Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Glenda    24/06/2008    3 recensioni
Storia completata. Grazie a tutti coloro che ci hanno letto e incoraggiato!
Riusciranno i cinque della squadra dell'Unità di Analisi comportamentale a trovere il killer che sta mietendo vittime nella piccola Sand Spring, rivestendo i delitti di un misterioso alone religioso?
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dal quaderno dei deliri di Glenda:

 

Ed eccoci al quinto capitolo...siccome fra breve ci aspetta una trasferta vacanziera, io e Rem avremmo modo di delirarci il gran finale...Ma voi commentate, se ci volete bene! ^_^

 

Capitolo 5

1999

C’era un momento del giorno che Mervin odiava, ed era quel momento in cui, chiuso il bilancio di una giornata, ci si stende a letto aspettando di cadere nel sonno.

Da tanti anni, ormai, quel momento era troppo lungo, e il passaggio dalla veglia al riposo si riempiva di fantasmi. I tempi in cui tornava dal lavoro e si addormentava esausto erano così lontani che non riusciva a ricordare di aver mai goduto di uno stato simile, ed aveva sperato che tornare in pista avrebbe risolto il problema almeno un po’. Invece quella sera, pur se era sfinito e col cervello ingombro di tanti pensieri, di mille nodi da sbrogliare, ancora il sonno tardava a venire, e alle preoccupazioni presenti si sostituivano angosce lontane.

Nemmeno ottenere ciò che si era proposto le avrebbe cancellate. La vendetta non riporta in vita i morti, e non alleggerisce il peso delle colpe.

E allora, perché aveva voluto ricominciare?

Forse sperava solo che il lavoro, quel lavoro che amava e che aveva sempre assorbito le sue energie fino all’ultima goccia, lo aiutasse a distrarre la mente. Un disperato divertissemant pascaliano per non consumare nella rabbia e nei rimpianti quello che rimaneva della sua vita.

Guardò l’orologio: le due di notte.

Niente da fare, non riusciva a chiudere occhio.

Decise di uscire a fare due passi nella hall: magari il portiere aveva voglia di far due parole, e, comunque, respirare l’aria aperta di solito gli faceva bene.

“Allora è vero che voi agenti dell’FBI non dormite finché non avete risolto un caso!”

Esordì un ciarliero giovane coi capelli rossi al bancone della reception.

Hudson fece un mezzo sorriso che sembrava più una smorfia.

“Avevo semplicemente voglia di fumare...” disse.

Gli era d’un tratto passata la voglia di chiacchierare con quel banale ragazzetto.

“Capisco, capisco” fece lui “il suo collega invece se ne è proprio andato...”

“Il mio collega...?”

“Sì. Quello giovane, con gli occhiali.E’ uscito quasi un’ora fa...Ma io glielo avevo detto che non c’era niente da vedere, in giro. I locali migliori aprono nel week end, e...”

Mervin lo interruppe con un cenno della mano, e prese la via del portone.

Chissà che faceva Rendall in giro in piena notte. Che soffrisse d’insonnia anche lui? Dopotutto, più di altri ne aveva le ragioni. A momenti, continuava a chiedersi con quale forza fosse riuscito ad arrivare fino all’unità di analisi comportamentale, e con quale incoscienza Murphy ce lo avesse lasciato entrare senza riserve.

Fece un giro dell’isolato, nel piazzale dell’albergo, finché non vide il collega seduto su una panchina un po’ in disparte, alla luce di un lampione.

“Buongiorno Rendall...emh...Buonanotte” fece un sorriso e sedette vicino a lui “anche se è chiaro che questa non è una buona notte per te”

“Nemmeno per te...” fece Tobias, con un’alzata di spalle.

“Per me non lo è mai. Ma ho fatto l’abitudine a dormire poche ore”

Il ragazzo fece un cenno con la testa, ma non disse niente. Fu allora che Hudson notò l’oggetto che teneva appoggiato sulle ginocchia: la custodia di uno strumento musicale.

Questa era veramente bella! Mervin ne aveva viste di stranezze in vita sua, ma un collega seduto nel giardino dell’hotel alle due di notte, con uno strumento in braccio, era una curiosa novità.

“C’è una pistola nascosta, o è quel che penso?”

Tobias ebbe un attimo di dubbio prima di capire a cosa Hudson si riferisse, poi, con un movimento lento, avvicinò l’oggetto a sé.

“E’ il mio violino”

Ad Hudson scappò un mezzo sorriso ironico.

“Non ho mai visto un agente mettere in valigia un violino, Rendall”

“Mi rilassa. Mi serve per far ordine nelle idee e dormire più tranquillo. Dovresti trovare un sistema anche tu. Riposare poco fa male“

Mervin comprese facilmente che Tobias non gli stava dicendo la verità.

