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Autore: Talulah    16/02/2014    1 recensioni
<< Un piccolo movimento fece dirigere gli sguardi di tutti verso uno dei migliori palchi, verso una splendente nobildonna, e un magnifico gentiluomo.
“ Lo zarevic! “ sussurrò qualcuno, “ è arrivato finalmente!”
Un silenzio stupefatto e incantato accolse la loro entrata, e dopo pochi minuti mormorii, bisbigli e sospiri sognanti riempirono la sala. (...)
Il teatro sprofondò nel silenzio, tutti erano impegnati a non perdere neanche un attimo di quel raro momento. Lo zarevic si avvicinò lentamente alla sua dama, per poi prendere la sua mano e portarla alle labbra con una naturalezza così elegante e perfetta da essere disarmante. Osservai la scena con una punta di invidia e triste desiderio. Quanto le sarebbe piaciuto ricevere un baciamano così regale, così perfetto, sarebbe stato un sogno se un gentiluomo l’avesse guardata con quell’emozione unica trasmettendole quell’attaccamento profondo. Sarebbe stato il sogno di tutte.. Avevo avuto molti corteggiatori essendo di ricca e nobile famiglia, ma mai nessun uomo mi aveva trattata come il Granduca stava facendo con la sua dama. Che signora fortunata, pensai con la triste invidia che si acuiva sempre più.
Non saprei ben dire quanti cuori sognanti infranti ci furono a teatro quella sera.. >>

Una storia piena di passione, amore e veleno, fatta per far sospirare le sognatrici. In un epoca dove tutto è basato su ricchezza e nobiltà, può l'amore vincere su tutto?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Russian Royal Family'
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Capitolo VIII

Le Patronesse

 
 











Il clima di Londra aveva smesso di essere indulgente.
Le ultime giornate erano state fredde e secche, permettendo l’uso di abiti meno ingombranti.
Tornando a casa, avvertendo fin troppo bene il vento freddo infilarsi fra i vestiti e l’umida treccia di capelli, mi resi conto che il periodo di “calore” doveva essere passato. Invidiavo Josy e la coperta con cui si era avvolto. Sospirai impercettibilmente, pensando che una signorina non avrebbe mai dovuto imprecare e che era venuto il momento di tornare a comportarsi con compostezza.
Cominciavo seriamente a detestare Londra, l’Inghilterra, la Stagione, l’ambiguo clima di quei posti e ogni cosa che mi aveva portata lì, a quel momento.
Non riuscivo a comprendere come le ragazzine potessero sognare di passare del tempo fra gli avvoltoi di Londra.
Mi mancava la Francia, le mie cose, la mia casa, la mia sicurezza, la mia ingenuità, la mia nounou e perché no, forse perfino mia madre.
Ero stanca di dover pensare e programmare ogni cosa, e di finire sempre ad un unico pensiero. Serrai le labbra, decisa ad arrivare all’incontro di quel pomeriggio tutta intera e perfettamente composta.
Gabrielle mi aveva già parlato e riparlato del Club Almack’s ma aveva concordato insieme a Maria Antonietta che fosse meglio presentarmi alle Patronesse con assoluta calma e non in piena Stagione per non attirare troppa attenzione. Nonostante tutto erano convinte che io riuscissi a trovare marito.
Ovviamente, ora che lo zarevic aveva detto di voler la mia partecipazione alla serata di Almack’s i piani erano cambiati. Non si poteva andare contro ad un Principe, sarebbe stato decisamente inappropriato e sconveniente. Era una delle regole vitali da tenere sempre in considerazione.
Sentii addosso una stanchezza infinita. Mi sentivo divisa in due. Avrei voluto sfuggire da tutto e da tutti, da lui e da come mi faceva sentire eppure una parte di me fremeva all’idea di rivederlo, ne avevo il bisogno, cominciava a piacermi incredibilmente guardarlo e cercare di decifrare i suoi occhi.
