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Autore: Isangel    03/03/2014    4 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Come il cielo di luglio

16.

Il mistero si risolve. Marianna Ripamonti realizza di amare suo marito e corre da lui. Lo scontro tra Pietro e l’assalitore di Tiziana Sabbati.

 

Vuota. Era così che si sentiva Marianna. Affranta, infelice, disperata. La cosa preoccupante era che pativa esattamente come quando si era trasferita a villa Ripamonti. Ma se lì c’era rabbia per un destino ingiusto e tristezza per la mancanza dei suoi affetti, lì, a Santoro, vi era solo depressione.

Marianna non sapeva se stava male per se stessa o per Tiziana e di questo dubbio se ne vergognava a morte.

Perché Tiziana stava male, malissimo. Non disse mai chi fu il suo aggressore. Né parlò. Era come se fosse diventata muta all’improvviso. Aveva gli incubi. Si sentiva sporca, vomitava, piangeva. In silenzio, sempre in silenzio. L’allegra ragazza di un tempo non c’era più. Tiziana Sabbati non c’era più. Era stata annullata da un viscido essere che non meritava nemmeno di vivere.

“Tutta colpa di quel figlio di malafimmina!”, urlava Pinuzza da mattina a sera, distrutta anche lei. Marianna la vedeva più vecchia, cinica e fredda. Non la riconosceva più, come se anche lei avesse subito un sopruso irreparabile.

Il cervello di Marianna registrava a malapena quella frase colma di disgusto e ira. Il suo buon cuore tendeva sempre a giustificarlo, ma non era sicura che avrebbe resistito ancora per molto.

Calogero in tutta quella vicenda era impassibile. Era sempre l’uomo che andava a pescare, ma con la tristezza e la delusione nell’animo. Cercava di essere forte, per la moglie e per la figlia, ma con scarsi risultati.

Anche Marianna piangeva. Da mattino a sera. Piangeva per Tiziana, piangeva per se stessa, perché finalmente a villa Ripamonti era felice. E piangeva perché era consapevole di ben altro nel suo cuore.

Pietro era perennemente nei suoi pensieri. Le mancava, lo voleva. Desiderava essere con lui, essere consolata da lui, consolarlo. Essere tra le sue braccia, baciarlo, volergli bene e rispettarlo. Desiderava che fosse felice. E si sarebbe uccisa, perché era consapevole di essere stata la causa della tristezza di Pietro. Lo aveva abbandonato come se niente fosse. Lo aveva fatto per Tiziana, ma questo non bastava. Era troppo per lei.

E quando suo padre e Pinuzza lo insultavano all’unisono, credendo che questo le facesse del bene, dentro si sentiva morire.

Lui non è così, avrebbe voluto urlare. È innocente. Innocente, innocente…

Il mattino andava da Tiziana. Si sentiva una stupida a chiacchierare di cose futili e senza senso che Tiziana nemmeno ascoltava, ma lo faceva per tirarle su il morale. La portò anche al mare. E quando aveva alzato lo sguardo verso villa Ripamonti, maestosa sulla grande rupe, una lacrima le era scesa sulla guancia. Tiziana l’aveva notata, ma non proferì parola.

La sera Marianna era a casa sua, nella sua vecchia stanza. In ginocchio davanti al letto, la testa sul suo pagliericcio, pregava la Madonna, pregava sua madre Lucia. E pregava per Tiziana, per se stessa, e per Pietro, solo per Pietro.

Come sta? Mamma, sta bene? Proteggilo, non fargli fare nulla di avventato o stupido, ne morirei. Mamma, perché? Sono così confusa.

Michele Bruno non alluse mai a una possibile lite tra Marianna e Pietro, né del perché lei fosse arrivata come una furia il mattino nella sua vecchia baracca. Anzi, segretamente ne era contento. Per lui tutto questo era un segno del cielo, qualcosa che indicava a Marianna di stare alla larga da quel demonio. Peccato che Michele i segni del cielo non li sapesse interpretare.

Marianna era lì, nella sua stanzetta buia, con il rosario in mano. Pregava fervidamente, gli occhi chiusi. Parlava con Pietro, sperando che la Madonna o il Signore gli recapitassero i suoi messaggi, magari in sogno.

Pietro, mi senti? Vorrei essere lì con te. Mi manca il tuo sorriso. Mi mancano i tuoi brillanti occhi nocciola. Mi manchi tu, in tutta la tua magnificenza, in tutta la tua imponenza. Mi manchi, Pietro.

