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Autore: Miss Fayriteil    28/02/2014    1 recensioni
Questa storia è nata un po' per caso, volevo provare a scrivere un romanzo rosa, nello stile di Lauren Weisberger o Sophie Kinsella, che mi piacciono molto. Mi sono ispirata un po' anche alla coppia che amo di più in Grey's Anatomy. Capirete perchè. La trama... è un romanzo, una storia d'amore. La donna single che trova l'amore della sua vita. Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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...un errore ancora più grosso
 





Ali Donnell aveva litigato con sua moglie e se n’era andata di casa. In quel momento si trovava in un bar e un uomo e una donna le avevano appena offerto da bere. Si chiamavano Wes e Amanda ed erano entrambi interessanti e interessati a lei. Era impegnata a scegliere con chi dei due avrebbe tradito Dana. Amanda le piaceva e Wes era un bell’uomo: entrambi avevano i loro vantaggi. Scegliere Amanda sarebbe stato un modo eccellente di ferire Dana, conosceva abbastanza sua moglie. D’altra parte scegliere Wes le avrebbe ricordato i vecchi tempi in cui usciva con gli uomini. Riflettè per qualche momento e decise che non voleva veramente ricordare quel periodo e anche che Amanda le piaceva infinitamente di più. Sapeva cos’avrebbe fatto.
  Si avvicinò a lei e le si sedette accanto. «Ciao» le disse. «Come va?»
  «Oh ciao!» esclamò l’altra, voltandosi di scatto verso di lei. «Vuoi bere qualcosa?»
  «Non proprio» rispose Ali, lanciandole uno sguardo esplicito. «Voglio passare direttamente alla seconda parte della serata, se capisci cosa intendo».
  «Certo che capisco» disse Amanda facendo un sorrisetto. «Mi piace questo programma».
Ali si avvicinò a lei e senza riflettere la baciò. Amanda ricambiò subito e pochi secondi dopo stavano uscendo dal bar senza smettere un attimo di baciarsi. Ali aveva smesso di pensare, ma non come quando faceva l’amore con Dana, in quei momenti entrava in una specie di trance, adesso non pensava perchè se avesse riflettuto non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa simile a sua moglie. Finirono contro un’auto parcheggiata, che Ali riconobbe vagamente come la sua. Schiacciò due volte l’antifurto per aprire anche le portiere posteriori, ma poi si ricordò di un impedimento.
  «Oh accidenti» esclamò, smettendo all’improvviso di baciare Amanda. «Aspetta un attimo...»
  «Cosa? Cosa c’è?» le chiese Amanda perplessa. Ali la fece spostare dalla portiera e la aprì, poi trafficò per un po’ sul sedile. Gettò qualcosa sul sedile davanti e si raddrizzò di nuovo, voltandosi verso di lei.
  «Ma che prob...» stava dicendo ancora la donna, ma Ali riprese a baciarla e la spinse sul sedile.
  «Dovevo sganciare il seggiolino di mia figlia. Potevamo romperci la schiena...» sussurrò Ali.
  «Hai una figlia?» fece Amanda sconcertata. Ali si strinse nelle spalle e cominciò a spogliarsi. L’altra le afferrò all’improvviso la mano sinistra. «Oh mio Dio, sei anche sposata!»
  Ali ritirò la mano, si sfilò la fede e l’anello di fidanzamento e se li mise in tasca. «No affatto» rispose tuffandosi di nuovo su di lei. «Non stasera. Non con lei». Prese a baciarle il collo e finalmente Amanda smise di fare commenti e iniziò a spogliarsi. A quel punto Ali perse del tutto il controllo e si dimenticò di qualsiasi cosa, prima di tutto di avere una famiglia. Quella donna le piaceva da morire, solo quello aveva in mente. Avvertiva le labbra di Amanda sulle sue, il suo profumo, il sapore della sua bocca e la sensazione delle mani della donna sul suo corpo. Si sentiva benissimo e avrebbe voluto che non finisse mai. Fu lungo e fu meraviglioso e alla fine rimasero a lungo sedute a riprendere fiato.
