Capitolo
quinto
POV
HILARIE, Aprica (SO), in viaggio verso il
condominio Berrigan, lunedì 23/12/13, ore 12,00
Eravamo
quasi arrivati ed io non
vedevo l’ora di scendere da questa gabbia di matti in cui ero
l’unica sana. Il
guidatore era Edward, che sembrava voler imitare suo padre con quella
sua auto
volante, solo che non avevamo i propulsori per staccarci da terra,
né la Maserati
Spider del dio.
Nel
pulmino c’eravamo io, Ed, Simon, Luka, Nico, Hazel,
Percy, Jason e Piper. Annabeth, Frank, Grover, Leo, Thalia, Clarisse e
tutti
gli altri erano rimasti al Campo Centrale.
Distrattamente
passai le dita sul tatuaggio.
Rappresentava tre stelle a quattro punte che formavano un semicerchio e
si
rimpicciolivano mentre scendevano da in alto a sinistra ad in basso a
destra.
Personalmente avevo già in mente di farmi un tatuaggio
simile da quando lo
stesso simbolo mi era apparso sulla testa sette anni fa.
Finalmente
iniziai ad intravedere il tetto in legno del
condominio. Quando l’auto si fermò, mi catapultai
fuori e mi frenai
dall’inginocchiarmi e baciare la terra.
Dopo
aver preso le varie valigie, ci inerpicammo su per
la piccola stradina che portava all’edificio situato su una
collinetta e un po’
isolato.
Quando
arrivai alla porta dell’appartamento iniziai a
sospettare che ci fosse qualcosa che non andava.
Suonai
il campanello. Udii uno scalpiccio dietro il
legno e Laura aprì la porta. Aveva un ciuffo che sfuggiva ai
capelli raccolti
in una crocchia bassa e uno straccio in mano.
-Ragazzi!
Prego, entrate!- esclamò, felice. Poi vide
Percy e Jason e s’inchinò, incrociando entrambe le
braccia sul petto e
stringendo le mani a pugno. –Pretori- Loro sembrarono
piuttosto a disagio, ma
ricambiarono il gesto.
Da
dietro una colonna spuntò Ale. –Dato che non ci
staremo tutti e ci sono anche loro –
indicò un gruppetto che non avevo
notato – i ragazzi staranno qui e le ragazze
nell’appartamento di fronte-
-Io
non mi muovo- s’impuntò Laura.
-Allora
stai qui- replicò la sorella.
-Ok.
La camera matrimoniale è mia!- gridò poi,
metà
correndo e metà pattinando sul pavimento per raggiungere la
detta stanza.
Piper
ed Hazel scoppiarono a ridere, seguite da Luka,
Ed e Simon.
I
ragazzi presero le loro valigie – erano più
pesanti
delle nostre, che cosa ci metteranno dentro proprio non lo so
– e la seguirono.
C’erano altre tre camere, due da tre ed una da quattro, in
cui vennero smistati
gli appartenenti al genere maschile.
Luka,
Ed e Simon nella prima, i tre cugini nella
seconda e i quattro a me sconosciuti nell’ultima.
Il
più alto era moro con degli occhi verde mare e
assomigliava parecchio a Percy, solo che era molto più
pallido del figlio di
Poseidone, che era praticamente sempre abbronzato.
Un
po’ più basso di lui era il moro con gli occhi
neri,
molto simile a Nico anche nel look total black.
L’unico
biondo era un Jason con una luce molto insicura
negli occhi azzurri, ma sembrava tanto gentile e disponibile.
L’ultimo
era spiccicato ad un figlio di Ares. Capelli
ed occhi marroni, ma pareva assennato tanto quanto un figlio di Atena.
Tre
ragazze ci vennero incontro. La bionda era la
tipica Barbie e già mi era insopportabile, la mora aveva gli
occhi grigi ed
intelligenti di una figlia di Atena e la rossa era piccola ma
traboccava di
Potere, il più nascosto.
-Ragazzi,
questo sono Stefan, suo fratello maggiore
Damon, Matt ed Alaric. Ragazze, loro sono Elena, Meredith e Bonnie.
Trattateli
bene perché probabilmente saranno anche vostri parenti. Ok,
potete andare.
Sciò- disse Laura, spuntando dalla camera matrimoniale e
scacciandoci con la
mano.
-Ci
stai sbattendo fuori?-chiesi, allibita.
-E
anche se fosse?- ribattè, con aria strafottente.
Sbuffai, perché era insopportabile quando faceva
ma-quanto-è-figo-essere-figli-di-Plutone.
-E
non ci presenti i tuoi amici?- chiese la bionda,
Elena, che sembrava puntare a tutti i maschi presenti in sala.
