Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: leorecchiedijamie    20/02/2014    1 recensioni
Quando Christina scopre di dover lasciare la sua città, il mondo sembra crollarle addosso. Ai problemi familiari che la costringono a trasferirsi si aggiungono la tristezza e la nostalgia della sua vecchia vita.
Vivere a Londra non era mai stato uno dei suoi obiettivi, né tanto meno lo era conoscere l'irritante assistente del corso di teatro che si ritrova a frequentare. Non che non sia gentile, spiritoso, ironico. Non che non la aiuti a migliorare le sue doti teatrali o che non sia dannatamente bravo nel suo lavoro. Non che non sia un attore di fama mondiale. Non che si tratti di Jamie Campbell Bower, affatto. È solo che Christina ha un'inspiegabile avversione patologica verso quest'individuo, il quale, però, sembrerebbe riuscire a farsi strada oltre il suo inespugnabile guscio senza troppa fatica.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tempesta in arrivo

 

«Chris, su alzati!»
Muggii quello che per me doveva essere “cinque minuti”.
«Chris, su! Non vorrai fare tardi il primo giorno!»
«Mh?»
«Oggi è lunedì, ricordi? E tra un'ora devi essere al college, per il corso...»
«Stai scherzando? Perché diavolo non mi hai svegliata prima?!» urlai, mentre saltavo giù dal letto. Mamma mi rispose qualcosa, ma io non feci in tempo a sentirla che già mi ero fiondata verso la cucina.
Possibile che non avesse avuto il buonsenso di svegliarmi almeno una mezzora prima? Avrei ritardato, lo sapevo, mannaggia a me, ai miei ritardi cronici e alla sveglia che avevo dimenticato di impostare.
Aprii la dispensa, pronta a ingurgitare qualche biscotto di fretta che avrebbe costituito la mia colazione, ma la trovai vuota. Bene.
Se il buongiorno si vede dal mattino sono spacciata.

 

****

 

Ritardo.
Ero incredibilmente in ritardo, e come se la mia naturale indole da ritardataria non fosse abbastanza, ci si era messo di mezzo anche il traffico, per cui l'autobus era appena a metà percorso e io dovevo essere già al campus. Bene.
Mi infilai le cuffiette del mio mp3 e premetti play, sperando di calmarmi un po' e che il mio ritardo non fosse poi così grave.
Ci vollero ben dieci canzoni per fare appena tre chilometri di strada, e quando scesi dall'autobus sarei già dovuta essere al corso da mezz'ora. Mi catapultai di fuori con talmente tanta foga che rischiai di finire dritta per terra dovendo fare soltanto uno scalino, ma non ebbi il tempo di tormentarmi per la poco mancata figuraccia; in un minuto e mezzo, probabilmente stabilendo un nuovo record a livello mondiale, ero già in college diretta verso la segreteria, sperando che i professori inglesi non fossero così fiscali da cacciarmi dal corso per il mio ritardo.
Vidi un ragazzo alla scrivania che riordinava qualche scartoffia. Non mi era nuovo, aveva un che di familiare; avvicinandomi a passo svelto lo riconobbi: era il ragazzo che avevo incontrato quando mi ero segnata al corso, la settimana prima. Tirai un sospiro di sollievo, nonostante fosse uno sconosciuto per me, il fatto di vedere qualche persona già incontrata aveva un effetto tranquillizzante.
Sebbene avessi fatto non poco rumore per raggiungere il bancone, il ragazzo non si era accorto del mio arrivo, tutto intento sui suoi fogli, o quantomeno fece finta di non avermi sentita.
«Scusi!»
Alzò la testa di scatto, facendomi capire che non si era davvero accorto della mia corsa, mi guardò per qualche istante. Feci per chiedergli dove era l'auditorium, ma mi precedette.
«Sei in ritardo.»
Che ragazzo perspicace.
Si dovette accorgere del mio sguardo scettico, perché la sua bocca si distese in un sorriso. Sì, dai, ridi pure di me, tanto ormai questa giornata non sembra poter andare peggio. Stavo per tentare nuovamente di chiedergli dove si teneva il corso, ma, per la seconda volta, fu più veloce di me.
«Sono nell'aula di canto, per qualche settimana l'auditorium del college sarà inaccessibile, nel frattempo le lezioni di teatro si terranno lì. Prendi il corridoio a destra, la stanza è l'ultima sulla sinistra.»
«Grazie» risposi, accennando un sorriso.
«Prego» rispose sovrappensiero, tornando alle sue faccende.
«Oh!» mi chiamò poco prima che svoltassi l'angolo. «Prendi l'autobus '23, non è vero? Il turno delle 9:30 arriva sempre in ritardo.»
«Ne terrò conto, grazie» risposi, con una punta di ironia che non sembrò cogliere, poco prima di andare verso la porta che mi aveva indicato.

