Fanfic su attori > Gaspard Ulliel
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Autore: viktoria    17/02/2014    1 recensioni
Lei è sempre stata una ragazza molto sfortunata e sola nella sua vita. Ha sempre guardato la gente che le passava intorno, osservava gli altri vivere senza poter far nulla a sua volta. Per una volta è lei ad avere la possibilità di viverla. Una notte soltanto per assaporare l'esperienza più totalizzante di una vita. Un amore, un'amicizia o solo un attimo di passione.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Guardai di nuovo l'orologio con il cinturino sottile e usurato che portavo al polso sottile. Erano quasi le undici ormai ed io ero ancora in quella piccola stanzetta all'ultimo piano del più famoso albergo di tutta Parigi, sola. Il più famoso oltre che il più caro. La stanza era incredibilmente ampia e spaziosa e, non appena vi ero entrata, quasi due ore prima, avevo subito capito che quella notte non l'avrei potuta assolutamente dimenticare. Tutto sembrava ispirato alle splendenti stanze di Versailles che io avevo visto solo quando, ancora bambina, mi ero recata lì in visita con la scuola. Un ampio ingresso splendidamente arredato con due ampi divani, l'uno di fronte all'altro, e un bel tappeto persiano sul parquet perfettamente lucidato della stanza. Le pareti erano bianche, in legno, con finissimi ricami in oro. Un'ampia specchiera faceva mostra di se e rifletteva la mia figura a mezzo busto. Un paio di occhi castani davano l'impressione di scrutarmi con assoluta meraviglia. La mia figura sembrava quasi non appartenermi. Era una fanciulla alta e slanciata quella che mi guardava allo specchio, indossava un paio di tacchi non troppo vertiginosi e un abitino che, per i miei standard, era assolutamente pudico. Nonostante l'ampia scollatura infatti il bel vestitino in organza mi arrivava al ginocchio, coprendolo in parte, e le mie gambe erano fasciate da calze color carne che mi facevano sentire una scolaretta.

«E' stato richiesto questo e questo sarà.» aveva risposto madame Mouret alla mia richiesta di spiegazioni circa quell'abito splendido che mi era stato detto di indossare. Era ovviamente un vestito di sartoria, lo capivo anche io, sciocca ragazzina di periferia cresciuta nella povertà. Di un bellissimo color cipria con dei riporti floreale che mi facevano apparire come una bambolina delicata. I capelli lunghi mi ricadevano sulle spalle e mi era stato ordinato di non legarli. Mi sentivo molto confusa.

Quando ero arrivata in quell'albergo, all'ora richiesta, ero stata accolta nella hall da un uomo di mezza età di colore. I capelli cortissimi e il viso serio di chi non ha voglia di perder tempo né di scherzare. Mi guardava con aria di malcelata sufficienza e mi fece segno di seguirlo velocemente senza fare domande. Non mi aveva rivolto la parola se non quando aveva aperto la porta della suite e mi aveva invitato ad entrare.

«Il signore la raggiunge subito, signorina.» fu tutto ciò che mi disse prima di richiudere la porta alle mie spalle che, per un attimo, mi ero voltata a guardare la bellezza generale della stanza.