-Si,
si. Allora, Percy, figlio di Poseidone, Jason e
Simon, figli di Giove, Nico ed Hazel, i fratelli di Laura, Piper,
figlia di
Afrodite, Luka, figlio di Ares, mio fratello Edward ed Hilarie, figlia
di Nyx-
elencò Ale.
-Quando
si mangia? Non abbiamo fatto colazione per
venire qua!- tuonò Luka, un ragazzone grande e grosso che
sapeva mulinare la
spada come se lo facesse da tutta la vita.
-Luka!
Hai sempre fame tu!- si lamentò Simon, alzando
gli occhi azzurri al cielo.
-Sai
che spendo molte energie ad allenarmi, se poi a
cucinare è Alexandra…- non finì la
frase, ma gli occhi gli brillavano.
Probabilmente stava pensando ad uno dei famosi manicaretti della
ragazza.
-Gente,
noi andiamo a mettere le nostre cose nelle
stanze dell’altro appartamento, avvisateci quando
è pronto- dissi, ricevendo
assensi da tutti i presenti.
-Il
tavolo è troppo piccolo- osservò il ragazzo che
assomigliava a Percy, Stefan.
-Portate
di qua quello dell’altro appartamento quando
avete finito- ordinò Laura.
-Ci
pensano i ragazzi, è troppo pesante per noi-
obbiettai.
-Hai
ragione. Percy e Jason, andate di là e portate di
qui il tavolo- intimò Ale. I due si incamminarono, la testa
china e
l’espressione da cane bastonato. Scoppiai a ridere.
Avevo
conosciuto i due al Campo Mezzosangue, dove ero
entrata ad appena dodici anni. Quando, esattamente un anno dopo,
è stato aperto
il Campo Centrale, fui l’unica della mia Cabina ad offrirsi
volontaria al
popolamento del Campo. Mi ero sentita smarrita ed abbandonata, ma sia
il figlio
di Poseidone che quello di Giove erano stati gentili con me,
così come con gli
altri venti mezzosangue greci e i trenta semidei romani.
-Permesso!
L’impresa immobiliare Jackson & Grace
sta svolgendo un servizio!- gridava Percy, che sollevava il davanti di
un
grosso tavolo e cercava di farlo passare dalla porta. Jason, che ne
trasportava
la parte finale, gli abbaiava che –Semmai è Grace
& Jackson, cugino!-.
-In
realtà è Berrigan & Berrigan e voi siete
solo i
nostri schiavetti- s’intromise Ale, con un sorriso di scherno
in viso.
-La
schiavitù è stata abolita da Lincoln nel 1864-
sbuffò il moro.
-Nel
1865, il 31 gennaio, per essere più precisi- li
interruppe Laura.
-Tu
lo sei troppo- la ripresi.
-Meglio
essere precisi che non esserlo, le cose poi vengono
meglio- ribattè. –Mettetelo trasversalmente,
così ci sarà più posto- disse poi
ai due servi.
Percy
e Jason si girarono e iniziarono a camminare
all’indietro, fino a far cozzare la schiena del biondo contro
l’altro tavolo.
-Adesso
giù- e loro obbedirono, spingendolo.
Quando
fu tutto pronto – tavolo, sedie, cibo, piatti,
posate – finalmente potemmo mangiare. Ma prima bruciammo nel
camino parte del
nostro cibo agli dei. Forzammo tutti a farlo, soprattutto Stefan, il
quale era
un po’ scosso e continuava a parlare con Percy di
com’era la vita di figlio del
dio del mare.
Per
fortuna, Nico era capitato accanto a Damon, così,
mentre Laura ne controllava uno, poteva gettare uno sguardo anche
all’altro.
Io,
Hazel e Piper ci eravamo impelagate in una
conversazione alquanto spinosa con Elena, sui ragazzi che ci piacevano.
Le sue
due amiche se ne stavano in disparte, ma la piccola rossa aveva
intavolato una
discussione intermittente con Laura.
Ale,
Luka, Ed e Simon, invece, conversavano con Alaric
e Matt sulla scuola e le squadre di football.
Tutto
sommato non fu poi così tanto male, ma per un
secondo temetti che mi scoprissero. Lanciai uno sguardo a Percy. Ero
contenta
che la sua ragazza non ci fosse, così potevo sperare di
farmi vedere in una
luce diversa da quella dell’amica.
POV
STEFAN, Aprica (SO), condominio e appartamento
Berrigan, lunedì 23/12/13, ore 13,45
Io
non mangiai nulla, ero ancora troppo confuso e, a
dirla tutta, anche terrorizzato. Ero un vampiro che non voleva essere
tale, ma
adesso anche un semidio. O meglio, lo ero stato da sempre, ma lo avevo
scoperto
solo due ore fa.
