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Autore: Angie Mars Halen    19/02/2014    1 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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23) VINCE

I grilli... ma cosa mi era saltato in mente? Non ne avevo idea e continuai a domandarmelo mentre lasciavo che Grace restasse con la testa appoggiata alla mia spalla. Per arrivare a mettersi in quella posizione doveva alzarsi sulle punte dei piedi, ma il fatto che fosse bassa non significava che non fosse bella o che non mi sentissi attratto da lei. Anzi, a me piaceva, forse anche più del dovuto, e mi ero accorto della sua bellezza fin dal primo momento in cui l’avevo vista. Inizialmente avevo in mente solo di farmela e basta, incurante della sua amicizia con Nikki, poi però avevamo parlato un paio di volte e avevo capito di non aver a che fare con l’ennesima groupie di turno che vuole cancellare un nome dalla lista delle rockstar con cui sperava di andare. Grace era simpatica, intelligente e comprensiva e, a quanto pareva, non ero l’unico a essermene accorto: Nikki ne parlava come se fosse stata la sorella comprensiva che non aveva mai avuto, Tommy ci riportava solo cose positive sul suo conto basandosi su ciò che gli raccontava Elisabeth, e Mick, che era il vecchio della situazione, non faceva altro che ripeterci che non dovevamo azzardarci ad andarle vicino – non avevo ben capito cosa gli fosse preso, sembrava quasi che volesse proteggerla come se fosse stata sua cugina o qualcosa del genere. Poi c’ero io, quello che passava sempre per l’arrapato di turno – e in effetti era vero – però a nessuno sovveniva mai che forse anche il re dello stravizio avesse un cuore. A volte era un po’ bastardo, è vero, ma era pur sempre un cuore che provava dei sentimenti. Era in grado di provarne di forti quando si rendeva conto di aver trovato qualcuno per cui valesse la pena sforzarsi di voler bene, e lo faceva volentieri. Adesso avevo trovato Grace: era bella, dolce e forse non conosceva l’ambiente a cui appartenevo, però era interessante. Mi sentivo peggio di un moccioso delle scuole medie alle prese con la prima cotta, forse perché era uno dei pochi veri sentimenti che avessi vissuto fino a quel momento. Gli altri erano andati tutti a farsi fottere e, poiché non potevo predire le sorti di quello che stavo vivendo – e che non sapevo nemmeno se fosse ricambiato – pensai che sarebbe stato meglio cogliere l’attimo per non avere rimpianti in futuro.

Grace sollevò il capo dalla mia spalla e riaprì gli occhi. “Comincia a fare freddo. Credo che sia meglio rientrare,” si avvicinò poi al bordo e allungò una mano verso il telo. “Ne abbiamo uno solo, prendilo tu.”

“Così dopo ti prendi il raffreddore? Nah, neanche per sogno,” ribattei ironico.

“Non vorrai prenderti il mal di gola e perdere la voce?” esclamò divertita, poi uscì dall’acqua e corse fino dentro casa stringendosi nelle spalle, la pelle bagnata che brillava sotto la luce della luna.

Presi l’asciugamano che aveva abbandonato vicino al bordo vasca, me lo buttai addosso e rientrai. Mentre attraversavo il salotto, Grace sbucò da una delle porte, ancora bagnata e tremante, e mi chiese se poteva avere un altro telo. Ci misi un po’ prima di risponderle perché mi soffermai a osservarla perché il costume bianco che avevo ripescato da uno dei cassetti lasciava intravedere più cose di quando avrebbe dovuto.

“Allora?” esclamò Grace, stanca di aspettare.

Buono, Vince, a cuccia, mi ripetevo mentalmente mentre tenevo gli occhi fissi laddove la stoffa era più trasparente.

“Mi hai sentita?” continuò Grace. “Sto congelando. Posso avere un asciugamano o me lo devo cercare da sola?”

Mi scansai di scatto dal bordo del tavolo al quale mi ero appoggiato e la raggiunsi con un paio di passi per poi fermarmi davanti a lei e guardarla dritto negli occhi.