Non mi aspettavo di rimanere sola. Solitamente le persone temevano le ragazze come me e le tenevano sotto strettissima sorveglianza onde evitare sorprese poco gradevoli. Non che io fossi come le altre, tuttavia non mi sarebbe dispiaciuto avere compagnia. Non avevo lasciato quell'ingresso fino ad ora. Mi ero accomodata su un divano poggiando la borsetta su un mobiletto lì accanto. La stanza profumava grazie ai fiori freschi che facevano bella mostra sui vasi che ricoprivano ogni centimetro disponibile. Avevo giocherellato come potevo per ingannare il tempo e non pensare al fatto che stessi letteralmente morendo di fame. Non avevo cenato né pranzato e sentivo lo stomaco vuoto fare i capricci. Era proprio questo uno dei miei maggiori problemi: il mio temperamento spesso troppo sovversivo mi mandava a letto senza cena. Mi alzai dal divano solo a quel punto decisa di essere stanca di aspettare senza far niente e desiderosa di trovare qualcosa da mettere sotto i denti. In quegli alberghi di sicuro c'era un frigo bar che in un motel avrei solo potuto sognare. Aprii la porta a due ante della camera da letto e mi ritrovai di fronte ad uno spettacolo davvero meraviglioso. Una camera enorme con un bellissimo letto al centro che sembrava essere il massimo della comodità, c'erano moltissimi cuscini e sembrava una nuvola soffice di caramello. Se fossi stata più piccola, o semplicemente più ingenua, mi sarei goduta quel bel momento invece di guardarmi ancora intorno alla ricerca di altro. Ignorai la bellezza del locale, l'ampia portafinestra che dava sul terrazzo, ignorai i quadri alle pareti e i fiori nei vasi, ignorai la porta del bagno che probabilmente era grande quanto il mio appartamento e molto più lussuoso. Concentrai tutta la mia attenzione su un mobile che, se fossi stata fortunata, avrebbe nascosto al suo interno ciò che cercavo. Lo aprii con assoluta fiducia rendendomi conto che, oltre agli alcolici e allo champagne, c'era solo della cioccolata. Avrei preferito un sandwich ma dovetti accontentarmi. Presi la confezione di cioccolatini, l'aprii poggiandola sul mobile e ne presi uno mettendolo in bocca e facendolo sciogliere sulla lingua. Erano buonissimi, non c'era che dire. Anch'essi alcolici con un forte aroma di whisky. Gli alberghi a cinque stelle ospitavano solo ubriaconi? Oppure era lui ad essere un ubriacone?

Non sapevo nulla sull'uomo che stavo aspettando, madame non ne sapeva niente ma aveva accettato lo stesso di mandarmi tra le grinfie di un emerito sconosciuto perché aveva pagato in contanti, anticipatamente e il doppio della somma richiesta. I soldi potevano comprare davvero la qualunque. Tornai in salotto velocemente con lo stomaco chiuso dopo aver rimesso a posto i cioccolatini e mi risedetti sul divano che mi aveva ospitato sino a quel momento quando la porta si aprì. Ne entrò un uomo, un ragazzo, che dimostrava forse venticinque o ventisei anni. Si voltò verso di me con il viso molto serio e gli occhi indagatori. Ma non fu tanto la sua espressione a stupirmi quanto la sua incredibile avvenenza fisica. Era di una bellezza disarmante. Molto alto, molto più di me senza dubbio, il colore dei suoi occhi era di un blu così profondo e magnetico che per un attimo mi sentii di nuovo una bambina di fronte ad un sogno impossibile, di fronte al ragazzo bellissimo che si incrocia per strada e che provoca l'amore a prima vista. Io da quell'uomo avrei anche voluto un bambino! Ma ciò che aveva quel ragazzo di più bello era la voce.

«Ciao.» fu tutto ciò che bastò che dicesse per farmi sciogliere del tutto. La sua voce era bassa, profonda e seducente. Eppure, solo quando aprì bocca, mi resi conto di un altro particolare. Quell'uomo aveva dipinta in faccia una profonda melancolia, una malattia dell'animo che sembrava potesse ucciderlo.

«Ciao.» risposi io a mia volta con la voce bassa e la gola secca. Non ero mai stata timida, il mio lavoro me lo impediva, ma di fronte ad un uomo come quello mi risultava impossibile essere più sicura di me stessa.

«Mi dispiace.» sussurrò lui a quel punto avvicinandosi finalmente a me e accomodandosi sul divano di fronte al mio. Fu solo allora che notai anche il suo abbigliamento oltre al suo viso. «Non volevo farti aspettare due ore ma...sono stato trattenuto.» si scusò con assoluta educazione mentre si toglieva i gemelli che gli chiudevano i polsini della bellissima camicia bianca che indossava sotto una giacca nera che gli cadeva perfettamente sulle spalle. Un completo molto semplice ed elegante con un pantalone probabilmente fatto su misura e un paio di scarpe in vernice nera che mi fecero credere che fosse un pezzo grosso di qualche multinazionale.