“Il caso non ti fa prendere sonno?”

“Può darsi...”

Tobias si strinse nella spalle, evasivo.

“Ora mi stai di nuovo dicendo che non devo violare il tuo spazio...”

“E’ vero...”

“Tra colleghi di una squadra, specie come la nostra, dovrebbe esserci una certa empatia. Con Murphy parli?”

“Sì. Quando...non me lo chiede...”

“Ti fidi di lui?”

“Molto”

Hudson gli posò una mano sulla spalla.

“E’ bene che ti fidi di qualcuno. Ma ricorda di conservare obiettività e indipendenza di pensiero...”

“L-li conservo” fece Tobias, come turbato da quella affermazione.

“D’accordo, Rendall. D’accordo. Dovresti dormire. Domani c’è molto da fare”

“Dovresti anche tu...”

Si guardarono per un attimo, e nessuno dei due disse niente.

“Torni...insieme a me?”

Hudson fece cenno di sì. Si avviarono verso l’ingresso senza scambiarsi una parola.

****

Claire Harris guidava come una pazza. L’albergo era solo a pochi chilometri dal dipartimento di polizia e le strade erano deserte. In pochi minuti sarebbe stata là.

Voleva essere lei ad avvertire l’agente Murphy, e voleva farlo di persona: una telefonata sarebbe stata troppo gelida e lei...

E lei, stava correndo al suo hotel per riferirgli quella brutta notizia sperando che lui non la prendesse troppo a cuore. Non lo avrebbe fatto con qualsiasi collega, e il pensiero, per un attimo, le diede fastidio: odiava dover confermare a quel Rendall che le aveva fatto proprio un bel profilo. Era stato veramente fastidioso sentirsi spiattellarle in faccia con candore aspetti di sé che riteneva privati, tanto di più quando si trattava di sentimenti! Quel ragazzo era proprio maleducato!

Ma era vero, Tee Murphy la affascinava. Ed era vero anche che non c’era mai stato un collega che lo avesse fatto, perché era abituata a vedere in ogni collega uomo un rivale.

Tee era diverso dagli altri: non avvertiva sfida, da parte sua, ma solo collaborazione. Doveva essere la sua preparazione da profiler a farlo apparire tanto ben disposto nei rapporti interpersonali: magari, nella vita privata, era un bastardo come tanti altri, eppure era attratta da lui e non poteva farci niente. Anzi, questa sensazione le piaceva, la faceva sentire più grintosa, desiderosa di dare il massimo, come se, dopo anni di torpore in quella cittadina così priva di stimoli, una nuova energia fosse venuta a scuoterla.

Parcheggiò in divieto di sosta davanti al passo carrabile dell’hotel, e si precipitò dentro mostrando il tesserino al portiere di notte.

“La stanza dell’agente Murphy!” esclamò.

Tee dormiva, quando udì i colpi sulla porta.

Si svegliò di soprassalto.

Aveva il sonno leggero forgiato da un sacco di trasferte, per molti giorni all’anno, per tanti, tanti anni.

Con un gesto veloce accese la lampada sul tavolino accanto al letto e afferrò la pistola che teneva nel cassetto, a portata di mano.

Anche questa era un precauzione che aveva adottato da molto tempo.

Si portò vicino alla porta e guardò attraverso lo spioncino: Claire Harris.

Aprì subito.

“Claire cosa…”

“Tee” cominciò la donna. Era visibilmente turbata per qualcosa che era successo. Ma non doveva essere un avvenimento legato alle indagini, come la scoperta di un altro cadavere. Doveva essere qualcosa di più profondo.

Senza accorgersi Tee fece un passo indietro, mentre Claire avanzò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

“Mi dispiace…” sapeva che, come tutte le brutte notizie, non c’era un modo indolore per farle ingerire, quindi decise di comunicargli quanto accaduto, senza ulteriori esitazioni “…ho appena saputo che Malcom si è tolto la vita…”

Il resto della frase non lo sentì.

Era come stare in un incubo. Le stesse cose si ripetevano sempre, inesorabili, senza possibilità di cambiamenti.

Non importava quanto lui si sforzasse, inevitabilmente qualcosa andava storto e allora…

“…una guardia..alle tre, non c’era più nulla da fare…”.

Tee annuì piano. Poi avvertì il freddo della parete alle sue spalle. Non c’era più alcun posto dove rifugiarsi.

“Ti senti bene?” domandò Claire preoccupata.

“S-sì” mormorò per tutta risposta, ma dalla sua bozza uscì solo un verso strozzato. Si passò una mano sul mento, leggermente intontito.

“Non preoccuparti” mormorò Tee con un filo di voce “passerà…”

“Io invece mi preoccupo, eccome” ribattè decisa la donna. Non aveva idea che l’agente Murphy potesse prenderla così. Certo, credeva nell’innocenza di Malcom ed era riuscito anche a convincerla a passare sopra a molte cose, ma questo…no.

