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Autore: Valvonauta_    28/02/2014    3 recensioni
«...Vide una bambina di spalle, coi capelli ramati e quella davanti a lei che le urlava contro, furiosa.
La bambina ramata sembrava un po’ in difficoltà, tanto che stava indietreggiando inesorabilmente sotto gli attacchi dell’altra.
Quella che poteva vedere aveva la faccia chiazzata di brufoli, la bocca distorta dallo sforzo di urlare fuori quegli insulti, con quella voce gracchiante.
Sbuffò e fece per ritornarsene seduto, dietro al cespuglio che lo proteggeva, quando sentì una parola magica, che svettò in tutta la sua forza: “STREGA!”».
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Evans, Petunia Dursley, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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COSMIC LOVE
 
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Urla, grida, urla, vociare, grida, grida, rumore di una tazza che si schiantava malamente contro un muro frantumandosi, urla, insulti e ancora urla.
Questi erano i rumori che si infrangevano quotidianamente sui timpani di Severus Piton, un piccolo ragazzino di soli otto anni.
Per colpa di quei continui litigi non faceva che avere insistenti mal di testa, che lo tramortivano certe volte a tal punto da non reggersi in piedi.
Sul gradino di quella casa babbana, a Spinner's End, Severus guardava il cielo in attesa che i suoi genitori smettessero una buona volta di litigare per almeno dieci minuti, speranza che rimaneva vana per il novanta percento delle volte.
L'aria era irrespirabile in casa. Quanto di più inadatto ad un bambino.
Osservò sconsolato il sole, cercando di tenere gli occhi aperti in modo che la luce che quel disco splendente emanava si riflettesse direttamente sulle sue iridi, ma ogni volta era costretto a chiudere gli occhi, dopo neanche due secondi.
Era un divertimento come un altro, stupido, masochista e cretino: ma che altro aveva da fare?
Sua madre, come spesso accadeva, aveva provato ad usare la magia in casa, tanto per semplificarsi la vita, e suo padre, ritornando a casa da lavoro, l'aveva trovata con la bacchetta in mano.
Apriti cielo.
I vicini ormai avevano smesso anche di chiamare i vigili ogni volta che partivano quegli attacchi tra i due. Accadevano almeno tre volte alla settimana. Ormai c'avevano fatto l'abitudine, era convinto lo considerassero una sorta di "supplemento" che avevano acquisito insieme alla casa.
"LA VUOI SMETTERE, TROIA?"
La voce di suo padre, Tobias, si elevò nell'aria come un colpo di cannone, dopo pochi preziosi attimi di calma.
Odiava quell'uomo. Odiava quello che stava facendo alla sua mamma, quello che le imponeva di essere, contro la sua volontà.
Era una strega. Quella era la sua natura, che colpa ne aveva lei?
Improvvisamente, mentre in testa gli frullavano tutti quei pensieri, la porta si spalancò alle sue spalle e ne uscì sua madre, con un occhio nero, che correva per le scalette.
Quella donna ed il figlio erano uguali. Tutto ciò che era passibile di ereditarietà l'aveva preso da lei: gli occhi, il viso allungato e pallido, le folte sopracciglia, il colore degli occhi. In pratica era la sua fotocopia al maschile. Avevano anche lo stesso carattere: triste, taciturno, rinunciatario e solitario.
"VATTENE DI QUA, CAPITO?" urlò l'uomo alla donna, mentre quest'ultima si attaccava alla recinzione arrugginita del giardino, sconquassata dalle lacrime.