«Non fa nulla.» risposi con un sorriso tranquillo alzandomi dal divano e avvicinandomi a lui. I suoi occhi non mi stavano guardando ma mi sedetti comunque al suo fianco. «Ne è valsa la pena.» costatai posandogli una mano sulla gamba.

La sua reazione mi stupii abbastanza. Lo vidi sobbalzare e si alzò in piedi in uno scatto che lo portò dalla parte opposta della stanza quasi fossi una belva pericolosa da tenere lontana. Aggrottai la fronte confusa e mi morsi il labbro.

«Tutto bene?» gli domandai alzando un sopracciglio. Non avevo mai avuto un cliente che reagisse in quel modo al contatto. Mi ritenevo una ragazza abbastanza carina. Avevo un bel viso e dei bei lineamenti, delle belle forme e dei modi molto accattivanti. Eppure lui non sembrava affatto attratto da me. Al contrario mi sfuggiva.

«Mi dispiace.» ripeté per l'ennesima volta arrossendo tanto da apparirmi quasi più piccolo. Poteva avere forse vent'anni. Era mio coetaneo? Eppure sembrava essere abbastanza grande da non dover dar conto a nessuno.

«Lo hai già detto.» scherzai alzandomi ma rimanendo abbastanza lontana da lui per non spaventarlo. «Davvero, non fartene una colpa, va tutto bene.» lo tranquillizzai credendo che parlasse ancora del suo ritardo.

«Mi sento una persona terribilmente squallida in questo momento.» sussurrò lui abbassando lo sguardo. Io avevo fatto un passo avanti ma in quel momento capii. Stava parlando di me. Stava parlando dell'idea di dover scopare con una puttana che aveva pagato. Mi sentii profondamente mortificata e arrossii a mia volta.

«Sono io quella che si vende per soldi.» gli ricordai fermandomi e scostando lo sguardo. Anche se mi sentivo ferita lui era il cliente ed io non potevo semplicemente mandarlo a fanculo, non potevo voltargli le spalle per andarmene. Dovevo rimanere lì, volente o nolente che fossi.

Lo vidi, con la coda dell'occhio, sollevare il viso verso di me e guardarmi. Non volevo leggere quello che i suoi occhi avrebbero detto e preferii di gran lunga rimanere al mio posto, silenziosa e triste per quell'amara realtà che mi veniva sbattuta in faccia. Solitamente i miei clienti non erano così difficili come quel ragazzo dalla rara bellezza.

«Non intendevo questo.» cercò di giustificarsi. Aveva ripreso possesso della sua voce che era tornata abbastanza alta e tranquilla da sembrare sicura e priva di inflessioni.

«Tranquillo, non è una bugia.» feci semplicemente spallucce e mi avvicinai a lui di nuovo approfittando di quel momento di calma. Lui si era ripreso dopo tutto da quel primo imbarazzo e forse avrei potuto concludere velocemente quell'incontro in modo da andare a leccarmi le ferite altrove, rimettere insieme il mio orgoglio ferito.

Quando gli fui di fronte poggiai una mano sulla sua spalla. La mia mano era piccola e la infilai all'interno della sua giacca, sulla sua spalla. Toccarlo non mi dava fastidio e per un attimo quasi dimenticai le offese appena ricevute. Il colore olivastro della mia pelle faceva un bel contrasto con il bianco della camicia. Feci scivolare la giacca per terra e sollevai il viso sul suo. Non mi aveva rivolto ancora neanche un mezzo sorriso, solo una leggera smorfia che non avrei saputo come interpretare. Mi avvicinai alle sue labbra, se l'avessi baciato avrei saputo come distrarre la sua mente da qualsiasi cosa lo tenesse impegnato. Era troppo bello per aver bisogno di una puttana. E anche troppo ricco giudicando il suo abbigliamento e il luogo in cui ci trovavamo. Doveva avere il cuore spezzato.