“C-come come è successo?” focalizzarsi sui dettagli l’avrebbe aiutato, pensava. Era la sua unica via d’uscita.

“Non credo che vorresti sentirlo” sussurrò Claire abbassando lo sguardo, involontariamente.

“Dimmelo”.

Non era una richiesta, Claire lo intuì dal tono della voce. Questo non era l’agente Murphy che aveva appena iniziato a conoscere.

C’era qualcosa…qualcosa che non riusciva ancora ad afferrare.

Preferì assecondarlo, seppur con estrema riluttanza.

“Soffocamento, o almeno, così sembra, ma senti Tee…” fece la donna avvicinandosi. Non sapeva nemmeno lei cos’avrebbe fatto, ma doveva fare qualcosa, perché quello che vedeva sul volto dell’uomo che le stava di fronte non le piaceva. Possibile che avesse preso così a cuore quel ragazzo? Era questo che facevano i profiler di Quantico?

“Gli avevo detto che sarei tornato…” e la guardò con un’espressione così addolorata, che le sembrò quasi insostenibile.

Lo abbracciò di slancio.

“Che buon profumo” pensò per un istante Tee, poi le sorrise “Grazie”.

Claire gli sorrise impacciata di rimando.

“Credo che adesso dovremmo muoverci” esclamò vivacemente Tee.

Claire osservò stupita il repentino cambiamento dell’uomo.

****

Avril era di nuovo immersa nella lettura dei libri di Alex Zarowsky.

Risa, invece, aveva passato la mattinata al telefono con la casa editrice cercando di raccogliere notizie sulla vita dello scrittore, ed ora studiava con cura i dati che aveva ottenuto, ma era deconcentrata. Non riusciva a smettere di guardare Tobias con la coda dell’occhio e provava il desiderio di avvicinarsi a lui e dirgli qualcosa, frenandosi solo al pensiero delle sue strane reazioni quando si invadeva il suo spazio. Era spaesato e confuso: da quando erano arrivati alla centrale non aveva fatto che mordersi le nocche della mano o scarabocchiare nervosamente strani disegni sul suo blocco notes ed era chiaro che non aveva neppure iniziato a svolgere il lavoro che gli era stato assegnato. Ma quella non era la sola stranezza che Risa aveva notato quel mattino. Innanzi tutto, dal momento in cui avevano avuto la notizia della morte di Denver da un visibilmente turbato agente Murphy, non si era separato un attimo da lui, seguendolo per ogni angolo dell’ufficio come un’ombra, senza però mai dire una parola. Secondariamente, aveva risposto in modo brusco ad Hudson solo perché si era permesso di dire a Tee che non era necessario che lui lo affiancasse nell’interrogatorio di padre Tamas. Infine, non aveva ancora scartato il suo cioccolatino quotidiano...

“E questo era l’ultimo...!” sospirò Avril posando sul tavolo l’ennesimo libro illustrato “Adesso conosco la bibliografia completa del nostro scrittore, dalle Fiabe per dormire alle Avventure di Jhonny il guastafeste!”

“Beh, e hai notato qualcosa di interessante?” chiese Risa.

“Eccetto il fatto che sono tutte storie di impianto didascalico - quindi compatibili con un impostazione educativa di tipo religioso - niente di strano. Del resto, avere una morale è una delle caratteristiche della fiaba tradizionale, anche se nel tempo questo aspetto è andato perso. Se dovessi dire che nei suoi testi c’è anche una sola riga che lo collega al nostro caso, dovrei dire di no. Tuttavia, c’è qualcosa che mi incuriosisce...”

“Davvero? Che cosa?”

“Beh...le date. Tutti i libri sono pubblicati negli ultimi 5 anni. E’ strano che un uomo cominci a scrivere all’improvviso, a questa età, e prima non abbia mostrato questa passione in alcun modo. Non c’è niente di lui, prima del 2003: non un articolo di giornale, una recensione, né alcun elemento che lo colleghi al mondo della letteratura. Non escludo che possa capitare, tuttavia...”

“Tuttavia è strano che capiti ad una persona che nella vita ha sempre fatto il rappresentante...” concluse Risa, dati biografici alla mano “Non solo...è come se...qualcosa non tornasse...”

“Ossia?”

La ragazza mostrò a Avril una cronologia dettagliata della vita di Zarowsky.

“Guarda...per quanto io abbia scavato nella sua esistenza, non riesco proprio a trovare cosa abbia fatto negli anni tra il 1999 e il 2002. Un buco di ben 3 anni in cui non ci sono tracce di lui. Non ha lavorato, non ha avuto vita sociale...insomma, è come se fosse sparito...”