“Ce ne dovrebbe essere uno nella seconda stanza a sinistra, dentro l’armadio,” risposi tutto d’un fiato. Grace mi ringraziò e corse al piano superiore, e nel frattempo io mi maledicevo per non aver fatto qualcosa per non farla allontanare. Dov’era finito il vecchio Vince che conoscevo, quello che aveva sempre la risposta pronta e non si lasciava intimorire da niente?

Mandai a ‘fanculo tutto quanto e corsi anch’io di sopra, dove trovai Grace in punta di piedi nella speranza di riuscire a raggiungere uno degli asciugamani che la domestica aveva sistemato nei ripiani più alti. Era evidente che le servisse aiuto, allora mi avvicinai per aiutarla. Le appoggiai una mano sul fianco per invitarla a spostarsi e intanto cercavo di raggiungere il lembo di uno dei teli per prenderlo giù, sfiorandole appositamente la schiena umida col corpo. Dal momento che erano stati tutti stipati in un solo ripiano, erano così stretti che fu sufficiente che ne tirassi uno per spostare anche gli altri. Una decina di asciugamani bianchi volò giù dallo scaffale dell’armadio e Grace tentò di schivarli, ma nel voltarsi di scatto mi prese contro e finimmo tutti e due sul pavimento, sepolti da una valanga di asciugamani come due perfetti cretini. Me la ritrovai sopra, con gli occhi fissi nei miei, e un telo bianco aperto sulle spalle a fare ombra su di noi. Da dietro il suo collo spuntava un laccetto del costume ed ero fortemente tentato a tirarlo finché il nodo non si fosse sciolto. Avrei potuto approfittare del momento, ma avrei dovuto aver capito già da un po’ che tutto era partito nel modo più errato in assoluto. Più semplicemente, avrei dovuto dare ascolto ai cattivi presagi, o almeno così credevo.

Grace si alzò da terra e si affrettò a raggiungere la porta, stretta nel suo asciugamano. “Scusa, ma non ci arrivavo.”

“Scherzi?” risposi fingendomi rilassato mentre la guardavo da ancora steso sul pavimento. “Non preoccuparti per gli asciugamani, se non mi fossi intromesso non sarebbe successo.”

Grace annuì e la sentii correre verso il bagno per poi chiudersi dentro a chiave. Sbuffai e lasciai cadere la testa sul pavimento, ancora invaso dai teli che erano volati giù, poi fui costretto ad alzarmi per cercare di rimediare alla meglio a quel casino, finendo per arrendermi e lasciare tutto com’era.

Che figura di merda e che scena patetica! Avrei preferito essere centrato in pieno da ventimila asciugamani alla volta ed essere schiacciato sotto il loro peso piuttosto che pensare a quel piccolo e stupido incidente. Il problema più grave era che non avevo neanche approfittato della situazione. Che cosa avevano disciolto nell’acqua della piscina, sonnifero? Oppure ero che mi ero rimbecillito? Scossi il capo e continuai a scuoterlo anche mentre aspettavo Grace in salotto, rassegnato a riportarla a casa e con davanti la sua immagine nel bikini bianco.

Scese mezz’ora dopo, con i capelli raccolti in una coda e il costume in mano. “Grazie per avermelo prestato e per gli asciugamani, anche se mi sarei accontentata di uno solo.”

Sospirai. Forse quell’immane cazzata non era stata poi così imbarazzante come avevo creduto visto che ci stava già ironizzando sopra.

“Tra una cosa e l’altra ci siamo dimenticati di mangiare,” constatò con amarezza, massaggiandosi il ventre all’altezza dello stomaco.

Mi grattai la nuca. “In effetti, anch’io ho un po’ fame. Vuoi che ordini le pizze? Se chiedo di portarmele subito obbediscono, tanto sanno che a volte vado di fretta.”

Più che altro, i pizzaioli erano consapevoli delle mance che elargico.

Grace scosse il capo. “Mi piacerebbe, ma è tardi, devo tornare a casa o... o penseranno giusto.”

Inarcai un sopracciglio. “Ovvero?”