  Dopo un po’ Ali guardò l’ora e si rese conto che forse era il caso di andare a casa. «Senti...» disse ad Amanda. «Io devo tornare a casa. Tu dove abiti? Se vuoi ti do un passaggio».
  «Non ci vedremo un’altra volta vero?» le chiese Amanda. Lei scosse la testa e l’altra annuì e si strinse nelle spalle. «Non importa. Mi ha fatto piacere conoscerti, Ali».
  «Anche a me, Amanda» rispose Ali sorridendole. «Anche a me».
  Si rivestirono entrambe, poi Amanda tornò alla sua auto. Ali invece accese il motore e tornò a casa. Quando fu davanti al suo cancello si chiese cos’avrebbe dovuto fare. Entrare e mettersi a dormire sul divano come se niente fosse successo? O passare quelle poche ore che la separavano dal mattino in macchina e aspettare che Dana arrivasse, visto che l’avrebbe sicuramente fatto? Non aveva la minima intenzione di tornare a casa. Con un sospiro prese gli anelli dalla tasca e se li infilò di nuovo al dito. Si guardò intorno: l’unica cosa che faceva pensare che su quei sedili fosse successo qualcosa era il seggiolino di Erica accanto a lei. Lo prese in mano e uscì dalla macchina. Aprì la portiera posteriore e riagganciò il seggiolino al suo posto. All’improvviso notò sul pavimento qualcosa che le fece rizzare i capelli in testa: il reggiseno di Amanda. Dana l’avrebbe trovato di sicuro. Lo prese e se lo mise in tasca, quasi come un souvenir. Si sdraiò sul sedile e chiuse gli occhi.
  Probabilmente si era addormentata perchè alle sei venne improvvisamente svegliata di soprassalto da qualcuno che bussava insistentemente al finestrino. Si alzò a sedere di scatto e si voltò: Dana era in piedi fuori dall’auto e adesso aveva le braccia incrociate. Stava dicendo qualcosa, con aria seccata, che Ali non riusciva a capire, perciò abbassò il finestrino. «Che vuoi?» le chiese con voce fredda.
  «Perchè stavi dormendo in macchina?» fece Dana nello stesso tono. «Cos’è stai facendo la vittima? Vuoi che le persone ti vedano lì dentro e dicano “Oh povera Ali! Che moglie stronza che ha, non la lascia neanche dormire in casa!”».
  «Non stavo dormendo in macchina... sono tornata a casa» guardò l’orologio, «quattro ore fa e... ma perchè non ti fai gli affari tuoi? Torna in casa, non rompere».
  «Non mi faccio gli affari miei, perchè si da il caso che gli affari tuoi siano anche miei. Siamo sposate, hai presente? Avanti scendi, piantala di fare l’idiota». Aprì la portiera e aspettò che Ali scendesse. Lei lo fece e le passò davanti. Pescò nella tasca del giubbotto per prendere il cellulare e con una mossa strategica fece cadere sul vialetto il reggiseno di Amanda, fingendo di non accorgersene. Sentì Dana fare un paio di passi di corsa e li ascoltò con un sorrisetto di trionfo.
  «Questo che diavolo è, Ali?» esclamò Dana con voce acuta. Ali non si voltò e continuò a camminare.
  «Questo cosa?» le chiese continuando a sorridere senza farsi vedere. Sua moglie la raggiunse e la prese per un braccio, costringendola a voltarsi. Le fece penzolare l’indumento davanti alla faccia con uno sguardo pericoloso negli occhi. «Questo» sibilò.
  «Ah. È un reggiseno» disse Ali con la massima tranquillità. Dana ebbe il desiderio improvviso di mollarle uno schiaffo, ma si controllò appena in tempo.
  «Lo vedo che è un reggiseno, guarda un po’. Ma da dove arriva?» le chiese. «Non è tuo».