Lo baciai io. Lui era rimasto fermo come ad aspettare che il mondo gli passasse addosso, come se stesse aspettando che accadesse qualcosa che lui avrebbe potuto utilizzare per lenire quella melancolia. Lui schiuse le labbra solo dopo un attimo di profonda reticenza e a quel punto il suo buon sapore e il suo fiato caldo mi invasero la bocca e mi inebriarono completamente i sensi. Avrei anche potuto amare quell'uomo se non fossi stata chi ero. Mi prese in braccio con decisione spingendomi ad avvolgere le mie gambe intorno ai suoi fianchi e mi spinse sul letto della grande camera che avevo visto poco prima. Non riuscivo a ricollegare la mente ad altro se non al desiderio incontrollabile che avevo di quell'uomo. Mi lasciò cadere sul piumone che si dimostrò morbido e soffice come l'avevo immaginato e mi si poggiò contro a sua volta. Le mie mani corsero alla sua camicia e la sbottonarono velocemente e con una maestria che può avere solo chi ha assoluta confidenza non solo con il proprio partner ma anche con l'intera categoria. Le mie mani si posarono sul suo petto muscoloso e pallido e gli spinsero la camicia giù per le braccia scoprendo un corpo perfetto e costellato da piccoli nei che tuttavia non rendevano quell'uomo meno meraviglioso. Le sue mani corsero ai miei fianchi e tirarono via sia i collant che gli slip con un solo movimento fluido che mi strinse il basso ventre in una morsa di desiderio incontrollabile. Non volevo che mi spogliasse oltre, non volevo preliminari, volevo che mi prendesse così e basta. Gli slacciai i pantaloni e la mia mano corse a toccare immediatamente il suo desiderio. Un rumore di qualcosa che si rompeva mi spinse a voltare la testa seguendo il suo braccio disteso verso il comodino probabilmente alla ricerca di un preservativo.

«Non sono malata e prendo la pillola, sta tranquillo.» lo rassicurai portandolo sotto di me facendogli chiaramente capire le mie intenzioni. Anche lui sembrava dello stesso avviso perché mi prese con un bisogno impellente e possessivo che mi spinsero a gridare di piacere senza poter neanche trattenermi come avrei fatto di solito. Quella volta non si trattava di un servizio che stavo dando a qualcuno. Ero forse il contrario. Era lui che stava facendo provare a me sensazioni che non avevo mai provato. Lui conosceva il corpo femminile, sapeva come farmi provare piacere e come spingermi a desiderarlo. Sapeva come farmi sentire non solo un corpo, non solo un oggetto, ma anche una donna. E questo mi eccitava anche di più. Mi spogliò durante l'amplesso e mi toccò il seno, lo leccò piano con assoluta voluttà, lo strinse tra le mani e mi possedette in ogni modo possibile. Non conoscevo neanche il suo nome eppure quella notte ebbi uno dei pochi orgasmi della mia vita, un orgasmo che poi mi lasciò completamente senza forse su quel letto ormai disfatto e in quella stanza che profumava di rose.

«Ti spiace se...non ti abbraccio?» mi aveva domandato lui dopo un attimo. Avevamo entrambi il fiatone e io avevo chiuso gli occhi godendomi il caldo di quella bella camera. Il mio corpo era coperto da un leggero strato di sudore ma non mi infastidiva. Ero troppo inebriata da tutto quanto mi fosse appena successo.