“Esattamente prima di cominciare a scrivere. Che ne pensi, Rendall?”

Il ragazzo non rispose: stava facendo uno strano movimento con le dita, e sembrava tutto assorto in quel giochetto di destrezza. Avril si alzò e gli piazzò le mani sulle spalle.

“Rendall? Sei tra noi?”

Come una molla, il ragazzo fece un balzo sulla sedia, e il movimento brusco fece cadere rovinosamente a terra tutti i fogli che c’erano sulla scrivania.

“V-v-vuoi evitate di disturbarmi così?!?” sbottò, ansimando.

“Non mi pare di averti disturbato” fece lei, calma, e non troppo turbata dalla reazione “Dopotutto, non stavi facendo niente, ed un parere sarebbe il minimo indispensabile”

“Non è compito tuo sorvegliare ciò che sto facendo o non facendo!” esclamò Tobias “è compito di Tee!”

Era palesemente a disagio ed evitava il contatto visivo.

Risa lo guardò con tenerezza. Lo trovava così carino!

“Tobias...” gli chiese con dolcezza “stai bene?”

Fece per avvicinarsi a lui, ma egli si ritrasse, ponendo la barriera delle proprie mani tra loro.

“Non. mi. toccare.” disse “per. favore.”

Poi infilò la porta, e sparì nel corridoio.

“Che...cos’ha?” mormorò Risa, inquieta.

Avril sospirò.

“E’ Rendall. Se fosse una persona normale, forse non sarebbe il fenomeno che è, in questo lavoro.”

“Pensi che sia turbato dal suicidio di Denver?”

Lei scrollò il capo.

“Nah! Non è Rendall ad essere rimasto turbato, ma l'agente Murphy. Lui è così. Si assume sempre la colpa delle cose che vanno storte, anche se lo nasconde bene. E Rendall...beh...è come..la sua eco: entra in risonanza con le sue emozioni e ne risente. Ma non cercare di capire che tipo di legame ci sia tra loro: è troppo difficile.”

****

Non aveva alcuna voglia di parlare di quello che era successo quella notte.
Con nessuno e tantomeno con Hudson.
Era ben consapevole di non avere la sua simpatia.
Non che ci tenesse particolarmente.
Non era mai stato dell’idea che, dovendo lavorare insieme, dovessero essere tutti amiconi. Né aveva la pretesa di piacere a tutti, in particolar modo a un tipo come Hudson.
L’agente Murphy però intuiva che il collega più anziano lo stava studiando, fin dall’inizio, fin dal primo momento in cui si erano incontrati e che alla fine, avrebbe esposto le sue opinioni senza mezzi termini.
Ma non era questo che lo preoccupava al momento.
Tee riteneva di non essere il tipo da lasciarsi coinvolgere nei casi, era convinto infatti che un buon profiler dovesse mantenere sempre un certo grado di distacco e oggettività per far meglio il suo lavoro.
Il caso di quel ragazzo però, di Malcom, aveva risvegliato in lui spiacevoli ricordi.
Forse era stato questo, forse era stato il suo vano e fallimentare tentativo di tenere Malcom fuori dai guai a causare quello che era successo.
Non riusciva nemmeno a pensarci, anzi non voleva pensarci.
Forse non avrebbe dovuto essere lì in quel momento, non lui, chiunque altro ma non lui e invece eccolo pronto per un interrogatorio, o qualcosa di molto simile, visto che padre Tamas non era propriamente tra i sospettati.
Se non era tra i sospettati però, il reverendo Ryan Tamas di sicuro ne sapeva molto di più di quanto non avesse ammesso a un primo incontro.
La loro pista volgeva chiaramente verso un ambiente religioso. Tee valutò addirittura se non fosse il caso di far pedinare il sant’uomo, ma declinò immediatamente l’idea.
Almeno per il momento non era il caso di scomodare le alte sfere, per ottenere un permesso.
Con la coda dell’occhio osservò Hudson che guidava composto, come se nulla potesse turbarlo.
L’uomo fermò la macchina davanti alla chiesa e fece per dire qualcosa.
In quel momento Tee aprì la porta e schizzò fuori.
“Agente Murphy!” lo richiamò Hudson “non dovremmo concordare una...”.
Inutile, Tee era entrato dritto in chiesa e questo già gli dava suo nervi.
Era un caso delicato, che avrebbe potuto risolversi in fretta oppure degenerare, se già non l’aveva fatto.
Il suicidio di Malcom Denver, nel migliore dei casi, avrebbe procurato un’indagine interna e lui...beh, di sicuro non condivideva l’attaccamento che Murphy aveva dimostrato verso quel giovane, né tanto meno, i suoi modi.
In realtà si stupiva di come la squadra avesse funzionato per così tanto tempo, senza subire nemmeno un’inchiesta.
Non che i suoi elementi fossero degli incompetenti, a parte la vivacità delle ragazze, non si poteva accusare nessuno di aperta negligenza se non...
Ad ogni modo c’era soprattutto una cosa che non gli tornava: il legame tra Murphy e Rendall. Ci sarebbero state tante cose da discutere nell’operato di Murphy, ma di sicuro quell’aspetto sarebbe stato il più controverso.
“E adesso dove diavolo è finito?” si domandò ad alta voce l’agente Hudson lasciandosi anche lui alle spalle i battenti della chiesa di St. Jacques.
L’interno dell’edificio era immerso nel silenzio.
Mervin Hudson era un uomo abituato alla disciplina. Lo era stato fin dall’infanzia, cresciuto nella casa di un militare di riserva, primo di cinque fratelli. Aveva frequentato l’Accademia militare in Virginia risultando come miglior cadetto della sua annata.
Le sue esperienze all’estero per il governo, spesso in zone molto delicate o sull’orlo del tracollo politico, gli avevano insegnato a mantenere il sangue freddo. A volte, l’unico modo per gestire una situazione di crisi era solo la ferrea disciplina, il rispetto delle regole e degli ordini.
Cosa che Tee Murphy, con il suo comportamento leggero e avventato, tendeva a trascurare.
Ma non erano solo queste le pecche dell’agente Murphy.
Con un gran sospiro Hudson si guardò intorno per capire dove fosse andato a cacciarsi.
Decisamente poco professionale, pensò tra sé e sé Hudson, se in quel momento fosse successo qualcosa, non conoscendo la posizione del suo partner, lui non avrebbe potuto intervenire.
Ma evidentemente questa era la prassi seguita dall’uomo che doveva guidare un’intera squadra.