Mi morsi il labbro come punizione, sperando che la fitta di dolore mi riportasse con i piedi per terra. Rivederlo era stato davvero… Straziante.
Lasciai Josy nelle cucine dove avrebbe potuto riscaldarsi accanto al forno. Sentivo una forte pressione allo stomaco e incapace di mandare giù perfino la mia stessa saliva, rifiutai il pranzo dall’aspetto invitante che Margot mi mise sotto gli occhi.
Tutto ciò che desideravo era un bagno caldo e avrei dovuto sbrigarmi visto che dovevo essere pronta per le quattro in punto e non avrei di certo potuto farmi trovare ancora con la chioma bagnata.
Intercettai Gertrud, dall’aspetto severo ma questa volta decisamente più rispettoso e le dissi di fare portare l’acqua calda al piano di sopra, perché desideravo farmi un bagno.
Eveline si precipitò a salutarmi con un inchino e un lieve sorriso, dicendomi che aveva già fatto scaldare l’acqua prevedendo i miei bisogni. Ne fui piacevolmente sorpresa e sorrisi mandando il volto della giovane in fiamme.
Circa un quarto d’ora dopo ero immersa nella vasca, fra l’acqua calda che andava a raffreddarsi prima di quanto avessi sperato. Il vapore si sollevava dalla vasca facendomi sentire un po’ intontita. Avrei dovuto alzarmi il prima possibile altrimenti avrei finito per addormentarmi. Il profumo che aleggiava nell’aria e il dolce massaggio fattomi al capo ed ai capelli per lavarmeli mi aveva rilassata fin troppo, e sentivo un dolce intorpidimento nelle membra.
Ma ormai era arrivato il momento. Sbuffando mi alzai, sentendo la camiciola bagnata terribilmente pesante sul mio corpo stanco. Subito venni avvolsa da teli, e rabbrividendo cominciai ad asciugarmi, diedi istruzioni di farlo con molta delicatezza: la pelle non doveva arrossarsi.
Asciugare i capelli fu la parte più difficile. Erano incredibilmente lunghi e pesanti, tenerli bagnati era decisamente faticoso, così una volta sedutami vicino al fuoco presi a farmi spazzolare i capelli, lamentandomi e sussultando quando arrivavano i momenti più dolorosi. Non  avrei potuto muovermi dal fuoco, non senza rischiare un malanno e non ero mai stata un tipo paziente, così sbuffai per tutto il tempo. D’estate appoggiavo i capelli ad un tavolaccio o li muovevo possibilmente al sole per cercare di farli asciugare il prima possibile e funzionava. Costretta vicino al fuoco con i capelli freddi e bagnati era un’agonia. Avevo le punte dei piedi e delle mani gelide.
Ogni tanto avevo voglia di tagliare la chioma ma poi mi sentivo in colpa: tenevo molto ai miei capelli, come ci teneva Gabrielle, mia madre, e nounou.
Il tempo sembrava non passare, eppure, passò e i capelli furono asciutti. In realtà non lo erano completamente, sentivo ancora qualche punta umida e la nuca fredda ma ero troppo annoiata per continuare a stare ferma, ansiosa com’ero avevo bisogno di muovermi e trovare sfogo, e di certo non l’avrei trovato immobile come una statua con la mente libera di girovagare.
Velocemente indossai camiciola e busto e nel frammente, Gabrielle, ovviamente deliziata dagli ultimi avvenimenti quasi mi costrinse ad indossare alcuni abiti che lei scelse.
Era così contenta che fosse stato lo zarevic in persona a dare l’ordine di presentarmi alle Patronesse di Almack’s, talmente tanto da aver dimenticato di chiedermi in quali cirostanze avessi incontrato il Granduca. Questo era un bene per entrambe ovviamente, ma gli ordini che volarono per darmi un’apparenza assolutamente incantevole mi infastidirono alquanto. Ma cosa non mi infastidiva nelle ultime giornate? Sospirai mentre venivo strizzato in un abito che speravo avrebbe dato un po’ di colore al mio viso pallido.