«No.» risposi semplicemente non potendo dire altro. Non ne avrei avuto la forza. Non avevo avuto un amante migliore fino a quel momento, non avevo avuto un uomo che mi avesse amato con maggior trasporto ed effettivamente, mentre facevamo sesso, il dolore sul suo viso era scomparso. Ne avevo visto i lineamenti morbidi e distesi, lo avevo addirittura visto sorridere, ad occhi chiusi, tanto che la sua guancia aveva mostrato una cicatrice che mi sembrò assolutamente perfetta su quel viso. Si alzò dal letto immediatamente dirigendosi verso la porta del bagno lasciandomi sola in quella stanza mentre sentivo l'acqua della doccia aprirsi e scorrere regolare. La immaginai mentre quell'acqua lavava il corpo perfetto di quell'uomo e ne provai nuovamente desiderio. Per non fare irruzione in quel bagno dovetti rimanere sdraiata a letto, gli occhi chiusi, con un mantra nella mente che mi diceva di rimanere dov'ero. Quando ne uscì, dopo poco, aveva i capelli un po' umidi, i piedi scalzi, il petto nudo e un paio di pantaloni della tuta di un colore verde militare che gli stavano splendidamente. Mi misi a sedere sul letto e lo guardai con curiosità mentre mi coprivo con il lenzuolo.

«Non hai fame?» domandò come avrebbe fatto un amico dopo una chiacchierata. Lo fissavo silenziosamente mentre passeggiava per la camera in cerca chissà di cosa. Poi aprì il frigobar in cui io avevo già sbirciato e lo vidi storcere il naso in modo davvero adorabile. «Beh, se anche tu ne avessi dovremo accontentarci di champagne e cioccolato.» concluse lui senza che io avessi nemmeno risposto alla sua domanda. Li prese entrambi, sia la bella bottiglia verde dal tappo d'oro sia la confezione di cioccolato che io avevo già assaggiati. Si venne a sedere sul letto di nuovo dopo aver recuperato due bicchieri, incrociò le gambe e aprì la confezione in cui mancava un cioccolatino.

«L'ho preso io prima.» mi giustificai guardando la sua espressione stupita. Sollevò il viso su di me e fece spallucce.

«Hai fatto bene, almeno hai addolcito un po' l'attesa.» mi rispose con un mezzo sorriso che non raggiunse gli occhi. Aprì la bottiglia di champagne e lo versò nei calici porgendomene uno. Mi sedetti anche io come lui a gambe incrociate e presi un secondo cioccolatino.

«Perché sei sempre triste?» gli domandai io di punto in bianco con la stessa tranquillità con cui si chiede l'ora ad uno sconosciuto. Lui mi guardò con gli occhi sgranati e si morse il labbro.

«Come?» domandò particolarmente colpito con le guance un po' rosse.

Io bevvi un sorso di quel buonissimo champagne che mi aveva offerto e sorrisi per quel trattamento di lusso prima di tornare a guardarlo con serietà negli occhi blu. «Hai gli occhi tristi...» sussurrai pianissimo poggiando il bicchiere sul coperchio della scatola per evitare che cadesse sul letto.

Le sue labbra si piegarono di nuovo in un sorriso e fece semplicemente spallucce come se nulla fosse. «Secondo te perché?» domandò lui a sua volta come se volesse giocare con me in quel modo ridicolo. Non che io volessi tirarmi indietro. Mi piaceva giocare ed ero tremendamente incuriosita da lui. Anche se avevo soltanto la terza media, anche se non ero riuscita a finire il liceo perché avevo dovuto abbandonare prima, la mia grande passione era proprio la psicologia.

«Perché?» ripetei io cercando di pensarci su. Mi aveva preso poco prima sempre ad occhi chiusi, mi aveva toccata come se mi avesse amata ma era indubbio che non fossi io quella che avrebbe dovuto ricevere quelle attenzioni. Altrimenti mi avrebbe abbracciata dopo. «Sei innamorato di una donna.» costatai io seguendo il filo dei miei pensieri senza guardarlo. «Però hai il cuore spezzato.» conclusi con semplicità tornando a lui. Il suo sguardo era serio e un po' buio adesso come se non riuscisse a credere alle mie parole.

«Come ti chiami?» la sua voce sembrava minacciosa e per un attimo ne ebbi quasi paura.

«Daphnée» la mia risposta era stata istintiva.

«Quanti anni hai Daphnée?» continuò lui sempre sulla stessa riga di prima. Lo sguardo serio e la voce impostata di chi sa di avere la forza tra i due. Adesso dimostrava anche trent'anni. Di certo non era più il ragazzo che era entrato dalla porta poco più di un'ora prima.