****

Risa si chiedeva dove fosse scappato Tobias. Avrebbe desiderato alzarsi e andare a cercarlo...ma non lo poteva fare. Lui non le aveva mai concesso la sua confidenza.

“Senti Avril...L’altro giorno mi hai detto...che i superiori hanno contestato l’assunzione di Tobias...” esordì, ad un tratto.

“Ah...ho detto questo? No, beh...Non hanno esattamente contestato, ma...qualcuno ha avuto dei dubbi sulla sua capacità di fare questo mestiere...”

“Perchè?”

La ragazza fece un’espressione scontata, come se la collega le avesse posto una domanda del tutto inutile.

“Non gli ho fatto il profilo” fece Risa, seccamente.

“Non si tratta di fargli o no il profilo. Per chi fa questo lavoro, certe osservazioni sono automatiche. Attieniti a ciò che hai notato. E‘ sufficiente...”

“Beh, ha la fobia del bianco e a volte ha reazione inopportune col prossimo. E’ solo questo il problema? Lui capisce la gente, e sa trovare strade per entrare in contatto con loro che nessun altro trova. E’ profondo e geniale. Non vedo quale altro lavoro potrebbe fare meglio di questo”

“E’ vero. Ma per far parte di un’unità di analisi comportamentale, il primo requisito che viene richiesto è l’equilibrio psicologico. Sono necessari chiarezza di pensieri, capacità di controllare emozioni, lucidità in situazioni che metterebbero in crisi la maggior parte dell’umanità, coordinazione tra la mente e l’istinto, autocontrollo, auto-consapevolezza. E Rendall...lui non è niente di questo. E’ la negazione del “profilo” che si richiede ad un “profiler”. Lui è emozionale, affettivo, nelle situazioni critiche non agisce col convincimento ma con l’empatia...non padroneggia e non usa le tecniche di interrogatorio ufficiali, non segue i ragionamenti, ma gli indizi che attinge dai suoi sensi: udito, vista, tatto...Non ha autocontrollo emotivo: si lascia coinvolgere, scende nella mente degli S.I e si appropria del loro mondo...ci vive dentro. Per fare un buon profilo, è necessario “pensare” con la mente dell’assassino, ma lui non fa questo: lui sente con l’assassino e avverte cosa lui desidera nell’inconscio più profondo, cosa vuole sentirsi dire, di cosa ha bisogno...E’una dote, è vero. Ma anche un’arma a doppio taglio difficile da gestire. Hai visto anche tu Tobias svolgere un interrogatorio, una volta. Ne esce come...”trasformato”, e fa fatica a tornare quello di sempre. E’ come se ogni contatto con un S.I. gli imprimesse qualcosa, e questo non è bene. Quando Tee lo ha voluto con insistenza nella squadra, in molti lo hanno disapprovato. Solo che Tee Murphy è Tee Murphy: il genio del profiling che non sbaglia un colpo. Non gli si poteva dire di no. Alla fine, l’ha

avuta vinta, e Tobias, da parte sua, ha dimostrato di valere anche più di quanto Tee avesse stimato. Ha fatto confessare un pluri-omicida che aveva tenuto in scacco agenti tra i più esperti nel mestiere, è riuscito a far parlare uno psicopatico sadico con doppia personalità portandolo a svelare dove teneva prigioniera la vittima, con il dinamitardo di Boston, ha salvatola vita a otto ostaggi...per non contare i casi che ha risolto da quando lo conosci. Ma nessuno può negare che lo abbia fatto in modi discutibili e non esattamente...professionali

“Ci è riuscito. Che importa?”