Era taffeta, di colore grigio e arancio ramato, le maniche erano lunghe e aderenti, il collo alto aveva i bordi in pizzo, proprio come le maniche, e sul petto aveva fronzoli e ricami qua e là. Ero troppo stanca anche solo per prestare davvero attenzione al mio vestito. Mi misi distrattamente a sedere su di una sedia sentendomi tirare i capelli, mentre venivano acconciati: ovviamente non avrei mai potuto presentarmi alle Patronesse con una chioma selvaggia, sciolta e spettinata, così Gabrielle aveva dato l’ordine di costringerli in una treccia raccolta sulla nuca.
Non ci volle molto, così entro poco fui pronta per guardarmi allo specchio. Il risultato finale era severo eppure giovanile, dava tutta l’importanza che una duchessa avrebbe dovuto avere. Alle orecchie facevano bella mostra delle perle con dei fiocchi di diamanti, abbinati ad un grosso e pesante anello con perle.
Avevo un’aria composta e raffinata. Provai ad addolcire il viso sorridendo lievemente. Nonostante il candore dei capelli, dovevo pur riuscire a dare colore alla mia presenza.
Mancavano pochi minuti alle quattro così mi affrettai ad allacciare la cuffietta, a scendere la grande scalinata, ed infilarmi la mantella.
Dopo poco Gertrud venne ad avvisarmi con gli occhi lucidi per l’emozione e nella voce un leggero tremolio che la carrozza del Granduca era arrivata e m’aspettava. Sospirai per cercare di dissipare il nodo d’angoscia che mi opprimeva lo stomaco.
Mentre Gabrielle mi raccomandava caldamente di comportarmi da brava e composta signora, pensai che quello doveva essere un supplizio: ascoltare raccomandazioni e ordini mentre il capo sembrava scoppiare e lo stomaco risalire sempre più verso la gola. Com’avrei fatto ad ingurgitare anche solo del the, quel pomeriggio?
Sospirai impercettibilmente mentre ascoltavo Gabrielle che si rammaricava per non essere potuta presenziare al the con le Patronesse ma il primo incontro era meglio che andasse così ed il Granduca era stato chiaro: la carrozza e l’incontro erano per me.
Appena riuscii a liberarmi di Gabrielle mi avviai a passo svelto al grande portone d’entrata della casa e appena uscii, la grande carrozza lussuosa con lo stemma reale e il valletto rigido ed impettito che m’aspettavano, quasi mi causarono un mancamento.
L’agitazione mi travolse, ma cercai di sembrare tranquilla e composta: questa volta non avevo scelta, dovevo dare sfoggio di un educazione impeccabile.
Appena riuscii a fare entrare aria nei polmoni m’accorsi che non vi era Il granduca ad aspettarmi fuori dalla carrozza, e neppure era entrato per salutare la padrona di casa. Possibile che nel Paese natio del Principe si usassero maniere tanto differenti? Avrebbe quasi potuto passare per un maleducato. Quasi. Se non fosse stato un principe, ovviamente.
Accortami di aver aggrottato la fronte, provvidi subito ad assumere un atteggiamento tranquillo e pacato.
A qualche metro dalla carrozza uno dei valletti mi venne incontro con un sorriso gentile e postura ritta informandomi che il Granduca era addolorato ma che purtroppo non avrebbe potuto presenziare al the di quel pomeriggio per urgenti impegni.
Contenni a stento una smorfia quando sentii la parola addolorato.
Davvero, non credevo che fosse addolorato per tutto ciò. L’indignazione e la rabbia cominciarono a fluire nell’anima mentre mal volentieri e con assoluta vergogna accettavo l’aiuto del valletto. Ero quasi certa che lo zarevic si fosse ritirato all’ultimo momento, forse perché non riteneva la situazione abbastanza importante, o forse pentitosi di essersi offerto di presentarmi lui stesso alle Patronesse. Probabilmente pensava che la sua reputazione avrebbe potuto risentirne.