«Venti.»

Il suo sguardo si ammorbidì di molto quando sentì quel numero pronunciato dalla mia voce tremante. Sollevò una mano e mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Sei piccola anche tu.» sussurrò lui quasi con dolcezza. I suoi occhi erano di nuovo lontani ed io non ebbi la forza di dire altro. «Io sono Gaspard.» continuò lui sempre con maggiore delicatezza.

Ci stavamo guardando, occhi negli occhi. E fu allora che lo riconobbi. Non so cosa fu a far scattare nella mia mente la scintilla. Forse fu quel suo mezzo sorriso o il brusco passaggio da cattivo a principe azzurro che aveva avuto poco prima. Lo avevo visto per le vie della città, lo avevo visto nelle locandine pubblicitarie di un noto profumo e poi anche nella metro per sponsorizzare molti dei suoi film. Sgranai gli occhi e le mie labbra si aprirono in un sorriso che sembrò quasi preoccuparlo.

«Ti conosco.» sussurrai semplicemente provocando in lui un sorriso divertito.

«Mi conosci?» chiese lui come se fosse scettico. «E cosa sai di me?» mi domandò come se mi stesse mettendo alla prova. Come se volesse che gli rivelassi io ciò che lui stesso non capiva su se stesso.

«So che sei un attore e che hai fatto la pubblicità della Chanel.» scherzai io facendo spallucce. Effettivamente era tutto ciò che sapessi su di lui.

«E lo hai capitolo solo adesso...» costatò con un mezzo sorrisetto che sembrava quasi volesse beffeggiarmi. La mia risposta fu una linguaccia divertita mentre recuperavo l'ennesimo cioccolatino dalla confezione e lo mettevo in bocca per dirgli che non avrei risposto. «Ok però...» in quel momento il suo telefono squillò. Era poggiato sul comodino e si illuminò appena. Gaspard lo guardò per un attimo indeciso se controllare cosa fosse o meno.

«Speri sia lei?» gli domandai inclinando la testa per cercare di guardarlo in viso. Non volevo essere invadente ma adesso proprio non riuscivo a farmi gli affari miei.

«Ehi, ragazzina, io sono anche laureato in psicologia. Mi psicanalizzo da solo ok?» era un rimprovero bello e buono quello segno che, dopo tutto, ci avevo azzeccato.

Lui si spose verso il comodino, afferrò il telefono e lesse velocemente il messaggio che gli era arrivato. Il suo viso si illuminò di una luce che non gli avevo mai visto, come se gli fosse stata data la notizia migliore del mondo. Era davvero bellissimo. Gli occhi gli luccicavano un po' e il viso era una maschera di pura felicità. Avrei fatto qualsiasi cosa per essere quella ragazza.

Quando posò il telefono mi trovò lì a guardarlo. Aggrottò la fronte e io feci spallucce. «Abbiamo appena fatto sesso, fidati, non credo ci sia qualcosa di più intimo.» risposi alla sua accusa silenziosa. «E poi sono vincolata al silenzio neanche fossimo in confessione.» scherzai poi sperando di convincerlo a dirmi qualcosa di più sulla ragazza misteriosa.

Lui sospirò e scosse appena la testa porgendomi il telefono sulla schermata dei messaggi.

Buon compleanno Gaspard! Volevo farteli a mezza notte ma poi mi sono addormentata. Passa una buona giornata e grazie ancora per tutto quello che hai fatto per me.”

Il messaggio era piuttosto semplice, niente di che. Era arrivato a mezzanotte e mezza e di sicuro era stata la prima a fargli gli auguri. Avrei voluto recuperare alla mancanza ma la mia curiosità mi spinse a leggere il nome con cui era salvato il numero.

Chariote. Bambolina.

Arrossii alla dolcezza di quel soprannome e lo sguardo mi cadde sui messaggi precedenti che non riuscii a leggere perché il telefono mi fu tolto di mano.