“Importa. I superiori hanno paura che si trovi in situazioni che non riuscirà a controllare, e che metta a rischio la sua vita e quella dei suoi colleghi. Per questo hanno chiesto a Tee di fargli una valutazione psicologica. Solo che lui si è rifiutato”

“E perché? Bastava che dicesse che Tobias è all’altezza di lavorare con noi”

“Non capisci. Tee non scende a queste bassezze: non fa il profilo ai suoi colleghi, e men che mai lo farebbe con Rendall, per quanto credo che lui glielo abbia persino chiesto. Il capo è così. Non vuole imporsi nelle nostre vite. Non ha letto i fascicoli di nessuno di noi”

“Cosa...?” quella fu una sorpresa. Dunque, Tee Murphy non sapeva niente di lei? E come faceva a comprenderla come se la conoscesse da sempre? “Ma dai...”

“Te lo assicuro. Non sa nulla, oltre a ciò che gli raccontiamo. E’ cosa risaputa. Anche quando deve fare una valutazione di qualcuno, non vuole sapere niente del soggetto: dice che non vuole essere influenzato. Vuole credere solo a ciò che la persona gli trasmette. Figurati se lo farebbe con un collega...soprattutto considerando che il fatto che Tee punta le sue carte migliori sull’affiatamento del team...”

“Hai molta stima del supervisore...”

“E’ un leader senza cui questa squadra non avrebbe senso di esistere. Ci capisce, legge le nostre esigenze, ci supporta...ma non vuole andare a scavare dove non siamo noi a farlo entrare spontaneamente. Per questo Tobias si fida ciecamente di lui. E Tobias non concede la sua fiducia con facilità”