L’educazione impartitami non mi permise di non sentirmi in colpa nel pensare male del Granduca. Era peccato, lo sapevo, eppure non potevo farne a meno.
L’umiliazione per il rifiuto bruciava come le fiamme dell’inferno.
Sospirai sconsolata. Ora dovevo farmi forza e coraggio da sola, e non mi era facile, vista l’importanza della situazione a cui andavo incontro.
Ero una duchessa, non avrei dovuto preoccuparmi di nulla, ma la mia era una situazione delicata.
Mi ricordai improvvisamente che ero lì su esplicita richiesta del Granduca di Russia in persona; mi sembrava incredibile, eppure era così.
Feci un mezzo sorriso sentendomi più sicura.
Dopo poco mi accorsi che non eravamo diretti al Club Almack’s. Non vi eravamo nemmeno vicini. Non era forse lì, il luogo d’incontro per il the?
Mi sporsi nella grande e spaziosa carrozza, bussando alla cassetta per attirare l’attenzione dei due valletti seduti davanti.
<< Milady? >> chiese il signore che mi aveva comunicato l’addoloramento dello zarevic, alzando un po’ la voce per farsi ben sentire nonostante lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli, << desiderate forse fermarvi, Vostra Grazia? >> chiese corrucciato, con una nota d’ansia nella voce.
<< No, desideravo solo sapere dove fossimo diretti >> risposi arricciando lievemente il naso.
<< Oh, ma certo Vostra Grazia, perdonatemi, avrei dovuto avvisarvi… Il Granduca ha chiesto un incontro privato per voi, che non si terrà in King Street! >> m’informò con un sobbalzo della voce.
<< Capisco… E allora dove si terrà, di grazia? >> domandai con le sopracciglia aggrottate.
<< Nella casa di Lady Amelia Stewart, milady >> concluse con un sorriso soddisfatto.
<< Oh >> dissi sbarrando lievemente gli occhi, << la ringrazio >> mormorai, sperando riuscisse a sentirmi visto che la mia voce in quel momento non era nulla più che un alito di vento.
Ero preparata per l’austerità di Almack’s, non a cotanta intimità.
Mi sentii terribilmente a disagio e spaventata. In quel momento mi avrebbe fatto piacere aver qualcuno al mio fianco, anche solo per delle futili chiacchiere da signora.
E invece ero lì, da sola, ferita nell’orgoglio.
Sentii una vampata di rabbia e pensai che era molto meglio non soffermarsi sul Granduca.
Speravo ardentemente che l’argomento dello zarevic non saltasse fuori ma sapevo che era estremamente improbabile. Chi non avrebbe voluto parlare di una tale presenza?
Mi concessi di sbuffare.
Dopo poco arrivammo in uno dei più lussuosi quartieri di Londra e la carrozza si arrestò.
Mi permisi di provare un brivido di terrore. Ero molto in ansia e preoccupata per la posizione sociale che avrei finito per occupare alla fine di quell’incontro.
Le duchesse non avrebbero mai dovuto preoccuparsi di queste cose. Ma io non ero una duchessa qualunque.
Serrai le labbra mentre un valletto mi aiutava a scendere.
Mi sembrava di soffocare con quel busto così stretto!
Il valletto tanto gentile che si era premurato di scusarsi da parte del suo padrone mi informò che sarebbero rimasti certamente ad aspettarmi e con un inchino si congedò.
Alla porta vi era ovviamente ad accogliermi una governante, seria, compunta ed impettita che inchinandosi mi informò che Sua Signoria e le altre dame si erano già riunite e che il the stava per essere servito. Notai le labbra strette in una linea sottile e gli occhi piccoli e veloci della governante saettavano qua e là, ansiosi.
