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Autore: Zosoutopia    01/03/2014    1 recensioni
Cosa significa impazzire quando già non si viene considerati normali? La questione potrebbe risultare avere qualche problema di valutazione effettivamente, sopratutto quando la credibilità non è mai dalla tua parte.
"Ho paura del dolore, ho paura di impazzire ma qui, qui ora, in questo momento la vedo sopra di me, distante. Lascia spazio solo a me, finalmente."
Un percorso attraverso presente e passato nella mente e nelle esperienze di un genio Ribelle.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La Route 66 è sempre una bellezza per gli occhi: distese omogenee di nulla che si stagliano sotto il caldo torrido del New Mexico, non un riferimento né un senso in mezzo a tutta la desolazione del deserto. La strada cammina sotto i pneumatici consunti di una vecchia Corvette decappottabile grigio topo del ’69: un’edizione limitata che a suo tempo era costata un occhio della testa ma che tutt’ora è una vera delizia per le orecchie; intendiamoci vecchia quasi quanto il presidente Bush (mai capita la differenza tra padre e figlio eh, trogloditi lo sono entrambi) ma con un grande stile vincente sui suoi anni.

L’aria rarefatta dalla sabbia dorata si alza assieme al blues che passa la radio, lentamente il sole si abbassa verso la punta opposta dell’orizzonte a cui va in contro la vettura e il vento che taglia il parabrezza da un po’ di sollievo. Chilometri e chilometri di strada all’andata senza pietà ora si ripropongono per il ritorno, ma ne vale sempre la pena se il tutto viene fatto solo per puro piacere. Il contachilometri scotta e l’indicatore della benzina è spietato: empty.

Di colpo sterza ed accompagna la vettura con un gioco di pedali per entrare nell’unica stazione di servizio incontrata negli ultimi 400km: la vita quindi non è solo un miraggio per James Willson che ancora indolenzito nelle braccia, torvo guarda House soddisfatto della manovra eversiva decisa all’ultimo istante. Si sistemano per un istante nei sedili scendendo con cautela dalla macchina, l’età avanza e non si deve scherzare. Nella polvere che ricopre ormai solo terra, cinque impronte si avvicinano verso la scatola di latta lercia nella speranza di trovarvi un po’ di aria condizionata.

Si lasciano alle spalle un caldo infernale ed appiccicoso, la nebbia rimane sospesa a metà strada tra il cielo e la terra brulla come se fosse una nuvola di profumo rimasto intrappolato per sempre nell'aria. Se davvero la nebbia fosse un profumo dovrebbe per forza chiamarsi “Oblivion” per il senso di irrequietezza che è capace di instillare nell’osservatore, che probabilmente ha bisogno di un bicchierino per riprendersi dai trip mentali che quest’ultima gli riporta alla mente. Avanzano sotto il telaio metallico di copertura delle colonnine di benzina e osservano il prospetto davanti gli occhi. Il locale metallico ad unico piano si presenta di fronte con su un’insegna consunta dalle tempeste di sabbia e dal tempo “Armadillo’s Breakfast”: rimangono immobili per alcuni secondi ad osservare attoniti l’insegna. Poco distante c’è una struttura in legno di colori pastello con un porticato e cinque porte chiuse alternate da cinque finestre modello guerra di secessione. “Motel” compare sull’insegna posta sul lato minore del lungo stabile. Il parcheggio è deserto tranne che per un vecchio Ford F150 Ranger del ‘79 parcheggiato all’ombra di un cactus.

“Non si vede nessuno” esordisce Willson premuto contro il vetro impolverato della stazione nel tentativo di guardare dentro “Mi stupirebbe il contrario, siamo ad almeno cinquecento miglia di distanza da tutto. Ricordami ancora come hai fatto a trascinarmi qui con te” gira per un’istante lo sguardo verso House intento in una smorfia prima di appiattirsi anch’esso al vetro sbirciando all’interno scorgendo dei movimenti dietro il bancone.