“Che sono stata rapita da uno sconosciuto,” rispose accompagnando la frase con un occhiolino. Tirai un sospiro di sollievo perché credevo che ci aggiungesse qualcosa del tipo “uno sconosciuto pervertito che, pur di provarci con me, mi ha convinta a fare un bagno in una piscina riscaldata, ma ha fallito miseramente”.

“Ammettilo che è stato divertente,” ribattei per sdrammatizzare ma, soprattutto, per convincermi che fosse veramente così.

Grace rise. “Devo proprio ammettere che avevi ragione quando mi hai detto che sarebbe stato meglio venire a casa con te piuttosto che mangiare un burrito in solitudine al chiosco davanti alla mia vecchia scuola.”

Mi sentii molto soddisfatto. “Quindi puoi dire che, asciugamani a parte, la serata non sia stata del tutto spiacevole?”

Grace avanzò di qualche passo verso di me e sollevò appena il capo per potermi guardare in faccia. “Proprio così. Alla fine è stata una bella serata.”

Adesso era troppo vicina e non riuscivo a sopportare la vista di quella coda improvvisata, allora presi l’elastico e la sciolsi come avevo fatto poco tempo prima per la sola gioia di vedere i suoi capelli ricaderle sulle spalle. Stavolta non mi guardò stranita e si lasciò sfuggire un’occhiata fin troppo lasciva.

Avanti, Vince! Non vedi come ti guarda? mi dissi. Fa’ qualcosa prima che sia troppo tardi. Ne va della tua stima di te stesso e, se proprio vogliamo essere puntigliosi, anche dei tuoi sentimenti. Metti da parte la morale, se mai ne hai avuto anche solo un briciolo, e agisci.

Non ero solito ascoltare la maledetta vocina della mia coscienza che mi ronzava nella testa, ma quella volta lo feci: passai una mano tra i capelli di Grace e la tirai a me per far aderire le nostre labbra. Credevo che mi avrebbe respinto perché mi riteneva solo uno sfigato che voleva provarci, invece non accadde. Restò subito immobile, poi prese coraggio e ricambiò il bacio con passione. Avevo capito che era davvero ora di andare e riportarla a Van Nuys, ma non riuscivo a staccarmi da lei e a smettere di mordicchiarla. Ero perso, totalmente e irrimediabilmente rapito da quell’intrigante attorcigliarsi di lingue. Volevo percorrere in quel modo ogni singolo centimetro dello stesso corpo morbido che avevo visto e continuavo a immaginare a malapena coperto dal costume bagnato e trasparente, avevo caldo e non vedevo l’ora di liberarmi e liberarla da tutti i vestiti. La mia stanza era al piano di sopra e ci avrei impiegato meno di dieci secondi a sollevarla e a portarcela, ma avevo così fretta che mi sarei accontentato del divano o addirittura della porzione di pavimento sulla quale ci trovavamo in quel preciso istante. Le passai un braccio intorno alla vita per trascinarla con me mentre scivolavo contro la parete, ma Grace oppose resistenza.

“No, Vince,” mi ammonì. “Non ora. Lo sai che non posso.”

Mi staccai dal muro e presi a parlarle sfiorandole il collo con le labbra. “Non ho intenzione di lasciarti andare via così.”

“Non sono una delle tue groupie, ficcatelo bene in testa,” la voce le tremava, segno inequivocabile che la mia piacevole tortura stava avendo effetto.

“È per questo che voglio che tu rimanga,” mormorai mentre mi spostavo sempre più in basso, indaffarato a sbottonarle la camicetta. “Se tu fossi una persona a caso ti avrei già mandata via, ma non lo sei. Tu mi piaci, Grace.”

Sentii il ritmo del suo respiro diventare più veloce mentre scendevo lungo il suo petto. “Piantala di dire cazzate. Lo so benissimo che ripeti la stessa roba a tutte.”

“Non puoi saperlo perché non mi conosci,” ribattei.

Stavo per scostare un lembo della camicia quando Grace mi prese delicatamente le guance tra le mani e mi costrinse a smettere per guardare il suo viso, ora serio.

“Non ti credo,” disse tutto d’un fiato. “Non può essere possibile. Se restassi qui tu mi attaccheresti al muro per sbattermi poi mi cacceresti fuori di casa come un usa e getta, quindi non ho intenzione di stare alle tue regole.”