E la verità arrivò, semplice come un battito di ciglia.

Perché non l’ho capito prima, Pietro?

Ti amo.

 

* * *

 

Pietro era come morto. Era un uomo morto nell’anima, ma non nel corpo. Purtroppo.

Non aveva mai desiderato così tanto in vita sua passare oltre quello splendido cielo turchino. Possibile che Marianna fosse stata un’illusione?

Il Signore mi vuole punire per i peccati commessi in passato. Dandomi la speranza di redimermi, e togliermela all’improvviso. E fa bene.

Desiderava raggiungere Laura. Esisteva un aldilà? Se si fosse ucciso, l’avrebbe vista lo stesso la sua amata sorella?

Ma Pietro era consapevole di non poter andarsene. Doveva scoprire ancora chi era stato l’idiota che aveva violentato Tiziana Sabbati. Lo doveva agli abitanti di Santoro. E lo doveva a lei, a sua moglie. Alla sua Marianna.

“Voscenza, ho bisogno di parlarvi”. Pietro alzò lo sguardo dalla scrivania, quasi spiritato. Riconobbe Cavani, sottoposto di Lattuca. “So chi è stato. Ho indagato, come mi avevate chiesto”

 

* * *

 

Passò una settimana.

Un tempo infinitamente troppo poco per poter dire che fosse cambiato qualcosa. Tiziana aveva ricominciato a parlare. A monosillabi, ma era già qualcosa. Veniva più spesso al mare e cercava di ascoltare le chiacchiere di Marianna.

Marianna ne fu segretamente soddisfatta. Sapeva che Tiziana era una ragazza troppo forte per lasciarsi andare. Forse perfino più di lei, che non faceva che auto commiserarsi. Ma soffocava i suoi pensieri per Pietro, perché le pareva non solo di tradire se stessa, ma di offendere la purezza di Tiziana.

Eppure quella domenica mattina, dopo la messa, non poté non pensarci. Cosa stava facendo Pietro? Perché non si era più fatto vivo nei campi? Che fosse andato a Palermo?

Stava davvero indagando su chi fosse il colpevole?

Marianna sospirò. Non lo credeva.

Lunedì pomeriggio, era a casa di Pinuzza e Calogero nella povera stanzetta d’ingresso a rammendare dei pantaloni per suo padre, quando avvertì dei rumori strani. Ci volle un po’ per capire che erano singhiozzi. Si precipitò in camera di Tiziana in men che non si dica, i fluenti capelli ricci e scuri ormai dispersi dalla crocchia morbida.

“Tiziana…”

La visione di Tiziana, disfatta, piangente e sconvolta, le uccise il cuore. “Oh, Marianù… io… io…”

Marianna si sedette sul bordo del suo pagliericcio, le braccia aperte in un muto invito che Tiziana accettò volentieri. “Shhh, tesoro… non sei costretta a dire niente”. Marianna la cullò tra le sue braccia, baciandole i capelli e sibilando confortante. Era emozionata, perché era la prima volta che Tiziana si faceva toccare.

“Ma io voglio dirtelo. Voglio dirlo solo a te. Non è stato il marito tuo”, balbettò Tiziana tra i singhiozzi, avvinghiata alla sua figura.

Marianna non poteva confessarle la sua certezza, dicendole che lo sapeva perché era a letto con lui quel funesto giorno, così si limitò ad annuire. “Lo so, tesoro. Lo so”

“Quello… quello dello sposalizio”

Si accigliò. Le mani smisero di accarezzarle i capelli, in ascolto anche loro. “Che cosa?”

Lui… ricordi quello che aveva annunciato lo sposalizio nella piazza? Lattuca”

Marianna sospese il respiro. Faticò a parlare, perché la bocca le si era seccata. “È… è  stato lui?”

“Sì… oh, Marianna!” esclamò, rituffandosi tra le sue braccia e nel suo seno morbido.

Le mani di Marianna la carezzarono confortanti, quasi automaticamente. Gli occhi azzurri brillavano nel buio, spalancati e vuoti e sconvolti. “Tesoro, perché non lo hai detto prima?”