“Andiamo Willson, smettila di rompere ed andiamo a mangiare qualcosa, stai diventando irritabile” dice entrando nel locale semideserto attirando l’attenzione del barista indiano intento a pulire un bicchiere già perfettamente asciutto. Willson viene attirato dal rumore di una porta che si apre nella struttura di legno dalla quale fa capolino una donna con un grande cappello di paglia sulla chioma bionda e gli occhi coperti da occhiali da sole tondi scuri, longilinea nella sua vestaglia color panna con decorazioni giapponesi stampate e con un paio di stivali da cowboy neri ai piedi. Il tutto appare alquanto bizzarro. Senza distogliere lo sguardo, la donna di siede su una sedia nel porticato di spalle alla parete accennandogli un sorriso che prontamente viene ricambiato.

“Willson! Ti dai una mossa?!” la voce di House risuona all’interno del piccolo locale espandendosi all’esterno dove viene intrappolata nella morsa di calore. House si avvia zoppicando verso il bancone sfidando lo sguardo impassibile dell’indiano, sedendosi ad uno sgabello di fronte; Willson alza lo sguardo al cielo sbuffando, la giovane donna gli fa “ciao ciao” con la mano ridendo nel vederlo entrare nel locale di latta. L’odore di stantio è dappertutto, non lascia scampo all’olfatto. “Io e il mio compare qui, vorremmo da bere” dice House mimando l’espressione che John Wayne aveva in “Sentieri Selvaggi” lasciando sempre più sconcertato il barista che osserva Willson avvicinarsi al bancone guardandosi le spalle . “Sei idiota più del solito? Stavo per avere un incontro ravvicinato con una bellezza lì fuori e hai rovinato tutto. La smetti di fare il fidanzato geloso? Sarà un’altra a pensare che siamo una coppia gay” , dice guardandolo amaro negli occhi. “Noi siamo una coppia gay, Willson”, House continua a guardare fermo il barista“Due scotch, con ghiaccio” indicando i bicchieri riflessi nello specchio al muro.“Non siamo una coppia House, mettitelo bene in testa.” rivolgendosi poi al barista “Io prendo una bionda e, fate da mangiare?”.

Nella capanna di ferro risuona il totale silenzio: quattro tavoli di alluminio addossati alla vetrata, su ognuno di essi una scatola di tovaglioli e due dispenser per salse che danno l’impressione di non essere usati da almeno due mesi. Non dev’esserci molta affluenza qui. House torna sul barista che ha provveduto a riempire i due bicchieri e porgere il menu rimanendo in silenzio guardandoli diretto senza troppi complimenti; “Devo fare il pieno, lo faccio da me o chiami l’addetto?”, sorseggia il suo drink assumendo ora l’espressione alla Clint Eastwood ne “Il buono, il brutto e il cattivo”. Una cosa è certa, la settimana dei western non gli ha fatto poi così bene. L’indiano dai capelli grigi e mono espressione che ha già ripreso in mano lo straccio ed il bicchiere senza aloni a quelle parole alza lo sguardo scoprendo una nuova espressione: sollazzo. “Non ce n’è. Il carico arriva giovedì, tra due giorni.”, palesa un sorriso divertito a quella coppia di individui così strani che sta esprimendo incredulità.

“Chiamo un taxi” , si affretta a dire Willson prendendo il cellulare dalla tasca interna della giacca ma House gli blocca il braccio nella morsa delle sue grandi mani guardando il barista “Prendiamo una camera e attendiamo, sarà divertente”, immobilizza Willson, che tenta di divincolarsi, preso da delirio verbale. “Io non rimango qui, né tantomeno con te” aggrotta la fronte. “Non spenderai migliaia di dollari di taxi per fare tremila miglia. E poi prima non volevi conoscere la tipa lì fuori?”, gli fa l’occhiolino tornando sul barista “Mi dai le chiavi?”. Il viso di Willson si illumina per un’istante. Magari sarà la prima volta senza regole né schemi, pensa. “Due camere separate. Quella donna lì fuori, vive qui?”, si rivolge all’indiano al quale risulta simpatico a quanto pare, dato che gli fa cenno di “si” con la testa.

  
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