La strinsi a me facendo aderire bene i nostri corpi mentre i suoi occhi mi fissavano con avidità e indecisione allo stesso tempo. “Se solo sapessi come sono, non diresti così. Non smetterò di ripeterti che mi piaci perché è la verità. Raccontare cazzate mi riesce bene, ma posso assicurarti che questa non lo è. Se vuoi tornare a casa, allora ti ci porto, ma sappi che con te non ho finito.”

La baciai nuovamente con lo stesso trasporto di prima, poi la condussi alla macchina tenendo un braccio intorno alle sue spalle. Grace si limitava a camminare a passo spedito e a guardare un punto fisso davanti a sé, poi salì sull’auto e aspettò che fossimo in strada per rivolgermi una domanda. “Posso sapere cosa c’entra uno come te con una come me? Tu sei famoso e sempre circondato da donne bellissime, mentre io sono letteralmente la prima che passa. Non ho mai parlato con gente come te e non sono mai stata a una delle vostre feste.”

“Gracie, siamo tutti delle persone e proviamo dei sentimenti,” cominciai mentre guidavo verso Hollywood per una strada buia. “Tutte quelle donne che ho sempre intorno sono una conseguenza della mia fama che non ho mai disprezzato, ma loro vengono da me perché cercano quattrini o vogliono poter raccontare di essere state con una persona famosa. A quelle non interessa dei sentimenti e, quando sono con loro, non importa nemmeno a me. Tu però non sei una di loro e, anche se ti conosco da poco e i nostri primi discorsi non sono stati poi così piacevoli, posso già dire che apprezzo tutto di te.”

Grace appoggiò la testa al sedile. “Hai detto bene, ci conosciamo da poco e, da quel che mi sembra, questa è la prima volta in cui ci parliamo senza punzecchiarci a vicenda.”

Ecco, lo sapevo. Bravo, Vinnie, bella mossa, come al solito. Accidenti a te, vecchia canaglia!

Era troppo presto per lanciarsi in certi discorsi e avrei dovuto saperlo, così come avrei dovuto capire che forse per Grace non era nemmeno il momento adatto. Era più giovane di me, era molto impegnata con l’università per costruirsi un futuro, ed era già abbastanza incasinata per via dei pensieri che le dava Nikki. Avrei fatto meglio a tacere o addirittura a lasciarla andare a mangiare quel burrito da sola davanti alla scuola. Che razza di stupido ero stato! Se lei era una che capiva al volo le altre persone, io ero un coglione che non l’aveva capita affatto, o meglio, l’aveva capita troppo tardi, mandando tutto a farsi friggere solo perché pensava sempre prima a se stesso.

Mi fermai nel solito parcheggio in un quartiere residenziale di Van Nuys e feci cenno a Grace di aspettare prima di scendere. Le sorrisi e scrissi il mio numero di telefono sul retro di un biglietto da visita di uno studio fotografico di cui non mi interessava e glielo diedi. “Così possiamo tenerci in contatto. Non perderlo, eh?”

Grace ripose attentamente il biglietto nella borsa e, prima di aprire la portiera, si sporse verso di me e mi baciò un’ultima volta, poi mi passò una mano tra i capelli. “La pazienza è una grande virtù, Vince.”

“Ma io non mollo mai,” risposi. La sua risata argentina riempì l’abitacolo, poi mi salutò e sparì nel buio della strada. Mi domandai se avremmo avuto di nuovo l’occasione di stare insieme. Al di là di questo, il fatto di essere andato in bianco non mi andava proprio giù, quindi pensai che un bicchierino me lo meritavo. A pensarci bene, forse anche due o tre, o direttamente mezza bottiglia.




N. d’A.: Buonasera!
Chiedo venia per la scena degli asciugamani... l’ho scritta ad agosto e in sei mesi non sono mai riuscita a trovarne una che potesse sostituirla. Anyway, un po’ di demenziale non guasta mai! ;)
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Mercoledì prossimo arriverà il seguito. Stay tuned!
Un bacio enorme,

Angie

   
 
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