Tobias ritornò in casa e lo rivide uscire, dopo mezzo minuto, con in braccio un mucchio di stracci, che molto probabilmente dovevano essere alcuni vestiti di mamma.
Iniziò a sparpagliarli per il giardino, tirandoli dove capitava, incurante del figlio che era proprio li, seduto davanti a lui.
"Usa la tua fottutissima bacchetta ora, strega!" le gridò addosso, paonazzo.
"Papà..." iniziò Sev, alzandosi, con le lacrime agli occhi, in un disperato tentativo di affrontare il padre.
Odiava piangere, lo odiava più di ogni altra cosa: lo faceva sentire debole e fragile e lo era già abbastanza di suo, con quel suo corpicino minuto, senza bisogno di aggiungere altri fattori a suo sfavore, ma non poteva farne a meno in certe situazioni, era più forte di lui.
Era arrabbiato con se stesso e con suo padre che rendeva la vita impossibile a tutti, compresi i vicini; con sua madre che non affrontava la situazione, che, al contrario, la subiva senza reagire.
L'uomo dall'alto dei suoi metro e ottanta lo squadrò, con il fiato grosso e gli occhi rossi, fuori dalle orbite.
Doveva aver bevuto, un'altra volta.
Erano anni che lui e sua madre cercavano di aiutarlo nella lotta contro quell'ossessione che gli rodeva il fegato e l'anima.
Era sempre stato un tipo forte e deciso ma la sua svolta violenta aveva preso piede solo da pochi anni, da quando Sev ne aveva avuto più o meno sei.
Aveva sempre sopportato male il fatto che la moglie fosse una strega e che glielo avesse rivelato solo dopo la nascita di Severus ma mai aveva usato violenza contro di lei o contro il figlio, cosa che da tre, quattro anni a quella parte avveniva in un crescendo preoccupante.
"IO NON SONO TUO PADRE, CAPITO? TU, CREATURA DI CORNA!"
La prima volta che si era sentito chiamare così il piccolo mago era rimasto imbambolato, non sapendo bene come reagire e di tutta risposta Tobias gli aveva rifilato un calcione nello stomaco.
Poi, ascoltando di nascosto i discorsi urlanti dei genitori, aveva realizzato che forse ciò che intendeva dire suo padre era che mamma avesse fatto qualcosa con qualcun altro e non con lui e che quindi era nato lui.
A lui era sempre parsa strana questa cosa.
Mamma non vedeva mai nessuno, era sempre sola, non aveva né amiche né un lavoro.
L’unica sua vera occupazione era lui.
E gli sembrava strano che potesse fare qualunque cosa con chiunque altro, lei che aveva rinunciato alla magia, a ciò che era, solo per l'amore che un tempo la infiammava.
Severus, anche se era troppo giovane ed ingenuo non poter capire certe cose, vedeva ancora l’amore che Eileen provava per quello che lui chiamava essere.
Ogni volta che lui diceva  alla mamma che papà era cattivo, mentre gli rimboccava le coperte, la sera, lo contraddiceva sempre. Niente che potesse essere neanche lontanamente assimilabile ad una frase ma comunque lo faceva, a modo suo : una sillaba, un grugnito, un tremito. Piccoli gesti con un grosso significato.
La mamma teneva a lui ma la domanda che lo rodeva era una ed una sola: perché?
“Se una persona ti fa star male non gli puoi volere bene” esclamava sempre Severus, preso da uno strano ardore, convinto di aver ragione.
Eileen in risposta faceva un sorriso a mezza bocca, il massimo dell’affetto che fosse mai riuscita a regalargli, senza commentare, ascoltando i suoi sfoghi impassibile per poi andarsene nel silenzio assoluto.
 