 

****

 

 

«Salve a tutti, signori, sono il professore Owent, e sono io che tengo il corso di teatro.»
Fortunatamente, essendo la prima lezione del corso, il professore aveva cominciato in ritardo; forse non era la mia giornata sfortunata.
Presi posto accanto a una ragazza con i capelli rossi, che mi sorrise amichevolmente.
«So che molti di voi si sono segnati unicamente allo scopo di ottenere crediti per l'anno scolastico, ma il teatro è molto di più che un semplice aiuto per essere promossi.» Gli occhi severi del professore passarono in rassegna ognuno di noi. «È una vocazione, un talento, una passione...»
Il telefono di qualcuno squillò in quel preciso istante, mandando all'aria l'intento del professore di fare un bel discorso d'inizio. L'uomo divenne rosso in viso, eppure non mi sembrava minaccioso. Nonostante fosse arrabbiato mi dava l'idea di un uomo simpatico, alla mano, scherzoso.
«Va bene, ragazzi, vi vedo annoiati. Per quest'anno saltiamo la predica sull'impegno e l'amore per il teatro, tanto chi ha scelto il corso solo per i crediti si stuferà presto e ci lascerà di sua spontanea volontà, togliendomi il dovere di fare discorsi detti e ridetti che non fanno altro che annoiare anche me.» Il professore sorrise, e tutti noi di rimando.
Ognuno di noi si presentò e io scoprii che la ragazza dall'aria simpatica con i capelli rossi si chiamava Alexis. Inutile dire che appena finito il giro delle presentazioni mi ricordavo solo di lei; ero un disastro coi nomi, per di più questi erano tutti stranieri. Non sarei riuscita a ricordarmeli tutti prima della fine del corso.
«Bene,» cominciò il professore «come tutti noi sappiamo, c'è una parola chiave connaturata nel termine 'attore': improvvisazione. Oggi voglio che voi tutti vi buttiate, l'arte dell'improvvisazione può spaventare, inizialmente, ma un attore non può vivere senza di essa.»
Non ero del tutto impreparata per quanto riguardava il teatro; mi aveva sempre affascinata, avevo frequentato un corso solo per un anno, alle medie, per poi rinunciare a stare sotto i riflettori e ritornare al mio tanto amato posto da spettatrice.
L'improvvisazione era stata sempre un punto interrogativo per me: certe volte era divertente cimentarsi in personaggi sconosciuti, inventarsi battute sul momento, avere la sagacità di un personaggio che in realtà non mi era mai appartenuta, sfogare un'inesistente rabbia, essere qualcuno che non ero; altre volte l'improvvisazione mi mandava nel pallone. Dipendeva tutto dal momento, senza ispirazione il mio cervello andava in tilt e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era: “E adesso che faccio?”
«Se si sa improvvisare si è già a metà dell'opera!»
«Questa è la parte che mi piace di più» mi sussurrò Alexis con uno sguardo divertito.
«Speriamo bene...» le risposi, sorridendo timidamente e cercando di nascondere la mia agitazione.
«Siamo tutti dei viaggiatori, persone che cercano una nuova realtà» continuò il professore. «Che fareste se poteste decidere della vostra vita? Cancellereste tutto ciò che siete stati per ricominciare da zero? Chi sareste? Probabilmente un eroe, magari un semplice impiegato, un grande avvocato o chissà... Ma ovviamente al mondo non siamo tutti dei cittadini modello, c'è chi è sfortunato, chi vive in strada, chi decide di dedicarsi alla malavita. E a voi quale destino sarà assegnato?»
L'idea non mi sembrava malvagia, mi piaceva lo spunto da cui stava partendo.
«Dopo che vi sarà assegnata la vostra “nuova identità”, vi troverete in un vagone della metropolitana, nella vostra nuova città, ognuno a contatto con una realtà diversa. Sarà divertente!»
«Spero di essere la milionaria di turno» mi disse Alexis, sorridendo.
«Bene, lui è Jamie, il mio aiutante, è lui che decide chi sarete. Non rimanete ingannati dalla sua giovane età, è un ragazzo, ma la sua carriera da attore coinvolge pellicole importanti ed è conosciuto a livello mondiale.»
La componente femminile del corso si lasciò andare ad occhiate languide e sospiri, mentre io rimasi a bocca aperta.
«Jamie Campbell Bower, probabilmente lo conoscete meglio sotto questo nome» ritentò il professore, notando la mia perplessità.
«Salve» si presentò lui.
All'inizio non seppi che pensare, ero rimasta di stucco. Jamie era il ragazzo del bancone, che evidentemente ci aveva raggiunti nell'aula di canto senza che io me ne accorgessi; quello biondo che avevo a malapena degnato di uno sguardo, ma adesso a guardarlo bene lo riconoscevo. Un attore di fama mondiale. Molto bene, Christina. Mi detti mentalmente della stupida almeno una decina di volte. Come diavolo avevo fatto a non riconoscerlo prima? Non sapevo perfettamente chi fosse, ma sapevo che era un attore, diamine, magari avrei cercato di non sembrare così sbadata e maldestra, disorientata.
Mentre io, ignara, mi maledivo e me la prendevo con me stessa per la mia grande figura, Jamie assegnò un ruolo a ciascuno. All'improvviso me lo trovai davanti, mentre socchiudeva gli occhi pensieroso. Averlo così vicino mi metteva in soggezione, non solo perché mi stavo tormentando per non averlo riconosciuto, ma anche perché, beh, – come ho fatto a non accorgermene prima? – era davvero bello.
«Mi dispiace, ma la società, nel mondo, non è tutta perfetta e c'è chi non è poi così fortunato nella vita. Tu interpreterai, beh... una donna dai facili costumi.» Jamie sorrise di gusto e passò ad Alexis, che lo fissava inebetita.
Una donna dai facili costumi”?
Con l'avanzare dei secondi mi resi conto di quel che mi aveva detto. Una prostituta?
La rabbia andava montando in me. Okay, ammesso e non concesso che fosse un grande attore a livello mondiale e blablabla, potevo capire che se la fosse presa perché probabilmente ero stata l'unica del gruppo a non riconoscerlo e magari a fargli una quantità spropositata di moine, ma andiamo... una prostituta? Come diavolo si interpreta una prostituta?
«Su su, signorina, non se la prenda» mi fece il professore, accorgendosi del mio umore.
Dovevo decisamente rimanere a letto stamattina.

