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Autore: Pearlice    22/02/2014    7 recensioni
Prima classificata al contest "Una sana risata!" indetto da Amahy sul forum di EFP.
“Oh sì, Aragorn vecchio mio sei proprio nei guai…” si autocommiserò tra sé e sé, dopo essersi reso conto, per qualcosa come la ventesima volta in quella giornata, che i suoi occhi erano rimasti fissi sul didietro di Legolas per un arco di tempo che aveva iniziato ad essere quantomeno imbarazzante. Certo, anche l’Elfo non gli facilitava la vita chiedendogli di guardargli le spalle quando si allontanava dal gruppo per aprire il sentiero, ovvio che se gli porgeva l’occasione così su un piatto d’argento il suo sguardo scivolasse ben più in basso delle spalle.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Aragorn, Boromir, Gimli, Legolas
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Come tutti si furono allontanati, Aragorn osò finalmente cercare la figura di Legolas con lo sguardo e lo vide poco distante da sé, illuminato dal bagliore innaturalmente forte della luna piena che si stagliava sopra di loro, all’osservazione della quale sembrava essere totalmente dedito.
Quando però l’elfo si voltò lentamente verso di lui, i suoi occhi penetranti gli riportarono bruscamente alla mente di aver appena violentato la sua bocca con la propria e, non pago di ciò, di aver anche gridato come un pazzo esaltato davanti a mezza stirpe dei Galadhrim di essersi innamorato di lui. E tutto per quello che si era rivelato esser stato un gigantesco equivoco.
Bene.
Sentendo su di sé il peso di tutte quelle azioni, trovare il coraggio di affrontare l’amico gli sembrò impossibile, quindi dirottò subitaneamente lo sguardo sui suoi stivali più che logori, trovando con gioia in essi un argomento che l’avrebbe distratto dall’imbarazzo della situazione e fermandosi a riflettere su quante volte si era ripromesso di comprarne di nuovi e mai l’aveva fatto. Beh, almeno avrebbe potuto, che so, chiedere ad Arwen di rattopparli, o infilare le stringhe in tutti i buchi che ormai metterle ad uno sì ed uno no era passato di moda dai tempi di Gil-galad e…
«Estel…?»
No… quel nome no… rischiava di sciogliersi come un pezzetto di ghiaccio sotto il più impietoso sole estivo, fine che, a rifletterci bene, ultimamente rischiava di fare ogni volta che si trovava al cospetto dell’elfo. Sollevò gli occhi al suo richiamo, ma reggere il suo sguardo fu più dura del previsto ed immediatamente li abbassò di nuovo.
Dunque, stava dicendo delle sue scarpe? Ah già, i lacci, perché non mettersi ad infilarli a dovere proprio in quel momento già che c’era? Tanto non aveva mica un aitante principino elfico che pretendeva opportune spiegazioni accanto a sé, no?
«È tutto vero quello che hai detto…?» insistette quella voce tanto soave, interrompendo il suo goffo tentativo di chinarsi ad attuare i suoi propositi.
“No guarda, ci tenevo in maniera particolare a diventare lo zimbello della compagnia -specialmente del mio amicone Boromir che non oserà mai deridermi per questo- e a regalare a tutti un simpatico aneddoto che, se sarò fortunato, forse tra un migliaio di anni avranno perso il gusto di rievocare” fu ciò che pensò.
«Proprio tutto» fu ciò che disse.
Il sorriso radioso che illuminò il viso dell’elfo a quelle parole, lo ripagò sicuramente di tutte le pene che aveva patito a causa di quella storia e, per la prima volta dopo tanto tempo, il Ramingo si sentì rinascere in petto un sentimento ormai obliato, ma bellissimo nella sua potenza: la speranza.
Era quindi ricambiato...? Non si era soffermato a pensarci quando l’aveva baciato così di getto, né effettivamente aveva pensato a molte altre cose, ma quando poi aveva ripreso piena coscienza di sé, la paura di aver posto la parola fine alla loro amicizia era tornata a farsi sentire forte e chiara. Eppure nei suoi occhi in quel momento non c’era traccia di rifiuto e quel sorriso così caldo in quale oscuro modo sarebbe potuto esser foriero di cattive notizie?