*****

“Non può che essere qualcun legato alla Chiesa. A questa chiesa” pensò Tee dirigendosi a lunghe falcate verso i battenti dell’edificio ecclesiastico.
Così indicava il profilo, qualcuno di molto osservante, che credeva di avere un legame speciale con Dio.
E quella era l’unica Chiesa della città, se c’era stato qualcosa di strano il sacerdote locale doveva averlo notato.
Quante volte l’aveva fatto? Quante volte aveva interrogato qualcuno a proposito di un crimine, per cercare di carpire più notizie possibili, facendogli ammettere cose a cui quella persona non aveva mai pensato, che non aveva mai notato prima.
Lavoro.
Era sempre stato il lavoro a salvarlo, anche se era proprio questo che rimproverava a Tobias.
La chiesa era aperta, ma nel vestibolo centrale non c’era nessuno.
Chissà se qualcuno pregherà per lui? Pensò fuggevolmente percorrendo uno dei transetti laterali.
Chissà se qualcuno avrebbe pianto per lui...quel giorno.
Dietro l’altare non c’era traccia di anima viva.
Tee si diresse verso la sagrestia.
“É permesso?” domandò muovendo qualche passo all’interno della stanzetta dove venivano stipati paramenti sacri e altri oggetti per la celebrazione dei riti.
Nessuna risposta.
Tee intravide una porta leggermente socchiusa, che dava su un altro locale.
“C’è qualcuno? FBI, sono l’agente Murphy...” .
Niente.
Con un brutto presentimento Tee portò una mano alla pistola d’ordinanza.
In quel momento dalla stanza adiacente udì giungere un sommesso bisbigliare, una sorta di melodica litania.
Tee riconobbe subito l’atto di dolore che spesso veniva imposto come forma di penitenza, dopo la confessione.
Si avvicinò alla porta.
Era strano, era come se chi stesse recitando quelle parole non si soffermasse sul loro significato.
Varcò la soglia con circospezione.
Al centro della stanza c’era una persona inginocchiata che gli dava le spalle.
“Reverendo...”.
L’uomo però era in una specie di trance, incurante di quanto gli accadeva intorno.
Tee aveva già visto altre persone cadere in uno stato simile, da ragazzo.
A quel tempo si erano trasferiti in una sperduta località del Montana ai piedi delle montagne. Lì i fedeli della chiesa locale si trovavano per celebrare cerimonie e riti a lui sconosciuti. Spesso i predicatori, infervorati dai loro sermoni, cadevano in una specie di estasi mistica.
Tee Murphy osservava quelle manifestazioni affascinato, mentre Connor, impaurito, si stringeva al suo fianco.
Anche suo padre, per un breve periodo, era stato seguace di un simile credo, un’altra delle sue bizzarre idee che avrebbero dovuto riportarlo sulla via della redenzione, almeno fino alla successiva bottiglia di Jack Daniels.
“Mi perdoni padre, sono l’agente Murphy” esclamò Tee ad alta voce.
Non aveva voglia di aspettare che il reverendo Tamas finisse la sua omelia che, per quanto ne poteva sapere lui, sarebbe potuta andare avanti anche per giorni.
L’uomo sussultò impercettibilmente, si fece il segno della croce e si voltò verso l’agente Murphy.
“Mi dispiace disturbarla a quest’ora...”
“Il mattino ha l’oro in bocca, non l’ha mai sentito?” fece per tutta risposta il reverendo.
Tee decise di non dare importanza a quell’uscita.
Non aveva tempo per le citazioni.
“So che ha già ricevuto la visita di alcuni agenti della mia squadra”.
“Sì, ho avuto il piacere di incontrare l’agente Rendall e Hudson”.
Era forse il suo tono troppo mellifluo a infastidirlo?
Tee non avrebbe saputo dirlo.
“Ma vorrei farle ancora alcune domande, se non le dispiace...”continuò l’agente dell’FBI.
“C’è stata qualche novità nelle vostre indagini? É successo qualcosa?” esclamò il reverendo con un certo sussiego che Tee non mancò di notare.
“Niente che…”
“Oh capisco perfettamente, non è di mia competenza essere al corrente di cose simili...non bisogna peccare d’arroganza”.
Tee ne aveva già abbastanza di quell’uomo, tuttavia doveva porgli alcune domande.
“Vorrei sapere se lei ha mai notato strani comportamenti in qualcuno dei suoi parrocchiani...qualsiasi cosa o se qualcuno è venuto da lei con qualche problema particolare…”
“OH, lei non sa quante persone si rivolgono a me, perché ritengono che io sia in gradi di aiutarli ed io, quale ministro di Dio, provo a fare tutto il possibile”.
“No lei non capisce, le sto chiedendo se ha visto qualcuno che improvvisamente ha cominciato a comportarsi fuori dalla routine, non so a venire tutti giorni, c’è una persona in particolare di cui…”
Di nuovo il reverendo non lo fece finire “la devozione dei parrocchiani è tutto, è la dimostrazione della loro fede, se non ci fosse, saremmo perduti”.
“E lei crede davvero che basti? Che basti la fede, come dite voi a muovere le montagne? Cosa mi dice di un ragazzo che ha perso tutto nonostante…”Tee si morse un labbro, per evitare di proseguire. Stava andando tutto storto.
Il reverendo Tamas lo guardò incuriosito “ stà parlando di qualcosa in particolare agente Murphy? Perché sa, tutti noi abbiamo i nostri demoni e la confessione può aiutare a...”
“Al diavolo la confessione!!” gridò Tee
“Posso entrare?” la voce volutamente pacata, l’atteggiamento dimesso, di chi fosse capitato lì per caso, quando in realtà non era affatto così, Mervin Hudson fece la sua comparsa nella piccola sagrestia.
“Buongiorno reverendo” esclamò Hudson, facendo finta di non notare la tensione che si era accumulata nella stanzetta e presentando la sua veste più seria e professionale.
Somiglia a un politico, pensò distrattamente Tee.
In quel momento capì molte cose.
“Spero di non aver interrotto niente” continuò Hudson con il suo tono più mellifluo, avvicinandosi ai due.
Tee non riuscì a non cogliere un’occhiata gelida rivolta verso di lui, ma fu questione di un attimo, ed ecco che Mervin Hudson stringeva la mando di padre Tamas e lo informava che sì, a loro dispiaceva molto disturbarlo di nuovo, ma le indagini rendevano necessario un ulteriore approfondimento del colloquio precedente.
Tee nascose un ghigno sardonico e si scostò leggermente. Quell’uomo ci sapeva fare.
In un battito di ciglia aveva rabbonito il prete, rendendolo molto più collaborativo di quanto stesse facendo lui.
“...per questo motivo vorrei chiederle se conosce una certa Helena, è una sua parrocchiana o sbaglio?”
Tee stava giusto osservando l’esibita austerità di quel luogo, al di là di un piccolo crocefisso e di un parco inginocchiatoio di legno, la stanza era completamente vuota.
“Oh mi piacerebbe conoscere tutte le pecorelle che popolano il mio gregge” affermò padre Tamas afflitto “purtroppo non mi è possibile, come vedete siamo una piccola parrocchia, con risorse limitate, nonostante la buona volontà della gente di cuore”.
“Senta padre” esclamò Tee voltandosi nuovamente verso l’uomo di chiesa “due delle sue parrocchiane sono state orrendamente uccise e i delitti evidenziano un’indiscutibile matrice religiosa, ora lei può dirmi che non conosce tutte le anime belle della parrocchia di St Jacques, ma…”
“Agente Murphy!”
Il richiamo fu inutile.
“Agente io non…”balbettò il parroco arretrando di qualche passo “non capisco...io”.
“Vuole sapere come è stata uccisa Mery Summers? Quella cara ragazza che Dio l’abbia in gloria come direbbe lei?”
“Agente Murphy!” strillò Mervin Hudson.
“L’ hanno legata, le hanno sparato al petto e poi...”
“Oh Signore” padre Ryan Tamas si fece velocemente il segno della croce.
“Non contenti..” continuò Tee imperterrito.
“Agente Murphy, basta!” tuonò Hudson.
L’eco delle parole di Hudson non si era ancora spento che il reverendo Tamas cominciò a salmodiare dondolandosi avanti e indietro con le punte dei piedi.
“Padre nostro che sei nei cieli” .
Arrivò persino a inginocchiandosi davanti al piccolo crocifisso di legno “sia santificato il tuo nome e venga il tuo regno...”.
Davanti a quello spettacolo Tee si fermò.
Padre Tamas era completamente assorbito nella sua preghiera.
Mervin Hudson guardava l’agente Murphy come se avesse voluto incenerirlo, trattenendo a stento la rabbia.
Dopo un’ultima occhiata a Tamas, Tee si voltò e uscì all’aria aperta.