Perché
mio padre, Poseidone o Nettuno, non si era
degnato di riconoscermi prima? Eppure quel mio nuovo fratello, Percy,
aveva
detto che nostro padre lo aveva riconosciuto a dodici anni. Poi aveva
guardato
Nico, quel ragazzino che assomigliava moltissimo a Damon, e mi aveva
confidato
che suo zio, Ade, non aveva riconosciuto il figlio perché
pensava che fosse un
inetto e che la sorella morta fosse migliore di lui. Mi si strinse
metaforicamente
il cuore ad ascoltare questa storia, perché mi sembrava di
rivederci mio
fratello maggiore.
-Quindi
adesso ho un fratellino- dissi, senza alcun
motivo particolare, o solamente per distogliere l’attenzione
da quel ragazzino
solo e dalle sue somiglianze con Damon.
-E
io ho un fratellone- mi rispose il mio quasi
gemello. Perce era identico a me, solo che aveva la pelle molto
più abbronzata,
come se lavorasse molto sotto il sole.
Elena
mi rifilò una gomitata nelle costole e mi passò
un bigliettino. Sembrava molto arrabbiata.
Non
crucciarti per mio fratello, starà bene. Dopo, verso le
14.30, vorrei che tu e
Damon veniate con me, desidererei parlarvi. Da soli.
Oh,
adesso capivo. Mi guardai intorno per capire chi me
l’avesse mandato e incrociai lo sguardo serio e malinconico
di Laura.
Mi
sentii risucchiare verso di lei, come se tutto il
mio corpo desiderasse abbandonarsi a quell’occhiata.
Repressi
l’impulso di alzarmi e correre da lei, di
lasciarmi morire ai suoi piedi, e mi costrinsi a distogliere lo sguardo
per
posarlo sull’altro destinatario, quello che ancora non sapeva
dell’incontro e
della rabbia di Elena.
-Che
c’è, fratellino? Gli animali del bosco si stanno
ribellando perché hai ucciso
la mamma di Bambi?-
-Laura
ci vuole vedere, alle 14,30. Vuole parlare con
noi-
-Rispondile
che non mi interessa-
-Damon,
potrebbe essere importante-
-Se
tu vuoi giocare al piccolo Hercules, fai pure, ma
non coinvolgermi-
-Ok-
-Laura?- la
chiamai. Quella alzò gli
occhi e li incrociò con i miei.
-Non vuole-
spiegai.
-Lo
farà- rispose semplicemente lei.
-Assolutamente
no! Ma chi ti credi
di essere?- sbottò Damon.
Lei
rialzò lo sguardo e lo puntò
sulla figura snella e muscolosa, felina, di mio fratello.
–Convocherò tutti
quanti, prima o poi, ma mi era sembrato giusto iniziare da voi-
-Con quale
logica?- ringhiò lui.
-Quella dei
fratelli. Voi lo siete
ed inizierò da lì. I prossimi saranno Hazel e
Nico, non subito, ma vi chiamerò-
-Sembra una
cosa da campo scout-
commentò Meredith.
Laura
annuì. –Li ha frequentati una
mia amica, e conosco qualcuno-
-Non sei
obbligata a parlarne- le
sussurrò la sorella, quella adottiva.
-Mi avevano
invitato a venire con
loro una domenica, ma io ho rifiutato. Faceva freddo, nevicava ed io
dovevo
andare in bici con loro, con uno zaino pesantissimo, a farmi una
scarpinata di
trenta km. Volevo bene a questa mia amica, ma non ho voluto andare.
Proprio
quel giorno è morta-
-Mi dispiace-
mormorò Bonnie.
-Penso che
adesso non stia
soffrendo. È l’unica cosa che non mi fa sentire in
colpa-
-Quelle del
Paradiso e del “posto
migliore” sono tutte stronzate!- esclamò Damon,
interrompendo il nostro momento.
-Io non ho
nominato né uno né
l’altro, ma sono convinta che ora non stia soffrendo-
ribattè Laura.
-Tu hai
sofferto? Non lo credo
possibile- insinuò Elena.
-Vorresti dire
che tu hai provato
dolore?-
-Certo che si!
Io devo decidere tra
Damon e Stefan e ciò non fa che aumentare la mia angoscia, i
miei sono morti
l’anno scorso in un incidente stradale e io stessa sono morta
e poi risorta-
-Per quanto
riguarda l’amore, tu ne
hai fin troppo. Sono stata rifiutata, come hai sentito prima. I miei
genitori
in un incidente aereo quando avevo dieci anni, i miei nonni di
crepacuore
l’anno successivo. Ho viaggiato negli Inferi, il regno di mio
padre, e ho visto
orrori che tu non ti puoi neanche immaginare. Tu, invece, non hai
dovuto
faticare per avere delle amicizie, degli amori, e cosa fai? Li butti
via
seguendo i tuoi cosiddetti sentimenti. Sono capricci, Elena, ma non mi
aspetto
che tu capisca. La comprensione è da persone mature e tu non
lo sei- concluse
Laura, sistemandosi sulla sedia.