Mentre si perdeva in queste considerazioni attendendo la risposta dell’elfo, gli sembrò quasi di udire un lontano canto elfico fare da sottofondo a quel meraviglioso momento troppo a lungo atteso.
«Io lo sapevo» confessò allora il fedifrago, con un sorriso che da radioso si era orribilmente tramutato in malizioso, spezzando brutalmente il suono della dolce melodia elfica che il Dùnedain aveva impostato come personale sottofondo allucinatorio alla loro conversazione.
Aragorn, riportato bruscamente con i piedi per terra, ci mise qualche secondo a riprendersi, prima di riuscire ad articolare parola.
«Prego…?» domandò basito, sperando vivamente di aver visto e sentito male per l’ennesima volta.
Se il malizioso quanto insolito sorriso che era comparso sul viso di Legolas era stato in grado di turbarlo, l’inquietante luccichio che intravide nei suoi occhi a quella domanda lo spaventò decisamente di più.
«Il giorno prima di quello in cui Pipino ci vide, era il mio turno di fare la guardia di notte…» iniziò a raccontare l’elfo, col tono colpevole di chi sta confessando una malefatta particolarmente eclatante. «Io ti ero accanto e nel sonno tu… hai mormorato il mio nome ed hai… iniziato a dire cose ben poco equivocabili» rise, non senza un certo malcelato imbarazzo, facendo venire ad Aragorn l’improvvisa aspirazione di scavare la buca più profonda che avesse mai solcato la Terra di Mezzo per gettarvisi dentro «… e proprio mentre stavo per allontanarmi e lasciarti la dovuta privacy, il tuo pensiero mi ha raggiunto e mi ha trasmesso qualcosa…» mormorò senza terminare la frase, volgendo piuttosto lo sguardo allo spettacolo mozzafiato che quella notte la luna offriva loro e lasciando ad Aragorn tutto il tempo per ponderare se nella sopracitata buca avrebbe preferito morire d’inedia o se farvisi direttamente seppellire vivo.
In fondo il Dùnedain poteva dire di essersi discretamente abituato ormai a venir continuamente messo da parte a favore di una “magnifica radice”, di un “incantevole muschio” o di una “stupefacente nuvola”, ma proprio a quel punto doveva interrompersi?
«C-che cosa ti ha trasmesso?» lo sollecitò, cercando di riportare l’attenzione dell’elfo al discorso vagamente importante che stavano affrontando.
«Innanzitutto il contenuto del tuo sogno si è rivelato vivido nella mia mente quasi lo stessi vivendo io stesso…» specificò quello con una sorta di sadico divertimento, facendogli optare ineluttabilmente per la sepoltura da vivo. «…e con esso ho percepito distintamente la forza dei tuoi sentimenti, anzi, tu stesso hai voluto trasmettermela» proseguì sempre senza guardarlo, assumendo un tono più dolce ed increspando le labbra in un sorriso stavolta scevro da qualunque malignità. «O meglio, la parte di te non vincolata da stupidi pregiudizi o imposizioni sociali, quella che più di ogni altra avrebbe voluto poterli gridare al mondo intero, senza doverli più occultare…»
Okay, stare al passo con i discorsi dell’elfo non era mai stato semplice per Aragorn ma… gli aveva trasmesso i suoi sentimenti col pensiero durante un sogno? Cosa diamine andava blaterando?
«Può davvero succedere una cosa del genere…?» chiese in un sussurro, sperando di confutare le malevole insinuazioni della sua parte più disincantata, che sosteneva piuttosto che l’elfo avesse molto più semplicemente violato i suoi pensieri, in barba alle regole che tanto sosteneva di seguire.
«Sì, quando non si ha a disposizione il linguaggio parlato è più facile usare quello del pensiero… e tu non l’avevi a disposizione perché tu stesso avevi imposto alla tua bocca di non rivelare ciò che era contenuto nel tuo cuore… ma esso ha trovato una via alternativa di raggiungere il mio» rispose flebilmente l’elfo, quasi stesse riflettendo tra sé e sé e non con un interlocutore reale, perso com’era nell’estasi della contemplazione.
«Continuo a non capire…» mormorò sommessamente Aragorn in risposta, mentre si rendeva conto di non capire nemmeno perché accidenti si fossero ridotti a bisbigliare come due amiche del cuore intente a scambiarsi segreti. Come se dopo la precedente piazzata ci fosse ancora qualche segreto che valesse la pena occultare per salvaguardare la dignità di ambedue, poi. O almeno la sua era irrimediabilmente compromessa, questo era poco ma sicuro.