Perplessa, assunsi un atteggiamento di posa formale e cordiale e venni accompagnata in un salotto da the, arredato con lusso e decisamente grazioso anche se troppo sfarzoso per i miei gusti.
Lady Amelia era senz’altro riuscita a dare una parvenza di calore e il camino scoppiettante aiutava di certo.
Appena feci il mio ingresso tutte le Patronesse si alzarono dal loro posto, alcune più fredde e non proprio benigne nei miei confronti ma sempre beneducate, altre invece decisamente più calorose.
Alcuni sorrisi, quasi mi sembravano sinceri. Una sola cosa le accumunava tutte, ed era ben evidente: la mia entrata solitaria aveva creato del disappunto e certamente, della delusione. Alcune si ripresero più velocemente di altre dal piccolo cambiamento di programma.
Gabrielle mi aveva ovviamente parlato delle Patronesse, ridendo sulla bizzarra situazione: nonostante io fossi quello che fossi, erano state costrette ad un incontro con me, nonostante avessero in antipatia Gabrielle e la sua alta posizione sociale. Ovviamente la mia tutrice era stata ben attenta nel dirmi che sono sempre state educate con lei ma che le parole non dette per una signora, sono quelle che contano di più.
Ora mi sentivo a disagio ed indesiderata, nonostante i sorrisi.
La padrona di casa, Lady Amelia Stewart mi venne incontro con un grande sorriso, accompagnata dalle altre Patronesse, chi più giovane, chi più vecchia.
<< Duchessa! E’ un piacere conoscervi finalmente ed avervi qui, nella mia casa >> proprurre la viscontessa.
Aveva una voce tonante e forte per essere una signora e nonostante non fosse più nel fiore degli anni, era una donna composta, aggraziata e dagli occhi vispi. Non doveva essere stata una grande bellezza alla sua prima Stagione, ma la ritenevo certamente affascinante.
Riconobbi le altre donne a cui non avevo mai avuto l’ansioso piacere di essere presentata.
Sorrisi cordiale. Ma non troppo. Sorridere troppo sarebbe stato considerato sconveniente.
Dopo che i primi convenevoli furono stati fatti, prendemmo posto al tavolo, imbandito con un grande candelabro splendente ed un centrotavola di bellissimi fiori freschi. Il servizio in porcellana era certamente lussuoso e vi erano vari piattini con frutta, canditi, biscotti al burro, pane, marmellata, prosciutto e formaggio. Vedevo perfino delle noccioline.
Evidentemente le Patronesse si erano premurate di non farmi mancare nulla, o forse di ostentare una ricchezza non comune. O semplicemente, volevano attirare l’attenzione di qualcuno di più importante. Quasi mi dispiacque per tutto l’inutile lavoro di Lady Amelia. Senza il Granduca, tutto quello andava sprecato.
Sorrisi, pensando ai the di Maria Antonietta.
Vi era anche una caraffa con cioccolata calda e appena la vidi mi ricordai delle raccomandazioni di Gabrielle.
Non mostrarti troppo ghiotta Dominique, o avrebbero senz’altro qualcosa su cui sparlare!
Adoravo mangiare, e il the pomeridiano era uno dei momenti che più preferivo, proprio per le ghiottonerie su cui potevo fiondarmi, ma sapevo che non avrei potuto ingrassare, visto che non ero magra come fili d’erba, come molte ragazzine erano.
Avrei dovuto controllarmi.
Notai che la tavola era imbandita alla perfezione, in modo che ciascuna di noi non fosse intralciata da niente e da nessuno e potesse servirsi da sola di ciò che più desiderava senza alcun problema.
Proprio quando cominciai a temere che il mio stomaco cominciasse a brontolare vivacemente, le altre signore cominciarono a servirsi, conversando nei momenti di pausa, mai con la bocca piena e oziando su argomenti come Londra, il tempo, le campagne… Nessun pettegolezzo.