****


“1999...1999...”

Mentre Risa continuava a guardare la porta da cui era appena scappato fuori Tobias, Avril continuava a spremersi il cervello. Quella data l’aveva appena vista ma non ricordava dove.

“TROVATO!”

La ragazza in un balzo fu giù dalla sedia e si era precipitata nella sala vicina, dove avevano archiviato le prove: ne tornò con un libro in mano.

“Cos’è?”

La via della felicità, di Don Harper” e le mostrò la copertina, dove campeggiava una croce ai cui piedi stava rannicchiata una figura in ombra “Trovato in casa di Mary Summers. Rendall sostiene che colui che lo ha regalato alla vittima avesse con lei un legame speciale...”

“Sì, lo ricordo. Ma cosa c’entra?”

Avril voltò il libro, e lesse il profiletto biografico sul retro.

“Don Harper, nato a Dallas nel 1968, trascorre l’infanzia sulla strada, conducendo una vita precaria e difficile, finché, dopo l’incontro con la religione cattolica, non entra in contatto con i frati domenicani, presso i quali conduce gli studi. Laureato in filosofia, comincia a scrivere le sue prime opere, dense di profondo senso mistico trasposto in uno stile fiabesco e accessibile a tutti. Autore di...” Avril cominciò ad elencare una lista di opere “scrive il suo ultimo libro nel 1999, prima di scomparire misteriosamente...”

“Per la miseria!”

Avril rispose a quell’esclamazione con uno sguardo furbo e allusivo

“Nati nello stesso anno. L’uno sparisce e l’altro comincia a scrivere. Di uno si sa poco o nulla prima del 1999. Dell’altro non si sa più nulla dopo il 1999. Vogliamo scommettere che il nostro Don Harper e Alex Zarowsky sono la stessa persona?”

****


Fuori il cielo era limpido, un bambino sfrecciava veloce sulla sua bicicletta facendo suonare il campanello.
Dall’altra parte del marciapiede una signora sulla trentina spingeva con calma una carrozzina.
La calma però non sarebbe durata, non poteva durare, là fuori c’era qualcuno...
“Agente Murphy!” il tono perentorio, di chi è abituato a comandare e a farsi rispettare.
Tee si preparò ad affrontare un Mervin Hudson dall’aspetto particolarmente inferocito.
Evidentemente Hudson era riuscito a sopire momentaneamente l’ansia di contrizione del prete o almeno a convincerlo di posticiparla alla fine del loro colloquio.
In quel momento un grido proruppe dall’interno della chiesa.
Tee e Hudson estrassero le pistole e corsero nella direzione da cui proveniva l’urlo.
Attraversarono nuovamente la navata e rallentarono solo in prossimità della stanza dove avevano lasciato padre Tamas.
Hudson aprì la porta in silenzio e gli fece segno di entrare.
Sulla parete laterale c’era una scritta rossa “Nessuno può indossare una faccia da mostrare a se stesso e un'altra da mostrare a tutti gli altri, senza alla fine trovarsi nella condizione di non capire più quale possa essere la vera”.
Il reverendo Tamas la fissava tremante e visibilmente scosso.
“Nathaniel Hawthorne” sussurrò Tee a fior di labbra.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Glenda