Alla sua palese e, a giudicare dallo sguardo di profonda disapprovazione di Legolas, imperdonabile manifestazione di ignoranza, l’elfo si riscosse dalla trance in cui era caduto.
«Credevo che fossi cresciuto tra gli elfi, ma devo essermi sbagliato» considerò con ostentato sarcasmo, per poi esibirsi in un teatrale sospiro seccato, a guisa del mentore costretto a ripartire dall’ABC a causa di un alunno particolarmente inetto, e proseguire: «Devi sapere che la trasmissione del pensiero può avvenire, qualora non si disponga del linguaggio parlato, tra coloro che sono legati da parentela, amicizia o amore, in particolare quando si provino sensazioni intense, come gioia o rabbia». Dell’irritante tono da questo-lo-sanno-anche-le-mura-di-Minas-Tirith che aveva utilizzato per sciorinare quella risposta, non rimase nemmeno un briciolo quando, sollevando lentamente gli occhi ad inchiodarlo col più significativo degli sguardi, aggiunse «…e se questi sentimenti sono in un qualche grado condivisi dal ricevente il pensiero è trasmesso più chiaramente».
“Innanzitutto il contenuto del tuo sogno si è rivelato vivido nella mia mente quasi lo stessi vivendo io stesso…  E con esso ho percepito distintamente la forza dei tuoi sentimenti.”
«Quindi, mi stai dicendo che anche tu… - mormorò l’uomo, quando finalmente si concesse di credere di aver intuito il significato di quelle parole e soprattutto, visti i precedenti, si fosse assicurato che non vi fosse possibilità di aver frainteso qualcosa.
«Nessuno riuscirebbe a baciare un elfo contro la sua volontà» gli fece notare quello, lanciandogli uno sguardo allusivo «Se ho permesso che accadesse è perché anche io l’ho desiderato, per tanto, tantissimo tempo…» confessò, aggrottando appena le sopracciglia nel ritratto stesso della dolcezza, com’era solito fare nel dire qualcosa di particolarmente sentito. Valar, non l’aveva mai guardato con quegli occhi… o forse l’aveva fatto e lui era stato troppo cieco per accorgersene?
«Quanto tempo esattamente…?» boccheggiò, sentendosi invaso da un fiume in piena di sentimenti diversi.
«Da quando ho iniziato a bruciare dall’impazienza di poterti rivedere» mormorò l’altro in risposta, senza interrompere il loro contatto visivo ed avvicinandosi a lui di un passo per ogni frase. «Da quando le mie visite ad Imladris si sono moltiplicate, da quando osservando la luna ho iniziato a chiedermi se non la stessi guardando anche tu, ovunque tu fossi, da quando non ho desiderato altro che seguirti in ogni tua impresa. Da sempre Estel… ma non avrei mai fatto nulla contro la tua volontà ed un tempo la tua volontà era ben diversa da quella di ora…» concluse con un breve sorriso impacciato, fermandosi a pochi centimetri da lui.
«Oh… io…» sussurrò sopraffatto dall’emozione, sollevando una mano ad accarezzare quel viso dai lineamenti angelici e scoprendoli ancora più morbidi al tatto di quanto non si sarebbe immaginato. Era bellissimo, tanto bello che si stupiva di non aver mai formulato, prima di imbarcarsi in quella spedizione, quel pensiero che in quel momento gli appariva di un’oggettività schiacciante.
Era bellissimo ed era alla distanza di un respiro da lui, dal suo viso, dalla sua bocca.
«Estel…» mormorò l’elfo, portando la propria mano sopra la sua. «… Per lunghi anni ho sussurrato il tuo nome agli alberi della mia dimora, miei unici confidenti in una sì grande pena, per lunghi anni sono stato consolato solo dalle loro parole pietose e dall’abbraccio del vento che intonava con le loro foglie un canto di dolore. Ogni giorno mi fermavo ad ascoltarli e quel canto così struggente mi sembrava il più bello che avessi mai udito…»
«Legolas…» lo interruppe, passandogli un dito sulle labbra. Solitamente lo adorava anche quando si perdeva nei suoi vaneggiamenti altisonanti su alberi, vento e compagnia bella, ma non in quel momento. «…taci» ordinò, prima afferrare il suo viso con entrambe le mani e premere le proprie labbra contro le sue. Dal trasporto con cui risposero quelle dell’elfo, quasi non avessero aspettato altro da una vita intera, comprese che in fondo non doveva essersi risentito eccessivamente della maleducazione con cui l'aveva interrotto.