Ovviamente sapevo dell’esame che stavo subendo, non credevevo davvero che le Patronesse non spettegolassero.
Ma fu ugualmente piacevole; spettegolare poteva essere interessante, ma solo ogni tanto. Troppi pettegolezzi, erano come troppi biscotti: rischiavano di nausearti.
Ogni cosa era squisita e fresca, il profumo dei fiori addolciva il tutto con i suoi effluvi.
Con disappunto, trovai la cioccolata troppo liquida ma trattenni il sorrisetto che cercava di affiorare a quella scoperta. Cioccolata annacquata per il Granduca.
Non eravamo in molte, quindi nessuna di noi dovette aspettare per il the che, una volta servito venne messo sopra ad un fuocherello per non raffreddarsi.
Avevo ordinato che la mia cioccolata calda fosse con la crema, ed ora il the lo chiesi con la panna. Alcune mi lanciarono sguardi di disappunto che subito si apprestarono a coprire. Ognuna di loro condì il proprio the con poco zucchero e solo una mise una buona quantità di latte nel proprio the: la contessa di Sefton, Maria Molyneux, che si apprestò a lanciarmi un sorriso bonario.
La più chiacchierona del gruppo era sicuramente la contessa di Jersey, Sarah Villiers. La giudicai come una donna piuttosto eccentrica, gioviale, sorridente, ma scaltra e attenta. Non vedevo cattiveria nei suoi occhi, neanche quando, quasi innocentemente, cominciarono le domande.
<< Allora Vostra Grazia, dove avete imparato le vostre squisite maniere? Siete francese, giusto? >> domandò la contessa di Jersey.
<< Oui Madame, sono qui in visita a Londra per la Stagione, e penso sia una città davvero splendida nonostante io a volte senta l’acuta mancanza della mia casa >> dissi con un sorriso.
Quella città era splendida quanto angosciante. Ma ovviamente, questo lo tenni per me.
<< Il vostro accento è delizioso, Vostra Grazia >> disse con un sorriso Lady Amelia.
Ringraziai calorosamente, sperando che fosse davvero un complimento.
Il discorso si spostò poi sulla incresciosa situazione in cui si trovava la Francia, e ovviamente – chi l’avrebbe mai detto? – sui rapporti con gli altri Paesi.
Come la Russia.
<< Mi è dispiaciuto davvero molto non aver avuto l’onore di poter bere questo the con il Granduca, oltre che con voi signore >> sospirò esageratamente sconsolata - o forse no – la padrona di casa.
<< Ah davvero, che cosa incresciosa, voglio sperare che il Granduca possa dedicarci qualche ora prima di ripartire >> commentò una giovane e austera donna alla mia sinistra. Il suo nome era Clementina, ed era una delle più impettite fra le Patronesse.
<< Io, signore, sono certamente sicura che al prossimo ballo al Club ci dedicherà certamente qualche momento della sua piacevolissima compagnia >> cinguettò la contessa di Jersey.
Sembravano riporre molte speranze nello zarevic e mi chiesi se fosse per impressionarmi o perché avessero una notevole confidenza con lui.
Trattenni una smorfia quando immediatamente l’argomento venne spostato altrove: era stato indelicato parlare del Club visto che, probabilmente, io non ci avrei mai messo piedi.
Avevo voglia di sospirare ma non potevo. Dovevo tenere per me l’acuto senso di mancanza che provavo verso il mio Paese. Che gran voglia di tornare a casa! Mi sentivo sciocca a pensare e desiderare certe cose, ogni ragazza avrebbe fatto di tutto per essere dove ero io e invece mi lamentavo.
<< Dicono che il clima, lassù, non sia dei migliori >> disse Emily Lamb, con un lieve sorriso mentre sorseggiava il suo the.
<< Oh si signore mie, fa proprio un gran freddo lì, proprio un gran freddo! Ho ragione, Dorothea cara? >> la padrona di casa sembrava saperne molto su quel freddo.