-Sembra il
discorso che hai fatto a
quelle due tue compagne di classe il mese scorso- commentò
Hazel.
-Potrei aver
ripreso qualcosina-
rispose lei.
-Tu sei solo
gelosa- sibilò furiosa
Elena.
-Prego? Se lo
fossi, sarei davvero
caduta in basso- replicò Laura, serissima.
La bionda
contendente aprì la bocca
ma non ne uscì neppure un suono, così la
richiuse. Vedendo la scena, la mora
sorrise beffardamente, assomigliando pericolosamente a Damon, il quale
stava
osservando il tutto in silenzio.
-Dopo che ne
dite di andare a
pattinare per smaltire il cibo?- propose Piper.
-Buona idea,
così imparo a
pattinare- rispose Meredith.
-Finalmente
sappiamo che c’è
qualcosa che non sai fare, Miss Inquietudine- disse Damon con una
smorfia che
doveva essere divertita. A me sembrava solo un procione col mal di
pancia. Al
pensiero sorrisi, attirando gli sguardi incuriositi di tutti.
-Se vuoi ti
insegno- propose la
bionda dell’altro gruppo, Alexandra.
-Grazie- si
rallegrò la Cacciatrice.
-Io ho imparato
da sola, mettendomi
su i pattini e cadendo ventisette volte in un’ora-
borbottò Laura, causando le
risate mie e di tutto il gruppo, ad eccezione di Elena e, come
previsto, di
Damon.
-Come mai voi
non avete mangiato?-
chiese un’amica della figlia di Plutone, Hilarie.
-Beh, ecco, noi
non mangiamo perché siamo
dei vampiri- spiegai.
Mi fissarono
scioccati.
-Tranquilli,
non vi mangeranno- li
rassicurò Alexandra.
-Parla per te,
ragazzina- ringhiò
Damon.
-Ti uccido se
tenti di cibarti di
loro- lo minacciò Meredith.
-E io la aiuto-
la sostenne Laura. Ogni
momento che passava mi accorgevo di quanto fosse diversa da mio
fratello
maggiore, anche se esteriormente gli assomigliava moltissimo.
-Morireste
provandoci- le snobbò
lui.
-Almeno ci
avremmo provato- continuò
testarda la figlia di Plutone.
-Ragazzi, per
favore, ora basta-
supplicò Piper e, improvvisamente, desiderai accontentarla
in tutto, anche se
ciò significava non parlare più per tutta la mia
immortale vita.
-Pipes- la
ammonì Jason. –Non ammaliarli-
-Ammaliarci?-
esalò Matt, sbattendo
le palpebre come se si fosse risvegliato da un sogno ad occhi aperti.
-Sono figlia di
Afrodite, posso far
fare alle persone ciò che voglio solo parlandoci insieme-
-Dannata lingua
ammaliatrice-
borbottò Percy.
Poi i semidei
presenti – me escluso,
perché non sapevo cosa stava succedendo –
sgranarono gli occhi.
-Determinata-
annunciò Nico,
fissando Elena. Sopra la sua testa un ologramma oro e rosso stava ormai
svanendo. Era un sole sormontato da una piccola cascata di cuori.
-Elena Gilbert,
figlia di Apollo,
dio del sole, della medicina, della musica, della poesia, del canto,
del tiro
con l’arco, signore dei corvi e dei topi, e legata
di Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, signora delle
colombe- continuò
Hazel, con un’aria da funerale.
Ma di tutto il
discorso, solo una
frase mi era rimasta in mente: “Signore
dei corvi”.
Spazietto
dell’autrice:
ho pubblicato
tardi perché ero in
giro e nemmeno avevo finito il capitolo.
Non ne sono
molto sicura, ma ormai
quello che è scritto è scritto e s’ha
da fare.
Ditemi se era
scontato questo
riconoscimento e soprattutto se trovate banale la parentela di Elena.
In realtà
volevo farla figlia di Oizys, dea della miseria, ma non sono così cattiva.
Ora devo
scappare.
Mi scuso con
Sofycullen se non le ho
risposto, ma non ho mai tempo, soprattutto prima di una vacanza come
quella che
farò questa settimana, dato che tutti i prof tendono a voler
fare le verifiche
in questo periodo. In più ho avuto la simulazione della
terza prova.
Domani, non so
se la mattina o il
pomeriggio, risponderò alle recensioni. State tranquille.
Al prossimo
capitolo.
Baci.
Fire