  «Lo so che non è mio» replicò Ali. Non avrebbe voluto confessare così il suo tradimento, ma l’atteggiamento di sua moglie la irritava e non riuscì a resistere. «Infatti è di Amanda. L’ho conosciuta stanotte al bar e abbiamo fatto sesso in macchina». A questo punto Dana non si controllò più, il suo braccio partì da solo e mollò un sonoro ceffone sulla guancia di Ali. Lei barcollò. Si portò una mano alla guancia e lanciò alla moglie uno sguardo spaventato. Dana abbassò il braccio e la guardò preoccupata, respirando affannosamente. «Ali, io... » disse con voce tremante, tentando di metterle una mano sulla spalla. Lei fece un passo indietro sempre tenendosi la mano sulla faccia.
  «Non mi toccare» disse. Le voltò le spalle e corse in casa sbattendo la porta. Dana la seguì dopo un attimo. Entrò e la vide seduta in cucina, aveva gli occhi pieni di lacrime. «Mi dispiace» le disse. Anche a lei stava venendo da piangere. «Mi dispiace di averti... picchiata. È solo che... come hai potuto?»
  «Non lo so» rispose Ali, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle lungo le guance. «Ero arrabbiata con te, ieri sera, pensavo solo a un modo per ferirti. Sono arrivata in quel bar e c’erano quei due che mi hanno offerto da bere, Wes e Amanda. E allora ho pensato che quello era il modo migliore. Ho scelto di conoscere meglio Amanda, e niente... è successo».
  «Perchè eri arrabbiata?» le chiese Dana con sguardo interrogativo. Ali spalancò gli occhi.
  «Me lo stai chiedendo sul serio? Innanzi tutto mi hai dato della stronza, mentre uscivo. E poi hai iniziato a urlarmi contro, mi hai aggredita senza motivo! Mi sono vendicata...»
  «Avevo avuto una brutta giornata, mi conosci, lo sai come sono! Hai ragione, ti ho aggredita senza ragione, ma non è un buon motivo per andare a letto con altre persone! Non credere, l’idea di cacciarti di casa a calci mi intriga enormemente» osservò. «Ma non possiamo. Per Erica. Se... se viene l’assistente sociale e scopre che non stiamo più insieme, poi ce la portano via. E non possiamo farle una cosa del genere, lei non c’entra niente e ha bisogno di noi. Però tu vai nell’altra stanza, in questo momento non riesco neanche a guardarti in faccia». Le voltò le spalle e sparì in quella che per molte settimane sarebbe stata camera sua. Ali rimase seduta al tavolo della cucina, come pietrificata. Quindi non stavano più insieme? Erano separate? Allora era tutto finito, bastava una serata difficile, una lite e crollava ogni cosa. Non poteva permetterlo. Si alzò di scatto e andò a bussare alla porta chiusa della stanza. «Dana! Andiamo apri! Voglio parlare, non possiamo arrenderci così! Mi dispiace, mi dispiace di averti tradita, non so a cosa stessi pensando, ma non possiamo lasciarci solo per questo! Noi valiamo più di questo, ne abbiamo passate tante, io ti amo e lo so che anche tu mi ami, Dana...»
  Ma il silenzio ostinato che ricevette in risposta la convinse che per il momento sua moglie non voleva avere niente a che fare con lei. Si rese conto di avere fame perciò aprì l’armadietto in cucina e tolse una scatola di cereali. Se ne versò un po’ in una ciotola e aggiunse del latte freddo. Prese un cucchiaio e cominciò a mangiare, sentendo una nostalgia acuta delle frittelle con salsa al cioccolato di Dana. Circa mezz’ora dopo sua moglie uscì dalla stanza e si preparò la sua stessa colazione. Mangiò seduta al tavolo in cucina, mentre Ali era sul divano con in braccio Erica che si era svegliata da poco e non le rivolse la parola per tutto il tempo. Aveva gli occhi rossi e gonfi di chi ha pianto. Ali si chiese per quanto le cose sarebbero andate avanti così, non riusciva a crederci.
