comportamento: era chiaro che Elsa si stava innamorando di lui.
Comunque, anche Bruce doveva fingersi innamorato, perchè quello era il suo compito. Fece un respiro profondo e si avviò al piano di sopra. L'intonaco e i pezzi di muro che si erano sgretolati comparivano adesso sul pavimento polveroso. Bruce salì le scale e percorse i corridoi del piano di sopra, fino a trovare la stanza di Elsa.
Lei era seduta vicino alla finestra, fissando le gocce che si infrangevano sul vetro e lo rigavano come lacrime. Indossava un delizioso vestitino viola, ma Bruce non ci aveva fatto caso. Quando entrò nella stanza, Elsa girò lentamente la testa verso di lui. Nei suoi occhi c'era qualcosa di incomprensibile, quasi un vuoto. Non erano umidi o arrossati, ma asciutti e vacui.
“Elsa?” azzardò Bruce, facendo capolino oltre la porta.
Silenzio.
“Ecco io... Io volevo chiederti scusa” sospirò, entrando nella stanza a grandi passi “Mi dispiace, ho perso la testa e... Elsa? Elsa, stai bene?” Bruce corse verso di lei e le mise due dita sul collo, scoprendo che il battito del cuore era rallentato in maniera allarmante. Elsa sembrava svenuta, ma aveva gli occhi aperti. Oh, no!
“Elsa! Che hai fatto?” il cuore gli martellava in petto. La paura di perderla lo invase prepotente, allora forse un po' gli importava. Nella mano destra di Elsa, le dita erano attorcigliate saldamente intorno ad un flaconcino che Bruce scoprì essere stato svuotato delle sue pasticche di sonnifero.
Prese in braccio Elsa e le infilò il primo cappotto che trovò nell'armadio. Il battito del suo cuore continuava a rallentare. Bruce corse fuori di casa e la stese sui sedili posteriori della macchina. Guidò a tutta velocità nonostante il pericolo della strada bagnata e la pioggia battente che più che diminuire sembrava aumentare. L'ospedale non era molto lontano, ma a Bruce non era mai parso così lontano. La paura di perdere Elsa non gli dava tregua. Allora alla fine era successo, anche lui si era affezionato a lei. Forse, addirittua l'amava. Per la prima volta dopo la morte di Mia. No, non voleva perdere Elsa e in quel momento ebbe un'illuminazione, seppe perfettamente cosa avrebbe fatto alla fine dell'indagine. Non avrebbe ucciso Elsa. Avrebbe dato le dimissioni. Poi che importa? La CIA avrebbe dato la caccia a entrambi, probabilmente, ma ce l'avrebbero fatta. Se ne sarebbero andati in qualche posto lontano, si sarebbero rifatti una vita. Bruce si rese conto di stare assumento un comportamento infantile, ma che poteva farci se si era innamorato di quella donna bellissima e problematica che era Elsa? La stava portando all'ospedale, anche se era contro le regole. Cosa avrebbero detto una volta arrivati? Che erano marito e moglie? E se i medici si fossero accorti dei loro documenti falsi? No, Smith avrebbe certamente detto di lasciare morire Elsa e,anzi, darle il colpo di grazia. Poi avrebbero trovato un'altra ragazza, un'altra esca e l'indagine sarebbe riprese come se non fosse successo niente. A proposito di ragazze, pensò Bruce, Smith avrebbe fatto i conti con lui riguardo la faccenda di Mia.
La pioggia iniziò a diminuire e le nuvole si diradarono. Stava ormai calando la sera quando arrivarono all'ospedale. Bruce parcheggiò alla meglio e corse verso la struttura con il corpo esangue di Elsa tra le braccia. Furono ricevuti da un'infermiera alla reception, il caos era totale. Medici, infermieri e pazienti assediavano l'ampio atrio e Bruce dovette quasi urlare contro l'infermiera della reception per ottenere intenzione. L'infermiera, una donna di mezz'età dall'aria scettica, gli fece segno di calmarsi e aspettare, poi compose sul telefono interno un numero e poco dopo comparve un dottore in camice bianco.
“Salve” disse “Io sono il dottor Aniston, cosa le è successo?” indicò Elsa.
“Ha tentato di togliersi la vita con un overdose di sonniferi.” annaspò Bruce, rosso in volto.
“Capisco.”
Aniston fece cenno a un paio di infermieri con una barella di raggiungerlo, Bruce vi depose il corpo di Elsa. Il dottore gli fece cenno di aspettare lì: “La informeremo appena possibile.” disse.
Bruce si sedette su una sedia in un angolo, riflettendo sul turbinio di emozioni che l'aveva travolto nell'ultima mezz'ora. Adesso che la rabbia stava scomparendo, si calmò e riflettè lucidamente sulla situazione. Niente da fare, si disse, anche così non si pentiva di quello che aveva deciso.

   
 
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