In un attimo fu risucchiato in un inebriante vortice fatto di dolcissimi brividi, mani insicure e tremanti, labbra umide, ciocche di capelli troppo morbide tra dita tanto ruvide e lingue che a stento avevano il coraggio di sfiorarsi.
Stava baciando Legolas, il suo caro vecchio amico Legolas. Assurdo come, pur vivendolo in quel momento stesso, quel pensiero gli risultasse tanto incredibile. Se avesse immaginato di trovarsi in una situazione del genere appena qualche tempo prima probabilmente sarebbe trasalito in preda all’orrore. Beh ad esser sinceri probabilmente sarebbe trasalito e basta, dato che i concetti “baciare Legolas” ed “orrore” erano semplicemente impensabili nello stesso contesto e sospettava non solo a suo dire. Tuttavia si sarebbe sentito quantomeno offeso nel suo orgoglio di uomo, invece in quel momento, mentre a poco a poco acquisivano sempre più ardore e tutti i limiti che entrambi si erano imposti fino a quel momento venivano audacemente scavalcati, non sentiva affatto vergogna o orrore.
Stava baciando Legolas, il suo caro vecchio amico Legolas. Ed era semplicemente meraviglioso.
Come ogni cosa bella che si rispetti però, anche quell’attimo finì in un batter di ciglia, quando l’uomo venne intempestivamente fulminato dalla consapevolezza di aver fino a quel momento trascurato un lato indiscutibilmente rilevante della faccenda.
«Legolas» esordì seriamente, imponendosi di interrompere seduta stante quell’intrigante scambio di saliva e stringendo le mani sulle spalle dell’elfo per impedire anche a lui di riavvicinarsi. Alla sua secca invocazione, l’elfo reagì con un profondo sospiro e, con l’aria di chi stesse compiendo uno sforzo sovrumano, sollevò le palpebre e sostenne il suo sguardo, in attesa che continuasse.
«Quindi tu… sapevi?» constatò il Dùnedain con quella che, nonostante l’intonazione interrogativa era un’affermazione a tutti gli effetti, un’affermazione indignata a dirla tutta «È per questo che insistevi nel chiedermi cosa mi turbasse, è per questo che ti strusciavi su di me in quel modo che avrebbe fatto infrangere il voto di castità ad un sacerdote!» continuò con un tono di voce sempre più aspro, risentito dal pensiero di quanto l’amico si fosse preso gioco di lui in quei giorni, e di quanto fosse stato stupido nel vedere malizia in tutti i membri della compagnia, tranne che nell’unico di cui davvero avrebbe dovuto sospettare. «Ed è per questo che mi sei saltato addosso a quel modo nella radura e che… oh per Eru ecco perché stamattina ti sei spogliato davanti a me inventandoti quell’assurdità sul fatto che Haldir fosse diventato la tua governante!» elencò, mentre gli si paravano in mente uno ad uno tutti i momenti in cui il comportamento di Legolas gli era parso ancor più discutibile del solito.
«Sì, beh… non avrei voluto dover ricorrere a tanto, ma tu non ti decidevi ad agire…» ammise l’elfo, guardandolo con l’espressione impaziente di chi avrebbe preferito affrontare in un altro momento quel discorso, dopo aver, a onor del vero, subdolamente sperato di averlo scongiurato del tutto.  «Aspetta però non mi sembra di aver mai detto che Haldir fosse la mia…» aggiunse, alquanto disorientato dalla sua ultima frase, ma le sue ragionevoli perplessità furono arrestate dalla furia dell’altro.