***
 
Dopo che Tobias aveva sbattuto la porta dietro di sé, rientrando in casa, sua madre aveva preso sotto braccio i vestiti sparsi per il giardino e acchiappato il figlio per il braccio, e disse, per l’ennesima volta, con la voce rotta dal pianto: “Andiamo dalla nonna”.
Per tutto il breve tragitto, che attraversava neanche due isolati, non proferì nessun’altra parola, nonostante le lacrime del figlio, che non faceva che implorarla di tornare indietro.
 
***
 
Dopo tre giorni di permanenza in quel buco puzzolente, pieno di peli di gatto e quella nonna che tutto sapeva tranne di umano, scappò. Non ce la faceva proprio a restare in quella tana, rinchiuso tra quelle quattro mura vecchie e logore, con una madre che non faceva altro che crogiolarsi nel dolore guardando il focolare che aveva davanti a lei, dalla poltrona erosa dalle tarme.
Si sentiva soffocare e, stretto in una crisi di panico, una mattina, sgattaiolò via dal tetto.
Per poco non si ruppe l’osso del collo nel cadere dalla grondaia ma ce la fece.
Vai nei campi, vai nei campi!, il suo Io gli urlava, dolorante ma ancora convinto.
Corse a perdifiato, cercando di lasciare quanti più metri possibili tra lui e quel carcere, ma nonostante i suoi intenti, ad un certo punto, dovette fermarsi a riprendere fiato.
Sentiva il cuore che proprio non ce la faceva a reggere quel ritmo. Non poteva continuare così.
Stette seduto per terra, in quell’angolo di città così poco frequentato e che non conosceva, finché il cuore non ritornò a battere tranquillo.
Stava per alzarsi ed continuare nella sua fuga, quando delle voci lontane squarciarono quella tranquillità e, intimorito, si nascose dietro ad un cespuglio.
Le voci si avvicinarono finché non poté dare loro una connotazione femminile.
Dopo alcuni secondi passati a sentire queste due voci, incuriosito, sporse un po’ la testa e ascoltò con attenzione, anche se non riusciva bene a distinguere le parole.
Vide una bambina di spalle, coi capelli ramati e quella davanti a lei che le urlava contro, furiosa.
La bambina ramata sembrava un po’ in difficoltà, tanto che stava indietreggiando inesorabilmente sotto gli attacchi dell’altra.
Quella che poteva vedere aveva la faccia chiazzata di brufoli, la bocca distorta dallo sforzo di urlare fuori quegli insulti, con quella voce gracchiante.
Sbuffò e fece per ritornarsene seduto, dietro al cespuglio che lo proteggeva, quando sentì una parola magica, che svettò in tutta la sua forza: “STREGA!”
Severus sbarrò gli occhi incapace di credere a quello che aveva sentito.
Strega? Aveva davvero detto strega?
Si portò una mano al petto e si impose di calmarsi. Poteva essere un insulto come un altro, di quelli che dicono i babbani. Glielo aveva insegnato mamma di non allarmarsi inutilmente se sentiva chiamare qualche femmina così.
Comunque una cosa era certa: doveva capire se era così oppure no.
Cercò di tendere l’orecchio quanto più possibile, sporgendosi il più possibile, avido di informazioni.
“Tu, tu… sei un mostro……….. strega….”
E finalmente vide ciò che voleva vedere. La prova delle prove, inconfutabile: un fiore! Scorse un fiorellino che era magicamente tra le mani racchiuse a coppa della bambina di spalle, intatto, come se fosse in un campo.
Si, è una strega! E’ una strega! E’ una strega!
Ebbe l’istinto di correre verso di lei ed abbracciarla. Per la prima volta in vita sua desiderava stare con qualcuno…Si immedesimò subito in lei. Magari anche quella bambina era sola, proprio come lui, in un mondo di babbani, abbandonato dal mondo contro tutti.
Poi la bambina urlante se ne andò, furente, a grandi falcate. Per lei subito provò un odio profondo, quasi viscerale, simile a quello che provava per il padre.
Osservò la piccola strega davanti a lui, di spalle, rimanere li, immobile, con le mani giunte.
Perché non fai qualcosa, stupida? Perché sei come mia madre, come me?
E finalmente, per la prima volta in vita sua, credette di capire perché Eileen era così…
Come quella bambina, aveva sofferto tanto, forse era sempre stata sola
Non voleva diventare come lei, non voleva.
Ma lui ora poteva trovare qualcuno, qualcuno con cui condividere ciò che era…  lui e quella bambina potevano aiutarsi…
 
«…Then i heard your heart beating, you’re in the darkness too.
So I stay in the darkness with you…»
 
Senza neanche rendersi conto della proprie azioni, uscì dal cespuglio e urlò: “Hey”
Vide la figura restare immobile, di spalle.
Perché non si gira?
“Sei una strega?” chiese.
Nessuna risposta. Ancora immobile, perché?
“Guarda che anche io sono come te… sono un mago…”
Finalmente quella figura si mosse, voltandosi verso di lui, lentamente, quasi impaurita.
E quando finì il proprio giro, il piccolo Severus non poté credere a quello che vide.
Un volto d’angelo, perfetto, due occhi gentili, verdissimi, dolci...
Per la prima volta, una farfalla iniziò a svolazzare nel suo giovane stomaco e il cuore riprese a tamburellargli contro la gabbia toracica, molto più velocemente di prima, quasi la volesse sfondare.
 


 
to be continued...


* Il titolo, così come la piccola citazione, sono tratte dalla canzone "Cosmic Love" dei Florence + the Machine.
   
 
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