 
 
Cominciò in questo modo un periodo che negli anni seguenti Ali e Dana avrebbero soprannominato scherzosamente Guerra Fredda. Il primo giorno Ali aveva sistemato il letto nuovo, aveva preso una parte delle sue cose e le aveva trasferite nella terza camera da letto che ovviamene prima di allora era sempre stata vuota. La prima settimana, forse dieci giorni passò tecnicamente normale, a parte per il silenzio innaturale che regnava in casa, interrotto soltanto dagli sporadici messaggi di Erica, generalmente trasmessi con il pianto. Forse quel periodo così infelice sarebbe durato più a lungo, se non fosse successa quella cosa.
  Un mercoledì mattina Ali e Dana si erano alzate come al solito. Avevano fatto colazione separatamente, come sempre e Ali aveva tentato senza successo di parlare con sua moglie. Non sapeva nemmeno perchè continuasse a provarci. Poco più tardi si era vestita ed era andata al lavoro, dopo aver lasciato un messaggio a Dana sul tavolo in cui le chiedeva se al pomeriggio poteva passare a prendere Erica all’asilo. Mentre usciva le disse: «Dana io sto andando!»
  «E chi ti ha chiesto qualcosa!» fu la risposta. Ali alzò gli occhi al cielo. «Ma vaffanculo...» mormorò tra sè. Percorse il vialetto con Erica in braccio e quando arrivò alla macchina la mise nel seggiolino. In quel periodo farlo le dava una sensazione strana. Dopo quello che era successo negli ultimi giorni, niente era più come prima. Mise in moto e si diresse verso il suo ufficio. Prima però passò dall’asilo dove lasciò Erica e avvisò le maestre che probabilmente quel pomeriggio sarebbe passata sua moglie. Dopodichè uscì dall’asilo, attraversò la strada e entrò dalle porte girevoli dell’edificio dove si trovava la Hayes&Cox. Mentre camminava ripensò a quello che era successo la prima mattina dopo il tradimento.
Fino all’arrivo in ufficio era andata esattamente come quel giorno.
 
Una settimana prima
“Camminava velocemente, anzi quasi correva nell’ingresso e prese al volo un ascensore. Mentre saliva sospirò di sollievo: era la prima volta che attendeva con ansia di andare al lavoro per uscire di casa. Ma era anche la prima volta che stare nella stessa stanza con Dana le provocava un dolore fisico. Era arrivata al suo ufficio e si era seduta subito alla scrivania, dopo essersi tolta la giacca.
  Hayes era arrivato dopo circa dieci minuti e l’aveva trovata già seduta alla sua scrivania, intenta a lavorare. In quelle settimane in cui lei aveva lavorato lì, tra loro due si era instaurato un rapporto piacevole, quello che può nascere tra uno zio un po’ anziano e la nipote preferita. Ali si era affezionata a lui e Jeremy Hayes aveva imparato a conoscerla e a decifrare anche il più piccolo cambiamento di umore sul suo viso. In effetti quella mattina le si era avvicinata e l’aveva guardata negli occhi. «Cos’è successo? Non sei mai qui così presto e soprattutto non con quella faccia». Lei aveva annuito e aveva appoggiato il mento a una mano.
  «Ieri sera ho litigato con mia moglie» aveva detto. Lui l’aveva guardata con gli occhi sbarrati: sapeva bene quanto loro due fossero innamorate e la cosa gli era sempre sembrata del tutto normale. Era incredibile, per lui, pensare a un litigio di quel genere. «Abbiamo litigato e poi io l’ho tradita con un’altra donna».
  «E lei l’ha scoperto» aveva concluso  Hayes per lei. Ali aveva annuito. Lui si era seduto alla scrivania di fronte a lei e l’aveva guardata negli occhi, serio.
  «Hai fatto un errore. Capisco, eri arrabbiata, ma con la vendetta non si ottiene niente. Soprattutto perchè non ti ha fatto stare meglio. Adesso devi cercare di risolvere questo problema, lo sai». Si era alzato e le aveva messo una mano sulla spalla, poi aveva aggiunto: «Ce la farete. Ho un buon presentimento». Detto questo le sorrise e andò nel suo ufficio. Ali rimase seduta a fissare il computer con un vago sorriso per un po’, ripensando a cosa le aveva detto il suo capo, ma poi le tornò in mente Dana e il sorriso sparì, lasciando il posto ad un’espressione addolorata.”