«Per Gil-Galad!» esclamò rabbioso, strattonando con entrambe le mani la tunica dell’elfo verso di sé, cieco di fronte allo sguardo implorante con cui quello lo stava pregando, in maniera piuttosto palese, di rimandare gli insulti che certamente meritava per riprendere da dove si erano interrotti «Hai rischiato di farmi impazzire, te ne rendi conto? Non sai quello che avrei voluto farti in quei momenti in cui tu ti divertivi a provocarmi! Quindi anche l’abbraccio nelle miniere di Moria non era altro che un tranello?» chiese, improvvisamente rattristato dal pensiero che quello che per lui era stato uno dei momenti più intensi della sua vita, non fosse stato altro che una parte dello sporco piano ordito da quell’insospettabile mente criminale.
«No, no davvero, in quel momento non avrei mai potuto… fingere» rispose l’altro abbassando gli occhi e sorridendo appena a quel ricordo, in un’espressione tanto sinceramente raddolcita che Aragorn non poté che dargli -immeritatamente- fiducia, incantandosi ad osservare quei lineamenti delicati come durante una sfuriata come quella non era certo dignitoso fermarsi a fare. La sua mente però ci mise poco a richiamarlo all’ordine, facendogli severamente notare quanto gli occhi da pesce lesso che sicuramente aveva in quel momento, fossero inappropriati su un volto che nei suoi intenti avrebbe dovuto incutere, se  non paura, almeno un briciolo di timore.
«E in ogni caso non potevi confessarmi tutto, una volta aver appurato di essere ricambiato?!» riprese a sbraitare, più per una presa di posizione che altro, dato che, checché ne dicesse il suo orgoglio mutilato, era bastato quel mezzo sorriso melanconico dell’elfo a far scemare buona parte del suo rancore.
«E perdermi una dichiarazione come quella di oggi?» Fu la pronta e divertita risposta dell’altro, che non fu però in grado di nascondere del tutto la frustrazione con cui aveva preso atto del fatto che l’uomo non ne avesse ancora avuto abbastanza di sgridarlo. «Non vi avrei rinunciato per tutto l’oro dei nani!»
Si stava prendendo gioco di lui ancora, pensò Aragorn, mentre indispettito lo apostrofava: «Tu sei un piccolo, viscido…»  Ma Legolas non sembrava curioso di sapere come si sarebbe conclusa quell’affettuosa sequela di aggettivi, perché improvvisamente afferrò a sua volta il colletto dell’altro e, con una foga che mai Aragorn si sarebbe aspettato da lui, fece cozzare la sua schiena contro il tronco dell’albero più vicino, aggredendolo con un bacio che della delicatezza elfica aveva ben poco.
«Ti prego Estel, fai un uso migliore della tua bocca in questo momento» rantolò frettolosamente, per poi affrettarsi a premere nuovamente le labbra contro le sue e quella frase, complici forse le più indecorose interpretazioni a cui si prestava, fece dimenticare completamente all’uomo il motivo della sua rabbia, insieme a buona parte dei suoi pensieri.
Fu come se qualcuno avesse dato il via ad una gara senza esclusione di colpi su chi per primo avesse violato ogni parte del corpo dell’altro, perché, abbandonata in un attimo la sorpresa iniziale e represso il gemito di dolore che la botta gli aveva suscitato, Aragorn si premurò di approfondire quel bacio aprendo la bocca e celere la lingua di Legolas vi si infilò dentro. Altrettanto rapidamente le mani del Dùnedain scivolarono sfacciatamente al di sotto della sua tunica portandosi in alto e poi scendendo a poco a poco dai dorsali inarcati, alle provocanti fossette di Venere, a stringere infine la soda curva dei glutei ed accarezzare l’ambito solco che li separava. Anche i loro respiri affannosi sembravano quelli di due atleti intenti a contendersi il primo posto, mentre si mordevano e baciavano quanta più pelle nuda riuscissero a raggiungere, artigliandosi abiti e cute con le unghie come nel timore di potersi perdere, dopo averci messo così tanto a trovarsi.
Il gemito che l’uomo non riuscì a reprimere nel sentire la calda bocca di Legolas scendere a lambire il suo petto, dopo che quello aveva intrepidamente spalancato la tunica che lo copriva, richiamò la sua attenzione sulla situazione che stava rapidamente sfuggendo loro di mano. Era completamente, sfrenatamente e meravigliosamente in balia della sconvolgente passione fino a quel momento magistralmente celata dall’elfo e dovette fare uno sforzo sovrumano per riuscire ad uscirne.