«Buon compleanno allora.» gli augurai anche io dandogli un bacio sulla guancia. «Quanti sono?» domandai con tranquillità giocherellando con una ciocca dei miei capelli.

«Trenta.» avevo indovinato. Anche se lo avevo fatto solo a terzo tentativo comunque avevo indovinato. Sorrisi appena e poi rimasi un attimo pensierosa.

«Sei uno psicologo no?» gli chiesi io senza sapere che cosa fare per rompere quel silenzio che si era creato tra di noi. «Non hai bisogno che io ti dica cosa ne penso.» conclusi per spiegare la mia domanda retorica di poco prima.

«Invece mi farebbe piacere sentire un tuo commento.» mi rispose lui con serietà.

«Che dovrei dirti visto che non la conosco?» gli feci notare prendendo l'ennesimo cioccolatino. Stavo letteralmente morendo di fame ma lui era troppo concentrato su quella ragazza per accorgersene.

«Ha la tua età, più o meno. È un'attrice ed è sposata da quasi un anno con un enorme testa di cazzo!» mi rispose lui facendomi notare tutto il suo disprezzo per quello che era il marito di quella ragazza. Aveva solo vent'anni. Un marito a vent'anni?

«Davvero? È sposata? Eppure quel messaggio...insomma mi era sembrato che anche da parte sua ci fosse del tenero.» mormorai imbarazzata senza sapere che altro dire. Mi ritrovavo a dare consigli ad un uomo che avrei voluto avere per me circa un'altra donna, sposata, che probabilmente stava con un uomo anch'esso bellissimo oltre ogni mia immaginazione. Gaspard non rispose al mio soliloquio e si sdraiò a letto chiudendo gli occhi. Io non potevo rimanere lì quella notte. Madame non me lo avrebbe mai perdonatao e non volevo rimanere all'addiaccio un'altra volta. Mi alzai dal letto e mi rivestii velocemente mentre lui, ancora pensieroso, sembrava non darsi pensiero per me.

«Spero che le cose con la tua bella si sistemino comunque.» dissi alla fine. Ero ormai sulla porta della camera, pronta. Avevo anche recuperato il mio cappottino nero e molto sciupato. Lui sollevò lo sguardo solo allora e si mise seduto sul letto guardandomi negli occhi. «Se io fossi in lei non vorrei nessun altro uomo.» ammisi arrossendo prima di voltarmi e andare via. Lui non mi fermò e non mi aspettavo che lo facesse. Neanche dieci minuti dopo ero sulla metro diretta a “casa”. Non avevo più i genitori, morti quasi sei anni prima, la mia famiglia era solo Madame che fingeva di prendersi cura di me costringendomi a prostituirmi. Non avevo un futuro visto che non avevo un titolo di studio ma per quella notte non mi importava. Non mi importava di avere fame e freddo, non mi importava di tornare da quella vecchia e brutta megere che mi avrebbe fatto del male. Avevo passato una sera che molte ragazze avrebbero solo potuto sognare. Avevo fatto l'amore con Gaspard Ulliel anche se lui non l'aveva fatto con me ma con quella ragazza misteriosa che lui amava tanto. Quella notte di novembre non potevo lamentarmi di nulla.

Chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza.

 

Note d'Autrice:

Buona sera. Come potete notare questa piccola fan fiction non nasconde nessuna storia d'amore tra i nostri due ragazzi alla fine (ma non è detta l'ultima parola). Daphnée torna a fare la prostituta e Gaspard la guarda andare via come se nulla fosse. Se vi state chiedendo chi sia questa fanciulla misteriosa di cui lui è innamorato beh, la storia è abbastanza lunga e la trovate in Wathever work e in Hollywood Ending. Spero che magari qualcuno di voi abbia la curiosità di dare una sbirciatina, di leggerle e magari di recensirle anche. Per il resto nulla. Fatemi sapere che ne pensate, se ne avete voglia. Io avevo molta voglia di scrivere di Gaspard perché lo adoro particolarmente e quindi ecco qui. Grazie mille a chi mi ha dedicato qualche minuto del suo tempo.

  
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