 

****

 

Inutile dire che l'improvvisazione che feci era riuscita davvero penosa, avevo visto con la coda dell'occhio il professore scuotere la testa almeno un paio di volte mentre cercavo disperatamente di calarmi nei panni di un personaggio lontano anni luce da me e la mia personalità.
«Sono qui a tenere questo corso perché credo davvero nel futuro del teatro, anche se la società di oggi sembra non accorgersi del grandissimo valore che ha. Non sono qui certo per perdere tempo, così come non credo assolutamente che lo sia Jamie,» disse il professore «il quale senza ombra di dubbio non avrebbe difficoltà a trovarsi un passatempo più fruttuoso o divertente. Siamo qui perché noi ci crediamo, e credo proprio che ci vorrà una grande dose di fatica ed impegno per metterci in carreggiata, ma non scoraggiatevi, ce la faremo insieme. Arrivederci signori, ci vediamo giovedì» ci congedò infine il professore.
Fu il mio segnale di fuga, non appena finì di pronunciare la frase feci un cenno di saluto verso Alexis e mi fiondai fuori dall'aula, il più veloce possibile. Non avrei voluto incrociare Jamie se-non-mi-riconosci-me-la-prendo Bower per nessun motivo al mondo, specie dopo la mia prestazione da voltastomaco.
Fortunatamente arrivai in fermata perfettamente sincronizzata con l'autobus, salii in fretta e mi abbandonai su un sedile accanto al finestrino.
Va bene, forse me la stavo prendendo un po' troppo, ma che diamine quella giornata era una delle peggiori in assoluto.
Infilai le cuffiette e cercai di calmarmi, ma ormai il mio umore era nero.
L'autobus ci mise decisamente meno per il ritorno e dopo pochi minuti raggiunse la mia fermata. Scesi e cominciai ad incamminarmi verso casa. Cercavo di metterci più tempo possibile, non avevo voglia di interagire con altri esseri umani, specie con mia madre, o dover sembrare felice e sprizzante di gioia in presenza di nonna.
Il mio telefono vibrò, lo controllai.
Promemoria ore 11:30: “DOMANI È IL COMPLEANNO DI LORENZO!”
Una qualche forza avversa lassù aveva deciso che evidentemente la mia giornata doveva per forza essere rovinata.
Ci volle davvero poco perché le lacrime risalissero agli occhi. Avevo impostato la notifica mesi fa, per assicurarmi di ricordare di fargli gli auguri a mezzanotte. Quella poca calma che ero riuscita a ritrovare andò a farsi benedire.
«Hey, scusa, non è che ti potresti spostare? Mi blocchi l'accesso al garage!»
Mi voltai per vedere chi era che mi disturbava in un momento tanto delicato, pensando che la giornata non potesse andare peggio di così. Mi sbagliavo.
Ad urlarmi contro con la sua perenne aria da dodicenne contento della vita non era altro che Jamie.
Alzai gli occhi al cielo, imprecando silenziosamente e domandandomi quale divinità ce la potesse avere tanto con me, poi mi voltai e senza guardarlo mi tolsi dalla sua traiettoria, diretta verso casa. Se avessi incrociato di nuovo il suo sguardo niente avrebbe potuto trattenermi dall'urlargli contro.
Non solo ci avevo fatto una figuraccia per la quale lui mi aveva ben ripagata, adesso scoprivo che abitava dietro l'angolo, a pochi metri dalla mia casa. Perfetto. Ecco perché sapeva del ritardo dell'autobus! dedussi.
«Hey, hey, aspetta! Tutto bene?» mi chiese la grande star, che dopo aver parcheggiato la sua macchina era riuscita a raggiungermi in fretta grazie alle sue gambe chilometriche.
«Sì, certo» dissi, cercando di non risultare acida.
«Sicura? Non ti vedo molto in forma...» ribatté lui con aria leggermente preoccupata. Però, come attore dovevo dire che se la cavava alla grande.
«Sì, sono solo stanca, vado a pranzare e dopo starò meglio, grazie. Buona giornata» lo liquidai, non sapendo che altro saluto rivolgergli, voltandomi senza aspettare neanche che mi rispondesse.
«Ciao, ci vediamo giovedì!» mi urlò lui, mentre io già stavo entrando nel giardino di casa.
Mentre varcavo la soglia di casa sperai con tutta me stessa che quel giovedì non arrivasse mai.