 
Tornò con la mente al presente e si sorprese quando si rese conto che stava rivivendo quel momento per l’ennesima volta. Doveva smetterla, perciò cercò di non pensarci troppo, almeno fino alla pausa pranzo, quando decise che avrebbe chiamato Faith per sfogarsi. Fece partire la musica e questo la aiutò un po’. Le venne in mente che aveva fatto esattamente la stessa cosa un paio di anni prima, quando aveva scoperto di essersi innamorata di Dana e cercava di non pensarci per non far soffrire il suo fidanzato di allora, Josh. Adesso invece voleva evitare di insultare pesantemente la stessa donna, ormai sua moglie, anche se solo con il pensiero.
  Ore dopo stava scendendo rumorosamente le scale per andare alla caffetteria. In quella parte di edificio non c’era l’ascensore e quel giorno lei non l’avrebbe preso comunque, non era dell’umore. Prese un vassoio e si sedette a mangiare a un tavolo affollato. Alla fine aveva ancora un po’ di tempo, così prese il telefono per chiamare la sua migliore amica. Invece in quell’esatto momento il cellulare squillò e Ali vide con sorpresa che era proprio lei. Rispose immediatamente.
  «Fay ciao! Non ci crederai, ma stavo per chiamarti! Che succede?»
  «Niente di particolare» rispose Faith. «Volevo salutarti e chiederti una cosa. Visto che fra qualche giorno è il tuo compleanno, pensavo che tu, Dana e Erica potreste venire a cena da noi per festeggiare, quella sera. Che ne dici?»
  «Fay io... io...» iniziò Ali senza fiato. Poi scoppiò a piangere. Faith strinse più forte il cellulare e sbarrò gli occhi. Cos’era successo? Per sicurezza glielo chiese.
  «Ali, Al calmati. Smettila di piangere, non capisco quello che dici! Cos’è successo? Raccontami tutto, ma tranquillizzati, per piacere».
  «È... è Dana, è successo... e io credo... insomma credo che tra noi sia finito tutto!» rispose Ali, cercando nello stesso tempo di riprendere fiato e smettere di singhiozzare. Faith si strozzò mentre deglutiva. Annaspò per qualche secondo, poi si riprese.
  «Cosa? Che cosa? Di che diavolo stai parlando Ali? Come può essere finito tutto tra voi due? Che cosa è successo, devi raccontarmelo!»
  «Settimana... settimana scorsa  ci siamo messe a litigare di brutto ed era partito dal niente. Alla fine io me ne sono andata. In un bar ho conosciuto una donna Fay... e io... io...» gemette.
  «No... Ali, no...» mormorò Faith con aria desolata. «L’hai tradita? Ma perchè? Perchè hai fatto una cazzata del genere, Ali? Lei l’ha scoperto, immagino. E ti ha cacciata di casa».
  «E che ne so io perchè? Ero arrabbiata! Sì l’ha scoperto, ma no... non mi ha cacciata di casa. Fra non molto arriverà l’assistente sociale e se dovesse scoprire che io e Dana non stiamo più insieme potrebbero portarci via Erica. Ci dovremo sopportare per un po’. Ma io non ce la faccio Fay, mi manca da morire ed è solo da alcuni giorni che non mi parla. Provo a parlarle ogni mattina, ma non mi ascolta. Come faccio a farmi perdonare?»
  «Come fai? E devo dirtelo io come fare? Senti Ali... Dana è tua moglie, se vi siete sposate un motivo c’è. Prova a ignorarla tu per un paio di giorni. Magari farà lei il primo passo. Da quello che ho capito è anche colpa sua» replicò Faith. Ali fece per rispondere, ma poi guardò l’ora e si accorse che ormai doveva di tornare in ufficio. Disse all’amica che l’avrebbe richiamata e riattaccò. Salì di corsa le scale e poco dopo riprese a lavorare, di nuovo alla sua scrivania. Non vedeva l’ora di uscire, voleva tornare a casa. Più tardi quando arrivò l’ora di andare, le venne in mente di andare all’asilo per controllare che Dana avesse letto il biglietto. Quando la vide, una maestra che stava con i bambini dell’età di Erica, la salutò con un sorriso.