<< Ma certo >> Dorothea Lieven, moglie dell’ambasciatore russo, aveva un forte accento del suo paese natio, dava molta enfasi ad alcune consonanti, proprio come… << La Russia è un Paese molto freddo, con tradizioni e cultura abbastanza diverse dall’amata Inghilterra >> rispose con un sorriso freddo e qualche cenno del capo.
Mi accorsi improvvisamente del mio mutismo.
<< Per mia disgrazia, non ho viaggiato molto, non so come sia la Russia, ma mi affascina senza alcun dubbio, Madame >> risposi con un sorriso.
<< Visitai il Grande Nord quand’ancora non sapevo che fosse! Ricordo bene il freddo che trovammo al nostro arrivo però, non eravamo provviste di abiti tanto pesanti, qui in Inghilterra il freddo non è mai così scioccante… Gli uomini parevano tutti dei grandi orsi, così coperti! >> raccontò divertita Lady Amelia.
L’immagine che avevo fin ora della Russia era composta da un gran freddo, uomini fin troppo coperti, e…
<< Ma gli uomini russi hanno la fama di essere certamente speciali >> commentò con voce dolce la contessa di Jersey.
Uomini speciali.
<< Oh si, certamente speciali >> disse con un lieve rossore diffuso Dorothea, << e il Granduca ne è certamente la prova >> ridacchiò.
<< E’ proprio un gran bel principe, cielo! Viene proprio dai racconti che si narrano alle fanciulle >> disse Maria sorridendo.
<< La mia curiosità verso la Russia cresce a dismisura ma, con sincero dispiacere, devo ammettere di non credermi capace nel poter sopportare un tale clima rigido! >> dissi con un sospiro dispiaciuto.
La Russia mi interessava davvero, e tanto anche, ma questo mi infastidiva. Non avrebbe dovuto interessarmi, l’unico Paese di cui davvero avrei dovuto preoccuparmi era la Francia.
<< Oh certo cara, voi venite dalla Francia e i francesi sono stati graziati dal Signore per il così bel clima che vi è lì! >> disse Mrs Drummond.
<< Concordo con voi Madame, mi ritengo molto fortunata >> ed era vero. Almeno prima di venire in Inghilterra.
<< Certo che lo siete! >> la rimbeccò dispettosa Theresa, moglie dell’ambasciatore austriaco, << in Austria fa molto freddo! Non so quanto freddo faccia in Russia ma in Austria fa molto freddo! >> disse con enfasi sconsolata annuendo con il capo.
Si dibatté sul tempo per momenti infiniti, mi pareva che avessimo discusso di ogni minimo particolare del clima dei vari Paesi.
Ne ero decisamente stufa ma, sebbene non partecipassi attivamente alla conversazione mi sforzai di sembrare almeno interessata.
<< Allora, duchessa, tutte noi siamo davvero molto curiose di sapere come ha conosciuto il Granduca… Non è una persona facile da farsi presentare e in più, lui sembra proprio essere un uomo del nord! >> disse con una risatina Mrs Drummond.
Non capii esattamente in che cosa consistesse essere “un uomo del nord” ma sorrisi ugualmente, << beh Madame, io ero al Drury Lane all’ultima rappresentazione teatrale e vi era anche lui >>.
<< Ma non è lì che lo avete conosciuto, vero? >> disse la contessa Esterhàzy.
Era un affermazione camuffata in domanda. Avrei dovuto immaginare dei tanti pettegolezzi.
<< No Madame, ho avuto il piacere di conoscere il Granduca a St James Park >> risposi dolce e cauta, sorseggiando il mio the, con cui, quasi mi strozzai quando la conversazione continuò.
<< Ma certo! La mia cara amica Adelaide mi ha parlato di quell’incontro! >> rispose con un luccichio negli occhi.