«No… Legolas… piano…» ansimò interrompendo il suo tentativo di succhiargli via l’anima attraverso la pelle del collo, mentre saldamente stringeva la sua vita, per opporsi alla sua spinta che premeva per far entrare in contatto i loro bacini. Se Legolas avesse continuato a tentarlo a quel modo non sarebbe più riuscito a trattenersi e, anche se il suo corpo in quel momento diceva l’esatto contrario, non era ciò che voleva. Per quanto l’avrebbe terribilmente appagato mettere in atto ciò che per troppo tempo aveva solo che potuto anelare con tutta l’anima, la sua priorità in quel momento era tutt’altra. Voleva dimostrare all’elfo, ma in piccola parte anche a se stesso, che lui non era quello del suo sogno, che non era quello che aveva deprecabilmente desiderato di possedere il suo corpo. Lui era Estel, il migliore amico di una vita, lo stesso Estel che si guardava intorno con l’angoscia di non trovarlo dopo ogni battaglia, lo stesso che per anni si era sentito stupidamente felice al solo vederlo sorridere, lo stesso che quella notte non avrebbe attentato come un animale alla sua virtù.
Alle sue parole lo vide deglutire, respirando affannato con gli occhi ancora chiusi, come tentando di ricomporsi, riportato a sua volta alla realtà dopo essersi lasciato travolgere da quell’istinto dal potere così forte da sfuggire perfino al controllo di un elfo millenario.
Sorridendo ed apprezzando suo malgrado quanto potesse risultare eccitante vederlo per la prima volta perdere il controllo sulle proprie pulsioni come un qualunque imperfetto umano, gli accarezzò il volto, perdendosi nell’azzurro dei suoi occhi quando quello li sollevò verso di lui, osservandolo in un silenzio carico di domande.
L’uomo posò la fronte contro la sua, dandogli altrettanto silenziose risposte, certo che, dopo anni passati a capirsi con lo sguardo, sarebbero bastate ed imponendo una volontà ferrea sui più bassi impulsi che quella vicinanza gli provocava. Quando, a poco a poco, i respiri di entrambi tornarono a ritmi più consueti, Aragorn si concesse nuovamente di posare le labbra sulle sue per un breve attimo, prima di asserire:
«Forse è meglio che ce ne andiamo a dormire per stasera, non credi?»
Senza aspettare risposta si allontanò faticosamente da lui, dandogli le spalle e prendendo a camminare in direzione del flet che sembrava gli altri avessero deciso, in un impeto di inaspettata bontà, di lasciare tutto per loro. «A meno che tu non preferisca dormire con Haldir» aggiunse provocatorio senza voltarsi, a fargli intendere che, nonostante si fosse appena imposto per mettere fine ad un bacio che prometteva di diventare molto di più, quando diceva “ce ne andiamo a dormire” intendeva proprio loro due, insieme.
Ci fu un breve attimo in cui si udirono solo i passi dell’uomo sulle foglie secche e in cui probabilmente l’elfo passò silenziosamente dallo stupore, all’indignazione, per finire al desiderio di rivalsa, di cui fu intrisa l’altrettanto provocatoria risposta che giunse alle orecchie dell’uomo:
«Per carità, Haldir russa».
Alle nervose domande dell’altro su come facesse a sapere quel particolare, l’elfo rispose con un’allegra risata, alla quale infine nemmeno Aragorn riuscì a trattenersi dall’unirsi, rigorosamente dopo che Legolas gli ebbe assicurato che stesse solo scherzando.
Quella fredda e prodigiosa notte invernale l’avrebbero passata stretti l’uno contro l’altro in un solo giaciglio, nel muto ascolto dei loro respiri per troppo tempo desiderati così vicini, prima di addormentarsi.
A questa tanto casta versione dei fatti, al mattino, nessun membro della compagnia avrebbe creduto, ma Aragorn avrebbe scoperto che, in fin dei conti, la cosa non lo turbava poi più di tanto.

 

FINE
 
Piccola nota
Volevo solo dare una piccola spiegazione riguardo la trasmissione del pensiero che viene spiegata da Legolas in questo capitolo. Non si tratta di una mia invenzione, ma è Tolkien stesso a descriverla in un saggio intitolato “Osanwe kenta”, dal quale ho preso in prestito i concetti.
Grazie tutti coloro che mi hanno letto e sostenuto nel corso di questa fic <3.


 
  
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