  «Buonasera signora Donnell! È tutto a posto, sua moglie è passata a prendere la bambina un paio d’ore fa. È venuta qui per questo, giusto?»
  «Sì grazie» rispose Ali. «Le avevo scritto un biglietto stamattina, ma visto che non ci parliamo non ero sicura che l’avesse letto. Va bene, mille grazie, arrivederci».
  Le voltò le spalle e uscì di corsa dall’edificio. Aveva una gran voglia di tornare a casa. Forse se non fosse stata così sovrappensiero in quel momento, alcune cose non sarebbero mai accadute. Non stava realmente pensando a dove andava quando iniziò ad attraversare la strada e non vide l’automobile che arrivava a velocità folle e non sentì la donna che le urlava dal marciapiede di fare attenzione. Pensava a Dana e a quello che avrebbero fatto se non avessero fatto pace. L’uomo alla guida non la vide o forse finse di non vederla, probabilmente era ubriaco fradicio, chi lo sa. Fatto sta che Ali sentì il rumore di un motore che si avvicinava e parecchie persone che urlavano, ma si voltò quando ormai era troppo tardi e l’auto l’aveva già urtata e fatta cadere prima sul cofano e poi sull’asfalto. Rimase lì immobile per un tempo indefinito. Non si era mai sentita così, aveva male dappertutto, letteralmente dalla testa ai piedi e non riusciva a muovere un dito. Sentì vagamente qualcuno che chiamava il 911, poi la testa le ricadde sulla strada e l’oblio la invase.
  Si risvegliò qualche minuto dopo e si ritrovò circondata da persone vestite di blu scuro. Paramedici, pensò. «Signora, va tutto bene. Adesso la portiamo in ospedale e ci prenderemo cura di lei» le disse una donna con fare rassicurante, mettendole una mano sulla spalla. «C’è qualcuno che dovremmo avvisare? Un familiare o qualcosa del genere?»
  «Sì... sì» rispose a fatica. Ogni parola era una fitta di dolore al petto. «Mia... moglie... Dana Rogers. È... è il primo... numero sul mio... mio cellulare. Non... mi parla, ma... questo lo vorrebbe sapere...»
  «D’accordo, qualcuno si preoccuperà di avvisarla, lei stia tranquilla» le disse la donna. La caricarono su una barella e poi nell’ambulanza, che si mise a correre a sirene spiegate verso l’ospedale. Intanto il paramedico aveva preso il cellulare di Ali e aveva chiamato Dana.
  Quest’ultima nel frattempo era a casa e si chiedeva infastidita quando Ali si sarebbe degnata di tornare a casa. Non era preoccupata, ma non aveva mai fatto così tardi. Lo squillo del suo cellulare risuonò come uno sparo nella notte. Rispose immediatamente. «Pronto?»
  «Lei è Dana Rogers?» le chiese una voce di donna che non conosceva. Lei rispose di sì. «Mi chiamo Sue, sono un paramedico» continuò la sconosciuta. Il cuore di Dana saltò un paio di battiti.
  «Cosa, che è successo?» chiese spaventata. Sue sospirò.
  «Stiamo portando sua moglie in ospedale, all’Harborview Medical Center» disse. «È stata investita da un’auto, dovrebbe raggiungerci subito». A Dana cadde il cellulare dalle mani. Lo raccolse tremante e rispose con un filo di voce.
  «Va bene, arrivo subito» disse, prima di riattaccare e iniziare a piangere.
 
 
 
 
NdA: lo so, in questo momento mi odierete. Ma fidatevi è solo un momento! Ho inserito un flashback come avrete notato. Grazie a chi legge, recensisce, segue eccetera! Adieu!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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