Fingendo che il turbamento causatomi da quella frase non esistesse, sorrisi cordiale, << spero che le vostre orecchie abbiano sentito solo elogi allora >>.
<< Oh, ma certamente >> rispose la contessa con un bel sorriso e occhi socchiusi.
Avrebbe mai potuto essere più lungo quel pomeriggio?
 
 
 
Un’ora più tardi, presi congedo dalla bella casa di Amelia Stewart, dopo aver parlato e spettegolato un po’, specialmente sul Granduca e sul mio nuovo amico, nonché accompagnatore a St James Park, Julian. Le Patronesse trovavano inopportuno che lui ancora non avesse preso moglie, ma era figlio di un Duca e poteva fare ciò che più gli aggradava.
Le sette Gran Dame avevano deciso che ero di loro gradimento. O, meglio dire, che la mia conoscenza con il Granduca, era di loro gradimento per cui avrei partecipato a questo primo ballo da ospite con il mio Stranger’s Ticket. Una sorta di iniziazione, immaginai. Ma con lo zarevic di mezzo, di certo non avrebbero potuto sfoggiare la loro puzza sotto al naso.
Appena mi ritrovai nella strada buia ed elegante, mi strinsi nella mia mantella, toccandomi con mano gelida la cuffia che mi copriva il capo.
Proprio non sarei mai riuscita ad abituarmi al clima dell’Inghilterra.
Con i denti che battevano per il freddo individuai subito il valletto che mi scortò alla carrozza. Bene, avrei almeno potuto ripararmi da quel vento pungente.
Ad un tiro di schioppo da ciò che rappresentava la mia salvezza in quel momento, lo sportello della carrozza si spalancò.
Sussultai per la sorpresa ed il cuore cominciò a battermi all’impazzata.
C’era lui, lì dentro?
A quella prospettiva l’idea di rimanere lì fuori al freddo si fece più confortante e straziante nel medesimo istante.
Mi feci forza e misi il piede sul primo gradino e subito una grande mano, bianca e robusta, mi venne porsa.
Con la testa che girava, mi imposi di andare avanti e, per non risultare maleducata, accettai quella mano.
Ah, dannati guanti! Com’era calda e forte quella mano! La stretta ferrea con cui mi sostenne fece svolazzare il mio povero cuore.
Appena fui dentro, la prima cosa che notai fu la sua grande presenza.
Possibile che quella carrozza mi fosse parsa tanto imponente? Con lui lì dentro, pareva minuscola, io stessa mi sentivo così, accanto a lui e sotto i suoi occhi.
Capii comunque il perché di una carrozza tanto spaziosa per il giorno: probabilmente il Granduca non sarebbe entrato in una più piccola e maneggevole e, se già ora il suo capo quasi sfiorava il soffitto, in un modello più piccolo avrebbe certamente avuto problemi con gli scossoni: battere il capo sul soffitto più e più volte avrebbe innervosito chiunque, specialmente un Granduca.
Inchinai il capo per qualche secondo, mormorando un saluto e odiando la mia voce flebile.
Vidi il Granduca inclinare lievemente la testa rispondendo al mio saluto.
Cercai di non notare il grosso collo che spuntava dal collo della camicia.
O il fatto che mi stesse fissando senza alcun riguardo per l’etichetta mettendomi terribilmente a disagio.
Cielo se era enorme quell’uomo.












L'angolino di Mrs Johnson


E rieccomi qui con questo benedetto capitolo, finalmente! Ormai è quasi un'impresa dedicarmi a EFP, il tempo scarseggia davvero e mi scuso per chi segue la storia e sopporta i ritardi! Grazie sul serio, non smetterò mai di dirlo... Spero il capitolo vi sia piaciuto e di aggiornare presto, magari un miracolo sposterà i miei esami chi lo sa :'D 
Al prossimo capitolo, un grosso GRAZIE  a tutti!
 

 
  
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