Tiziana tirò su con il naso. Sembrava una picciridda. “Mi ha minacciata… ha detto che se non avessi fatto accussì non solo sarebbe ritornato da me, ma avrebbe fatto del male a mamma e a papà… e anche a te

“A me? Tiziana, non avrebbe mai potuto e lo sai. Sono la moglie del padrone e mai ci avrebbe provato”

Tiziana si tirò un po’ indietro, in modo da poter guardare Marianna in faccia. “Ma lui mi ha detto così… mi ha detto che sarebbe stato facile per lui, quando Voscenza era fuori nei campi, a entrare in casa e… e a fotterti”. La voce le si incrinò sul’ultima parola.

Marianna era visibilmente impallidita. Aveva la nausea. Per calmarsi, prese un respiro profondo. La mente che lavorava frenetica.

Strinse Tiziana, suo unico conforto.

 

* * *

 

Pietro. Pietro, il mio Pietro, anima mia, cuore mio…

Doveva tornare a villa Ripamonti, dirgli quello che aveva scoperto.

Si sarebbe sistemato tutto. Sarebbe andato tutto bene.

Sarebbe ritornata da lui.

Tiziana era in piedi, le braccia conserte. Fissava ogni suo movimento convulso, intenta a raccattare tutte le cose nella sua stanza. Dopo la sua rivelazione, Marianna l’aveva trascinata in casa Bruno senza pensare.

Marianna si chiese se lei potesse sentire quello che stava pensando. I suoi vocativi sconnessi e amorosi. Il suo desiderio di rivedere Pietro e sorridergli radiosa.

Michele fece capolino nella stanza, seguito da Pinuzza, decisamente sconcertato da quella visione. “Marianù!”

“Mi dispiace, papà”. La voce secca, decisa.

Michele non ci mise molto a capire. “Marianna, non puoi…”

“Sì, che posso”

“Marianna…”

“Papà…”

Ma lui quasi ringhiò, irato. Sbatté una mano contro il muro, facendo sobbalzare perfino Tiziana, che si allontanò in fretta come un coniglietto impaurito. “Non te lo permetterò! Non puoi fare più niente ormai!”

Marianna lo fissò. Era risoluta come non mai. Doveva andare da Pietro, dirgli quello che sapeva. Doveva andare da lui e perdonarlo, chiedergli di dimenticare tutto, di riabbracciarla e di amarla quanto lei amava lui. Ora ne era certa, più che certa. “Non capisci”

“Cosa non capisco, Marianna?” sbottò Michele, i denti serrati.

“Io lo amo, papà”

Eccome se lo amava. E dirlo ad alta voce non fece che renderlo ancora più reale.

Perfino Pinuzza era lì, sbalordita. “Cosa…?”

“Lo amo, papà, e devo andare da lui!”

Michele era impietrito. Marianna fissò il suo volto impallidito, le mani che tremavano quasi convulsamente. Sembrava davvero sul punto di picchiarla, come se fosse una bambina che aveva combinato una bricconata. Marianna aspettava, anche se in cuore suo sapeva di essere ormai una donna, con dei suoi sentimenti.

Marianna fu colpita, ma non da suo padre.

“Disgraziata sei! Disgraziata! Come puoi dire questo?”

“Mamma!”. Tiziana si lanciò a trattenere Pinuzza, ma lei la respinse in malo modo.

Pinuzza era incontrollabile. Si era slanciata su di lei, sferrando schiaffi, pugni e calci. Continuava a picchiare Marianna come se fosse una squallida puttana.

Marianna si parava la testa con le braccia, anche se inutilmente. Urlava, questa volta non di dolore o di ira, come aveva fatto con Pietro, ma di paura. Non se lo aspettava. Non da Pinuzza, la sua madrina, la donna che considerava quasi una madre.

Aveva paura di Pinuzza e non di Pietro. Il mondo stava andando proprio a pezzi.

Poi, i colpi smisero di arrivare. Marianna, che aveva sbattuto la testa contro il muro, si sentiva stordita, il sapore del sangue nella bocca.

Alzò lo sguardo, lentamente. Vide suo padre, irato come non lo era mai stato. Il braccio di Pinuzza stretto nella sua mano. “Come hai osato picchiare mia figlia?”, sussurrò mortifero.

Marianna non si mosse, la testa tra le mani. Tiziana stava rincantucciata nell’angolo della stanza, terrorizzata.

“Osi ancora chiamare tua figlia quella sporca traditrice?”, urlò Pinuzza, la voce isterica. Fissò Marianna con rabbia, con disprezzo. “Non è altro che una puttana, non la vedi? È diventata la puttana di quel figlio di demonio di Ripamonti! Ti divertivi a letto con lui, eh, sciocca ragazzina?”