 

****
 

 

Passai tutta la serata ad arrovellarmi il cervello. Faccio o non faccio gli auguri a Lorenzo?
La cosa più sensata mi sembrava quella di non farglieli, cercare di seppellire lui e i miei ricordi nei meandri più remoti del mio cervello, ma una parte di me – quella che aveva preso il sopravvento e ascoltato per almeno dieci volte la playlist delle canzoni più tristi mai esistite – non trovava giusto dimenticare Lorenzo e quello che era stato, ed era decisa che un messaggio di auguri non avrebbe potuto nuocere così tanto.
Cosa pretendevi? Che ti portassi fino al check in dell'aeroporto e lì darti un bacio da sogno in segno di addio?
Quelle parole erano ancora impresse nella mia mente e bastava chiudere gli occhi per sentirle nuovamente, come se Lorenzo fosse proprio lì, a gridarmele contro, mentre lui non era che un ragazzo che, con ogni probabilità, stava uscendo coi suoi amici a cena per aspettare la mezzanotte e sentirsi dire “Tanti auguri” dalle persone più care, da coloro che gli erano veramente vicini.
Decisi di scrivere qualcosa, intanto, e rimandare la mia decisione sul mandarglielo effettivamente oppure no.
Tanti auguri!”
Non sapevo nemmeno se aggiungere una faccina sorridente o no, avrei voluto scrivergli che mi mancava, ma a cosa avrebbe portato? Non avrei fatto altro che fare del male a me e a lui, senza risolvere effettivamente nulla. Avrei anche voluto dirgli che mi dispiaceva, ma l'ultima volta che gliel'avevo detto non era andata molto bene. Erano state le nostre ultime parole.
Mi dispiace.
Anche a me.
Avrei voluto scrivergli di dimenticarmi, ma che razza di compleanno avrei voluto fargli passare? Di certo non in segno della nostalgia e della tristezza.
Il mio dito era a poca distanza dal tasto invio. Possibile che non riuscissi a darmi pace nemmeno su una decisione del genere?
Stavo per abbandonare l'impresa ed arrendermi all'idea che, forse, sarebbe stato meglio non farmi sentire per nulla, quando mia madre entrò di soprassalto in camera, spaventandomi, e io premetti per sbaglio il tasto invio.
Qualcuno aveva deciso per me, e forse ne ero anche abbastanza contenta, perché quel giorno le mie, di decisioni, non sembravano avere avuto particolare successo.

 

 

 

Note dell'autrice:

 

Salve! Finalmente è arrivato il tanto atteso incontro!
Ebbene, io non ho altro da dichiarare, se non ringraziare ancora quella santa di SaraBondi_ e a invitarvi a lasciare una recensione se passate di qui, per farmi sapere che ne pensate, ma soprattutto per aiutarmi ad indirizzare bene lo sviluppo della storia. :)
Al prossimo capitolo!

  
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