“Smettila!”, sbraitò Michele, senza mollare la presa.

Marianna scuoteva la testa, meccanicamente. Ancora scioccata, si alzò lentamente in piedi. “Pinuzza, non capisci…”, sussurrò, sconvolta. Non poteva crederci. Pinuzza, la sua madrina, che le dava della puttana comprata. “Lui non è come credi…”

“Zitta”

“È buono, gentile. All’inizio era diverso anche con me, ma è cambiato. Con me si è mostrato per quello che è, un uomo fragile rovinato dal suo stesso passato…”

“Zitta, brutta schifosa!”, gridò Pinuzza, saltellando sul posto per la foga.

“Tiziana, diglielo anche tu che non è stato lui! Non è stato lui!”

Questo colpì Pinuzza oltre l’inverosimile. “Cos…?”

“È vero, mamma…”. Tiziana si fece avanti, tremante. “Non è stato lui… non c’entra nulla. È stato… Lattuca”

Ci fu un attimo di pausa, prima che Pinuzza si rivolgesse nuovamente a Marianna. “Lui però doveva proteggerci”

“Ma non è il diretto responsabile”

“Come puoi ancora difenderlo?”. Pinuzza rise, isterica. Incontrollabile. “Ah, giusto… lo ami. Ah, che idiozia”

“Non è un’idiozia! Io lo amo. Darei la mia vita per lui”

“Spero che tu stia scherzando, Marianna”

“No, non scherzo, Pinuzza. E lo sai”

Calò il silenzio nella stanza, sotto la luce della luna piena. Senza una parola, tremante di paura e determinazione, Marianna si alzò da terra e afferrò la sacca.

“Marianna…”. La voce di Michele era fievole, tanto addolorata. Chissà perché, le ricordò la morte della mamma.

Gli toccò debolmente il braccio. “Mi dispiace, papà. Tornerò presto”

Non guardò Pinuzza, nemmeno lei era tanto coraggiosa. Ma lanciò un debole sorriso a Tiziana, che ricambiò appena.

E uscì nel cuore della notte, fragile avventuriera.

 

* * *

 

Era notte, ma la luce della luna era accecante. Pietro camminava ritto e fiero nella sua imponente statura, difficilmente riconoscibile. Sapeva dov’era l’alloggio di Lattuca. Si fidava abbastanza di Cavani da sapere che era stato lui.

Lattuca non stava dormendo. Quando Pietro spalancò la porta semiaperta, lo trovò seduto al tavolo di legno, la bottiglia indubbiamente di vino vuota.

Non appena lo vide sull’uscio, Lattuca ebbe i riflessi abbastanza pronti da alzarsi in piedi, facendo cadere il misero sgabello su cui era stravaccato poco fa.

“Tu… sei stato tu…”

“Voscenza, io…”

“Lattuca, eri stato tu a suggerirmi lo sposalizio!”

“Sì, ma…”

“E l’accordo era quello di rispettare ogni singolo abitante del paese”

“Ma…”

“Ma cosa? Cosa? Spiegamelo”

“Insomma, era così… Come potevo non prenderla?”

“Ma è pur sempre un abitante del paese, Lattuca!”

“Io non capisco tutto ‘sto problema, Voscenza. È soltanto una fimmina!”

“Se eri talmente affamato, saresti potuto benissimo andare a puttane, e lo sai bene”

Ma Lattuca era arrabbiato. Oltre che brillo. E, non avendo mai brillato di intelligenza, si mise da solo nei guai. Cavò un pugnale dai calzoni, puntandolo dritto su Pietro. “Allora sarei dovuto andare dalla mugliera vostra”

“Bada a come parli…”. Gli occhi nocciola di Pietro, spiritati, irati, sarebbero bastati come un normale campanello d’allarme.

Ma Lattuca voleva provocarlo. “Oh, sì… è bella, la moglie vostra. Sapete quante volte mi sono toccato pensandola? Glielo avevo detto, a quella fimmina, che se avesse cantato avrei scopato anche lei… mo’ le tocca, le tocca…”

“Vai all’inferno, schifoso bastardo!”

Lattuca gli saltò addosso, la lama del pugnale luccicante al riflesso della lampada ad olio.

Il suono dello sparo riecheggiò nella notte di plenilunio.

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Grazie ancora, per i bellissimi complimenti che mi fate sempre e per il vostro sostegno! Sono felice che qualcuno sia ancora rimasto! :)

  
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